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Stato degli studi sulla storia costruttiva del Battistero di San Giovanni CAPITOLO I

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CAPITOLO I

Stato degli studi sulla storia costruttiva

del Battistero di San Giovanni

1.

Le fonti

Alla metà del XII secolo, la mole del Duomo, benché incompiuta, si stagliava già in tutta la sua maestosità davanti agli occhi dei contemporanei cittadini pisani. Fu all’incirca in quel momento, mentre si terminava la facciata di quell’edificio, che si dovette avvertire il bisogno di innalzare una chiesa a funzione battesimale altrettanto imponente, degna della nuova Cattedrale; questa era infatti divenuta presto il simbolo dell’affermazione politico-economica di una città che proprio in quel periodo viveva il suo momento di massima espansione e potenza. Scavi archeologici eseguiti per la prima volta nel 19361 hanno portato alla luce, nell’area attualmente inclusa nel Camposanto

monumentale (a nord-ovest rispetto all’attuale Battistero), i resti murari di una struttura

1 A. Niccolai, A. Manghi, F. Severini, Gli scavi nel Camposanto monumentale, Pisa 1942; P. Sanpaolesi, La

facciata della Cattedrale di Pisa, in “Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’arte” V-VI,

1956-1957, pp.248-254; L. Pani Ermini, L’insula episcopalis a Pisa nell’Alto Medioevo. Appunti per una

ricerca, in L. Pani Ermini, D. Staffini, “Il battistero e la zona episcopale di Pisa nell’alto medioevo”, Pisa

1985, pp. 3-18; F. Redi, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli 1991, pp.59-75; A. Alberti, E. Paribeni (a cura di), Archeologia in Piazza dei Miracoli: gli scavi 2003-2009, Ghezzano 2011

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a pianta ottagonale absidata, che, nonostante le difficoltà di datazione2 e l’impossibilità

di determinare fino a quando fosse stato utilizzato3, appare verosimilmente riferibile ad

un primitivo edificio di culto con funzione di battistero: la decisione di costruire una chiesa con la stessa destinazione cultuale ma più “in linea”, dal punto di vista strutturale, stilistico, decorativo, delle dimensioni, della posizione e dei materiali, con la Cattedrale è perciò da leggersi come naturale desiderio di dotare quest’ultima di un adeguato complemento, altrettanto magnificente.

Riguardo alle iniziali vicende costruttive del Battistero pisano, abbiamo la fortuna di possedere numerose notizie contemporanee ai lavori compresi nel primo decennio di vita del cantiere. Prima di tutto sono giunte a noi due epigrafi, rispettivamente incise sui pilastri a nord-est e a sud-est dell’edificio, che, benché non solenni ed encomiastiche come quelle che troviamo sulla facciata della cattedrale, nella loro semplicità ci informano sia sulla data della fondazione: “MCLIII MENSE AUG(USTI) FUNDATA FUIT H(AEC) ECCL(ES)IA”(si tratta dell’agosto 1152 stile comune), che sul nome del maestro che sovrintende ai lavori in quel momento: “DEOTISALVI MAGISTER

2 Inizialmente i resti rinvenuti erano stati attribuiti dal Manghi, op.cit, pp.11-15, all’originaria Cattedrale di

Santa Maria, attestata nella documentazione a partire dal 748. Sanpaolesi, op.cit. e Il Duomo di Pisa e

l’architettura romanica toscana delle origini, Pisa 1975, pp. 20-23 e 147-15, proponendo l’idea che l’edificio

sia un primitivo battistero e basandosi solamente su confronti formali (in particolare con i battisteri ambrosiani), ne propone una datazione oscillante tra il V e il IX secolo, propendendo infine per la cronologia più alta in base alla (discussa) ipotesi della provenienza da esso di un frammento di transenna di finestra rinvenuto durante gli scavi del 1951. Letizia Pani Ermini, op. cit., pp. 10-17, riconoscerebbe l’impianto di una vasca battesimale nel buco rilevato al centro dell’edificio, di cui colloca la costruzione nel corso del VI secolo in base a rapporti stratigrafici e misurazioni ricavate dai dati riportati dal Severini; Fabio Redi, Pisa

com’era, pp. 63-64, e Pisa. Il Duomo e la Piazza, Pisa 1996, pp.44-48 accoglie pienamente la datazione di

Letizia Pani Ermini ipotizzandone inoltre un rimaneggiamento dell’edificio antico in età preromanica.

3

Guido Tigler, Battistero di Pisa, in “Patrimonio artistico italiano. Toscana Romanica”, Milano 2006, p. 55, crede che la demolizione del vecchio Battistero fosse possibile solo nel 1277, quando quello nuovo sarebbe stato finalmente agibile dopo una importante fase finale dei lavori, attestata da un’epigrafe; tale data coincide anche con l’inizio della costruzione del Camposanto. Questa teoria appare però “vacillante” se si pensa che già nel 1246 nella Chiesa di San Giovanni Battista è presente e terminato il fonte battesimale, che attesterebbe quindi una fruizione completa dell’edificio (forse incompleto, ma in qualche modo usufruibile, per esempio grazie ad una copertura lignea temporanea) almeno a partire da quella data. Inoltre, sembra che già nel corso del Duecento si fosse persa la memoria di questo precedente battistero, poiché al momento di impiantare la nuova area cimiteriale, nel 1275 questa porzione di territorio cittadino veniva definita nel Breve

Consulum semplicemente come “gli orti dell’arcivescovo”(Rubrica 1), senza alcuna menzione alla presenza

di un edificio di culto. Per un’analisi completa della questione, compreso il problema della datazione di questo edificio, rimando a A. Alberti, M. Baldassarri, A. Fornaciari, L’area episcopale e l’organizzazione

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HUIUS OP(ER)IS”. In secondo luogo, preziosissimi tra le cronache dei secoli XI e XII sono gli Annales Pisani di Bernardo Maragone4,composti probabilmente tra il 1182 e il

11905, particolarmente ricchi e puntuali per quanto riguarda il periodo compreso tra il

1135 circa e il 1182. Queste cronache riportano notizie piuttosto precise sul Battistero, a partire dalla sua fondazione –ne precisano, tra l’altro, il giorno esatto: il 15 agosto, in occasione della festa dell’allora patrona della città, S. Maria Assunta6- per circa un

decennio, seguendo le prime fasi edilizie. I lavori in un primo momento dovevano proseguire abbastanza velocemente, se appena un anno dopo la fondazione, racconta Maragone, viene posto il “secondo giro”7 delle fondamenta e se poi, nel 1159 e nel 1162

(stile pisano), vengono riportate le avventure per mare di Conetto del fu Conetto, il responsabile amministrativo dell’operazione8, che si reca all’Elba e successivamente in

Sardegna per procurarsi le grandi colonne di granito9, erette con la collaborazione della

cittadinanza tutta, a partire dal 29 settembre 116310. Attraverso la cronaca di Maragone

4 B. Maragone, Annales Pisani, in M. Lupo Gentile (a cura di), “Rerum Italicarum Scriptores” Bologna

1930-1936

5 L. Botteghi, Bernardo Maragone, autore degli Annales Pisani, in “Archivio Muratoriano” 1913, II,

pp.643-644

6 B. Maragone, op. cit., p.14: “A.D. MCLIII, XVIII kal. Septembris, inditione XV, fundatus est primus girus

ecclesie Sancti Iohannis Baptiste”

7 B. Maragone, op.cit., p. 14: “In sequenti anno MCLIV, pridie kal. Septembris, inditione prima, fundatus est

secundus girus eiusdem ecllesie, cuius quidem operis Conettus Conetti et Henricus Cancellarius operarii fuerunt”. L’interpretazione della parola “giro” appare controversa. In generale, dal Supino, Arte pisana, 1904

p.32, in poi, si ritiene che qui il Maragone si riferisse ai due cerchi concentrici delle fondazioni; Secondo Pierotti P.; Benassi L., Deotisalvi. L’architetto pisano del secolo d’oro, Ospedaletto 2001, pp. 97-99, si tratterebbe invece di due diversi livelli di fondazione sovrapposti. Questa ipotesi di lettura è avvalorata dal fatto che anche per quanto riguarda il campanile, dove appunto si sovrapposero a distanza di un anno due fondazioni circolari, l’autore parla di “giri”: sarebbe una modalità di procedura per le costruzioni su terreni acquitrinosi derivata da Vitruvio.

