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1. Il fatto. 2. Un quadro di ricorsi

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Il riconoscimento del servizio nelle scuole paritarie

un commento dopo la recente ordinanza della Corte di Cassazione 30 novembre 2020

a cura del prof. Mauro Arena – consulente FILINS – già dirigente tecnico MIUR

1. Il fatto

La questione ha origine da un ricorso di alcuni docenti di scuola secondaria superiore, i quali, dopo un servizio più o meno lungo prestato presso le scuole non statali, transitando nei ruoli del personale docente della scuola statale con incarico a tempo indeterminato, chiedevano il riconoscimento del precedente sevizio ai fini della progressione di carriera nel nuovo ruolo.

Tale riconoscimento veniva negato dagli organi del Ministero dell’istruzione; di qui il primo dei ricorsi prodotti.

Un primo pronunciamento del tribunale del lavoro (Siena) aveva accolto il ricorso e ordinato all’Amministrazione il riconoscimento degli anni dichiarati.

Seguiva un primo appello in Corte di Appello, dove, al contrario, erano accolte le ragioni del Ministero e negato pertanto il richiesto riconoscimento.

La motivazione della sentenza, questa volta, si rifaceva ad un orientamento già espresso dalla stessa Corte, nel quale si produceva una distinzione tra scuole paritarie (o legalmente riconosciute) e istituti pareggiati: solo all’insegnamento nei secondi veniva riconosciuto l’intero servizio prestato ai fini della progressione di carriera nel ruolo dello Stato, convenendo con l’interpretazione del Ministero.

Al terzo livello è intervenuta la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 25226 (udienza in data 15 settembre, pubblicazione in data 10 novembre 2020), che rigetta il ricorso degli interessati confermando le ragioni del Ministero.

2. Un quadro di ricorsi

Come si sa, le sentenze della Cassazione non hanno forza di legge, ma solo tra le parti in causa ed un altro giudice può dissentire – motivando – dalla decisione.

È quanto è accaduto, poiché altre sentenze di giudici di merito, intervenute non solo precedentemente ma anche successivamente alla sentenza della Cassazione, hanno comunque riconosciuto il diritto dei docenti al riconoscimento del servizio prestato presso le scuole paritarie. Indichiamo:

Tribunale di Salerno, sentenza n. 131 del 22.01.2020;

Tribunale di Trieste, sentenza n. 13 del 06.02.2020;

Tribunale di Bari, sentenza n. 5473 del 09.12.2019;

Tribunale di Caltanissetta, sentenza n. 555 del 18.11.2019;

Tribunale di Velletri, sentenza n. 1647 del 14.11.2019;

Tribunale di Frosinone, sentenza n. 904 del 24.10.2019;

Tribunale di Palermo, sentenza n. 3333 del 27/09/2019;

Tribunale di Palermo, sentenza n. 3269 del 25/09/2019).

Saranno più avanti commentate.

Tuttavia, va opportunamente segnalato, nelle sentenze si mescolano vari tipi di riconoscimento: ai fini delle graduatorie di aspiranti a incarico, ai fini della mobilità, o, anche, ai fini della progressione di carriera.

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2 In questa sede importa soprattutto l’attenzione che gli organismi giudicanti hanno posto sulla distinzione tra scuola statale e scuola non statale, e, in questa, tra scuole pareggiate e scuole paritarie.

Va, infine, richiamata un’altra ordinanza (n. 2990/2017), praticamente coeva di quella da cui abbiamo preso avvio in questa nota, della Corte di Appello di Roma, sezione lavoro, pubblicata in data 9 novembre 2020.

Qui, in sede di appello alla decisione del Tribunale di primo grado, la Corte non perviene ad una decisione, ma, sospendendo il giudizio sul riconoscimento del servizio pre-ruolo del ricorrente, pone il problema di incostituzionalità delle norme in questione e afferma:

dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.

