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CAP.3 LA MATERIA PRIMA: CARATTERISTICHE GEOLOGICHE

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CAP.3 LA MATERIA PRIMA: CARATTERISTICHE

GEOLOGICHE

3.1

COSA SONO LE PIETRE VERDI.

Con il termine “pietre verdi alpine” venivano in passato indicati numerosi litotipi di provenienza alpina dalla caratteristica colorazione verde, usati dall’uomo preistorico per la produzione di strumenti. Questo gruppo è formato da rocce basiche ed ultrabasiche sia intrusive che vulcaniche (D’Amico 1987, p.265-273;432-437) tra cui le più interessanti dal punto di vista archeologico sono

serpentinte, eclogite, giadeitite e onfacitite che si formano in condizioni di genesi

simili, definite come condizioni metamorfiche di alta pressione (HP) (Compagnoni,Giustetto et alii, 2006

,

p.655-679;D’Amico 2000, p.67-80

):

Serpentinite

: roccia metamorfica regionale1 ultrabasica dal colore variabile dal verde al nero. Ha una struttura massiccia con intercalazioni di vene e filoni rodingitici ed arricchimenti in minerali di rame, ferro e nichel. Si tratta di una roccia ultrabasica derivata dal metamorfismo2 in ambiente ricco d’acqua di peridotiti, pirosseniti e lherzoliti, più raramente di anfiboliti e di gabbri. Durante la trasformazione il calcio può dare origine a banchi di rodingite (roccia derivante dalla concentrazione di fluidi di calcio e di altri elementi migranti da una peridotite in via di serpentinizzazione all’interno di

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tipo di ambiente metamorfico che implica un riscaldamento e un seppellimento tale da dare luogo ad elevate pressioni che variano in base alla profondità raggiunta nella crosta o nel mantello, e deformazioni tali da determinare delle strutture tettoniche (Yarley et alii 1992, p.1-4;59).

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Per metamorfismo si intende un insieme di reazioni chimiche e fisiche, con cui una roccia si adegua ad un nuovo ambiente. Ogni roccia, magmatica o sedimentaria, è in equilibrio con il suo ambiente di formazione (temperatura e pressione); essa tende a modificarsi, si ricristallizza, appena si trova in una situazione differente, per tornare in equilibrio con i nuovi valori di temperatura e di pressione (Crespi 1977, p.421-428). Il processo di ricristallizzazione dei minerali preesistenti da origine a nuovi granuli e\o alla comparsa di nuove fasi minerali e alla distruzione di altre di esse. Le trasformazioni di solito avvengono allo stato solido, cioè la roccia non si disgrega e non perde completamente la sua coerenza (Yarley et alii 1992, p.1-4;59).

Vengono utilizzati quattro criteri per classificare le rocce metamorfiche: la natura del materiale originario, la composizione mineralogica metamorfica, la struttura della roccia e il nome speciale appropriato (Yarley et alii 1992, p.1-4;59).

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un filone o a contatto con un’ altra roccia) e il ferro, invece, a cristalli di magnetite.

I componenti essenziali della serpentinite sono serpentino e magnetite; come elementi accessori sono presenti amianto, calcio, talco, clorite, brucite e garnierite e più raramente dolomite, magnesite, granato e tremolite.

E’ diffusa sul versante italiano delle Alpi occidentali (Gruppo di Voltri, Monviso, Val di Lanzo), in Austria, in Scozia, in Norvegia, nella catena himalaiana, a Cuba, in California e nel Quebec e possono trovarsi associate a giacimenti di ferro, nichel, amianto, talco e rame.(Crespi 1977)

Eclogite

: roccia metamorfica regionale con chimismo da acido a basico. Il colore, (dal verde al rosso), varia in base al chimismo e alla composizione mineralogica. Presenta una tessitura granoblastica, cioè composta da minerali di dimensioni simili. Si tratta di una roccia derivata da lave e tufi basaltici o da masse gabbriche metamorfosate a bassa temperatura (eclogiti ofiolitiche) o nel metamorfismo regionale anidro (eclogiti comuni). (Crespi 1977).

I suoi componenti essenziali sono onfacite, quarzo e granato; sono inoltre presenti rutilio, pirite, paragonite e orneblenda; il granato è in queste rocce una miscela di piropo, almandino e grossularia e l’onfacite è un clinopirosseno ricco in Na (D’Argenio 1994, p.77-91).

La reazione di formazione delle eclogiti avviene a pressioni diverse in un ampio intervallo di temperatura: esistono eclogiti di alta temperatura ed eclogiti di bassa temperatura. Esse hanno tutte la stessa composizione mineralogica ed al variare della temperatura, varia la composizione del granato e quella del pirosseno (D’Argenio 1994, p.77-91).

