1. Introduzione
Il presente lavoro di tesi fornisce una nuova descrizione morfoanatomica del gasterosteiforme cretaceo Gasterorhamphosus zuppichinii Sorbini, 1981, dopo circa 30 anni dal rinvenimento dell’olotipo di questa specie fossile. Gasterorhamphosus zuppichinii rappresenta il più antico fossile gasterosteiforme finora descritto, perciò costituisce un tassello molto importante per comprendere la filogenesi dei Gasterosteiformes, un ordine di pesci acantomorfi storicamente controverso. La storia della sistematica dei Gasterosteiformes, infatti, è stata soggetta a numerose modificazioni che hanno a più riprese variato i limiti e la composizione di quest’ordine.
L’importanza di Gasterorhamphosus zuppichinii, tuttavia, non risiede nella valenza sistematica limitata ai Gasterosteiformes; infatti, i caratteri morfoanatomici e le relazioni filogenetiche e cronostratigrafiche che il presente lavoro di tesi attribuisce a questo genere monotipico costituiscono un’ulteriore tessera del complesso mosaico riguardante l’origine e la diversificazione degli acantomorfi, il clade più specioso tra i vertebrati, fornendo un’evidenza non ambigua dell’esistenza di piani strutturali tuttora di gran successo, come quello dei gasterosteiformi, già nel Cretaceo.
1. 1. Stratigrafia e biota associato
Nel 1977 ed il 1979 il dottor Lorenzo Sorbini diresse due scavi in un nuovo deposito fossilifero situato vicino al paese di Nardò (provincia di Lecce). Questo deposito contiene moltissimi fossili, prevalentemente di pesci, ma anche di alghe, celenterati, crostacei e rettili. Gli scavi furono effettuati in tre località distinte del comune di Nardò: Porto Selvaggio, Canale e Cava. I resti dei pesci sono contenuti negli strati calcarei chiari di Canale e Porto Selvaggio, e negli strati calcarei marrone – chiaro di Cava.
I pesci fossili trovati durante i primi due scavi ammontano ad alcune centinaia, ed il loro stato di
conservazione si presenta generalmente buono; sono stati rinvenuti fossili di condroitti (Batoidei) e
neopterigi basali appartenenti all’ordine estinto dei Pycnodontiformes. I Telostei sono rappresentati
dagli ordini degli Anguilliformes, Aspidorhynchiformes (†), Aulopiformes, Beryciformes,
Clupeiformes, Crossognathiformes (†), Gasterosteiformes, Ichtyodenctiformes (†) e
Myctophiformes, Perciformes, Tetraodontiformes e Zeiformes; in particolare, gli Ostariophysi sono
rappresentati da forme incluse negli ordini dei Characiformes, Gonorhynchiformes e
Sorbinardiformes (†).
L’importanza del deposito di Nardò, oltre al notevole numero ed alla varietà sistematica di specie trovate, è da collegare alla sua antichità. All’epoca della scoperta del deposito di Nardò furono effettuati degli studi sulla nannoflora dei livelli a pesci, i quali fornirono una datazione preliminare del deposito, stimata al Maastrichtiano inferiore (circa 70 milioni di anni fa).
Nel loro recentissimo studio cronostratigrafico sulle piattaforme carbonatiche cretacee della penisola salentina, Schlüter et al. (2007) hanno sottoposto svariati campioni di queste rocce ad esami di radiodatazione utilizzando l’isotopo 87 dello Stronzio (
87Sr). I risultati di questo studio attribuiscono ai “Calcari di Melissano”, a cui appartengono gli strati a pesci di Nardò, un’età media di 82.5 milioni di anni, mentre le successioni più antiche dell’unità risalgono a 85.6 (+/- 0.6) milioni di anni (Fig. 1, pag. 9). Dunque, questa recente analisi cronostratigrafica consente di anticipare l’età del deposito di Nardò di non meno dieci milioni di anni, datandola al Campaniano inferiore.
La piattaforma cretacea pugliese è un tipico esempio di piattaforma carbonatica intraoceanica del bacino della Tetide. La sedimentazione carbonatica di questa struttura iniziò nel tardo Triassico e proseguì per tutto il Mesozoico, producendo un accumulo di rocce spesso circa 6000 metri. I depositi cretacei della piattaforma pugliese affiorano lungo la costa adriatica della penisola del Salento, dal promontorio del Gargano fino a Capo Santa Maria di Leuca (Fig. 2, pag. 10). Gli affioramenti del Cretaceo superiore sono divisi in tre unità: la più recente è quella di Ciolo, l’unità intermedia è quella di Santa Cesarea, mentre la più antica è l’unità di Melissano. Gli strati dell’unità di Melissano sono caratterizzati da una scarsa densità di rudiste e dall’assenza di tracce di bioturbazione. Queste informazioni hanno contribuito a ricostruire il paleoambiente di sedimentazione delle rocce carbonatiche di Melissano, uno spazio peritidale separato dal mare aperto per interposizione di una scogliera organogenica, in cui la circolazione delle acque doveva essere molto ridotta. In questo ambiente così circoscritto potrebbero essersi verificati fenomeni di mortalità di massa che hanno così determinato la ricchezza del deposito di Nardò e, in particolare, la fossilizzazione del Gasterorhamphosus zuppichinii Sorbini, 1981.
1. 2. I Gasterosteiformes
Le nove famiglie di Gasterosteiformes costituiscono uno dei più variegati ordini dei Teleostei.
Storicamente, alcune di queste famiglie sono state a raggruppate da diversi autori in taxa di nome e
composizione mutevole, come i Lophobranchii (Cuvier, 1816) oppure gli Hemibranchii (Cope,
1872), a causa della loro particolare struttura dei filamenti branchiali ed alla loro comune tendenza
sono ampiamente disperse all’interno della scala gerarchica dei pesci a causa delle loro accentuate differenze morfologiche.