8

A. Caleca, La dotta mano. Il Battistero di Pisa, San Miniato 1991, p.14. Al momento della fondazione del Battistero venne costituita un’apposita magistratura: gli Operarii ecclesie Sancti Iohannis Baptiste erano allora Conettus Conetti e Henricus Cancellarius, ma ben presto dovette rimanere in carica solo il primo.

9 B. Maragone, op.cit., p.14: “A.D. MCLIX, inditione VII, Conettus quondam Conetti operarius in mense

Iulio et Augusto, cum nave Sancti Iohannis, tres columnas magnas lapideas de Ilba usque ad ecclesiam Sancti Iohannis transportavit”; “A.D. MCLXII, inditione VIIII, pridie idus Madii, Conettus quondam Conetti, operarius Sancti Iohannis, ivit in Sardineam ad portum Santae Reparatae, et transportavit inde duas columnas lapideas magnas; qui fortuna maris ad Portum Veneris ivit, et sic VII Idus Iulii Pisas uom magno triumpho reversus est”

10 B. Maragone, op.cit, p.30: “A.D. MCLXIIII, tertio kal. Octubris, die Sancti Michaelis prima columna

ecclesie Sancti Iohannis Baptiste erecta est, et infra XIIII dies, gratia Dei, tote octo erecte sunt, de quibus unam in uno die Porta Aurea erexit. Eodem autem tempore, ordinatum est ut unaqueque familia Pisane Urbis singulis kalendis unum daret denarium pro eiusdem ecclesie opere faciendo”

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sappiamo, quindi, che in undici anni, a partire dall’agosto 1152, vengono poste almeno le fondamenta di un edificio a due cerchi concentrici e si innalzano tutte e otto le colonne sull’anello centrale; risale, infine, al 1163 un’ordinanza che impone ad ogni famiglia pisana il pagamento di una tassa mensile corrispondente ad un denaro11, che

garantisca la base economica perché i lavori proseguano in tranquillità e in tempi relativamente rapidi. Un’iniziale problematica è da rilevarsi nella mancanza di informazioni riguardo al primo architetto della chiesa di San Giovanni, dal momento che di lui tace il Maragone e tacciono del tutto i documenti, ad esclusione di tre epigrafi: il nome (Deustesalvet /Deotisalvi) ricorre, infatti, tre volte in iscrizioni-firma di edifici, a Lucca e a Pisa – si noti, però, che non abbiamo la certezza che si tratti dello stesso personaggio, vista la ricorrenza abitudinaria dello stesso nome per differenti membri all’interno delle famiglie di lapicidi in quest’epoca. Escludendo l’epigrafe del Battistero, già riportata precedentemente, un’altra iscrizione-firma si trova, doppia e in diversa calligrafia, sul paramento esterno del campanile della chiesa del Santo Sepolcro di Pisa (primo ordine, sul lato est): “HUIUS OPERIS FABRICATOR D(EU)STESALVET NOMINAT(UR)”. La difficoltà di interpretazione del nesso tra l’opus cui si riferisce l’epigrafe e il monumento (si tratta soltanto del campanile, nella sua parte bassa, oppure della chiesa nella sua totalità?) non è da sottovalutare: se per opus si intendesse la chiesa stessa, allora Deustesalvet si presenterebbe come un architetto in qualche modo “specializzato” nella costruzione di edifici a pianta centrale12 e collegati dal punto di

vista formale ad exempla della Terrasanta13. L’esistenza di questo monumento è

11

V. nota 10.

12La chiesa dei Frati Ospedalieri del Santo Sepolcro è una struttura a pianta ottagonale con copertura conica e

con presbiterio centrale delimitato da otto pilastri.

13 Tale ipotesi si lega all’interessante questione dell’appartenenza sia del Battistero che del Santo Sepolcro di

Pisa ad un gruppo di architetture sacre legate agli ordini militari ed ispirate, dal punto di vista iconografico e formale, agli edifici simbolici della Terrasanta ( in particolare all’Anastasis del Santo Sepolcro e alla Cupola della Roccia a Gerusalemme), allora meta di pellegrinaggio anche per i cittadini pisani, ivi presenti fin dalla prima Crociata. I richiami agli exempla gerosolimitani nelle opere certe di Diotisalvi (la chiesa del Santo Sepolcro e quella di San Giovanni a Pisa) hanno addirittura fatto supporre una conoscenza diretta di questi ed

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attestata con certezza dal 1138, quindi da un punto di vista storico sarebbe attribuibile allo stesso Deotisalvi del Battistero, ma mancano i termini di paragone dal punto di vista stilistico per convalidare tale ipotesi anche da una prospettiva storico-artistica14. La

terza iscrizione legata al nome Diotisalvi è situata su una lastra del paramento interno della navata nord nel San Cristoforo di Lucca: “GAUDEAT D(E)OTISALVI MAG(ISTE)R NEC COMPAREAT EI LOCUS SINISTER NA(M) IP(S)E ME P(ER)FECIT; siamo qui di fronte a difficoltà ancora più grandi nell’attribuire eventuali strutture o parti di esse allo stesso architetto del Battistero pisano, dal momento che la facciata è da addebitare a maestranze “lombarde” non precedenti al penultimo decennio del XII secolo, epoca a cui sembrerebbe ascrivibile anche l’interno della struttura15. Si

tratta, in fondo, di un monumento che ha visto diverse fasi costruttive, difficilmente databili con precisione, in cui si legge certamente un’attenzione verso le forme dell’edilizia sacra pisana, ma non un particolare legame al primo stadio costruttivo del

hanno portato all’attribuzione alla sua mano della (più tarda) cappella di Sant’Agata a Pisa. La rotonda dell’Anastasis, nella sua ricostruzione crociata degli anni 1115-1149, si presentava come tre ordini di arcate corrispondenti a due deambulatori sovrapposti e un cleristorio-tamburo; l’ambulacro inferiore presentava dodici colonne e otto pilastri alternati (un pilastro ogni due colonne) come sostegni, quello superiore alternava archi semplici e doppi con colonna centrale; la cupola lignea, infine, era costituita da un tronco di cono. La questione è piuttosto ampia e non è possibile soffermarvisi in questa sede; si veda a riguardo: R. Krautheimer, Introduction to an “Iconography of mediaeval architecture”, in JWCI 5, 1942, pp.1-33; U.Boeck, Das Baptisterium zu Pisa und die Jerusalem Anastasis, in “Bonner Jahrbücher des Rheinischen Landesmuseums in Bonn im Landschafts verband Rheinland und des Vereins von Altertumsfre und enim Rheinlande” CLXIV, 1964, pp.146-156; G. Bresc-Bautier, Les imitations du Saint-Sépulcre de Jérusalem

(XIe-XVe siècles). Archéologie d’une dévotion, in “Revue d’histoire spirituelle” 50, 1974, pp.319-342; F.

Redi, Pisa com’era, 1991, pp. 364-365; V. Ascani, L’architettura religiosa degli ordini militari in Toscana, in “I Templari e San Bernardo da Chiaravalle”, Atti del convegno, Certosa di Firenze 1995, pp.191-209; M.L. Testi Cristiani, Pisa e Terrasanta. I protagonisti della I della II Crociata e le sacre memorie

gerosolimitane; S.Agata, S.Sepolcro, il Battistero, e Il Santo Sepolcro di Gerusalemme e il Battistero di Pisa da Diotisalvi a Nicola (fino a Giovanni Pisano), in “Arte medievale a Pisa tra Oriente e Occidente”, Roma

2005, pp. 233-247 e pp. 289-307.

14 Il tempio di S. Sepolcro in Pisa ridotto all’antica forma, Pisa 1859: durante i restauri “in stile”

ottocenteschi (oltre che in seguito ad un rialzamento nel XVI secolo) la parete perimetrale è stata compromessa, mentre le decorazioni dei portali nord e sud, così come una frammentaria lastra con leone nel lato ovest, appaiono stilisticamente prossimi al primo ordine della facciata del Duomo (per l’utilizzo del ludi

geometrici e le stilizzazioni delle figure animali) assegnabili alla prima metà del XII secolo. Certo è che

diverse sono le analogie strutturali, e non solo, tra i due edifici, dalla bicromia alla forma delle aperture, alla decorazione con cornici classicheggianti.

15 Per quanto riguarda l’architetto Diotisalvi, la sintesi degli studi che ne trattano e la relativa bibliografia,

rimando a V. Ascani, Diotisalvi, in “Enciclopedia dell’arte medievale”, V, Roma 1991-2002, pp.663-664 e alla monografia P.Pierotti, L. Benassi, Deotisalvi. L’architetto pisano del secolo d’oro, Ospedaletto 2001

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Battistero nello specifico, benché non siano mancati tentativi di attribuire all’architetto del San Giovanni parti della facciata di questa chiesa16.