Le eclogiti sono state classificate in tre gruppi in base alla loro composizione mineralogica ed al tipo di formazione. Nel primo gruppo, “tipo A”, si trovano le eclogiti formate da granato ed onfacite che sono associate a peridotiti, kimberliti e duniti; il secondo gruppo, “tipo B”, comprende eclogiti associate a terreni di alto e medio grado metamorfico e sono composte, a differenza del tipo A, anche da orneblenda sodica e zoisite. Il “tipo C” comprende eclogiti formate da epidoto e glaucofane oltre che da

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onfacite e granato e sono associate a scisti blu. La reazione di formazione delle prime avviene ad alta pressione e quelle appartenenti ai gruppi B e C hanno bisogno, per la formazione, dell’alta pressione e dell’acqua. (D’Argenio 1994, p.77-91)

Le eclogiti (D’Amico 1987, p.265-273;432-437) si trovano in genere sottoforma di lenti e piccoli blocchi e non formano corpi rocciosi a sviluppo regionale: possono essere incluse in terreni di vario tipo, nelle kimberliti diamantifere, nei basalti, nei terreni migmatici o associate a rocce in facies degli scisti verdi o degli scisti blu.

E’ diffusa nelle Alpi italiane, in Germania, in Austria, in Norvegia, in California, nei Caraibi e in Giappone (Crespi 1977).

Giada

: (Compagnoni,Giustetto et alii, 2006, p.655-679) termine non scientifico con cui si indica una roccia dura, molto compatta, costituita da minerali quali pirosseno sodico o anfibolo. La roccia prenderà il nome di giadeitite o di onfacitite o di Na-pirossenite se costituita da pirosseno sodico3 e di attinolite o nefrite se contiene anfibolo. E’ caratterizzata da un colore che varia dal bianco al verdastro al nero. Si trova all’interno di formazioni di serpentinite o sottoforma di lenti o vene nelle eclogiti (D’Amico 2002, p.423-437). E’ molto rara in Piemonte ed è altresì diffusa in Cina, in Tibet, in Guatemala, in Messico.

Onfacite

: (Crespi 1977) insieme al granato è il minerale tipico delle eclogiti; si trova anche in banchi massicci. E’ formato da cristalli prismatici o da granuli di colore verde chiaro. Eclogiti contenenti onfacite sono presenti in Italia (Val d’Aosta e Monviso), in Austria, in Germania e in California.

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Poiché in uno stesso campione possono essere presenti pirosseni zonati (con differenti composizioni nell’ambito di uno stesso cristallo) o più pirosseni (con differente composizione), è stata proposta una classificazione petrografica che serve a distinguere rocce a mineralogia diversa con nomi differenti:

- tutte le rocce costituite per almeno il 75% in volume da Na-pirosseni si chiamano Na-pirosseniti - tutte le rocce costituite per almeno il 75% in volume da giadeite si chiamano giadeititi

- tutte le rocce costituite per almeno il 75% in volume da onfacite si chiamano onfacititi

- tutte le rocce costituite per almeno il 75% in volume da giadeite, onfacite e Na-pirosseni di altra composizione si chiamano Na-pirosseni miste

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Dalla metà del XIX secolo, si decise di chiamare questo insieme di rocce con il termine “ofioliti”, parola che deriva dal greco “ophios” serpente e “lithos” pietra (D’Amico 1987, p.265-273;432-437).

Nel 1972 la Società Geologica Americana decise di dare una definizione alle ofioliti che fosse definitiva e di valenza universale, chiamandole “associazione ofiolitica”. Secondo questa definizione le ofioliti rappresenterebbero una sequenza di tipologie litiche comprendente dal basso verso l’alto: un complesso ultrabasico formato da peridotiti che sono più o meno interessate da processi di serpentinizzazione; un complesso intrusivo in cui dominano le rocce gabbriche; un complesso filoniano e un complesso vulcanico costituito da vulcaniti basiche. Le ofioliti o pietre verdi possono essere divise in due gruppi caratterizzati da una diversa associazione di minerali: del primo gruppo fanno parte le serie ofiolitiche in cui il complesso ultrabasico è dominato dalle lherzoniti (rocce formate soprattutto da olivina, clinopirosseno ed ortopirosseno) e sono caratterizzate dall’avere una crosta ridotta o assente ed il mantello spesso serpentinizzato. A questo gruppo appartengono le ofioliti alpine. Il secondo gruppo comprende invece rocce ultrabasiche in cui dominano olivina e pirosseno (peridotiti di tipo harzoburitico) e sono caratterizzate da una crosta spessa e dal mantello scarsamente serpentinizzato.

Le pietre verdi hanno un’origine sottomarina: sono una parte degli antichi fondali oceanici incorporati nei processi orogenetici e tettonicamente dislocati sui continenti. Si capì la loro l’origine per la costante presenza di sedimenti di mare profondo come diaspri e calcari pelagici e di strutture a pillows (strutture dalla forma a cuscinetto che si formano in caso di fuoriuscita di magma basaltico in ambiente sottomarino per il veloce raffreddamento del magma a contatto con l’acqua).