All’interno dei Gasterosteiformes, la famiglia maggiormente diversificata è quella dei Syngnathidae (pesci ago, cavallucci marini…), con 55 generi (Heraldia, Hippocampus, Syngnathoides, Syngnathus…) e circa 200 specie. I singnatidi popolano le acque marine calde e temperate di tutto il mondo, con un picco di diversità nell’area Indo – Pacifica. Tipicamente vivono in zone poco profonde, caratterizzate da vari substrati (letti di alghe e piante marine, reefs corallini…), ma sono anche riusciti a colonizzare ambienti oceanici, in associazione con le alghe brune come quelle del genere Sargassum.
Analogamente a tutte le altre famiglie, quella dei Solenostomidae (pesci ago fantasma) è piccola. Le tre specie di solenostomidi sono incluse nell’unico genere Solenostomus: una di queste popola i substrati sabbiosi di moderata profondità, mentre le altre due vivono nelle acque dei reefs corallini.
Le specie dei due generi di Centriscidae (pesci gamberetto e pesci rasoio; gen. Aeoliscus e Centriscus) sono diffuse nelle acque tropicali poco profonde dell’area Indo – Pacifica, mentre i membri dei tre generi di Macroramphosidae (pesci trombetta; gen. Centriscops, Macroramphosus e Notopogon) sono distribuiti nelle acque marine profonde, calde e temperate, di tutto il mondo.
Le famiglie degli Aulostomidae e Fistulariidae sono entrambe monogeneriche (gen. Aulostomus e Fistularia); le loro specie sono tutte attive predatrici di pesci, vivono nelle acque tropicali e subtropicali di tutto il mondo e sono i membri più grandi dell’intero ordine (gli aulostomidi raggiungono gli 80 cm di lunghezza, mentre i fistularidi superano i 180 cm). Nonostante la grande somiglianza superficiale tra i componenti delle due famiglie, c’è da osservare che mentre gli Aulostomidae sono compressi lateralmente e possiedono una serie di spine dorsali isolate, i Fistulariidae sono compressi dorso – ventralmente, non hanno spine dorsali, e possiedono un lungo filamento caudale, spesso più lungo del proprio corpo.
Le cinque specie di Pegasidae (incluse nei generi Eurypegasus e Pegasus) sono distribuite nelle acque costiere tropicali poco profonde, strettamente legate al fondale.
I Gasterosteidae (spinarelli) sono composti da cinque generi (Apeltes, Culea, Gasterosteus,
Pungitius e Spinachia) e sette specie che popolano i bacini dulcicoli del Nord America, Europa ed
Asia, mentre la famiglia degli Aulorhynchidae è formata da due generi diffusi nelle regioni costiere
del Nord Pacifico: il genere monotipico Aulorhynchus è distribuito lungo le coste del Nord
America, mentre l’areale del genere Aulichthys è circoscritto alle coste del Giappone.
1. 3. Storia della sistematica dei Gasterosteiformes
Con la pubblicazione della decima edizione del “Systema Naturae” (1758), Linneo inquadrò i generi gasterosteiformi seguendo l’opinione prevalente degli studiosi dell’epoca, che separava ampiamente i Gasterosteoidei ed i Syngnathoidei nella gerarchia dei pesci. Delle nove famiglie di Gasterosteiformes riconosciute in questo studio, Linneo citò i rappresentanti di tutte queste ad eccezione dei Solenostomidi.
Per circa 50 anni, molti autori mantennero immutato l’assetto sistematico linneiano, apportando soltanto dei piccoli cambiamenti.
Nel 1816, con la pubblicazione del suo “Le Règne Animal”, e nel 1829, con la “Histoire naturelle des Poissons”, Cuvier collocò i generi gasterosteiformi in gruppi nettamente separati: i Lophobranchii (che comprendevano i Pegasidae, i Solenostomidae ed i Syngnathidae), le “Bocche a flauto” (Aulostomidae e Macroramphosidae), e gli “Acantopterigi a gola corazzata” (in cui incluse anche i Gasterosteoidi).
Nei successivi 50 anni, gli autori seguirono fedelmente la classificazione di Cuvier, ad esclusione di pochissime eccezioni.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, le idee di due studiosi americani, Cope (1872) e Gill (1872), segnarono una svolta importante nella storia sistematica dei Gasterosteiformes, esercitando una grande influenza sugli studi successivi. Nel 1872, Cope creò un taxon contenente Pegasidae, Gasterosteoidei, Aulostoma, Macroramphosoidea, chiamandolo Hemibranchii. Nella sua linea evolutiva dei Telostei, Cope posizionò gli Hemibranchii immediatamente prima dei Lophobranchii (Syngnathidae e Solenostomidae), affermando di avere così formato una “vera serie (filetica)”.
Infatti, secondo Cope i due gruppi condividevano alcune caratteristiche importanti, tra cui “la debolezza dell’apparato branchiale, la brevità dei filamenti branchiali, la semplicità del posttemporale e del basicranio”. Nello stesso anno Gill, profondamente influenzato da Cope, illustrò una linea evolutiva che chiarì ulteriormente l’idea di discendenza dei Lophobranchii dagli Hemibranchii, da cui esclude la presenza dei Pegasidae relegandoli tra i taxa incertae sedis.
