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4.1 l’insediamento di settefonti IV. ConClusIonI

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Academic year: 2021

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4.1 l’insediamento di settefonti

Le strutture che hanno restituito la maggior parte dei reperti, per quanto concerne sia le specie domestiche che selvatiche, sono i silos e le fosse ovali che si collocano nell’area SW dello scavo fatta eccezione per la sola struttura 1, posta leggermente più a nord22. Evidente la prevalenza in tut-ti i casi analizzatut-ti delle specie domestut-tiche con una presenza dei selvatut-tici che si può definire occasionale. La percentuale degli ovicaprini è marca-ta, tuttavia questo non necessariamente deve sottintendere che la pratica della pastorizia possedesse un ruolo di rilievo; in primo luogo perché non possiamo stabilire quale fosse la percentuale di Ovis aries sul totale del gruppo, secondariamente poiché la maggior incidenza di una specie è governata da fattori di varia natura che non sono esclusivamente legati al tipo di economia presente nel sito. I bovini, per esempio, richiedono un maggior sforzo per il proprio mantenimento che non è paragonabile a quello di specie di taglia decisamente inferiore. Nel caso di Settefonti il numero di bovini e suini è sì inferiore rispetto agli ovicaprini ma in una percentuale non così marcata da suggerire che si trattasse di una comu-nità a carattere spiccatamente pastorale. Inoltre occorre sottolineare che si parla di in una fase in cui l’uomo sceglie le proprie strategie di sussi-stenza non solo sulla base della maggior convenienza ma anche in rap-porto al condizionamento relativo all’ambiente dove si trova a operare; in questo senso la presenza di ovicaprini si sposa ben più coerentemente delle altre specie con le caratteristiche geografico-ambientali della zona. Le età che è stato possibile riscontrare inoltre evidenziano chiaramente, per quanto riguarda gli ovicaprini, un picco di mortalità tra uno e due anni23; tale dato lascerebbe intendere che questi animali non venissero

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sfruttati tanto per i prodotti secondari (latte, lana) quanto per lo sfrut-tamento della carne nel periodo migliore, quando l’animale è ancora giovane tuttavia va sottolineato come l’interpretazione può anche esse-re diametralmente opposta in quanto togliendo un elevato numero di capretti e agnelli alle madri è possibile sfruttare maggiormente il latte per la produzione casearia. Per quanto riguarda i bovini è opportuno sottolineare la presenza di un numero statisticamente rilevante di indi-vidui piuttosto vecchi e più in generale con picchi di mortalità in età più avanzate rispetto agli ovicaprini. Dunque è lecito supporre che il ruolo di questa specie fosse maggiormente legato all’impiego come forza lavo-ro, in special modo nell’aratura dei campi, oltre che per lo sfruttamento del latte nelle mucche. I suini presentano una distribuzione abbastanza omogenea nella mortalità, in questo caso gli individui che presentano età piuttosto avanzate sono certamente legati alla riproduzione mentre tutti gli altri in età giovani o molto giovani sono legati naturalmente allo sfruttamento della carne. Analizzando la stratigrafia delle strutture risul-ta evidente come le specie domestiche sono ben presenti sia nei risul-tagli più recenti che in quelli più profondi; anche per quanto concerne i selvatici i reperti appaiono equamente distribuità, pur tenendo conto della spora-dicità di questi rinvenimenti che rendono ogni considerazione statistica potenzialmente fuorviante. Da sottolineare comunque che i pochissimi resti di orso sono sempre presenti nei tagli relativi ai periodi più antichi. La distribuzione dei resti rinvenuti per aree scheletriche evidenzia una prevalenza in tutte le specie della testa, salvo rari casi e su campioni mol-to modesti. Al di là delle falangi che per ovvie ragioni di conservazione si rinvengono meno facilmente le ossa dello scheletro appendicolare pos-sono risentire di utilizzi secondari: l’estrazione del midollo è certamente una pratica legata a periodi più remoti ma può ancora essere praticata stante il notevole apporto calorico che fornisce; da considerare inoltre