Le ofioliti si formano in zone di accrescimento litosferico e vengono trasportate in zone convergenti. Quando, per un movimento convergente, si scontrano una placca continentale e una placca oceanica, quella oceanica si inabissa (subduzione) poiché più pesante e più rigida. Una parte della placca portata in profondità è sottoposta ad un metamorfismo ad alta pressione che produce rocce ad alta densità come le eclogiti (D’Amico 2000, p.67-80).

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Possono però intervenire raramente altri processi, detti di “obduzione”, come nel caso delle rocce verdi, che permettono l’innalzamento della placca oceanica: quando la crosta oceanica è completamente inabissata, entrano in collisione due croste continentali con caratteristiche simili, nessuna delle due sprofonda verso il basso sotto l’altra, ma si accartocciano l’una contro l’altra facendo in modo che parti di placca oceanica rimangano intrappolate tra quelle continentali e vengano sollevate verso l’alto con le rocce continentali.

I processi termici e tettonici subiti dalle ofioliti dal momento della loro formazione a quello della messa in posto, si riflettono nelle caratteristiche chimiche e mineralogiche riferibili a gradi metamorfici differenti.

Si ipotizza, in base a confronti con gli attuali fondali oceanici, che le differenze tra i vari tipi di ofioliti sia dovuta alla velocità di espansione del fondale oceanico in cui si sono originati: un’elevata velocità di espansione sarebbe favorita dall’esistenza di camere magmatiche per tempi relativamente lunghi; una bassa velocità non è compatibile, invece, con l’esistenza di sacche magmatiche stabili poiché il rifornimento termico garantito dal magma risulta insufficiente per una stabile persistenza. Ciò farebbe pensare quindi all’esistenza di una sola camera magmatica riempita periodicamente per alcune ofioliti, e per altre all’esistenza di più sacche magmatiche, caratterizzate da piccole dimensioni e vita breve.

Lo spessore delle serie ofiolitiche è molto variabile, ma inferiore a quello della crosta oceanica ed in genere si può riconoscere il substrato su cui le ofioliti si sono messe in posto: basamento cristallino coperto da depositi in mare sottile o di piattaforma. Tra il substrato continentale e la base tettonica della serie ofiolitica, è spesso presente una sottile unità metamorfica, formata da materiale ofiolitico e caratterizzata da gradi di metamorfismo rapidamente variabili ed in diminuzione verso il basso, che rappresenterebbe un evento metamorfico oceanico verificatosi prima della messa in posto del complesso ofiolitico (D’Amico 1987, p.265-273;432-437).

Nonostante sia stata già compresa l’origine delle sequenze ofiolitiche, lo studio delle caratteristiche primarie delle rocce che le compongono è complesso, come complesso è capire i processi di formazione della crosta oceanica, i processi di messa in posto delle ofioliti ed il loro significato geodinamico (D’Amico 1987, p.265-273;432-437

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ALTRE ROCCE PRESENTI NELLE SEQUENZE OFIOLITICHE:

(Crespi 1977)

-LHERZONITE: è una roccia magmatica intrusiva dal chimismo ultrabasico; costituisce la base delle associazioni ofiolitiche. E’ composta da pirosseno, olivina e spinello verde ed ha una colorazione dal brunastro al verde giallastro. Si trova in Italia settentrionale (Alpi Occidentali e Appennino settentrionale), in Marocco, a Cuba e in California.

-PIROSSENITE: è una roccia magmatica intrusiva dal chimismo ultrabasico; ha un colore scuro, verde, marrone o nero. Si trova frequentemente associata alla Lherzonite nelle serie ofiolitiche ed è diffusa nell’ Appennino settentrionale e nelle Alpi Occidentali.

-GABBRO EUFODITE: è una roccia magmatica intrusiva che nelle sequenze ofiolitiche forma un orizzonte intermedio tra lo strato di lave basaltiche superficiale ed il substrato ultrabasico. Il gabbro eufodite è composto essenzialmente da plagioclasio, ematite, monoclino ed in misura minore da anfibolo bruno e verde; è caratterizzato da una colorazione verde chiaro o grigio verdastro. E’ diffuso in Italia (Monviso, Val di Susa, Appennino Settentrionale), in Grecia e in California.

-PERIDOTITE: è una roccia magmatica intrusiva composta da olivina, pirosseno rombico e pirosseno monoclino; caratterizzata da colore verde chiaro o scuro. Si trova in tutti gli affioramenti ofiolitici in Italia, in Norvegia, in Scozia e in Canada. -DUNITE: è una roccia magmatica intrusiva composta da olivina ed in misura minore da pirosseno monoclino, spinello e granato; ha chimismo ultrabasico e colore verde chiaro. E’ rara in Italia (Alpi Occidentali e Appennino Settentrionale) ed è diffusa soprattutto in Nuova Zelanda e negli Urali.