Qualche anno dopo, nel suo “Catalogue of North American Fishes”, Jordan (1896) dichiarò che “i Syngnathidae rappresentano lo stadio finale della linea (evolutiva) composta da Hemibranchii e Lophobranchii”, ed illustrò in successione progressiva i Gasterosteidae, (il gruppo più
“generalizzato”), gli Aulorhynchidae, gli Aulostomidae, i Fistulariidae, i Macroramphosidae ed i
Syngnathidae.
affermò che i Syngnathoidei (esclusi i Pegasidae) costituivano un gruppo naturale, e che non esistevano alcune evidenze a sostegno di una connessione tra i Pegasidae ed i Gasterosteoidei.
Jungersen (1910) dichiarò infine di aver trovato ben sette caratteri morfologici comuni a tutti i membri dei Syngnathoidei (meno Pegasidae): assenza di parietali ed intercalari; ossa pterotiche larghe; mesetmoide e vomere estremamente allungati; sospensorio strettamente associato al lungo muso; palatini corti ed articolati soltanto al vomere; metapterigoide (quando presente) che non si articola all’iomandibolare; muscolo cefalico – laterale più o meno ridotto.
Berg (1940) divise i gasterosteiformi in tre ordini separati: Gasterosteiformes, Syngnathiformes, Pegasiformes. Il primo ordine contiene anche gli Indostomidae, mentre quello dei Syngnathiformes include tutti i Syngnathoidei (meno Pegasidae) e si articola in due sottordini: Aulostomoidei (Aulostoma, Macroramphosoidea) ed i Syngnathoidei (Syngnathidae e Solenostomidae).
In quello che fu probabilmente il più importante studio di ittiologia sistematica precladistica, Greenwood et al. (1966) premisero che “la composizione e le relazioni tra i gasterosteiformi…
(devono) essere tuttora stabilite con certezza”; ciò nonostante, sostennero l’ipotesi di origine monofiletica dell’ordine e lo strutturano in tre sottordini: Gasterosteoidei (più Indostomidae), Aulostomoidei (Aulostoma e Macroramphosoidea), Syngnathoidei (Syngnathidae e Solenostomidae).
La teoria filogenetica o cladistica di Henning venne pubblicata per la prima volta come monografia nel 1950 in Germania; tuttavia, l’influenza delle sue nuove idee nel mondo dell’ittiologia si avvertirono soltanto dal 1966, con la traduzione in inglese dei suoi scritti.
La prima trattazione di stampo cladistico sui Gasterosteiformes fu quella di Pietsch (1978), il quale inserì i Pegasidae all’interno dei Syngnathoidei e propose una serie di sinapomorfie per i Syngnatha (nuovo infraordine comprendente Pegasidae, la famiglia fossile dei Ramphosidae, Syngnathidae e Solenostomidae). Pietsch (1978) impostò una classificazione dei Gasterosteiformes (Fig. 3, pag. 11) basata su dieci famiglie attuali distribuite nei due classici sottordini: i Gasterosteoidei (formato da Hypoptychidae, Aulorhynchidae e Gasterosteidae), ed i Syngnathoidei (composto da Pegasidae, Syngnathidae, Solenostomidae, Macroramphosidae, Centriscidae, Aulostomidae e Fistulariidae).
Nella loro analisi filogenetica dei Percomorpha, Johnson e Patterson (1993) inclusero i
Gasterosteiformes all’interno del loro nuovo raggruppamento, quello degli Smegmamorpha, un
taxon di percomorfi composto anche da Sinbranchiformes, Elassomatidae, Mugilomorpha ed
Atherinomorpha. Gli stessi autori proposero nuovi caratteri a sostegno dell’ipotesi monofiletica dei
Gasterosteiformes avanzata da Pietsch (1978), includendo nell’ordine gli Hypoptychidae. Inoltre, i
due studiosi presentarono anche nuove evidenze per supportare lo status monofiletico dei
Syngnatha di Pietsch (1978), includendo nell’infraordine gli Indostomidae.
Due anni dopo, Orr (1995) effettuò un’analisi cladistica basata su 103 caratteri, quasi tutti osteologici. I risultati di questo studio confermarono le conclusioni riguardo il monofiletismo dei Gasterosteiformes e dei Syngnatha di Pietsch (1978), ma esclusero l’inserimento degli Hypoptychidae e degli Indostomidae all’interno dell’ordine (Fig. 4, pag. 12). Orr (1995) affermò ripetutamente che i problemi legati alla filogenesi dei Gasterosteiformes ed alle relazioni all’interno dello stesso ordine dipendono dalla diversità delle famiglie che lo compongono e dal tipo di approccio metodologico adottato dai vari autori nel corso del tempo: infatti, “con l’eccezione di Pietsch (1978), che focalizza l’attenzione sui Pegasidae, e di Johnson e Patterson (1993), i quali si concentrano sulle relazioni filogenetiche tra i Percomorfi, nessun altro studioso ha mai adottato una rigorosa metodologia di analisi cladistica”.
Keivany (2006), utilizzando sempre la metodologia cladistica, ha prodotto un’analisi su 110 caratteri osteologici. I risultati confermano ancora una volta lo status monofiletico dei Gasterosteiformes; la classificazione dell’ordine viene ancora una volta modificata con l’inserimento degli Hypoptychidae e degli Indostomidae. Keivany (2006) crea il nuovo sottordine degli Hypoptycoidei (formato dalla sola famiglia degli Hypoptychidae) inquadrandolo come stem – group dei Gasterosteiformes; analogamente, colloca gli Indostomidae in un proprio infraordine, gli Indostomoida, alla base dei Singnatoidei (Fig. 5, pag. 13).