Considerata tale problematica, è chiaro che per individuare l’intervento di Diotisalvi in questa prima fase costruttiva non possediamo altri “appoggi”, oltre all’iscrizione di cui sopra, se non la cronaca di Maragone e l’analisi storico-artistica. Partendo dall’interno, dunque, sappiamo che venne fondato un edificio formato da due anelli concentrici e che sul primo si innalzarono otto colonne monolitiche (in granito, a richiamare quelle del Duomo): ad esse si alternano quattro pilastri a pianta pentagonale, dall’elegante paramento murario in pietra bianca di San Giuliano, a grandi conci regolari e dalle basi classicheggianti, con complesse modanature. La pianta centrale della struttura viene quindi elaborata in uno spazio interno delimitato dall’alternanza di colonne e pilastri e uno spazio-navata anulare esterno, nel quale si aprono ben quattro portali e dodici finestre.

Una volta esauritesi le notizie degli Annales Pisani, iniziamo ad incontrare difficoltà nel tentativo di ricostruire le successive vicende del San Giovanni, dal momento che la cronaca termina con l'anno 1182 e con essa si arrestano le testimonianze dirette di Bernardo Maragone riguardo all'elevazione del Battistero. Spesso questo silenzio della storiografia è stato interpretato come indizio di una lunga sospensione dei lavori, ma è chiaro che non si hanno certezze a riguardo e non necessariamente deve essere andata così. A questo punto, qualche fonte documentaria ci viene in aiuto per tentare una ricostruzione delle seguenti vicende costruttive dell'edificio: un documento pubblicato dal Pecchiai17, databile al 1183 o all’anno successivo e riportante una minuta di conti

dell'amministrazione capitolare, fa riferimento al lavoro di alcuni magistri “che stanno in monte”, che lo studioso attribuisce ad una viva attività d'estrazione del marmo di San

16 M. Salmi, L’architettura romanica in Toscana, Milano-Roma 1928; pp.15-16

17 P. Pecchiai, Un documento su l’arte pisana, in “Miscellanea di Erudizione”, 1905, I, 5, pp. 201-205. Il

documento riporta una panoramica della numerosa maestranza operante all’epoca in lavori edilizi che richiedevano pietra di San Giuliano quale materia prima.

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Giuliano, la quale ipotizza necessaria ai lavori della fabbrica del Battistero. In realtà questa ipotesi appare azzardata, poiché nel documento analizzato non si fa nessun diretto riferimento al fatto che il materiale estratto fosse destinato ai lavori in Battistero e, inoltre, non viene considerato il fatto che in quegli stessi anni si lavora sicuramente al Campanile. In ogni caso pochi anni dopo la chiesa doveva risultare già agibile e per di più consacrata, se un altro documento analizzato dal Bacci18 riferisce che l'investitura

dell'Operaio Guidalotto del fu Ugo Ponsi avviene, nel giorno 8 aprile 1185, “in Ecclesia Sancti Johannis Baptiste” seguendo un rituale specifico intorno all'altare, chiavi in mano. E’ bene comunque notare che ciò non significa necessariamente che l’edificio fosse completo.

Le cronache pisane del secolo XIII non apportano nessun ulteriore contributo sostanziale per una ricostruzione delle vicende, perché si tratta di poco più che compendi del testo di Maragone, ma rimangono comunque il modello su cui si esempla tutta la storiografia successiva. Il Chronicon aliud Breve Pisanum19, per esempio, è una cronaca composita che riprende in gran parte gli Annales, ma con frequenti errori nelle datazioni ed altre inesattezze: per quanto riguarda la costruzione del Battistero, le notizie che in Maragone vengono riportate anno per anno sono qui riferite in maniera molto sintetica, relegate a poche righe che informano sulla data di fondazione (qui 1154), sui nomi dei primi sovrintendenti ai lavori e sull'importazione delle colonne dalla Sardegna. Allo stesso modo la storiografia del secolo XIV, con la Cronaca Pisana di Ranieri Sardo20 (che nel complesso copre il lungo periodo dall'anno 962 al 1400), si

fonda sulla base degli Annales e riprende il carattere schematico del Chronicum. Pochissime righe sono dedicate al Battistero, riportando solamente che nel 1155

18

P. Bacci, Per la Istoria del Battistero di Pisa, 1919, pp.4-5

19 Chronicon aliud Breve Pisanum, in M. Lupo Gentile (a cura di), “Rerum Italicarum Scriptores” Bologna

1930-1936

20 R. Sardo, Cronaca Pisana, in R. Roncioni, “Delle Istorie Pisane Libri XVI, Archivio Storico Italiano”, VI,

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Guglielmo di Sicilia “s’accordò con la Chiesa […] e fe’ compagna con Pisa, e dielli

grandi doni delli quali si fondò la chiesa di Santo Ioanni Batista”21. E’ chiaro che gli scarti di notizie, le indicazioni travisate o tralasciate e gli errori inerenti alla datazione, nel passaggio da un’opera all’altra, sono indicativi della perdita di interesse per determinati eventi del passato da parte della cultura dell’epoca.

21

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2.

La letteratura artistica antica

Se le cronache e le fonti risultano preziose almeno per quanto riguarda i primi anni dei lavori di costruzione del Battistero, il contributo apportato dalla letteratura artistica più antica non è che modesto, nell'ottica di ricostruzione delle vicende; anzi, come spesso accade, col passare del tempo molte notizie si vanno a perdere o si “offuscano”, la memoria storica si interrompe e incontriamo affermazioni errate o confuse.

Giorgio Vasari ha già perso notizie di notevole importanza e colloca la fondazione dell'edificio nel 106022, ma deve attingere ad informazioni derivanti dalla cronaca di

Maragone se rimane colpito dal fatto che le colonne venissero erette in soli quindici giorni o che la cittadinanza si autotassasse per finanziare l'impresa: “E quello che è cosa meravigliosa e quasi del tutto incredibile […] che le colonne del […] S.Giovanni, i pilastri e le volte furono rizzate e fatte in quindici giorni e non più”; “Per fare quel tempio fu posta una gravezza d'un danaio per fuoco, […] et in quel tempo erano in Pisa […] trenta quattromila fuochi”. E proprio questo dato, le trentaquattromila famiglie presenti in città all'epoca della tassa in favore del Battistero, diventerà un vero topos per tutta la letteratura artistica seguente. Vasari non tratta a lungo della Chiesa di San Giovanni, dopo poche informazioni riguardo alla fondazione e alla storia costruttiva prosegue con una descrizione parzialmente erronea dell'architrave del portale Est (“Nel fregio della porta di mezzo è un Gesù Cristo con dodici apostoli, di mezzo rilievo di maniera greca”), ma poi vi ritorna indirettamente, nelle Vite di Nicola e Giovanni Pisani che hanno il grande merito di aver “in gran parte levata via, nel lavorare i marmi e nel fabricare quella vecchia maniera greca goffa e sproporzionata”. E' così che, complice il modello vasariano, viene dato il via ad un altro dato ricorrente in tutta la tradizione

22 G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori ed architetti, a cura di R. Bettarini, P. Barocchi,

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letteraria seguente, ovvero l'elogio del pulpito di Nicola a fronte della disattenzione pressoché comune nei confronti delle altre sculture presenti nell'edificio.

Nel XVII secolo alcune delle informazioni riguardo alla chiesa di San Giovanni Battista sono ancora confuse. Negli Annali Pisani, il Tronci colloca nel 1132 la fondazione del Tempio battesimale, sotto il consolato di Cocco Griffi. Non fornisce molte altre notizie in merito, oltre al nome degli operai pisani, poiché si perde presto, per tre pagine, nella descrizione dei lavori che sotto allo stesso console si diressero per cingere la città di nuove mura: “Non per questo”, però, specifica poi, “rallentava l’ardore nel fabbricare san Giovanni”23. Ritiene molto importante la notizia, tratta

direttamente da Maragone, delle trentaquattro mila famiglie che si sottoposero ad un tributo volontario per la costruzione dell’opera, poiché gli dà modo di fornire una stima della popolazione cittadina all’epoca (“Cosa d’altra parte che non debbe parerci strana, dietro il florido commercio e le si potenti armate della pisana Repubblica”24).