-PRASINITE: è una roccia metamorfica regionale composta soprattutto da clorite, attinolite, epidoto ed albite; ha un colore verde chiaro, con passaggi all’azzurrognolo o al giallognolo. Deriva dal metamorfismo retrogrado in facies di scisti verdi di rocce glaucofaniche o dal metamorfismo progrado in ambiente idrato di lave basaltiche, gabbri e diabasi; possono anche derivare da tufi o da

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marne ferruginose. Le prasiniti presenti nelle Alpi, derivano nella maggior parte dei casi da rocce basiche trasformatesi prima in scisti a glaucofane durante un periodo di compressione ad bassa temperatura e, successivamente, durante una fase posteriore di rilascio di pressione con o senza limitato aumento della temperatura, in prasiniti.

Il suo nome è usato esclusivamente per indicare le rocce di provenienza alpina: è diffusa nelle Alpi Occidentali ed Orientali nella formazione dei calcescisti con pietre verdi in Val di Susa, Val Soana (TO), Val Varaita (CN), nel Gruppo di Voltri e in Valtellina. E’ presente anche nelle isole dell’Arcipelago Toscano, in Svizzera, in Austria, in Giappone, in California, nelle Filippine ed in Venezuela.

Queste rocce, essendo diffuse in tutto l’arco alpino italiano, forniscono dal punto di vista petrografico (Compagnoni et alii, 2006, p.655-679) poche informazioni utili per risalire al loro luogo di provenienza.

3.2 METODI D’ANALISI

Tra i vari obiettivi posti durante lo studio degli strumenti in pietra verde levigata, importanti sono l’individuazione del tipo di materia prima utilizzata, delle aree di provenienza e di approvvigionamento (giacimento primario o secondario), per comprendere innanzitutto con precisione i luoghi in cui il materiale grezzo veniva raccolto e in secondo luogo per individuare le possibili vie di scambio della materia prima e dei manufatti (Chiari et alii 1997, p.35-56).

Purtroppo gli oggetti in rocce verdi in Italia settentrionale sono stati prevalentemente sottoposti ad analisi non distruttive macroscopiche ed alla determinazione del peso specifico, analisi che non permettono di avere informazioni approfondite sulla determinazione petrografia dei reperti presi in esame (Chiari et alii 1997, p.35-56).

Un’altra difficoltà nel determinare la provenienza dei litotipi usati deriva inoltre da uno studio solo parziale degli affioramenti primari e secondari di ofioliti in Italia, che impedisce di individuare con precisione le zone di provenienza della materia prima e rallenta così la ricerca archeologica (Chiari et alii 1997, p.35-56).

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Gli oggetti in pietra verde possono essere analizzati con le stesse metodologie utilizzate in geologia nello studio delle rocce. Si tratta di tecniche distruttive e non distruttive che servono a distinguere le ofioliti da altri litotipi e a capire quale roccia tra le ofioliti sia stata scelta ed usata per la produzione del manufatto esaminato (Compagnoni et alii 2006, p.655-679;Chiari et alii 1997, p.35-56).

In questa sede saranno elencati tutti i metodi scientifici utilizzabili ma, sarà descritta la procedura d’analisi soltanto di quelli più frequentemente impiegati in campo archeologico:

• Diffrattometria per polveri ai raggi x (distr.) - con il metodo tradizionale

- con gli specchi di Goebel (non distr.)

• Esame in sezione sottile al microscopio in luce polarizzata (distr.) • Analisi al microscopio elettronico a scansione S.E.M. (distr.)

- immagini in elettroni retrodiffusi - composizione chimica dei minerali

• Osservazioni in catodoluminescenza (distr. o non distr.) • Spettroscopia Raman e Micro-Raman (distr. o non distr.) • Spettrofotometria in riflettenza diffusa (non distr.)

• Analisi chimica della roccia (distr.) • Geocronologia (distr.)

• Esame macroscopico (non distr.)

• Determinazione del peso specifico (non distr.)

Esame macroscopico

: analisi non distruttiva.

Serve a determinare le caratteristiche cromatiche, strutturali e mineralogiche di una roccia e può essere eseguito con l’ausilio di una lente o di un microscopio ottico. Si esaminano tutte le parti visibili del campione con la superficie bagnata, per rendere più evidenti i contrasti tra i colori caratteristici dei diversi minerali e riconoscere quindi la tessitura della roccia. E’ un metodo rapido per fare una classificazione preliminare ma approssimativa delle rocce. (Compagnoni et alii 2006 p.655-679; Chiari et alii 1997, p.35-56).