485 d.lgs. n. 297/1994 per contrasto con l’art. 3 Cost.

e

dispone l’immediata trasmissione di tutti gli atti di causa alla Corte Costituzionale.

È ovvio pertanto che d’ora in avanti tutta la questione sia rimessa alla decisione di quest’ultima, la quale, tuttavia, non è stata finora estranea alla tematica, come si segnalerà subito dopo.

3. Le varie motivazioni

L’ordinanza della Cassazione entra meglio nel merito della articolazione del sistema nazionale di istruzione.

I ricorrenti, infatti, avevano genericamente sostenuto che con la legge n. 62/2000 e poi con il decreto legge n.250/2005 il riordino della scuola non statale aveva prodotto l’unica distinzione tra scuola statale e scuola paritaria, con le conseguenze dell’equiparazione del servizio prestato dai docenti nell’una o nell’altra fattispecie, estendendo agli insegnanti delle nuove scuole paritarie i benefici (anche di carriera) già goduti dai loro colleghi delle scuole pareggiate.

La Corte respinge questa interpretazione ritenendo non estensibile agli insegnanti della scuola paritaria il regime riservato dal legislatore al personale degli istituti pareggiati.

Articola ancor meglio la sentenza, affermando, innanzi tutto, che se il legislatore ha voluto garantire agli alunni delle scuole paritarie un trattamento equipollente a quello della scuola statale, ha altresì limitato la valutazione dell’insegnamento prestato nella scuola paritaria ma ai soli fini dell’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento e dell’attribuzione del relativo punteggio.

È una posizione non nuova, recentemente ripresa anche dal Consiglio di Stato (sezione sesta, sentenza n. 2717 del 28.04.2020):

L’apposita normativa dettata dalla contrattazione collettiva di settore attribuisce rilevo al solo servizio pre-ruolo utile agli effetti della carriera ex art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, e quindi unicamente a quello svolto in scuole statali (o sino alla loro soppressione ad opera dell’art. 1-bis del d.l. n. 250/2005, in scuole pareggiate) con esclusione di quello reso in istituti paritari.

Insomma, il riferimento è posto all’articolo citato del Testo unico (curiosamente, uno dei pochi sopravvissuti alla totale revisione o abrogazione via via effettuata dalle leggi successive) e oltre a questo non vi è norma che consenta allo stato attuale di valutare il servizio pre-ruolo prestato nelle scuole non statali ai fini dell’avanzamento di carriera.

Questa facoltà resta circoscritta ai soli docenti in servizio nelle scuole pareggiate, altra cosa rispetto a quelle paritarie, come si dirà successivamente.

Il riconoscimento, invece, è concesso ai soli fini del punteggio delle graduatorie per gli aspiranti ad incarico.

Il terzo punto dell’argomentazione della Corte – decisamente il più importante – tocca il profilo giuridico di detti docenti.

Si sottolinea che le diverse modalità di assunzione rendono evidente la non omogeneità dello status tra docenti della scuola statale e docenti della scuola paritaria; e, quindi, che la comparabilità va

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3 esclusa qualora vengano in rilievo rapporti che si svolgano alle dipendenze di datori di lavoro diversi e che siano assoggettati ad una diversa disciplina quanto all’instaurazione ed alla gestione.

Concetto, anch’esso, già presente nella citata sentenza del Consiglio di Stato e nei suoi precedenti pronunciamenti; l’equivalenza dell’ordinamento tra scuola statale e scuola paritaria

non dà luogo all’equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre con la scuola paritaria, con quello instaurato in regime di pubblico impiego privatizzato. Lo status dei docenti pubblici è regolato dalle norme primarie e dai contratti collettivi di settore, che escludono la valicabilità del servizio svolto in scuole paritarie ai fini della mobilità.

D’altra parte, le norme che prevedono il riconoscimento di servizi pre-ruolo a fini giuridici ed economici devono ritenersi, in quanto attributive di benefici particolari, norme eccezionali e per ciò stesso non applicabili estensivamente o analogicamente (C.d.S., Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4382;

Sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2517; Cass. civ., 30 gennaio 2015, n. 1749).