Con gli Annali del Tronci ha fine la stagione delle grandi opere a stampo annalistico. Per quanto riguarda la letteratura artistica e storiografica locale del XVIII secolo, si tratta soprattutto di letteratura guidistica in cui, in maniera più o meno approfondita, si ripetono formule descrittive prive di originalità e notizie sintetiche tratte dalla tradizione più antica, come una sorta di “mirabilia urbis pisarum”; per lo meno, però, trattandosi di pubblicazioni non più puramente “storiche” o annalistiche, si incomincia a prestare più attenzione alla descrizione artistica dell’opera, insieme a fornire dei giudizi critici, per quanto a volte primitivi25. Nella sua accurata Guida di Pisa26, il Titi riprende le

23 P.Tronci, Annali Pisani, p.264 24

ibidem

25 Per quanto riguarda le guide pubblicate tra la fine del Settecento e il primo Ottocento, rivolte al “forestiere

erudito” che si interessa alle belle arti, riscontriamo una sorta di assimilazione della città ad un museo o ad una galleria, per cui la guida, dopo ad una breve introduzione che accenna dati geografici e storici, si riduce ad un inventario di opere d’arte e alla loro descrizione accurata. Queste guide sono spesso pubblicazioni di

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informazioni derivate dalla letteratura precedente e dalle epigrafi: colloca, finalmente, la fondazione della "bellissima Fabbrica fatta sul gusto Gottico"27 nel 1152; attribuisce il

progetto a Diotisalvi; riporta la notizia già del Maragone della volontaria tassa di un fiorino per fuoco e l’ormai “tradizionale” elemento dei trentaquattromila fuochi allora esistenti in città. Non si sofferma sulla descrizione architettonica né sul dare giudizi critici che si discostino dalla tradizione vasariana ("abbenché le Statue, che l'adornano, non siano di quella special maestrìa con cui hanno lavorato gli scultori posteriori, e ritrovatori del buon gusto del Disegno"28), mentre appare piuttosto attirato da aspetti

curiosi e particolari, quali le colonne provenienti dalla Sardegna "ove tuttavia si vedono i luoghi di dove furono cavate" o l'effetto d'eco provocato dalla cupola29, altro topos

ricorrente nella letteratura guidistica contemporanea e seguente. Per quanto riguarda l'apparato suppellettile dell'interno, il Titi cita di sfuggita "il Lavacro, e Fonte Battesimale, fatto tutto di marmi bellissimi, e di differenti qualità"30 e si sofferma

soltanto sul "bellissimo e famoso Pulpito (...) fatto dal famoso scultore Nicola Pisano, quale può dirsi essere stato il ritrovatore del buon gusto della Scultura"31, ancora una

volta rimanendo ancorato al giudizio vasariano. Non viene fatto accenno alcuno riguardo all'esistenza del pavimento a tarsia interno all'area presbiteriale, cosa che invece viene riportata, seppur in maniera sbrigativa, dall'anonimo autore di una guida pubblicata sul finire del secolo dal Prosperi32: in essa le informazioni tratte dalle

precedenti pubblicazioni annalistiche sono sempre le stesse e vengono riferite in modo sintetico, mentre più accurata appare la descrizione artistica del monumento, sia

notevole sforzo editoriale, in più volumi ed arricchite da incisioni illustrative dei principali monumenti e delle “vedute”.

26 P.Titi, Guida per il passeggiere dilettante di pittura, scultura ed architettura nella città di Pisa, 1751 27 Ibidem, p.59 28 Ibidem, p.60 29 Ibidem, p.61 30 Ibidem, p.60 31 Ibidem, p.62 32

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all'esterno che all'interno: l'autore ammira l'apparato scultoreo (crede che i capitelli siano di reimpiego33), si sofferma in particolare sulla ricchezza degli intagli della vasca

battesimale e dell'altare e non dimentica di almeno citare il pavimento che "qui nel Coro è coperto di un bel mosaico"34.

La pubblicazione più “imponente” di questo periodo è sicuramente la Pisa illustrata

nelle arti del disegno di Alessandro da Morrona35, pubblicata in tre volumi tra il 1787 ed il 1793, in cui alla trattazione della chiesa di San Giovanni Battista viene dedicato un intero capitolo e la prima descrizione in qualche modo approfondita, e sicuramente “ammirata”, dell’opera. Sebbene per quanto riguardi le prime vicende costruttive dell’edificio egli non possa fare altro che leggere le fonti annalistiche contemporanee e successive, l’autore non si limita a una ripresa superficiale della letteratura precedente, ma si cimenta nella ricerca di informazioni storiche tratte da documenti dell’epoca, ad esempio, riguardo alla cittadinanza di Diotisalvi36, architetto di cui “il Vasari (…) non

fa ricordanza. Eppure potea con lui provar assai sull’arte rinascente in Pisa molto prima ch’altrove, e nominar nel posto conveniente il suo Lapo, ed Arnolfo”37. L’occhio critico

del da Morrona non si discosta molto dal vero quando, descrivendo il portale orientale della chiesa, che egli data intorno al 1210, vede negli stipiti “varie piccole figure di bassorilievo non goffe né dispiacevoli affatto” e nell’architrave “figure quasi di tondo rilievo, e di molto pregio, se si riflette al tempo in cui furono fatte (…). Tali figure risvegliano alla mente i principj dell’arte rinascente, e una maniera di mezzo fralla greca così detta dal Vasari,e da altri, e quella dei Pisani restauratori” 38. Sulla base

dell’epigrafe alla base dell’opera, assegna a Giovanni Pisano le tre sculture inserite nella

33 Ibidem, p.56: “Nei Capitelli sono vari bei pezzi di Scultura antica”. 34

Ibidem, p.57

35 A. da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegno, Pisa 1787-1793 36 Ibidem, pp.366-367

37 Ibidem, p. 373 38

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lunetta di questo portale. Osserva attentamente anche la loggia che costituisce il secondo ordine esterno dell’edificio, nel quale vede “il magistero di buono Artefice antico”39 nelle testine fra gli archi. Il pregiudizio sul Gotico non è ancora caduto: questo

secondo ordine è completato da una corona decorata nello stile “Arabo-Tedesco (…) nell’uso di quel tempo”, ma, fa notare l’autore, nonostante queste aggiunte “ non viene adombrata la buona maniera nella forma degli archi, e in altre divisate parti della nostra Rotonda, che tutta insieme innamora vederla”40. Passa dunque alla descrizione

dell’interno “maestosamente decorato di due soli ordini di Architettura. Il primo sodo, e bello è scompartito da dodici grandi arcate semicircolari sostenute da otto grossissime colonne corintie isolate, e da quattro grandi pilastri parimenti isolati. Questi, e quelle equidistanti dalla parete formano un vago rotondo peristilio largo dieci braccia. Altro simile al di sopra circonda la fabbrica con tutti i pilastri regolarmente piantati, sopra dei quali girano archi parimenti tondi, dove posa la concava parete della fodera interna della gran cupola”41. Le notizie riguardo alle colonne granitiche provenienti dalla Sardegna e

dall’Elba e al loro celebre innalzamento vengono direttamente riprese dal Maragone, dal Roncioni e dal Tronci; per quanto riguarda i capitelli del primo ordine, poi, almeno in parte (in particolare quello del pilastro meridionale, rappresentate scene di caccia) sono ritenuti di reimpiego: “Il buon Antiquario lo giudicherà forse un avanzo del tempio di Diana. Son capricciosi i piccoli capitelli incassati nella parete (…). Son queste novelle prove dell’abbondanza di tali marmi, nobili avanzi degli antichi edifizj di Pisa o trasportati d’altronde”42. Oltre alle misure precise dell’edificio all’esterno e all’interno,

39 Bidem, p. 379 40 Ibidem, p. 381 41 Ibidem, pp. 382-383

42 Ibidem, p. 385. La convinzione che gran parte dei marmi presenti nelle fabbriche medievali fossero di

reimpiego ritorna anche nel Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento fino al secolo di Canova

del Conte Leopoldo Cicognara, II, 1823, pp.112-114: ”Conviene inoltre osservare, che siccome questi edifizj

si costruivano colla maggior parte di materiali tolti da antiche fabbriche o frutto di lontane conquiste o provento di relazioni commerciali, così di frequente accadeva che alcune forme un po’ strane, alcuni ordini di colonnette sovrapposti, nelle esterne parti singolarmente nella decorazione di tali fabbriche, erano piuttosto

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il da Morrona riporta le epigrafi ancora leggibili nei pilastri, ma non quella che tuttora si osserva nel muro perimetrale della galleria interna (secondo ordine); prosegue dunque con l’analisi dell’arredo interno e delle opere mobili e non. Al pavimento dedica poche righe, e decisamente vaga è la descrizione della parte interna all’area presbiteriale: “Nella parte del coro dinnanzi all’Altar maggiore è intarsiato di rare pietre a opera musaica”; “Nel pavimento compreso nel circuito del coro elegantemente tassellato, osserverà il Naturalista le porfiree brecce rosse, e verdi, i gialli, e i verdi antichi, ed altre scelte pietre”43. Al contrario, molte pagine vengono spese alla descrizione del pulpito,

su cui non ci soffermiamo in questa sede, e della vasca battesimale, non rotonda come la navata, ma ottagonale, e per questo “differisce dall’antica foggia”44, mentre i pannelli

esterni che formano la vasca, decorati a rosoni su sfondo “alla musaica”, devono essere fatti “molto posteriormente alla fabbrica quando l’Arte era migliore”45. A queste

decorazioni si avvicinano quelle dell’altare, “ma di più antico, e meno sottil lavoro fatto a forza di trapano”46. Di quest’opera, divenuta praticamente la “guida ufficiale” della

città, vengono poi pubblicati i più sintetici e sicuramente pratici compendi, i Pregi di

Pisa47 e la quasi identica Pisa antica e moderna48, che comunque non si discostano

dalle riflessioni precedenti dell’autore.