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Determinazione del peso specifico

: metodo non distruttivo.

E’ stato riscontrato dalle analisi degli oggetti in pietra verde levigata che in base al tipo di strumento da produrre, si ricercavano e si sceglievano rocce con particolari caratteristiche come durezza, tenacità ed elevata densità o facile lavorabilità e bassa durezza. Alcune delle rocce usate dall’uomo, tra cui le ofioliti, possono essere riconosciute anche solamente con misurazioni del peso specifico e possono essere distinte in tre gruppi: rocce a basso peso specifico (serpentiniti), rocce ad alta densità (eclogiti, onfaciti e giadeiti)4 e rocce a densità intermedia come prasiniti e scisti prasinitici.

E’ un metodo rapido usato per una iniziale classificazione delle rocce sulla base della loro densità (peso specifico), ma presenta alcuni difetti come ad esempio il fatto che parti diverse di minerali differenti possono avere lo stesso valore di peso specifico, oppure le dimensioni dell’oggetto da pesare che non deve essere né troppo grande né troppo piccolo e la porosità della roccia da esaminare, poichè maggiore è la porosità, minore sarà la precisione del peso specifico.

Lo strumento usato in questo caso è un bilancia (Fig.7). Si pesano i manufatti prima in aria (asciutti sulla bilancia) e poi in acqua (il reperto viene immerso, in sospensione, in una bacinella di acqua distillata posta sulla stessa bilancia), facendo in modo che non tocchino le pareti della vaschetta, e si determina il peso dell’acqua distillata spostata dal volume dell’oggetto immerso e si applica la seguente formula:

PESO SPECIFICO = PESO IN ARIA / PESO IN ARIA - PESO IN ACQUA. (Chiari et alii 1997, p.35-56; Compagnoni et alii 2006, p.655-679; Giustetto,Compagnoni 2004, p. 45-60; Mecenero 2004)

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Bassa densità:2,74. Alta densità:3,35. Media densità:2,97. (Giustetto,Compagnoni 2004, p.45-60)

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Diffrattometria a raggi x

E’ un metodo distruttivo usato per l’ identificazione dei costituenti minerali: permette di ottenere analisi qualitative e semiquantitative dei componenti maggiori, ma non permette di riconoscere\determinare i costituenti minori e se il campione prelevato non è rappresentativo della roccia, i risultati ottenuti non sono del tutto affidabili.

Si basa sulla capacità di un reticolo cristallino di diffrangere le radiazioni x e permette di riconoscere in modo attendibile le fasi cristalline e cioè i minerali presenti, poiché ogni sostanza cristallina, se colpita da raggi x, genera una serie di picchi di diffrazione la cui posizione ed intensità dipendono dalla natura e dalla quantità dei minerali presenti.

Si utilizza un diffrattrometro a raggi x per polveri controllato da un PC per la raccolta ed l’ elaborazione dei dati: si preleva un campione di materiale (pochi mg) da analizzare che viene polverizzato finemente, posto su un apposito portacampioni ed analizzato e gli spettri di diffrazione (diffrattogramma) che ne derivano vengono registrati attraverso una scansione ed interpretati confrontandoli con l’archivio del JCPDS-ICCD contenente gli spettri di tutti i minerali conosciuti. E’ inoltre possibile applicare un accessorio chiamato “specchi di Goebel” alla diffrattometria RX che consente di fare un’analisi non distruttiva: si tratta di un apparecchio formato da un cristallo a strati non paralleli di silicio e tungsteno, incurvato a parabola montato sul raggio primario di un diffrattometro RX.

(Chiari et alii 1997, p.35-56; Compagnoni et alii 2006, p.655-679; Giustetto,Compagnoni 2004, p. 45-60)

Esame della roccia in sezione sottile

: metodo distruttivo poiché è necessario prelevare dal manufatto un piccolo campione da analizzare al microscopio a luce polarizzata (metodo petrografico) o al microscopio elettronico a scansione (SEM).

Nel primo caso questo tipo di analisi permette di riconoscere in base alle loro proprietà ottiche i costituenti minerali essenziali (analisi qualitativa), quelli accessori o minori, di definire la disposizione spaziale dei cristalli e le relazioni genetiche tra i cristalli della roccia in esame. Le analisi da effettuare possono essere di due tipi: in un tipo viene preso un campione di pochi mg, ridotto in

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polvere, posto su un vetrino ed immerso in un liquido con indice di rifrazione noto ed osservato al microscopio a luce polarizzata; nel secondo tipo di analisi viene esaminata al microscopio a luce polarizzata una sezione sottile (circa 30 µm) ottenuta da una carota prelevata dall’ oggetto da esaminare.