Ne consegue che anche l'art. 2, comma 2, del d.l. 3 luglio 2001, n. 255, che consente la valutazione dei servizi d'insegnamento prestati nelle scuole paritarie ai fini dell’inserimento nelle graduatorie a esaurimento e dell’aggiornamento del relativo punteggio, deve ritenersi di stretta interpretazione (C.d.S., Sez. VI, 7 gennaio 2008, n. 6).

Dove si nega, come si legge, anche il mero riconoscimento ai soli fini della mobilità.

Sono posti i medesimi principi che abbiamo ritrovato nella sentenza più recente:

Come già affermato dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 9966 del 2017) nel sistema così delineato, la scuola statale e quella paritaria devono garantire i medesimi standard qualitativi.

Tuttavia, ciò non dà luogo all’equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre con la scuola paritaria, con quello instaurato in regime di pubblico impiego privatizzato, attesa la persistente non omogeneità dello status giuridico del personale docente, come si evince già dalla modalità di assunzione, che nel primo caso può avvenire al di fuori dei principi concorsuali di cui all’art. 97 Cost ...

E subito dopo, particolarmente interessante:

Sul punto è significativa la statuizione contenuta in Cass. n. 11595 del 6 giugno 2016, che ha affermato: “Va altresì rammentato che il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati (Corte Cost., sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, e che la medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale (Corte Cost., sentenza n. 178 del 2015): in particolare i principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della pubblica Amministrazione e l’esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato” (…) “D’altro canto la peculiarità del rapporto di lavoro pubblico, rinviene la sua origine storica, non solo nella natura pubblica del datore di lavoro, ma nella relazione che sussiste tra la prestazione lavorativa del dipendente pubblico e l’interesse generale, tutt’ora persistente anche in regime contrattualizzato”.

In buona sostanza, è nettamente evidenziata la differenza dello status docente tra coloro che lavorano nella scuola statale e coloro che invece lavorano nella scuola non statale, ancorché paritaria, e, insieme a questa, quella intercorrente tra scuola paritaria e scuola pareggiata, quest’ultima molto meno nota anche negli ambienti forensi come dimostrano i contenuti dei ricorsi.

La scuola pareggiata, sorta con il regio decreto n. 1054 del 06.05.1923, alla quale era riconosciuto un profilo non troppo dissimile dalla scuola statale, viene soppressa con il comma 7 dell’articolo 1/bis del decreto legge n. 250 del 05.12.2005 (convertito nella legge n. 27 del 03.02.2006).

E l’Amministrazione scolastica resta rigidamente ancorata alla lettera dell’articolo n. 485 del decreto legislativo n. 297 del 16.04.1994, dove si riconosce ai fini della ricostruzione della carriera il solo

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4 servizio reso presso le scuole pareggiate, ma estendendone l’applicazione (indebitamente, a parere della maggior parte dei giudici, abbiamo visto) anche al riconoscimento del servizio ai fini dell’inserimento in graduatoria e della mobilità.

4. Commento n. 1

Appare chiara la ratio che ha presieduto l’estensione dell’ordinanza della Corte di Cassazione.

Il riconoscimento del servizio prestato in scuola non statale paritaria è apprezzato in quanto periodo costituente un’esperienza professionale del tutto corrispondente ad equivalente servizio prestato nella scuola statale (identici gli ordinamenti, identica la prestazione docente, identico il valore del titolo di studio rilasciato).

Per ciò si ammette il suo riconoscimento ai fini dell’inserimento delle graduatorie, ma non così immediatamente anche nelle operazioni di mobilità.

Non è, al contrario, sicuramente valutato quanto a periodo costituente una “carriera” pregressa, viste le diverse – molto diverse – condizioni per le quali esso è avvenuto (assunzione, gestione).