Recenti studi di filogenesi molecolare hanno ripetutamente smentito l’origine monofiletica dei Gasteosteiformes (Chen et al., 2003; Smith e Wheeler, 2004; Mya et al.,2005; Dettai e Lecointre, 2005). Prefiggendosi l’obiettivo di esaminare la composizione filogenetica dei Gasterosteiformes, Kawahara et al. (2007) hanno prodotto un’analisi cladistica utilizzando intere sequenze mitogenomiche di 75 specie di Telostei (percomorfi e non), incluse 13 specie gasterosteiformi, in modo da rappresentare tutte le 11 famiglie dell’ordine, che corrispondono a quelle identificate da Keivany (2006). I risultati delle analisi di Kawahara et al. (2007) indicano decisamente che i membri gasterosteiformi si sono divisi precocemente all’interno dei Percomorfi in tre diversi cladi:
Syngnathoidei, Gasterosteoidei ed Indostomidae (Fig. 6, pag. 14).
1. 4. Status monofiletico dei Gasterosteiformes
Una serie di caratteri generalizzati sembra indicare chiaramente i Gasterosteiformes come gruppo
naturale; tuttavia, esistono poche evidenze sinapomorfiche a sostegno dello status monofiletico di
questo taxon. In passato non è stato possibile sostenere il monofiletismo dell’ordine attraverso le
subordini sulla base di trend morfologici (come l’allungamento, la riduzione, il corazzatura dermica…), con osservazioni simili a quelle di Cope (1871), il quale affermò che i Gasterosteiformes “formano una vera serie (filetica)”, e quelle di Günther (1880), che paragonò i Fistulariidae a degli “spinarelli giganti”.
Johnson e Patterson (1993) proposero sette sinapomorfie per supportare meglio il monofiletismo dei Gasterosteiformes (inclusi Hypoptychidae ed Indostomidae). Le enunciazioni delle sette sinapomorfie di questi due autori sono state riportate di seguito e sono tutte comprese tra virgolette;
ognuna di esse è seguita da un breve commento secondo quanto proposto da Orr (1995), il quale ritiene che molti di questi caratteri descrivono dei trend morfologico – evolutivi e non offrono da soli delle evidenze concrete di monofiletismo.
1. “Quinto basibranchiale cartilagineo che si articola con i rispettivi ceratobranchiali”. Il quinto ceratobranchiale è assente nei Pegasidae, Solenostomidae. Syngnathidae ed altri membri dell’ordine; quindi, vista la grande variabilità del carattere, non lo si può considerare una sinapomorfia.
2. “Legamento di Baudelot assente”. Nessun membro dei Gasterosteiformes lo possiede, ma la sua assenza non è esclusiva dell’ordine, visto che non lo possiedono neanche i Synbranchiformes ed i Dactylopteridae. Ciò nonostante, interpretando tale assenza negli altri taxa come un fenomeno di convergenza evolutiva, l’assenza del legamento di Baudelot può essere incluso tra le sinapomorfie a sostegno del monofiletismo.
3. “Il coracoide possiede un’espansione postero – laterale che alcune volte si presenta ornamentata ed in posizione superificiale”. L’estensione postero – laterale del coracoide è una caratteristica primitiva, presente anche negli outgroups come Synbranchiformes ed Atherinomorpha.
L’ornamentazione dermica del processo è un carattere derivato dei Gasterosteiformes, anche se presente soltanto nei Gasterosteidae e Fistulariidae (mentre negli Aulostomidae non è superficiale).
In tutti i Syngnathoidei ad eccezione degli Aulostoma, l’ectocoracoide è coperto esternamente da piastre dermiche che non entrano in contatto con esso. Dunque, la presenza di un ectocoracoide superficiale risulta una sinapomorfia dei Gasterosteiformes, successivamente perduta nei Macroramphosa e nei Fistulariidae.
4. “L’osso pelvico non possiede un processo anteriore”. Nessun membro del gruppo lo possiede,
fatta eccezione per i Macroramphosidae, nei quali il processo è ridotto ad una piccola lamina
laterale. Quindi, l’assenza del processo anteriore dell’osso pelvico può essere considerato come una
sinapomorfia dei Gasterosteiformes, e la sua presenza nei macroramfosidi come un’evoluzione
secondaria.
5. “Scheletro caudale composto da spina neurale ed emale del secondo centro preurale (NPU2 e HPU2), spina neurale del terzo centro preurale (HPU3), tutte saldate ai rispettivi centri vertebrali;
un paripurale e 5 ipurali fusi tra loro e con l’urostilo”. Nei Gasterosteiformes la spina neurale del secondo centro preurale è assente nei Syngnathoidea (riduzione secondaria), ma la sua presenza è una caratteristica primitiva tra gli outgroups, così come la fusione ai rispettivi centri delle suddette spine emali. La fusione del paripurale e degli ipurali è contestabile, dato che non è stata riscontrata nei Centriscidae ed Aulostomoidae, mentre è diffusa tra gli outgroups (vedi Scorpaeniformes).
Dunque, questo carattere non può essere utilizzato a sostegno del monofiletismo.
6. “Le spine dorsali, quando presenti, si presentano separate, non collegate da membrane, e si articolano al punto di mezzo della testa dorsale di ciascun pterigioforo (radiale), oppure posteriormente a tale punto”. Questo carattere non è stato utilizzato a sostegno del monofiletismo, essendo valido per i Gasterosteoidei, ma non per i Fistulariidae, Pegasidae, Syngnathidae, dato che non possiedono spine dorsali, mentre differisce sensibilmente rispetto alla descrizione negli Aulostomidae (vista la diversa struttura dell’articolazione), Macroramphosoidea e Solenostomidae ( poiché le spine sono collegate da membrane).
7. “Corazza dermica”. La struttura e la disposizione delle piastre variano notevolmente all’interno dell’ordine, tanto da essere utilizzate per distinguere i cladi in cui si articola. La corazza dermica, così come la struttura dello scheletro caudale, sono caratteri che indicano un trend filetico, e quindi non possono essere presi in considerazione come prove a sostegno del monofiletismo.