Quando invece si utilizza il microscopio elettronico a scansione, la sezione sottile deve essere lucidata e ricoperta da un sottile strato di carbone per favorire la conduzione elettrica; questo metodo si basa sulla capacità degli elementi chimici colpiti da un fascio elettronico di emettere RX di fluorescenza con una specifica lunghezza d’onda e permette di ottenere un’analisi quantitativa degli elementi maggiori e minori ma non di quelli in traccia (Chiari et alii 1997, p.35-56; Compagnoni et alii 2006, p.655-679; Giustetto,Compagnoni 2004, p. 45-60).

3.3 PROVENIENZA

Grazie agli studi archeometrici fino ad oggi compiuti, si è capito che per la produzione di manufatti in pietra verde, i neolitici piemontesi erano soliti utilizzare litotipi locali. La maggior parte degli strumenti levigati (tra cui soprattutto asce) rinvenuti in Piemonte, è costituita infatti prevalentemente da eclogiti e Na-pirosseniti (giadeiti e onfaciti) ed in percentuale minore da serpentiniti, presenti in Italia nell’ arco alpino occidentale; si tratta di rocce affioranti nella cosiddetta Zona Piemontese, anche se la loro presenza è documentata (Compagnoni et alii 2006, p.655-679) anche in altre catene montuose europee: Massiccio Armoricano, Catena dei Vosgi, Massiccio Centrale francese, Massiccio Iberico e Massiccio Boemo. Nelle Alpi Occidentali è presente un’associazione di marmi-ofioliti-radiolariti in cui le ofioliti si trovano intercalate nell’orizzonte dei marmi o ad esso sovrapposte (Mecenero 2004).

La Zona Piemontese è suddivisa in due grandi aree dallo spartiacque italo-francese: la Zona interna e la Zona esterna (Fig.8). Le eclogiti derivano esclusivamente dalla parte interna (in Val d’Aosta Massiccio del Gran Paradiso, in Piemonte Massiccio del Monviso, valli di Lanzo, Canavese e val di Susa e in Liguria Gruppo di Voltri) caratterizzata da metamorfismo alpino in facies eclogitica, mentre nella parte esterna (Francia) sono presenti glaucofaniti. Le unità

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tettoniche più ricche di eclogiti sono la Zona di derivazione continentale Sesia-Lanzo e la Zona Piemontese dei Calcescisti con Pietre Verdi di derivazione oceanica. Le onfaciti, le Na-pirosseniti e le Na-pirosseniti miste provengono come le eclogiti soltanto dalla Zona interna; le giadeiti invece possono essere presenti sia nella Zona interna se contengono rutilio sia in quella esterna se contengono titanite primaria (Compagnoni et alii 2006, p.655-679).

Fig.8: Carta geologica delle Alpi

Occidentali in cui sono distinte la Zona Piemontese Esterna (facies degli scisti blu) da quella Interna (facies eclogitica) (da Compagnoni et alii 2006)

La parte ligure della Zona Piemontese è rappresentata dal Gruppo di Voltri, situato a nord-ovest di Genova5. E’ costituito soprattutto dalla formazione dei calcescisti con pietre verdi: sono diffuse in prevalenza le serpentiniti e sono inoltre presenti prasiniti, peridotiti, lherzoliti e prasiniti. E’ possibile in alcune aree trovare filoni di eclogiti inseriti nelle serpentiniti. Ad est (zona Sestri-Voltaggio) e ad ovest (Serie di Montenotte) del Gruppo di Voltri si estendono altri giacimenti primari di pietre verdi.

Come già osservato in precedenza non è ancora possibile avere uno studio geologico dettagliato sugli affioramenti ofiolitici italiani e localizzare con precisione i giacimenti primari e le aree di approvvigionamento, a causa non solo delle

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ATLANTE CARTOGRAFICO GEOLOGICO DEL TERRITORIO DEL COMUNE DI GENOVA http://territorio.comune.genova.it/ComGeUrbanistica/script/pagine/AtlanteGeologico.html

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difficoltà nella loro individuazione essendo spesso distribuiti in maniera casuale, ma soprattutto a causa della scarsità di ricerche sul campo (Chiari et alii 1997, p.35-56; Compagnoni et alii 2006, p.655-679; Giustetto,Compagnoni 2004, p. 45-60).

Altro importante elemento da tener presente è la loro rarità. Le eclogiti alpine, ad esempio, sono rocce che si formano ad una profondità di 25-30 km e per questo motivo si trovano con difficoltà in affioramenti di superficie. Altrettanto rare in natura, se non di più, sono le giadeititi, sia in affioramenti primari, sia in depositi secondari (Pétrequin 2005, p.265-321). Sono state invece riconosciute varie zone di provenienza della materia prima dei manufatti neolitici in serpentinite: l’arco alpino occidentale, le alluvioni dell’Adige e i depositi alluvionali tra l’Isarco e l’Adige e una fonte non italiana (Alpi Dinariche e Balcani) è documentata dai reperti di Sammardenchia (D’Amico 2002, p.423-437).