Più chiaramente, si ha una differenza – sostanziale – tra un rapporto di lavoro instaurato nell’ambito del pubblico impiego e l’altro di natura prettamente privatistica.

Così a leggere il testo della Corte di Cassazione (ma anche del Consiglio di Stato).

E la Cassazione non è nuova a detta lettura; anche la sentenza n. 33134 del 16.12.2019, riprendendo la precedente sentenza di Corte d’Appello, affermava che

… la Corte d’Appello nel ritenere il carattere eccezionale del D.L. n. 370 del 1970, art. 2, ha fatto corretta applicazione del principio già enunciato da questa Corte (Cass., n. 1035 del 2014) secondo cui: il D.L. 19 giugno 1970, n. 370, art. 2, conv. in L. 26 luglio 1970, n. 576, riprodotto dal D.Lgs.

16 aprile 1994, n. 297, art. 485, che prevede, ai fini giuridici ed economici, il riconoscimento, a favore del personale docente delle scuole elementari, del periodo di insegnamento pre-ruolo prestato nelle scuole materne statali o comunali, attribuisce un beneficio, sicché, rivestendo carattere eccezionale, non è suscettibile di interpretazione analogica o estensiva con riguardo ai servizi prestati presso istituti infantili diversi da quelli statali o comunali.

Tutt’altro panorama è manifestato dalla giurisprudenza ordinaria (giudici del lavoro, nelle sentenze sopra riportate).

Qui le domande volte al riconoscimento del servizio prestato nelle scuole paritarie hanno trovato in generale più vasta accoglienza, sulla base della considerazione di fondo che non si hanno ragioni valide a trattare diversamente servizi che sono assimilabili per dignità e caratteristiche.

E diversi giudici del lavoro hanno riconosciuto ai docenti ricorrenti il diritto all’attribuzione del punteggio per il servizio prestato nella scuola paritaria sia ai fini della ricostruzione di carriera sia ai fini delle procedure di mobilità oltre all’aggiornamento delle graduatorie per aspiranti ad incarico.

Questo, a fronte della pervicace volontà dell’Amministrazione nell’ignorare in tutti i casi il servizio prestato nelle scuole paritarie, anche in relazione alla mobilità.

Ad esempio, l’ultima ordinanza sulla mobilità (n. 182 del 23.03.2020), alla Tabella D:

2) IL SERVIZIO PRE-RUOLO NELLE SCUOLE SECONDARIE È VALUTATO IN BASE ALLE NORME CHE REGOLANO IL RICONOSCIMENTO DEI SERVIZI DEL PERSONALE AMMINISTRATIVO, TECNICO ED AUSILIARIO AI FINI DELLA CARRIERA.

poiché:

il servizio prestato nelle scuole paritarie non è valutabile in quanto non riconoscibile ai fini della ricostruzione di carriera. È fatto salvo il riconoscimento del servizio prestato:

a) fino al 31.8.2008 nelle scuole paritarie primarie che abbiano mantenuto lo status di parificate congiuntamente a quello di paritarie

b) nelle scuole paritarie dell’infanzia comunali

c) nelle scuole secondarie pareggiate (art. 360 del T.U.).

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5 Si assimila la valutazione a fini di progressione di carriera con quella a fini di mobilità ed in difformità al disposto di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legge n. 255 del 03.07.2001 (convertito nella legge n. 333 del 20.08.2001): I servizi di insegnamento prestati dal 1° settembre 2000 nelle scuole paritarie sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali.

Atteggiamento che puntualmente si ripete, non si comprende se per ragioni di caparbietà derivanti da presunta abilità nell’ermeneutica dei testi di legge da parte dei dirigenti ministeriali, ovvero per sola convenienza pratica, derivante dalla minore fatica nella ricopiatura dei testi di circolari ed ordinanze degli anni precedenti senza la preoccupazione di aggiornarli.