Il XIX secolo vede una vastissima produzione guidistica locale, sia che si soffermi solo sui principali monumenti pisani, ad uso del viaggiatore, sia che approfondisca anche gli aspetti storici ed urbanistici della città; numerose poi sono le pubblicazioni di

suggeriti dalle circostanze e dai materiali assegnati, che immaginati dal capriccio degli architetti”. Così il Cicognara ritiene che i capitelli delle colonne interne “dopo aver servito in altro tempo ad usi profani ed essere rimasti quali avanzi di fabbriche” siano stati reimpiegati nel tempio cristiano.

43 Ibidem, p.386 e p.391 44

Ibidem, p.386

45 Ibidem, p.387 46 Ibidem, p.390

47 A. da Morrona, Pregi di Pisa, Pisa 1816 48

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raccolte di tavole tratte dalle attrazioni d'interesse artistico49. Quasi proponendosi come

sostituta della Pisa Illustrata e modello per le pubblicazioni successive, tra il 1836 e il 1838 viene pubblicata la Descrizione storica e artistica di Pisa del Grassi50, in tre

volumi. In essa qualche pagina viene dedicata al Battistero e alcune notizie “recuperate” dal passato, attraverso la lettura di fonti documentarie dirette: l’autore segnala l’errore di datazione del Vasari (di cui si stupisce: cita infatti l’epigrafe interna alla chiesa e la tradizione annalistica locale) e riporta i nomi non solo di Diotisalvi ma anche degli operai Conetto Conetti e Arrigo Cancellieri e del console Cocco Griffi. Il topos dell’ammirazione per l’innalzamento di colonne e pilastri “nello spazio di soli quindici giorni”51 è ancora presente, così come la notizia che riferisce dello zelo delle

trentaquattromila famiglie che versano il volontario tributo necessario ai lavori; infine, di nuovo su stampo vasariano, troviamo l’elogio al pulpito di Nicola Pisano, che recupera “i doni dell’arti” dalla barbarie52, a cui segue un’accurata descrizione anche

iconografica dell’opera. Brevemente viene descritto anche l’altare principale della chiesa, intagliato a rosoni, e “il pavimento dinanzi il medesimo”, il quale “vedesi elegantemente tassellato di porfiree brecce rosse, di verdi antichi, di gialli, e d’altre scelte pietre”53. Identiche notizie, spesso riferite con le medesime parole, si ritrovano

nella Nuova guida di Pisa del 1849, opera del Nistri54.

Di poco posteriore alla metà del secolo è la pubblicazione della Storia

dell’architettura in Italia di Amico Ricci55, che attinge alle medesime fonti storiche per quanto riguarda la fondazione e i primi anni costruttivi dell’edificio ma che,

49 E.Cresy, G.L. Taylor, Architecture of the Middle Ages in Italy, London, 1829; R. Grassi, Le fabbriche

principali della città di Pisa per servire di guida al viaggiatore, Pisa 1829

50

R. Grassi, Descrizione storica e artistica di Pisa e de’ suoi contorni, 1836-38. Identiche notizie riporta il compendio di questa ad opera dello stesso autore, Pisa e le sue adiacenze, pubblicata nel 1851.

51 Ibidem, p. 85 52

Ibidem, pp. 87-89

53 Ibidem, p.87

54 G. Nistri, Nuova guida di Pisa e dei suoi contorni preceduta dai cenni storici e dalla topografica della

città di Pisa, Pisa 1849

55

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soffermandosi, in particolare, sull’analisi di alcuni dei pezzi di scultura, apporta finalmente qualche interessante contributo storico-artistico. Egli ritiene che parte dei marmi utilizzati nell’edificio siano di reimpiego56, e che all’interno alcuni capitelli siano

stati scolpiti per confondersi con gli antichi: “Quelle medesime cagioni che apportavano tanta varietà nelle colonne, nei marmi e nelle misure, dovevano eziando contribuire alle svariate foggie dei capitelli, per che non deve sembrar strano che appariscano ivi scolpite caccie e riti pagani, avendo già essi servito per lo innanzi uso profano. E non si andrà lungi dal vero argomentando che alcuno e’ quei scultori che precedettero Nicola, fattosi modello di quegli strani soggetti scolpisse alquanti capitelli studiandosi forse che adeguasser gli antichi”57. Altro contributo del Ricci è, infine, l’attribuzione a Nicola

Pisano58, per unità di stile rispetto ad altre sue opere attestate, delle testine inserite tra

gli archetti della galleria che costituisce il secondo ordine esterno, che secondo lui, in origine, doveva essere semplice e “ privo di tutte quelle colonne e altri ornamenti (…), capitelli capricciosi e bizzarri e archi tondi”.

Anche nella seconda metà del XIX secolo abbondano le pubblicazioni guidistiche, ma si tratta di una produzione rivolta al turista di passaggio per una giornata in città, quindi dedicata alla “breve fermata” necessaria solo a visitare i monumenti principali59, e non

approfondiscono le notizie tratte dalla letteratura precedente né si può dire che apportino fondamentali contributi storico-artistici. L’unica pubblicazione di una certa importanza dal nostro punto di vista sembra essere quella di Georges Rohault de Fleury, Les Monuments

56 Ibidem, p. 554: “Anche nel Battistero trovandosi accozzatti per costruirlo de’ marmi antichi cogli altri che

si trasportavano dal di fuori per la via del mare, non deve recar meraviglia se vi si trovan confusi nell’interno fra loro graniti africani o egizi, con quelli dell’Elba e della Sardegna”.

57 Ibidem, p. 556

58 Ibidem, pp. 555-556: “Non mancarono alcuni, che affermarono essere queste teste opera di greco o romano

scalpello; ma noi ci associamo di buona voglia con coloro che dissero Nicola da Pisa verso la metà del secolo XIII aver quelle teste scolpite”

59 Si tratta delle prime guide di minor formato e inferiore qualità topografica, più maneggevoli e a buon

prezzo. Molto spesso si tratta di tascabili, ed abbondano, oltre alle continue revisioni e riedizioni, le traduzioni nelle principali lingue straniere, ad indicare un ampliamento di mercato.

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de Pise au Moyen Age(1866) 60, fornita di bellissime tavole ad opera dello stesso autore: il suo linguaggio è accurato e specifico e sebbene concentrata in poche pagine, la sua descrizione del Battistero riporta la trascrizione delle epigrafi riguardanti la fondazione e anche dell’epigrafe della galleria interna fino ad allora, sembrerebbe, ignorata, “ANNI. D(OMI)NI.MCC.LXX.VIII / EDIFICHATA.FVIT.DENOVO”,61 che lo studioso interpreta

come un rifacimento vero e proprio di parte dell’edificio. Questo rifacimento, a suo parere, consisterebbe in una modifica delle forme terminali della chiesa, grossomodo corrispondenti alla grande cupola e alle decorazioni gotiche dell’esterno, che sarebbero un’aggiunta o una deviazione dal progetto originario, molto vicino alle forme della chiesa di San Sepolcro in Pisa (fornisce anche un disegno di come doveva presentarsi, a grandi linee, l’edificio originario). Egli crede di riconoscere tracce tangibili del mutamento all’interno dell’edificio nel rialzamento delle volte dell’ordine superiore, iniziate in forma ogivale e poi mutate per ottenere una volta a botte.