3.4 L’APPROVVIGIONAMENTO

Per ciò che riguarda l’approvvigionamento di pietra verde da parte dell’uomo, è stato ipotizzato l’utilizzo, in Piemonte, durante il Neolitico, di due tipi di giacimenti: i giacimenti primari ed in particolare i depositi secondari (Chiari et alii 1997, p.35-56;Compagnoni et alii 2006, p.655-679).

Nel caso di uno sfruttamento dei giacimenti primari il reperimento delle ofioliti avveniva tramite l’ estrazione della materia prima direttamente dagli affioramenti di roccia presenti ad alta quota. L’utilizzo dei depositi secondari, invece, implica la raccolta della pietra verde sottoforma di ciottoli di varie dimensioni e forme in giacimenti derivati dallo smantellamento degli affioramenti primari: fiumi e torrenti lungo il loro corso erodono differenti settori della Zona Piemontese interna trasportando e depositando a valle frammenti di rocce. I giacimenti secondari più recenti, quelli quaternari, si trovano allo sbocco delle attuali valli alpine e i più antichi, oligocenici, in corrispondenza delle incisioni vallive dei torrenti (ad es. Valle dello Staffora e Val Curone) tra Piemonte e Liguria. Esistono due aree, nel Piemonte sud-occidentale, separate dal bacino del fiume Tanaro, una settentrionale e una meridionale in cui si possono trovare depositi secondari di eclogiti (Chiari et alii 1997, p.35-56; Compagnoni et alii 2006, p.655-679).

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Fino a poco tempo fa si credeva che gli strumenti levigati fossero stati prodotti esclusivamente a partire da ciottoli raccolti in alvei fluviali posti nelle vicinanze degli abitati a causa del mancato ritrovamento di aree di cava ad alta quota come invece è avvenuto in Europa settentrionale (Chiari et alii 1997, p.35-56).

Di alcuni giacimenti primari di eclogite e di giadeitite (Petrequin et alii 2006, p.630-639) si era capita già l’importanza grazie all’opera del Franchi che nel 1904 li aveva già segnalati (Vallon Bulè a sud est del Monviso).

E’ solo di recente, però, che le ricerche e le prospezioni hanno dato buoni risultati: sono stati infatti individuati affioramenti primari e blocchi-cava sfruttati in antico dall’uomo di eclogiti a grana fine, Na-pirosseniti e di giadeititi sul Massiccio del Beigua6 (Gruppo di Voltri) e sul Monviso (Compagnoni et alii 2006, p.655-679; Pétrequin 2005, p.265-321).

I giacimenti di giadeitite individuati prima degli anni ’90 sono stati in gran parte riconosciuti ed analizzati, ma non corrispondevano del tutto alla materia prima lavorata durante il Neolitico: affioramenti primari da Val di Susa a Sinette, di Liliales, di Monte Mucrone e quelli di Lago di Prafiorito, L.di Alpetto e Punta Murel sul versante orientale del Monviso; lo stesso discorso vale per i depositi secondari dell’alta Val d’Aosta.

Gli unici giacimenti segnalati riconosciuti come giadeitite pura sono quello secondario della morena di Rivoli, nella parte meridionale della Val di Susa e i siti sul Monviso riconosciuti dal Franchi (Pétrequin 2005, p.265-321).

Le recenti ricerche di D. Delcaro sono state molto utili in quanto hanno portato all’individuazione di giadeitite sul versante nord del Massiccio del Beigua (basse valli dell’Erro e dell’Orba), in Val di Susa (Condove) e sul Monviso (morena di Paesana) (Pétrequin 2005, p.265-321).

Numerose sono state le prospezioni (Pétrequin 2005, p.265-321) che a partire dal 2000 hanno documentato lo sfruttamento e la lavorazione delle ofioliti nei pressi di affioramenti ad alta quota:

-Val di Susa: ritrovamento a 900 m alt. di schegge di sbozzatura nei pressi di un affioramento di serpentinite

-Val d’Aosta: ritrovamento di un nucleo sbozzato in gneiss a Col di Finestre

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gruppo montuoso della Liguria centro-occidentale a ridosso della costa tirrenica. Si trova all’interno del settore ligure delle Alpi Marittime. Le rocce che affiorano sono metaofioliti a differente grado metamorfico e appartengono principalmente al Gruppo di Voltri (Cristiano Queirolo, Geomorfologia del Massiccio del Beigua, www.cmvallisturaorba.it).