Qualcosa del genere avviene, per esempio, anche per il riconoscimento del servizio militare, che il Ministero si ostina a non voler riconoscere nonostante le posizioni contrarie dei giudici e nonostante la disposizione chiara dell’articolo n. 485, comma 7, del decreto legislativo n. 297/1994 (Il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti); ma negli atti ministeriali (ordinanze o decreti) puntualmente da una decina d’anni continua a riproporsi sempre la disposizione del mancato riconoscimento del servizio di leva se prestato non in costanza di nomina.

Inutile aggiungere che si è sviluppata in merito una consistente produzione giurisprudenziale, dai Tribunali Amministrativi Regionali (ad esempio il T.A.R. per il Lazio, sentenza n. 6421/2008), al Consiglio di Stato (sez. VI, n. 4343 del 18.09.2015), oppure alla Corte di Cassazione (ordinanza n.

5679 del 02.03.2020).

Tutti concludentesi con la dichiarazione di illegittimità degli atti ministeriali.

Anche nel nostro caso in esame i ricorsi non si sono fatti attendere, chiedendo la disapplicazione delle Note Comuni alle Tabelle dei trasferimenti a domanda e d’ufficio, allegate ai CCNI per la mobilità e diverse corti si sono pronunciate in senso favorevole ai docenti ricorrenti, partendo dal presupposto che la legge n. 62/2000 ha operato una sostanziale equiparazione tra le scuole pubbliche e quelle paritarie.

Tra quelli citati al punto1:

Il Tribunale di Caltanissetta (2019):

non sono ravvisabili ragioni che consentano di escludere l’efficacia della suddetta disposizione legislativa rispetto alla formazione delle graduatorie di mobilità, limitandola per converso alla sola formazione delle graduatorie per l’assunzione del personale docente statale. Una interpretazione complessiva della normativa di riferimento, infatti, non può non condurre a ritenere che la ratio del legislatore sia quella di attuare una piena equiparazione tra scuole statali e paritarie.

Il Tribunale di Velletri (2019):

Ad avviso di questo giudice, (…) non è ammissibile una disparità di trattamento, ai fini della ricostruzione di carriera, tra docenti che hanno prestato attività lavorativa presso scuole statali e docenti che hanno prestato attività lavorativa presso scuole paritarie e/o pareggiate riconosciute.

La scelta del legislatore di parificare sostanzialmente le due suddette categorie di soggetti, pur essendo opinabile, appare inoltre rientrare nell’ambito della discrezionalità legislativa (cioè nell’alveo del potere di determinazione dell’indirizzo politico che viene esercitato anche tramite gli atti legislativi emanati dall’organo titolare della relativa potestà) e non travalicare i limiti di ragionevolezza a cui questa pure soggiace: pertanto l’amministrazione scolastica è tenuta ad adeguarsi alla scelta suddetta.

Il Tribunale di Frosinone (2019) cita espressamente quella che considera una presunta differenza tra scuole “paritarie” e scuole “pareggiate”: esprimendosi in questi termini:

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6 Non possono residuare dubbi quindi circa l’illegittimità (…) dell’interpretazione resa dal MIUR delle disposizioni in tema di ricostruzione della carriera, in relazione al riconoscimento dei servizi delle vecchie scuole secondarie “pareggiate” e non delle nuove paritarie. Peraltro, diversamente opinando, si perverrebbe ad una interpretazione della vigente normativa senz’altro contraria ai principi di uguaglianza e d’imparzialità della p.a. (artt. 3 e 97 Cost., oltre che la Clausola 4 dell’Accordo Quadro citato), non essendovi ragione per discriminare, ai fini della ricostruzione di carriera, tra servizi aventi per legge la medesima dignità e le medesime caratteristiche.

Orbene, in quest’ambito, il servizio prestato dai docenti presso scuole pareggiate non più esistenti – in tutto equiparato a quello reso presso le scuole statali – non può dubitarsi sia pienamente comparabile con quello prestato presso le attuali scuole paritarie, ai fini della ricostruzione della carriera, sicché deve ritenersi applicabile ai servizi prestati presso le scuole paritarie la medesima disciplina che era stata prevista per le scuole pareggiate e quelle statali.