Nel 1867, sempre all’interno del filone guidistico per il viandante che sosti in città solo per una “breve fermata”, viene pubblicata la Guida a volo d’uccello della città di

Pisa del Da Scorno62, con l’aggiunta della descrizione dei monumenti principali della piazza della Cattedrale, ma al Battistero viene riservata una brevissima descrizione in meno di due pagine: corrette sono le notizie riguardanti l’anno di fondazione e il progetto originario di Diotisalvi; ripresa probabilmente dal Rohault de Fleury è poi la scarna notizia della ripresa dei “lavori incominciati” nel 1278; ancora sono ritenuti di reimpiego i capitelli del primo ordine interno, “in gran parte antichi e adorni di soggetti

60 G. Rohault de Fleury, Les Monuments de Pise au Moyen Age, Parigi 1866, p.59. Lo stesso autore aveva

pochi anni prima pubblicato Edifices de Pise, Parigi 1862.

61 V.Ascani, Da Guidetto ai Bigarelli. Gli scultori-architetti di Arogno nel Battistero di Pisa, in “Svizzeri a

Pisa e a Livorno”, Arte e Storia XIV, n. 62, 2014, pp.40-59

62 F. Da Scorno, Guida a volo d’uccello della città di Pisa e dei suoi principali contorni, aggiuntavi la parte

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mitologici”63. Molto simili infine sono i rifacimenti-compendi dello stesso autore, Breve

fermata in Pisa (1878)64 e Nuova guida di Pisa (1882)65.

63 Ivi

64 F. Da Scorno, Breve fermata in Pisa: guida storica, artistica e commerciale ad uso dei forestieri, Pisa

1878

65

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3.

Storia critica

Dopo la grande stagione della letteratura a stampo periegetico, con l’avvento del nuovo secolo in qualche modo si iniziano ad approfondire gli studi filologici e basati sulla lettura diretta dei documenti, e le nuove pubblicazioni apportano un decisivo impulso alla ricerca e alla ricostruzione storica dell’arte e dell’edilizia, in particolare quella sacra, della città66.

Nel 1904 il Supino, che aveva in precedenza già trattato delle sculture di Giovanni Pisano nella lunetta sopra al portale principale del Battistero67, pubblica un volume interamente

dedicato all’Arte Pisana68, i cui capitoli, su modello “vasariano”, si spartiscono

l’architettura, la scultura e la pittura fiorite nella città nell’ “età moderna”. Dopo aver riportato le informazioni derivate dalla lettura degli Annales Pisani riguardo alla fondazione del Battistero e ai primi anni dei lavori, lo studioso si contrappone all’ipotesi del De Fleury, il quale aveva interpretato l’epigrafe del 1278 come una ripresa dei lavori di costruzione abbandonati per problemi economici alla fine del secolo precedente. “E’ certo invece che nello stesso anno in cui si vuole dal cronista pisano costruito il primo giro fu

66 Purtroppo per quanto riguarda il Battistero non possediamo uno studio approfondito e utile quale quello del

Pecchiai (L’Opera della Primaziale Pisana, 1905), che fornisce non solo un numero consistente di documenti fino a quel momento inediti, ma anche l’elenco e l’esame della successione degli Operai. Come già accennato, l’amministrazione dell’Opera di San Giovanni, “emanazione e proprietà assoluta del Capitolo dei Canonici”, si mantenne sempre indipendente rispetto a quella del Duomo, accomunata dalle ingerenze di Arcivescovo, Capitolo e Comune (si veda P. Bacci, Per la istoria del Battistero di Pisa, 1919).

67

I.B. Supino, La scultura in Pisa nel secolo XIV, Roma 1896, pp.8-10: riporta l’epigrafe incisa sullo zoccolo con la firma di Giovanni, ma alla sua paternità attribuisce solo la figura della Vergine con Bambino (quest’ultimo fortemente ritoccato “da un rozzo scalpellino”), mentre per quanto riguarda le altre due -San Giovanni Evangelista e il battista con una figura genuflessa ai piedi- “non potremmo assolutamente assegnare a Giovanni”. Correggendo alcune interpretazioni errate dovute, in parte, alla tradizione vasariana, data l’opera al tempo di un Operaio Pietro (l’epigrafe-firma infatti riporta “SUB PETRI CURA”), attestato dai documenti nel 1304 e poi nel 1315.

68

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imposta quella gravezza, di cui parlano tutti gli storici, per condurre la fabbrica a compimento. I lavori procedettero, dunque, continuatamente, sino al termine della costruzione per tutto il XII e forse nei primi anni del successivo”69: a riprova di questa tesi

fa riferimento a due documenti contenuti nel Diplomatico della Primaziale, che riportano il primo la presenza in San Giovanni, il 21 settembre 1221, dell’arcivescovo e del capitolo pisano per definire una discordia riguardo all’investitura dell’Operaio della stessa chiesa; il secondo l’investitura, nell’anno successivo, dell’Operaio Giuliano figlio del fu Pipino da parte dell’arcivescovo e dell’arciprete “tenendo in mano le chiavi della chiesa di San Giovanni Battista”70. Come già precedentemente accennato, queste attestazioni di fruizione

dell’edificio all’inizio del XIII secolo non per forza provano che esso fosse a quelle date completato; è possibile, per esempio, che la costruzione fosse solo parzialmente terminata e la struttura presentasse una copertura provvisoria in legno. Secondo il Supino, dunque, l’epigrafe pubblicata dal Fleury alluderebbe ad una importante riedificazione, “certamente a un grande rinnovamento, dopo un lungo periodo di sosta, e non già, come suppose l’architetto francese, a una semplice modificazione delle forme esterne o terminali dell’edifizio”71. Nota, in effetti, che se il Fleury riteneva che il mutamento consistesse nel

rialzamento delle volte (impostate ogivali e successivamente, in fase di costruzione, mutate a botte), non fa caso al fatto che le ogive si impostano investendo finestre richiuse che “confermano la preesistenza del muro esterno, già alzato proprio là dov’egli vorrebbe fosse

69 Ibidem, p.33

70 Diplomatico della Primaziale, 10 aprile 1222, Ind.IX 71

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avvenuto il mutamento”; inoltre, ritiene che un semplice rialzamento delle volte non sarebbe, all’epoca, apparso così importante da essere ricordato da un’epigrafe che, per di più, riporta “edificata fuit de novo”72. La riedificazione, secondo lo studioso, deve essere

stata molto più consistente di quanto creduto in precedenza, e ne ipotizza una portata che consisterebbe nel mutamento della parte superiore dell’edificio da una forma vicina a quella della chiesa di San Sepolcro a quella attuale. Ancora una volta riporta dei documenti a giustificare la propria tesi73, insieme alla considerazione che se si era provveduto a

fornire di un fonte battesimale (scolpito nel 1313 da Tino di Camaino) il braccio destro della Cattedrale, nonostante già dal 1246 era funzionale quello del Battistero, quest’ultimo evidentemente non doveva essere agibile. In base agli stessi documenti, inoltre, giustifica una durata dei lavori di rinnovamento a partire dal 1278 fino addirittura ad oltre la metà del XIV secolo: “Resultano così assai probabili nella costruzione del Battistero due diversi periodi, che fanno capo agli anni 1153 e 1278; per le decorazioni invece i periodi sono tre: il primo che dal 1153 va sino alla fine del secolo XII o ai primi del successivo, e riguarda la parte inferiore dell’edifizio; il secondo, dopo il 1278, che si riferisce al primo ordine di archetti; il terzo, che giunge fino alla seconda metà del secolo XIV, in cui furono eseguite

72

Ivi

73 Si tratta di un documento negli Acta Capituli, VII (1300, 30 aprile, Ind.XII), in cui si legge che il Capitolo

del Duomo concede all’Operario di San Giovanni Bonaccorso di prendere per conversa la vedova Caruccia del fu Bernardo, che avrebbe donato 100 lire per le spese necessarie “in edificando de novo ecclesiam Sancti Johannis”. L’altro documento è del 1387 e riporta la vendita dell’Operaio Domenico di Ser Ranieri di un pezzo di terra, col cui ricavato “in laborerium et fabricam dicte ecclesie beati Johannis, et ut ipsum laborerium et fabricam cupule dicte ecclesie ad finem laudabilem deducatur”: Tanfani, Centofanti, Notizie

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le fioriture gotiche sopra il giro preesistente di archetti attorno alla cupola”74. Per questo

motivo ritiene che le sculture dell’ordine superiore esterno, in particolare le “teste” attribuite a Nicola Pisano da Amico Ricci75, siano da riferire ad un periodo successivo alla

grande riedificazione76. Per quanto riguarda l’analisi della scultura dell’interno, al Supino

si deve l’interruzione della tradizione critica che voleva i capitelli del primo ordine di reimpiego77: egli ritiene che i capitelli e le mensole pensili che sostengono le volte

dell’ambulatorio, “tutte variamente decorate con motivi dell’arte medievale e con figure tolte da modelli antichi”78, abbiano “spianato la via” al rinnovamento di Nicola e che siano

da datare contemporaneamente al compimento del primo ordine interno intorno al 1164. Questa nuova attenzione alla serie scultorea dei capitelli e delle mensole del primo ordine interno può essere considerata non solo in termini di contrapposizione verso la letteratura precedente (e, in particolare, al De Fleury), ma anche, come dichiarato esplicitamente dall’autore, quale tentativo di ricercare i diretti precedenti nella scuola pisana del “rinnovamento” di Nicola Pisano79.