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lo sfruttamento delle ossa lunghe in altri ambiti, ad esempio come stru-menti da lavoro. La caccia era ancora praticata ma certamente con scar-sa frequenza e aveva un ruolo secondario nell’economia della comunità. Le specie che paiono essere maggiormente coinvolte nell’attività vena-toria sono spesso animali di taglia medio-grande come cervi, caprioli e cinghiali. Cervi e cinghiali24 in special modo potrebbero far pensare non esclusivamente ad esigenze di ordine alimentare quanto in alcuni casi a un’attività di carattere simbolico. E’ noto infatti da svariate fon-ti come nella prostostoria e successivamente nel periodo storico alcune specie divengano parte integrante di credenze e miti rivestendo di volta in volta valori significativi per la società. L’attività stessa della caccia si trasforma col tempo da esigenza di ordine pratico a rito di iniziazione che contraddistingue il passaggio nell’età adulta. Gli stessi resti dell’ani-male opportunamente lavorati si trasformano in totem, amuleti simboli di potere e di prestigio. Del resto alcune evidenze testimoniamo come già nel periodo Neolitico il rapporto uomo animale stesse facendo un tale “salto di qualità”25. In questo stesso insediamento ,nell’area a nord dello scavo, è stata messa in luce una piccola buca nella quale sono stati rinvenuti i resti di un giovane suino. Tale deposizione, essendo isolata rispetto al resto delle strutture che hanno restituito reperti faunistici e conservando esclusivamente le parti scheletriche di questo animale, non può che essere interpretata come una sepoltura volontaria26 per quanto come sottolinea la Wilkens27 è bene andare cauti con le interpretazioni relative alla sfera rituale in questo tipo di contesti; verosimile comunque credere che potesse trattarsi quantomeno di un offerta alimentare o dei resti di un pasto funebre. Non a caso suini e cinghiali sono tra gli anima-li che maggiormente divengono oggetto di culto e sacrificio nei periodi successivi. Sono diversi i siti del Neolitico abruzzese che hanno restituito evidenze in cui l’impiego di suini in pratiche cultuali o funerarie è

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ap-purato, in special modo legati alla presenza di animali allo stato fetale o appena venuti alla luce, la cui presenza è documentata anche dai reperti di Settefonti28. A questo proposito giova ricordare che nel mondo latino usanza diffusa era quella di sacrificare un maialino da latte, simbolo di purezza. Nel sito di Casale del Dolce in associazione a due crani umani sono stati rinvenuti altrettanti crani di cinghiali maschi. Questi contesti sottolineano l’importanza che assumevano tali animali per le popolazio-ni dell’epoca e probabilmente testimopopolazio-niano il più delle volte i resti del banchetto funebre o offerte alimentari come viatico per la vita ultraterre-na. In conclusione è plausibile interpretare il sito di Settefonti come una comunità a preponderante carattere agricolo in cui l’allevamento aveva un ruolo fondamentale, in special modo per lo sfruttamento delle carni; la caccia, seppur occasionale, di animali di grossa taglia (come l’orso) e sporadicamente anche di piccola taglia come lepri e volpi sottolinea la presenza di un ambiente ancora selvaggio nei pressi dell’ insediamento.

4.2 Confronti con siti coevi

Abruzzo

L’analisi del materiale archeozoologico in alcuni dei più importanti in-sediamenti Neolitici a fornito questi risultati:

Paterno:29

Bos taurus L. 33,3% Cervus elaphus L. 3,3%

Ovis vel Capra 83,3% Capreolus Capreolus L. n.p.