Il Tribunale di Palermo (2019):

Non possono residuare dubbi quindi circa l’illegittimità (…) della contestata disposizione di CCNI che esclude qualsiasi attribuzione di punteggio, in sede di mobilità, per il servizio di insegnamento svolto negli istituti paritari. Peraltro, diversamente opinando, si perverrebbe ad un’interpretazione della vigente normativa senz’altro contraria ai principi di uguaglianza e d’imparzialità della p.a.

(artt. 3 e 97 Cost.), non essendovi ragione per discriminare, in sede di mobilità, tra servizi aventi per legge la medesima dignità e le medesime caratteristiche”.

Il Tribunale di Salerno (2020) spinge l’interpretazione della norma molto più avanti e riconosce al ricorrente il diritto al riconoscimento del servizio pre-ruolo ai fini della ricostruzione di carriera:

Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria […] il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, […], in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo,

ma ritiene che ciò possa trovare applicazione anche con riferimento alle scuole “paritarie”, in quanto la norma di riferimento (l’articolo n. 485 del decreto legislativo n. 297/1994) è stata formulata nel 1994, precedentemente quindi alla legge n. 62/2000, quindi in assenza di scuole “paritarie”.

E il Giudice, arditamente ma non del tutto arbitrariamente vista la incertezza del quadro normativo di riferimento, ritiene che quest’ultima norma ha di fatto ed inequivocabilmente sostituito la precedente classificazione che annoverava, tra le scuole non statali, quelle cosiddette “parificate” e quelle cosiddette “pareggiate”:

Nello specifico, la norma dell’art. 485 D.Lgs. n. 297/94 che faceva quindi, ed ancora oggi fa, uso della terminologia dell’epoca (1994) adottata per indicare gli istituti scolastici privati fatti oggetto di equiparazione giuridica a quelli statali, non può oggi non trovare applicazione con riferimento alle rinominate, ancorché più rigorosamente disciplinate, scuole paritarie.

E, pertanto, posto che l’art. 485 D.Lgs. n. 297/94 fa riferimento alle scuole paritarie, ai docenti che vantino periodi di pre ruolo entro simili scuole non potrà che essere riconosciuto il trattamento da tale norma contemplato.

Il Tribunale di Trieste (2020):

risulterebbe, del resto, del tutto irragionevole […] equiparare il servizio reso nelle scuole paritarie a quello svolto nelle scuole statali ai fini della progressione nelle graduatorie ad esaurimento – al fine, dunque, di ottenere l’immissione in ruolo nelle scuole statali […] – e non valutarlo, viceversa, nel contesto del medesimo quadro normativo di riferimento volto alla equiparazione dei due sistemi, ad altri fini, in assenza di previsioni che ostino a tale equiparazione”.

Argomentazione, quest’ultima, certamente non priva di ragionevolezza intrinseca, oltreché di equità giuridica.

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7 Il Consiglio di Stato, sezione VI, in sede giurisdizionale, sentenza n. 1102 del 05.02.2002, aveva avuto modo di affrontare l’argomento in una forma più puntuale, distinguendo i periodi posti alla valutazione quando questi fossero posteriori all’anno scolastico 2002/2003 ovvero precedenti.

Considerando il contenuto della citata legge n. 333 del 20.08.2001 (conversione in legge del decreto n. 255 del 03.07.2001), stabilisce che:

Quanto, invece, alla distinzione tra scuola pubblica e privata, l’articolo 2 del decreto legge in parola ha previsto che, a decorrere dall’anno scolastico 2002-2003, l’aggiornamento della graduatoria, con periodicità annuale, deve essere ispirato al principio della parificazione dei servizi prestati dal 1° settembre 2000 nelle scuole paritarie di cui alla legge 10 marzo 2000, n.62 a quelli prestati nelle scuole statali.