Orr (1995) sostiene che soltanto tre dei sette caratteri di Johnson e Patterson (1993) rappresentano delle vere sinapomorfie dei Gasterosteiformes (l’assenza del legamento di Baudelot, la presenza di un ectocoracoide superficiale e l’assenza di un processo anteriore del cinto pelvico).
Oltre a questi tre, Orr (1995) propone un’altra sinapomorfia dei Gasterosteiformes, forse la più
importante di tutte: la struttura del condilo occipitale, formato esclusivamente dal basioccipitale,
mentre gli esoccipitali, piuttosto che concorrere alla costituzione del condilo, producono delle
faccette articolari laterali; nei Gasterosteoidei, le faccette degli esoccipitali sono blandamente
connesse al primo centro vertebrale, mentre nei Syngnathoidei sono saldamente connesse alla faccia
ventrale del suo processo neurale, che si protende anteriormente. L’analisi di Orr (1995) dimostra
che la sinapomorfia del condilo è presente in tutti i membri dell’ordine, dal quale esclude gli
Hypoptychidae e gli Indostomidae; la condizione primitiva del condilo occipitale tripatito persiste
nei membri plesiomorfici degli outgroups dei gasterosteiformi. Gli studi condotti da Orr (1995)
rappresentano il punto di riferimento più importante per questo lavoro di tesi.
Fig. 1. Successione stratigrafica delle unità carbonatiche tardo cretacee della penisola salentina.
Fig. 2. Gli affioramenti di rocce carbonatiche tardo cretacee nel Sud della penisola salentina.
Fig. 3. Cladogramma dei Gasterosteiformes proposto da Pietsch (1978)
Fig. 4. Cladogramma dei Gasterosteiformes proposto da Orr (1995).
Fig. 5.
Cladogramma dei Gasterosteiformes proposto da Keivany (2006).
Fig. 6. Cladogramma dei Percomorpha proposto da Kawahara et al. (2007).
2. Materiali e metodi
L’olotipo della specie Gasterorhamphosus zuppichinii è stato rinvenuto negli strati a pesci del deposito di Nardò (provincia di Lecce), più precisamente in località Porto Selvaggio; attualmente è conservato presso il Museo Civico di Storia Naturale di Verona (numero di inventario T 877). Il secondo reperto è stato rinvenuto nel deposito di Alessano (provincia di Lecce) ed è conservato presso il Museo dell’Ambiente dell’Università di Lecce.
In questo studio, entrambi i reperti sono stati sottoposti al rilevamento delle misure morfometriche per mezzo di un calibro ventesimale ed approssimate al ventesimo di centimetro. Le misurazioni (Tabella 1, pag. 17) sono state effettuate prendendo come riferimento lo studio di Zorica e Vrgoč (2005) sulla biometria e distribuzione di Macroramphosus scolopax.
Per quanto riguarda la terminologia anatomica e sistematica, questo lavoro di tesi ha fatto riferimento al testo di James Wilder Orr “Phylogenetic Relationship of Gasterosteiform Fishes (Teleostei: Acanthomorpha)”.
Indice delle abbreviazioni:
Ang. = angolare
Br. = raggi branchiostegi Cor. = coracoide
Cp. 1 = primo centro preurale Cp. 2 = secondo centro preurale Cp. 3 = terzo centro preurale Cp. 5 = quinto centro preurale Cp. 10 = decimo centro preurale Cp. 16 = sedicesimo centro preurale Cs. = sopraoccipitale
Ct. = cleitro Dn. = dentale E. = epurale
Endp. = endopterigoide
Epioc. = epioccipitale
Et. = mesetmoide
Et.l. = etmoide laterale
Fr. = frontale H. = ipurale
HPU2 = spina emale del secondo centro preurale HPU3 = spina emale del terzo centro preurale Hy. = iomandibolare
Iop. = interopercolare La. = lacrimale Mtp. = metapterigoide Mx. = mascellare Na. = nasale
NPU2 = spina neurale del secondo centro preurale NPU3 = spina neurale del terzo centro preurale Op. = opercolare
Pct. = postcleitro Ph. = paripurale Pl. = pterosfenoide Pmx. = premascellare Pop. = preopercolare Psph. = parasfenoide Pot. = posttemporale Pt. = palatino
Pte. = pterotico Q. = quadrato Rar. = retroarticolare Sca. = scapola Sct. = sopracleitro Sfe. = sfenotico Sop. = subopercolare St. = stegurale
U. = uroiale
Un. = uroneurale
3. Paleontologia sistematica
Sottodivisione Teleostei Ordine Gasterosteiformes Sottordine Syngnathoidei Syngnathoidei incertae familiae
Gasterorhamphosus zuppichinii Sorbini, 1981
3. 1. Descrizione
I parametri morfometrici di Gasterorhamphosus zuppichinii sono riportati nella Tabella 1. La schematizzazione dei parametri morfometrici è illustrata nella Fig. 7, pag 23.