74 I.B. Supino, op.cit, pp.35-36 75 A.Ricci, op.cit

76

I.B. Supino, op.cit., pp.73-75: “Molte, la massima parte anzi, di quelle teste sono state rifatte in epoca a noi più vicina; ma fra le poche che tuttora sembrano conservare l’impronta anticha, ve ne hanno alcune (dobbiamo pur dire) di gran lunga superiori all’arte di Niccola […] non tutte della stessa mano; ma tutte documento inoppugnabile dei progressi che l’arte fece in Pisa dopo che Niccola le ebbe impresso così potente impulso”.

77

Ibidem, p.53: “Il Cicognara […] concluse che i capitelli del Battistero dovevano essere avanzi di fabbriche romane, adattati poi al tempio cristiano. Ma se lo storico veneziano avesse osservato più attentamente quelle sculture, si sarebbe facilmente persuaso che sono opere del secolo XII, derivate più o meno abilmente da modelli romani”.

78 Ivi

79 Ivi: “Quegli elementi d’arte, cioè, che progredendo ci spiegano l’opera del novatore Pisano; non più,

pertanto, fenomeno miracoloso, come apparve a taluno, ma naturale resultato di una lunga evoluzione, a compiere la quale sopravviene al momento propizio l’opera individuale dell’uomo di genio”

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Nella sua grande opera sulla storia dell’arte Italiana 80, il Venturi riprende gli studi di

analisi sul Battistero pisano ed in particolare la questione del rifacimento del 1278 aperta dal de Fleury, ponendo la ripresa dei lavori nel XIII secolo alla guida di Nicola Pisano, a cui attribuisce, come già aveva fatto il Ricci, i busti sulle spalle degli archetti della galleria esterna (datando questi interventi decorativi tra gli anni cinquanta e sessanta del Duecento) e che sarebbe riconoscibile nel “gotico ingagliardito dalle forme romaniche”81 della

decorazione di questa. Fa riferimento, in questo caso, al documento del 1265 firmato, per stipulare il contratto per il pergamo senese, in San Giovanni a Pisa, dove evidentemente si trovava allora Nicola intento a lavorare coi discepoli: nel contratto, infatti, viene accordata al maestro la facoltà di assentarsi da Siena saltuariamente, per consigliare i lavori in Duomo e in Battistero a Pisa. “Ora, per il Battistero di Pisa, Nicola, dopo aver condotto a termine il pulpito, non aveva più da occuparsi se non a continuare la decorazione della prima corona d’archi del Battistero medesimo”82: lo studioso non ritiene convincente la

posizione del Supino che vuole la decorazione del primo giro di archetti posteriore al rifacimento iniziato nel 1278 “tenendo in conto che la iscrizione sta sopra questo giro di archetti, e che questi sono di tale robusta natura, quale appena si ritrova el gotico primitivo, e in quello speciale delle Puglie”83. Fa inoltre riferimento al fatto che l’iscrizione del 1278

si trova incisa nella galleria superiore interna, posizionata al di sopra del piano su cui poggiano le colonnine dell’ordine esterno, e che il muro sembrerebbe preesistente

80 A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III e IV, 1904-1906

81 A. Venturi, Storia dell’arte italiana. L’arte romanica, III, Milano 1904, p. 839

82 A. Venturi, Storia dell’arte italiana. La scultura del Trecento, IV, Milano 1906, pp.168-169 83

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all’iscrizione84; i lavori di ricostruzione iniziati nel 1278, quindi sarebbero da riferirsi

solamente al mutamento della parte superiore o, meglio, della copertura dell’edificio, che da forme simili al San Sepolcro sarebbe passato a quelle definitive con la “doppia” cupola. L’opera cominciata da Nicola Pisano, una volta morto il maestro, sarebbe stata naturalmente continuata dall’erede Giovanni85. Al Venturi si deve l’importante contributo

di aver riconosciuto non solo la presenza di maestranze “lombarde” in San Giovanni, ma anche un tentativo di distinguere le singole personalità all’interno della stessa taglia, insieme ad una iniziale spartizione delle opere fino a quel momento attribuite ad una stessa paternità nonostante le differenze stilistiche e cronologiche86. E’ a lui che si deve

l’attenzione posta alla presenza di maestri comacini nel Battistero, legata non solo alla vasca battesimale (firmata nel 1246 da Guido Bigarelli, già autore del pulpito di San

84 Ibidem, p.169 n.1: “Ciò apparisce dalle finestre delle gallerie, alcune delle quali sono investite e coperte

dagli archi che formano la volta a botte della galleria stessa. Tali finestre devono essere anteriori (altrimenti perché coperte?) a quella ricostruzione, la quale dovette comprendere le volte della galleria e tutta la parte superiore del Battistero, cioè tutta la cupola che, dalla forma di piramide tronca, simile a quella della chiesa di San Sepolcro, venne ad assumere l’altra forma presente. L’iscrizione fu incisa nel muro, forse al disotto del punto dal quale realmente cominciò la ricostruzione, perché fosse in luogo visibile a tutti…”

85

Ibidem, pp.175-177

86

A. Venturi, Storia dell’arte italiana III, p.972-984. Gli studi sui maestri “comacini” fino a questo momento avevano riunito sotto ad una sola personalità (Guidetto/Guido Bigarelli) distinti individui; il Venturi per primo sostiene l’impossibilità di attribuire un gruppo di opere allo stesso artefice, attestato dal 1188 (prima attestazione di un maestro Guido a Lucca) fino al 1293 (attestazione di un “Guido scultore” attivo nel Duomo di Orvieto): “Guido da Como sarebbe stato quindi un nuovo Matusalemme!”. Attribuisce perciò a Guidetto le sculture nel sottoportico e in parte della facciata di San Martino a Lucca; a Guido Bigarelli il fonte del Battistero Pisano e il pulpito di San Bartolomeo in Pantano a Pistoia. Per una sintesi dello stato degli studi e bibliografia completa sulla questione dei “Guidi”: A. Garzelli, Sculture Toscane del Dugento e del Trecento, Firenze 1969; C. Baracchini, A. Caleca, M.T. Filieri, Architettura e scultura medievale nella diocesi di

Lucca, in “Romanico padano- romanico europeo” Atti del congresso, Parma-Modena 1977; Idem, Problemi di architettura e scultura medievale in Lucchesia, in “Actum Luce” VII, 1978, pp. 7-30; V. Ascani, La

bottega dei Bigarelli, scultori ticinesi in Toscana e in Trentino nel Duecento sulla scia degli studi di Mario Salmi, in “Mario Salmi, storico dell’arte e umanista”, Atti della giornata di studio, Spoleto 1991, pp. 107-134; V. Ascani, Bigarelli, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale” III, 1992, pp.508-513 e Idem, Guidetto, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale”, IV, 1996, pp.160-165. Per un completo esame del problema con particolare riferimento al Battistero, rimando inoltre a C. Smith, A comacine sculptor in late twelfth-century

Pisa, in “Antichità viva” XIX, 5, 1980, pp.11-15 ,M. Chiellini Nari, Le sculture nel Battistero di Pisa, Pisa

1989, pp.19-26 e V.Ascani, Da Guidetto ai Bigarelli. Gli scultori-architetti di Arogno nel Battistero di Pisa, in “Svizzeri a Pisa e a Livorno”, Arte e Storia XIV, n. 62, 2014, pp.40-59

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Bartolomeo in Pantano87): nota, infatti, l’affinità delle colonne che incorniciano il portale

est con quelle non solo della facciata del duomo pisano, ma anche di quello di Lucca (di cui sono contemporanee: “Il fine merletto marmoreo è dunque del maestro comacino che lavorò a San Bartolommeo in Pantano, mentre gli stipiti della porta del battistero pare sieno stati eseguiti intorno allo stesso tempo da uno scultore del San Martino di Lucca, insieme con le colonne che fiancheggiano la porta ornata riccamente, come le altre della cattedrale pisana e dell’atrio di San Martino, ma con eleganza e finezza di gran lunga superiori” 88), e pone a confronto le figure negli stipiti di questa porta (Mesi, Apostoli,

scene cristologiche) con quelle presenti sulla facciata di San Martino a Lucca, attribuendole a Guidetto e alla sua scuola, che le avrebbe riprese da modelli “bizantini studiati dall’antico”89. Come già aveva notato il Vasari, anche Adolfo Venturi mostra che

gli artefici dell’architrave del portale principale del Battistero dovevano avere a riferimento la cultura bizantina, ed in particolare la scultura in avorio, e data l’opera alla metà del XIII secolo90: pochi anni dopo sarà Giovanni Poggi a fornire la datazione principalmente

accettata di quel bassorilievo entro il 1204, sulla base del confronto stilistico con quello di San Michele degli Scalzi a Pisa91.