Ma subito dopo riconosce che in virtù dell’inesistenza, per il periodo previgente, di una norma ovvero di un principio che imponesse la valutazione in termini identici del servizio

allora

in assenza di un precetto legislativo di segno opposto, la clausola limitativa del peso del servizio presso un istituto privato, lungi dall’incidere sulla pari dignità degli insegnamenti, costituisce il precipitato logico del differente sistema di reclutamento, libero in ambito privato ed ispirato a criteri di procedimentalizzazione in sede pubblica.

In ciò il Consiglio non riscontrava un profilo di illegittimità costituzionale, poiché

la normativa sopravvenuta, laddove, nel sancire l’equiparazione per il servizio prestato dal mese di settembre dell’anno 2000, si è agganciata logicamente l’equiparazione al riconoscimento della parità scolastica, ai sensi dell’articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, in favore degli istituti richiedenti che posseggano i requisiti e si impegnino a dare attuazione alle prescrizioni volte ad assicurare i requisiti di qualità e di efficacia dell’offerta formativa. In definitiva la parificazione dei servizi costituisce logico corollario di una parificazione degli istituti privati a quelli pubblici sulla scorta di adeguati parametri atti a valutare l’omogeneità qualitativa dell’offerta formativa.

Per concludere – ma senza in verità concludere, anzi sottolineando l’evidente contraddizione dei pronunciamenti, anche quando questi siano stati assunti da organismi di rango superiore – citiamo la sentenza della Corte di Appello di Milano (n. 760 del 27.06.2016), che respingendo la precedente sentenza del Tribunale di Milano (dove le ragioni del MIUR erano state accolte e perciò avevano prodotto ricorso da parte dell’interessato) riconosce il diritto al riconoscimento del servizio prestato nella scuola non statale negli anni scolastici 1982/83 e 2000/2001 ai fini giuridici ed economici per la ricostruzione di carriera.

L’aspetto più singolare (anche inquietante) è costituito dal fatto che qui, richiamando una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 288 del 31.10.1986), si scopre che proprio questa (e addirittura nel lontano1986) aveva affrontato l’argomento.

Merita ricordarlo, visto che sembra passata inosservata dai più, facendo particolare attenzione alle date.

Sebbene la questione si riferisca al servizio prestato in scuole materne non statali regionali, i principi affermati sono decisamente estensibili a tutte le condizioni analoghe.

Ha origine con il diniego da parte del Provveditore agli studi di Oristano di negare il riconoscimento del servizio prestato presso le scuole materne regionali (gestite dall’ente E.s.ma.S) non trovandosi esplicita indicazione nelle norme, sebbene – affermava – queste presentassero caratteristiche di estrema vicinanza a quelle dei servizi di insegnamento in scuole materne statali e comunali (le quali ultime venivano invece interamente riconosciuti).

Il T.A.R. del Lazio (ordinanza in data 11.07.1983), sulla base di queste argomentazioni, poneva la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2, del decreto legge n. 370 del 19.07.1970.

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8 Il medesimo Tribunale, infatti, osservava che la norma vigente non consentiva una applicazione analogica o estensiva, ma che rivelava, semplicemente, una “dimenticanza” del legislatore, dal momento che le attività prestate in quel tipo di scuola risultavano (come dichiarato anche nella memoria del Ministero dell’istruzione) del tutto corrispondenti a quelle prestate nelle scuole statali.

Di qui il rinvio al pronunciamento di legittimità costituzionale a seguito di sospetti notevoli di contrasto con gli artt. 3 e 97 alla luce anche dell’art.116 Cost.

Del resto così si era pure espresso il Consiglio di Stato (parere n. 1628/1976 e n. 2997/1976; anche qui, notare le date!), il quale riteneva che il servizio prestato nelle scuole materne regionali, pur non espressamente contemplato nelle disposizioni, doveva essere comunque riconosciuto.