Sus scrofa L. 3,3% Sus scrofa ferox L. n.p. Canis familiaris L. n.p. Ursus arctos L. 3,3%

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Grotta Continenza:30

Bos taurus L. 2,5% Cervus elaphus L. 11,2%

Ovis vel Capra 25,3% Capreolus Capreolus L. 3,5% Sus scrofa L: 17,2% Sus scrofa ferox L. 3,1% Canis familiaris L. 14,3% Ursus arctos L. 0,2%

altri 22,7% Grotta dei Piccioni:31

Bos taurus L. 10,8% Cervus elaphus L. 9,6%

Ovis vel Capra 44,6% Capreolus Capreolus L. 6,1% Sus scrofa L. + ferox 22,6% Ursus arctos L. 0,3%

Canis familiaris L. 0,7% altri 5,3%

Come si evince dai dati riportati la situazione è piuttosto omogenea. L’allevamento, ormai senza eccezioni, risulta la componente più rilevan-te per l’approvvigionamento di carne accompagnata dall’agricoltura che è ben attestata dai reperti relativi alle attrezzature per il lavoro nei campi e sul raccolto. La prevalenza degli ovicaprini è un altro punto fermo nel panorama faunistico con percentuali variabili ma sempre rilevanti rispetto al resto delle specie; alterna invece la prevalenza dei bovini piut-tosto che dei suini come seconda specie di riferimento. La caccia è cer-tamente ormai un’attività di secondo piano per l’economia delle culture neolitiche nonostante la percentuale di animali selvatici sia certamente non irrilevante e in alcuni casi, si veda Grotta Continenza, addirittura significativa. Le specie maggiormente cacciate, così come a Settefonti, sono in prevalenza animali di media-grossa taglia come cervi, caprioli, cinghiali; costante per quanto molto limitata la presenza dell’orso e dei piccoli mammiferi come la volpe e la lepre. Il cane riveste ancora un’im-portanza secondaria in queste comunità ed è presente sempre in

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percen-tuali molto scarse fatta eccezione anora per la Continenza laddove però la percentuale insolitamente elevata è spiegabile con la presenza di più ossa pertinenti a soli due individui. Da segnalare in proposito le tracce di macellazione rinvenute sulle ossa lunghe che indicano chiaramente come anche il cane potesse essere utilizzato anche a scopi alimentari, per quanto il carattere spiccatamente funerario-cultuale della Grotta Conti-nenza indurrebbe a credere che si tratti di una pratica isolata e probabil-mente legata ad attività di tipo rituale32.

Da questi dati dunque si deduce come le caratteristiche della comunità di Settefonti siano perfettamente assimilabili e si collochino in toto nel solco tracciato dagli altri siti di riferimento nel panorama della cultura tardo-neolitica abruzzese.

Italia settentrionale

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Per quanto concerne le comunità dell’Italia settentrionale la fine del Neolitico vede la spiccata prevalenza delle popolazioni allo sviluppo dell’allevamento a discapito della caccia che assume a seconda delle ca-ratteristiche geografico-ambientali dell’area una rilevanza più o meno evidente ma comunque subordinata. Le tre principali specie domestiche sono sempre presenti in quantità variabili. Il bue domestico, ad esempio, sembra prevalere in alcuni siti come Casatico, Spilamberto, Olmo di Nogara. Tuttavia sono sempre gli ovicaprini a spiccare in una maggiore varietà di contesti ambientali: terrazzi fluviali nell’area prealpina, in col-lina, nei siti della bassa Val di Susa. Le caratteristiche che accomunano queste zone inducono a supporre che queste comunità praticassero pa-storizia “mobile” legata a spostamenti stagionali delle comunità con le loro greggi. I suini sono piuttosto frequenti ma prevalenti solo in alcune località della pianura padana come Belforte (MN) o all’Isolino duran-te la fase VBQ. Anche in questo caso i resti di cane sono scarsamenduran-te

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rappresentati. Le specie selvatiche maggiormente rappresentate sono cinghiali, cervi e caprioli; in special modo il cervo la cui diffusione, con conseguente sfruttamento da parte dei gruppi umani, è spiegabile con una notevole estensione durante il Neolitico della foresta di latifoglie34 oltre alla grande versatilità che caratterizza questa specie.