Olotipo % (SL) Reperto di Alessano % (SL)
Lunghezza totale (TL) 51.0 mm 120.0% 35.0 mm 116.7%
Lunghezza standard (SL) 42.5 mm 100.0% 30.0 mm 100.0%
Lunghezza del capo (CL) 20.5 mm 48.2% 14.5 mm 48.3%
Distanza predorsale (PD) 31.0 mm 72.9% 23.0 mm 76.7%
Distanza prepettorale (PP) 22.0 mm 51.8% - -
Distanza prepelvica (PV) - - - -
Altezza massima (H) 16,5 mm 38.8% 13.0 mm 43.3%
Altezza minima (h) 4.5 mm 10.6% 3.5 mm 11.7%
Lunghezza della 1^ porzione della pinna
dorsale (LD1) 6.0 mm 14.1% 5.0 mm 16.7%
Lunghezza della 2^ porzione della pinna
dorsale (LD2) 4.0 mm 9.4% 2.5 mm 8.3%
Lunghezza della pinna anale (LA) 3.5 mm 8.2% 3.0 mm 10.0%
Lunghezza della pinna pettorale (LP) - - - -
Lunghezza della pinna pelvica (LV) - - - -
Lunghezza della grande spina dorsale (H ray) 25.5 mm 60.0% 17.0 mm 56.7%
Lunghezza preoculare del capo (POC) 12.5 mm 29.4% 7.5 mm 25.0%
Diametro dell’occhio (ED) 3.0 mm 7.1% 3.0 mm 10.0%
Lunghezza postoculare del capo (ZOC) 5.0 mm 11.8% 4.0 mm 13.3%
Tabella. 1. Misure morfometriche di Gasterorhamphosus zuppichinii (olotipo e reperto di Alessano).
Cranio (Fig. 8, pag. 24). Il cranio di Gasterorhamphosus zuppichinii è allungato (48.4% della lunghezza standard). In particolare, il 61.0% della sua lunghezza è occupata dal muso, il 14.6%
dall’orbita, ed il restante 26.4% dalla regione postorbitale. Osservando il suo margine dorsale in
senso cranio – caudale, il cranio appare concavo in corrispondenza della regione preorbitale, per
poi inclinarsi verso l’alto nella regione postorbitale. Posteriormente, il margine del cranio è
piatto. Anteriormente, il muso si protende in avanti: la sua altezza è massima poco anteriormente all’orbita e si riduce progressivamente fino a dimezzarsi in prossimità del suo apice.
Il frontale è piuttosto grande ed allungato, con tracce di fitti solchi che lo incidono in lunghezza. Quest’osso contatta antero – medialmente il mesetmoide, antero – lateralmente il nasale e l’etmoide laterale. A livello dell’orbita, il frontale è suturato con lo pterosfenoide. Nella regione postorbitale, il frontale è suturato ventro – lateralmente con lo sfenotico e lo pterosfenotico, e posteriormente con il posttemporale, l’epioccipitale ed il sopraoccipitale.
Lo sfenotico forma il bordo posteriore dell’orbita; la sua porzione ventrale è sviluppata e si protende verso la testa anteriore dell’iomandibolare. Lo sfenotico è suturato anteriormente allo pterosfenoide, dorsalmente al frontale, posteriormente allo pterotico.
Lo pterotico contatta anteriormente lo sfenotico, è suturato dorsalmente al frontale, postero – dorsalmente al posttemporale, mentre il suo margine posteriore non è ben definito; la sua porzione ventro – laterale si protende verso la testa posteriore dell’iomandibolare.
Non si osserva alcuna traccia del dermopterotico.
Non si osserva alcuna traccia del parietale.
Il sopraoccipitale si trova all’apice postero – dorsale della regione postorbitale. Ventralmente, il sopraoccipitale è suturato all’epioccipitale, ventro – anteriormente è a contatto con il frontale e posteriormente con la piastra dermica dorsale.
L’epioccipitale, apparentemente di forma rettangolare, è sovrastato dal sopraoccipitale.
Anteriormente è suturato al frontale, posteriormente è a contatto con la piastra dermica dorsale, mentre il suo margine ventro – laterale è suturato al posttemporale.
Non si osserva alcuna traccia dell’extrascapolare.
Il mesetmoide è visibile nella porzione dorsale del muso, delimitato posteriormente dal frontale e ventralmente dal nasale. Il suo margine anteriore contatta il palatino, perciò è probabile che questa sottile lamina ossea comprenda anche il vomere.
L’etmoide laterale forma il bordo antero – ventrale dell’orbita ed è suturato anteriormente al nasale, antero – ventralmente al lacrimale, postero – ventralmente al metapterigoide.
La porzione posteriore del parasfenoide è visibile all’interno dell’orbita; è molto inclinato
verso il basso e, al confine posteriore dell’orbita, forma una protuberanza che si estende verso la
regione basioccipitale. Quest’osso presenta una lamina ascendente che entra in contatto con lo
pterosfenoide.
Lo pterosfenoide, piuttosto piccolo, si trova in prossimità del margine posteriore dell’orbita.
Quest’osso è in contatto con il frontale (dorsale), lo sfenotico (posteriore) e la lamina mediana prodotta dal parasfenoide.
Il nasale, facilmente identificabile dai solchi che lo incidono in lunghezza, è delimitato dorsalmente dal mesetmoide (anteriore) e dal frontale (posteriore), posteriormente dal frontale (dorsale) e dall’etmoide laterale (laterale), e ventralmente dal lacrimale. Nella porzione posteriore del nasale si apre una lacuna, che potrebbe corrispondere alla capsula nasale, delimitata dorsalmente dallo stesso nasale, e ventralmente dal lacrimale.
Il lacrimale è grande, allungato ed anteriore all’orbita. È solcato da linee orizzontali. Il nasale lo sovrasta per quasi tutta la sua lunghezza, mentre il suo margine dorso – posteriore è suturato all’etmoide laterale.
Non si osserva alcuna traccia di altri infraorbitali, compreso il dermosfenotico.
Arco mandibolare (Fig. 8, pag. 24). Le ossa della mascella non sono nella loro posizione originale, che doveva essere più avanzata ed aderente al margine dorsale della mandibola.
Il premascellare è ben conservato e presenta una cavità lungo il margine posteriore dove si articola con il mascellare; lungo il margine dorsale è visibile un processo ascendente poco sviluppato.