87

Ibidem, p.984: “Osservando i compartimenti ornati e intarsiati della vasca è facile trovarvi un riscontro con gli altri di quel pulpito, nelle rose pizzettate e nelle foglie fitte…”.

88 Ibidem, pp.984-986

89 Ivi. In particolare il confronto stilistico si svolge tra le figure dei Mesi nel portale del Battistero pisano e

quella vestita di clamide nella facciata del duomo lucchese.

90ibidem, p. 964. Il Supino, op.cit., p.54 aveva proposto per il portale maggiore del Battistero di Pisa una

datazione intorno ai primi decenni del XIII secolo. André Michel, La sculpture romane, in “Histoire de l’Art, I, 2, Parigi 1905, p. 694, la colloca nella prima metà dello stesso secolo.

91

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E’ degli stessi anni la pubblicazione da parte di Émile Bertaux, all’interno del grosso volume L’art dans l’Italie méridionale92, di una foto del pavimento del presbiterio del Battistero pisano, all’interno di un capitolo dedicato ai mosaici arabo-siciliani. Trattando, nel particolare degli intarsi a decoro totalmente geometrico e “a interlacci” nati in ambiente islamico, Bertaux fa riferimento ad una lastra frammentaria proveniente dal Camposanto di Pisa (che interpreta come parte di ambone) decorata ad intarsi marmorei arricchiti di vetri dorati e smalti colorati il cui disegno aniconico geometrico ricorda una tipologia di decorazione utilizzata, nei paesi arabi, in particolare nella produzione lignea. Accanto alla lastra pone la pavimentazione ad intarsio del presbiterio del Battistero, “che sembra da riportare alla prima metà del XIII secolo e che è stata restaurata”93, costituita da un decoro

a combinazione di stelle poligonali che si intrecciano e che si ripetono potenzialmente all’infinito. Questa sembrerebbe essere la prima pubblicazione in fotografia e la prima descrizione accurata, con un tentativo di datazione e con un primo accostamento ad un determinato ambito artistico, del pavimento del Battistero pisano.

Altro contributo importante dell’inizio del secolo viene da Roberto Papini con la pubblicazione nel 1912 del primo volume dedicato alla città di Pisa nel Catalogo delle cose

d’arte e di antichità d’Italia94. Riprendendo le fonti e la letteratura artistica precedente,

egli cerca di delineare una “storia” costruttiva verosimile, innanzitutto rintracciando il contributo di Diotisalvi, oltre che in un progetto iniziale, nell’innalzamento del muro

92 E. Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, Parigi 1904 93 Ibidem, p. 500

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perimetrale fino al secondo ordine di finestre e nella pianta dell’interno, costituita dalla navata anulare e dall’ambulacro centrale creati dall’alternanza di pilastri e colonne. Non accettando l’interpretazione del Supino riguardo alla continuità dei lavori95, ipotizza che a

questo punto avvenisse un’interruzione delle opere e che si fosse quindi provveduto a terminare provvisoriamente l’edificio incompiuto con una copertura lignea. Attribuisce la ripresa del cantiere, intorno alla metà del secolo XIII, “allorché si costruiva il fonte”, alla scuola di Guido da Como che “rifacendo in parte il già fatto” costruisce le volte del primo piano e prosegue fino all’impostazione delle volte a crociera del secondo (di cui si conservano le tracce); assegna, perciò, allo stesso Guido da Como che firma il fonte battesimale e alla sua scuola i capitelli scolpiti a scene di caccia e figure animali dei pilastri e delle colonne interne96. Nello stesso periodo in cui all’interno operavano i maestri

lombardi, all’esterno “Nicola ed i suoi discepoli li aiutarono nel lavoro, decorando col loro stile gotico ingagliardito dalla ruvidezza romanica, le gallerie di colonnette”; accettando la proposta di Amico Ricci, già appoggiata dal Venturi, anche il Papini ritiene che siano da assegnare a Nicola e ai discepoli le testine della galleria esterna97, attribuibili a lavori

incominciati a partire dagli anni ’50 o ’60 del XIII secolo. L’iscrizione del 1278 rappresenterebbe l’indicazione di una terza fase dei lavori, in cui vengono costruite le

95 Il Papini non crede che i documenti del 1221/1222 presentati dal Supino valgano a provare la continuità dei

lavori, “già che le sculture dei capitelli posti sopra quelle colonne e quei pilastri eretti nel 1164 non sembrano avere, salvo uno, nessuna analogia con le sculture del tempo della prima costruzione”, ma vanno piuttosto datati intorno alla metà del XIII secolo.

96 R. Papini, op.cit., pp.232-233 97

Ibidem, pp.217-219 e 228: “Anche più manifesta differenza esiste fra i capitelli delle arcate cieche [primo ordine esterno] e quelli delle colonnette superiori. Infatti i capitelli della prima zona hanno intagli di fogliami in tutto analoghi a quelli delle cornici romaniche, modellati sul motivo classico del capitello composito, mentre gli altri hanno i grassi fogliami a grumoli e recano teste con i caratteri evidenti della scuola pisana di Nicola”.

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“cuspidi sopra gli archi della prima galleria di colonnette”; Giovanni Pisano è il legittimo erede di Nicola anche nella direzione dei lavori di decorazione all’esterno del Battistero, dove è attestato con sicurezza nel 1295, “e son di lui e dei discepoli i busti fra le cuspidi”, così come la Madonna nella lunetta sovrastante il portale maggiore. Il termine dei lavori vede in opera “assai dopo di lui” Cellino di Nese (dal 1349 al 1375), il quale si occupa degli archi delle finestre superiori della cupola, “eleganti edicole cuspidate”, così che la definitiva veste decorativa dell’esterno del monumento venne compiuta “quando già il gotico era nel suo pieno sviluppo”98; per quanto riguarda la costruzione della cupola,

infine, i lavori tardarono99 e ne videro il compimento solo all’inizio del Quattrocento. Il

Papini non si ferma ad un riassunto delle verosimili vicende costruttive della chiesa di San Giovanni, ma ne approfondisce la descrizione in maniera accurata per quanto riguarda sia l’esterno che l’interno, trattando delle sculture della lunetta del portale maggiore (ritiene che la sola Vergine sia attribuibile a Giovanni Pisano, mentre le due statue laterali sarebbero di un seguace100); del fonte battesimale con la sua epigrafe; dell’altare, le cui

“formelle” provengono da una transenna del presbiterio del Duomo contemporanea all’antico pulpito di Guglielmo101; del pulpito di Nicola. Essendo un accurato osservatore,

lo studioso non manca di occuparsi, seppur brevemente, del pavimento del presbiterio.

98 Ibidem, pp. 217-219 99

Ibidem, p.218: il Papini riporta la vicenda del testamento di Domenico di Ser Nerio, orafo, che lascia un quarto della propria eredità, nel 1387, per sollecitare la costruzione della cupola del Battistero, rallentata “a causa di varie liti”. Nonostante questo lascito, dieci anni dopo il cantiere non era ancora chiuso.

100 Ibidem, pp. 236-237 101

Ibidem, pp. 239-240: “Le sei formelle grandi che oggi compongono l’altare facevano parte, fin dopo il secolo XV, della transenna marmorea che stava intorno al presbiterio nella cattedrale pisana e che era sorta contemporaneamente all’antico pulpito di Guglielmo […]. Altre formelle della transenna sono ora depositate nel Campo Santo pisano”. Di questo argomento l’autore aveva già trattato nell’articolo Marmorari romanici, in “L’arte” XII, 1909, pp.423-442

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