Versante tirrenico

Località Bos O/C Sus

Podere Casanova 14,2 % 47,6 % 38,1 % Neto di Bolasse 13,7 % 70,6 % 15,5 % Grotta Bella 3,8 % 1,1 % 94,9 % Norcia 42,6 % 31,3 % 26 % Valle Ottara 7,8 % 68,6 % 23,5 % Poggio Olivastro 26,9 % 44,4 % 8,5 % Gr. del Vonaro 20 % 20 % 60 % Molino S. Antonio 1,4 % 11,9 % 86,6 %

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Versante adriatico

Località Bos O/C Sus

Attiggio 15,2 % 35,7 % 44 % Coppettella 38,8 % 24,1 % 37,1 % M.te Tinello 30,4 % 37 % 32,4 % Piano Donatello 25,7 % 11,7 % 62,5 % S. Maria in Selva 51,9 % 33,7 % 14,2 % Cava Giacometti 10 % 52,5 % 37,5 % Citta S. Angelo 30,2 % 33,7 % 35,9 % S. Callisto 43,7 % 39 % 17,1 % Muccia 6,3 % 15,2 % 49 % Santuario della Madonna 3,5 % 85,4 % 11,2 & Volturino 31,6 % 55,9 % 11,5%

Numerosi siti in area marchigiana hanno restituito testimonianze d’in-teresse archeozoologico: a Muccia (MC) la base dell’alimentazione era costituita da suini e cinghiali, a seguire gli ovicaprini ed i bovini in per-centuali decisamente meno rilevanti; all’allevamento si affiancava un’at-tività venatoria piuttosto rilevante e che rappresenta 1/3 dell’intero campione analizzato. A Monterado (AN) e Sassoferrato (AN) al con-trario l’economia del villaggio era incentrata prevalentemente sull’al-levamento degli ovicaprini mentre la caccia aveva un’importanza del tutto marginale. A Recanati (MC) così come a Jesi (AN) e Treia (MC) tra i domestici il più rappresentato è il bovino rappresentato in più della

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metà dei reperti rinvenuti e l’attività venatoria aveva un importanza de-cisamente rilevante laddove le specie più rappresentate erano cinghiale, cervo e capriolo.

Il cane emerge anche in questi contesti in modo scarsamente rilevante e decisamente occasionale.

Ne emerge un quadro relativamente omogeneo in cui l’allevamento pos-siede sempre un ruolo significativo rispetto alla caccia la quale comun-que continua a rivestire un’importanza rilevante; la diversa preponde-ranza di specie tra i domestici può rispecchiare ora esigenze di carattere utilitaristico ora adattamenti all’ambiente circostante.

Per quest’area sono presi in considerazioni i siti di della Grotta del San-tuario della Madonna (CS)37, e i siti pugliesi di Volturino (FG)38 e Mas-seria Candelaro (FG)39. Anche in questi insediamenti si riscontrano so-stanzialmente le medesime composizioni faunistiche fin qui evidenziate. La preponderanza dell’allevamento non è in discussione; tra i domestici prevalgono sempre gli ovicaprini seguiti da bovini e in minor misura suini. Anche per quanto concerne le specie selvatiche la prevalenza è sempre per le medesime specie: cinghiali, cervi e caprioli eccezion fatta per Masseria Candelaro dove al contrario non sono attestati cervo e cin-ghiale; presente invece come consuetudine il capriolo e i mammiferi di piccola taglia in proporzioni modeste. Anche il cane come di consueto è una presenza del tutto occasionale all’interno del campione faunistico. Interessante sottolineare come a Grotta del santuario della Madonna è attestata una strategia di sfruttamento delle specie domestiche del tutto affine a quella riscontrata per Settefonti. I bovini accanto a un discreto numero di individui relativamente giovani presentano una percentuale significativa di esemplari anche piuttosto vecchi (grafico 81); così anche per gli ovicaprini si riscontra un’alta concentrazione di uccisioni in età giovanile (grafico 82). Infine per i suini le età di morte si concentrano in

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età giovanile e a tratti anche verso soggetti giovanissimi (grafico 83). In conclusione il quadro che emerge evidenzia strategie di sussistenza in cui il condizionamento ambientale diventa sempre meno significativo e dove già ci si orientano omogeneamente verso un modello che diverrà col passare del tempo sempre più consolidato e imprescindibile.

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