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-nel 2003 è stata individuata a 2400 m di quota sul Monviso (zona di Oncino-Rasciassa-Porco) proprio una “cava” costituita da blocchi di giadeitite utilizzati durante il Neolitico7. L’attività di lavorazione della giadeitite è testimoniata dalla presenza in loco di numerose schegge e scarti di lavorazione. Anche sul Massiccio del Beigua (Petrequin et alii 2006, p.630-639) sono state riconosciute, lontano dagli insediamenti stabili, zone di lavorazione degli abbozzi in cui venivano sfruttati prevalentemente blocchi non interessati dal trasporto fluviale ma presenti nelle scarpate vicine ai torrenti. Nel 2003 è stata individuata un’area di prima lavorazione di abbozzi nelle vicinanze di un affioramento di serpentinite con eclogite ed anfibolite eclogitica incassate sottoforma di budinaggi (Pétrequin 2005, p.265-321; Petrequin et alii 2006, p.630-639).

Si può quindi ragionevolmente supporre l’esistenza di persone in grado di individuare giacimenti non ben visibili e la presenza nella parte occidentale delle Alpi di accampamenti temporanei e zone di scheggiatura ad alta quota, anche molto distanti dai villaggi permanenti, in cui venisse effettuata solo una prima fase di sbozzatura del manufatto litico. La materia prima attraversava una catena operativa che può essere definita “segmentata nello spazio”. Gli abbozzi erano semilavorati nei pressi degli affioramenti e poi portati a valle, verso est (valle del Tanaro, Brignano, Rivanazzano) e ad ovest (Petrequin et alii 2006, p.630-639) per essere finiti.

Sul Beigua è stato riconosciuto l’utilizzo anche di eclogiti,onfacititi e giadeititi. La giadeitite lì rinvenuta, appartiene ad una varietà diversa da quella della Val di Susa e del Monviso. Poiché i principali corsi d’acqua del Beigua scorrono in direzione nord, sembra improbabile che siano stati sfruttati i depositi secondari situati sul versante sud e ovest del massiccio. Le testimonianza archeologiche indicherebbero (Pétrequin 2005, p.265-321) invece l’utilizzo di materia prima presente lungo il corso superiore dell’Erro e dell’Orba (versante nord-est) con il ciclo di lavorazione frammentato nello spazio: una prima trasformazione degli abbozzi in loco ed il successivo spostamento a valle dei manufatti da finire. Lo stesso discorso vale per la giadeitite, rara nei depositi delle basse valli dell’Erro e dell’Orba: un blocco di giadeitite di grandi dimensioni è stato rinvenuto nel 2005 nella valle del fiume Erro (Petrequin et alii 2006, p.630-639). Un esempio di questo

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date radiocarboniche sono state ottenute da carboni di legna trovati negli strati di schegge e scarti: dal 5210 al 4389 a.C. (Petrequin et alii 2006, p.630-639).

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tipo di sfruttamento è rappresentato dal sito di Rivanazzano lungo lo Staffora dove i ciottoli lavorati si presentano poco smussati, indicando una loro possibile provenienza dall’alta valle dei fiumi (Petrequin et alii 2006, p.630-639).

Il ritrovamento negli insediamenti di numerosi ciottoli di pietra verde, le caratteristiche dimensionali e morfologiche dei reperti e la presenza sui manufatti di parti della superficie naturale smussata e\o alterata dal trasporto fluviale, renderebbe più sicura l’ipotesi di uno sfruttamento maggioritario dei giacimenti secondari di rocce verdi, nei siti di Brignano Frascata e Momperone con manufatti che derivano da ciottoli provenienti dai depositi formati dall’erosione delle ofioliti del Gruppo di Voltri (Giustetto, Compagnoni 2004,p.45-60), anche se con i recenti ritrovamenti avrebbero confutato l’ipotesi del solo approvvigionamento da depositi secondari, almeno per la produzione in giadeitite. L’officina di Alba avrebbe sfruttato la giadeitite proveniente dagli affioramenti primari del Monviso e del Beigua (Pétrequin 2005, p.265-321) e materie prime che non sembrano essere state raccolte nelle aree immediatamente vicine all’insediamento, a causa della scarsa presenza di ciottoli ofiolitici nei detriti del fiume Tanaro, ma probabilmente a 30 km, lungo il fiume Bormida ed il torrente Erro (Venturino Gambari 1995, p.13-26).

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FIG.9: Ubicazione degli affioramenti primari (in viola) e dei giacimenti secondari (in blu) di

metaofioliti in Italia nord occidentale (a); (b) ubicazione degli affioramenti primari di eclogite, onfacitite, giadeitite, anfibolite e nefrite sfruttati durante il V millennio a.C. (da Pétrequin 2005).

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FIG.9: Ubicazione degli affioramenti primari (in viola) e dei giacimenti secondari (in blu) di

metaofioliti in Italia nord occidentale (a); (b) ubicazione degli affioramenti primari di eclogite, onfacitite, giadeitite, anfibolite e nefrite sfruttati durante il V millennio a.C. (da Pétrequin 2005).

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