Il mascellare possiede due processi posteriori: il ventrale è più lungo e più grande dei due, mentre il dorsale, insieme all’asse del mascellare, crea una cavità articolare che accoglie la testa del palatino.
La mandibola è ben conservata, di forma romboidale.
Il dentale presenta un robusto processo anteriore, una specie di rostro con una serie di spine sul margine ventrale.
L’angolare è di forma triangolare, con l’apice rivolto verso il dentale e l’ampia base che si articola al quadrato ed in minima parte al preopercolare.
Il retroarticolare è ridotto ad un piccolo nodulo confinato al margine postero – ventrale della mandibola; si articola con il preopercolare ed è suturato all’angolare.
Le ossa che compongono la mascella e la mandibola sono tutte prive di denti.
Sospensorio (Fig. 8, pag. 24). Il palatino è corto, a forma di bastoncino e la sua testa anteriore si inserisce nella cavità formata dal mascellare; la sua estremità posteriore è ben visibile, ma non è chiaro con quale osso si trovi in connessione articolare.
L’endopterigoide è visibile sotto il margine ventrale del lacrimale; si presenta come un osso
sottile, allungato e leggermente inclinato, che aderisce per tutta la sua lunghezza al margine
dorsale del quadrato.
Non si può escludere la presenza dell’ectopterigoide, data la presenza di frammenti ossei orientati verso la mascella.
L’iomandibolare possiede due teste articolari: quella posteriore si connette allo pterotico, quella anteriore si articola con l’osso sfenotico; anteriormente alla testa anteriore si nota l’estensione della lamina mediale, prodotta sempre dall’iomandibolare.
Il metapterigoide si è conservato quasi esclusivamente come impressione, ad eccezione del suo apice dorsale (convesso), il quale rivela delle connessioni con l’etmoide laterale. Quest’osso è posizionato anterioriormente all’orbita.
Il quadrato è lungo, spesso e, analogamente all’endopterigoide, leggermente inclinato; la sua testa anteriore si articola all’angolare. È connesso dorsalmente all’endopterigoide, ventralmente al preopercolare.
Il simplettico non è distinguibile; comunque, la forma del muso e la disposizione degli altri elementi ossei del sospensorio lasciano intuire che quest’osso fosse allungato.
Apparato opercolare (Fig. 8, pag. 24). La serie delle ossa opercolari è completa.
L’opercolare, di forma lanceolata, si sovrappone al subopercolare e presenta delle striature che si irradiano dalla sua porzione dorsale.
Il subopercolare, sottostante all’opercolare, è molto sviluppato; il margine inferiore di quest’elemento osseo forma un ampio semicerchio.
L’interopercolare, lungo, sottile e ben distinguibile, si è conservato esclusivamente sottoforma di impressione ed appare strettamente connesso al preopercolare.
Il preopercolare si è in gran parte conservato come impressione; linee di tubercoli costituiscono la sua ornamentazione. Il ramo ascendente di quest’osso è in stretto contatto con l’iomandibolare. Il preopercolare è molto allungato: si connette posteriormente al subopercolare e con la sua porzione ventrale raggiunge la base della mandibola, dove si articola con l’angolare ed il retroarticolare. Quest’osso è in stretta connessione con il quadrato, l’interopercolare, e probabilmente anche con il simplettico.
Arco ioideo (Fig. 8, pag. 24). È rappresentato dai raggi branchiostegi e dall’uroiale.
I branchiostegi sono visibili al di sotto del subopercolare, ma il loro numero, la loro disposizione disordinata e la loro frammentazione non consentono ulteriori approfondimenti.
L’uroiale, completamente sovrastato dal subopercolare, si è conservato soprattutto come impressione.
Cinto pettorale (Fig. 9, pag. 24).
rettangolare e si connette dorsalmente all’epicoccipitale, anteriormente al frontale, antero – ventralmente allo pterotico e postero – ventralmente al sopracleitro.
Il sopracleitro, anch’esso conservato in gran parte come impressione, è un osso dalla forma ovale compreso tra il cleitro ed il posttemporale; la sua connessione con lo pterotico non è chiara.
Il cleitro ha una struttura colonnare molto robusta, incisa da molti solchi verticali, che raggiunge il margine ventrale del corpo dove produce anteriormente una proiezione concava. Il cleitro è suturato posteriormente al postcleitro ed alla scapola, ventralmente al coracoide, mentre dorsalmente è connesso con il sopracleitro.
Il postcleitro è molto ampio e sottende la base della pinna pettorale. È suturato anteriormente al cleitro, ventralmente all’ectocoracoide e si connette antero – ventralmente alla scapola.
La scapola è di forma triangolare ed è circondata dal coracoide, dal postcleitro e dal cleitro. Sul suo margine posteriore si articolano i raggi pettorali. Il forame scapolare è assente.
Il coracoide è l’elemento più grande del cinto pettorale; anteriormente, al di sotto della proiezione concava del cleitro, sviluppa un processo a forma di bastoncino, mentre posteriormente si espande nel grande processo postero – ventrale chiamato ectocoracoide.
L’ectocoracoide di Gasterorhamphosus è superficiale ed ornamentato.
I quattro radiali pettorali si articolano tutti al margine posteriore della scapola e sono a forma di clessidra. Le loro dimensioni si equivalgono. Il quarto radiale è parzialmente coperto da una lamina ossea della scapola.
I raggi pettorali sono in tutto 13, semplici e normalmente sviluppati.
Cinto pelvico. Assente.
Pinna dorsale (Fig. 10, pag. 25). La porzione spinosa della pinna dorsale è composta da tre
spine, tutte anteriori, e da tre radiali visibili, il primo dei quali è diretto verso il margine
posteriore della base della grande spina. La lunghezza delle spine descresce in senso cranio –
caudale. La prima spina è enormemente sviluppata (60.0% della lunghezza standard) e la sua
superficie è incisa da solchi longitudinali, mentre il suo margine posteriore è armato di due file
di dentelli ricurvi. Non è possibile descrivere l’articolazione tra questa spina ed il radiale o i
radiali dorsali che la sostengono al di sotto della piastra dermica latero – dorsale. Comunque,
osservando la base della spina, si nota una formazione ovale che suggerisce la presenza di una
complessa struttura articolare, simile a quella di Macroramphosus, in cui due piastre ossee sono
rispettivamente disposte ai lati della spina per limitarne i movimenti laterali. La lunghezza della
seconda spina è circa un quinto della prima; la sua superficie è incisa da poche scanalature ed è
sostenuta da un grande radiale. La terza spina è tozza, di forma triangolare, lunga la metà della seconda, ed è anch’essa sostenuta da un grande radiale.
Della seconda porzione di pinna dorsale si sono conservati cinque radiali e cinque raggi. La struttura dei raggi è semplice, mentre il primo dei cinque radiali si inserisce nell’interspazio dell’ottavo centro preurale.
La lunghezza dei radiali della pinna dorsale decresce regolarmente in senso cranio – caudale.
Pinna anale (Fig. 9, pag. 24). Si sono conservati sette raggi e otto radiali. I primi tre radiali sono molto allungati, tanto da arrivare all’altezza della colonna vertebrale: il primo ed il secondo raggiungono l’arco emale del decimo centro preurale, mentre il terzo contatta l’arco emale del nono centro preurale. Entrambe le porzioni distali dei primi due radiali hanno una curiosa forma ricurva, mentre quella del terzo è semplice. Gli altri radiali sono normalmente sviluppati. La lunghezza dei radiali decresce in senso cranio – caudale. I raggi sono indivisi e possiedono una larga base di articolazione coi radiali.
Colonna vertebrale (Fig. 10, pag. 25). Ha un andamento sinusoidale: le prime due vertebre addominali visibili sono orientate verso il basso, mentre le restanti vertebre addominali sono orientate verso l’alto, e le vertebre caudali si inclinano di nuovo verso il basso. Si sono conservate in tutto 16 vertebre, di cui nove – dieci caudali, mentre le rimanenti sono addominali. Solitamente il limite tra regione addominale e caudale della colonna si stabilisce a partire dalla prima vertebra che presenta un arco o una spina emale; in questo caso non si riesce a stabilire con certezza se il primo radiale della pinna anale si connette con una parapofisi addominale oppure con un arco emale caudale. Le prime vertebre addominali sono leggermente più lunghe delle caudali, mentre le loro parapofisi visibili sono normalmente sviluppate.
Le zigapofisi sono presenti in tutte le vertebre ben conservate e sono più sviluppate nelle regioni centrale e posteriore della colonna. Le vertebre ben visibili in entrambe le regioni della colonna presentano dei filamenti che partono dal centro e si propagano postero – dorsalmente: questi filamenti sono stati interpretati come epineurali. La colonna vertebrale non è completa: la prima o le prime due vertebre anteriori devono essere nascoste sotto la grande piastra dermica antero – laterale. Complessivamente, la colonna vertebrale doveva essere costituita da 17 – 18 elementi.
Scheletro caudale (Fig. 11, pag. 25). Si distinguono due lobi: il lobo epiassiale, formato da una
serie di elementi autogeni (uno stegurale, un uroneurale e due epurali) ed una piastra ipurale
prodotta da un solo ipurale; il lobo ipoassiale, che comprende una piastra ipurale formata da tre
ipurali fusi distalmente tra loro ed un paripurale autogeno. Si sono conservati nove raggi
procurrenti indivisi: il dorsale si articola con gli epurali, il ventrale col paripurale. La spina neurale del secondo centro preurale (NPU2) è sottile, mentre la sua spina emale (HPU2) è espansa. Tra il margine dorsale dello stegurale e la base dei tre epurali si interpone un nodulo osseo.
Scaglie e piastre dermiche (Fig. 10, pag. 25). Sul fossile non si riscontrano tracce di scaglie.
Un’armatura composta da tre piastre dermiche ricopre la regione antero – dorsale e la regione antero – laterale del tronco. La grande piastra nucale, di forma rettangolare, presenta un margine posteriore frastagliato ed è probabilmente fusa alla sua controparte. La piastra nucale si articola al sopraoccipitale ed all’epioccipitale; la superficie dorsale di questa piastra è percorsa da solchi longitudinali che potrebbero essere la testimonianza di una fusione tra spine dorsali, mentre più in basso si distinguono due grandi aree semicircolari. La grande piastra antero – laterale, di forma trapezoidale, è molto ampia, incisa da solchi longitudinali ed armata di spine posteriori;
la superficie di questa piastra è segnata da 3 linee che convergono in un unico punto centrale. La piastra latero – dorsale, di forma rettangolare, è la più stretta delle tre e ricopre il o i radiali che si articolano alla grande spina dorsale. Il margine dorsale di questa piastra è sormontato da un dentello ornato di strie. Non è possibile descrivere le possibili relazioni tra piastre ed apofisi traverse delle vertebre anteriori.
Fig. 7. Schematizzazione dei principali parametri morfometrici.
Fig. 8. Capo di Gasterorhamphosus zuppichinii (olotipo)
Fig. 10. Pinna dorsale, colonna vertebrale e piastre dermiche di Gasterorhamphosus zuppichinii (olotipo)
Fig. 11. Scheletro caudale di Gasterorhamphosus zuppichinii (olotipo)