Ancora più stupefacente appare poi la Nota che lo stesso Ministero della pubblica istruzione inviava all’Avvocatura dello Stato in data ottobre 1981 (cioè ben due anni prima dell’ordinanza della Corte!), con la quale si sosteneva che non poteva essere più sostenibile, anche ai fini di giustizia sostanziale ... l’interpretazione restrittiva del decreto legge n. 370 del 1970, giacché occorreva ormai una interpretazione più ampia rispetto alla angusta interpretativa precedente, procedendo al riconoscimento dei servizi sostanzialmente identici, anche se non espressamente previsti dalla normativa.

Dove apprendiamo che già da quella data (1981), ben prima della storica trasformazione del sistema di istruzione pubblico nella distinzione tra scuola statale e scuola paritaria del 2000, il Ministero aveva pienamente colto tutti gli aspetti più incoerenti delle norme esistenti (evocando una giustizia sostanziale) e ne chiedeva la revisione e l’aggiornamento.

Si accoda la Corte di Appello di Milano riconoscendo che la conseguenza di tale sviluppo anche giurisprudenziale è stato che il servizio prestato dagli insegnanti di scuola materna presso enti diversi dallo Stato e dai Comuni ben può essere riconosciuto dal Ministero sempreché l’ente abbia carattere pubblico e sia soggetto alla vigilanza della competente amministrazione e che i servizi resi siano omogenei rispetto a quelli statali e comunali quanto a titolo di studio richiesto, durata degli anni scolastici, orari e programmi.

Per concludere senza dubbio:

la norma di cui all’art. 2 del d.l. 370/70 va applicata estensivamente nell’ottica di una lettura costituzionalmente orientata, volta a garantire parità di trattamento a situazioni uniformi.

Nota bene: il decreto legge citato (n. 370 del 19.06.1970, convertito in legge n. 576 del 26.07.1970) dispone il Riconoscimento del servizio prestato prima della nomina in ruolo dal personale insegnante e non insegnante delle scuole di istruzione elementare, secondaria e artistica, nei limiti che sono stati riferiti, secondo le tipologie di scuole allora esistenti (statali, parificate, sussidiate e sussidiate, pareggiate).

5. Commento n. 2

I punti precedenti hanno posto i seguenti aspetti:

a. rispetto al servizio:

1. la distinzione tra servizio prestato nella scuola non statale fino alla approvazione della legge di parità (2000) ovvero posteriormente;

2. la distinzione tra servizio prestato nelle scuole parificate/pareggiate e scuole paritarie;

3. la distinzione del riconoscimento del servizio prestato nella scuola non statale ai fini del punteggio per l’iscrizione nelle graduatorie per l’assunzione, nelle graduatorie per la mobilità, ai fini della ricostruzione di carriera

b. rispetto alle decisioni nelle sedi giudiziarie:

(9)

9 1. riconoscimento del servizio prestato nella scuola non statale (ma avente elementi atti a qualificarne il carattere pubblico) per tutte le occorrenze (graduatorie, mobilità, avanzamento di carriera);

2. riconoscimento del servizio prestato nella scuola non statale (ma avente elementi atti a qualificarne il carattere pubblico) solo per l’attribuzione di punteggi (graduatorie o mobilità);

3. rimessa della questione alla decisione della Corte Costituzionale.

Lasciamo ora da parte le considerazioni sulla validità di questo servizio ai vari fini; la riflessione si spinge ad un altro ordine di considerazioni, poiché in questa sede interessa un aspetto che nelle decisioni giudiziarie, e particolarmente in quella ultima della Corte di Cassazione, è più volte emerso.

Si tratta, cioè, della fondamentale distinzione tra lo status dei docenti della scuola statale e quello della scuola paritaria.

E non solo perché questi ultimi sono oggetto di differenti criteri e modalità di assunzione, a fronte di graduatorie e/o concorsi; ma anche – soprattutto – per la diversità sostanziale dei rispettivi datori di lavoro, che fa degli insegnanti delle scuole paritarie dei dipendenti, sì contrattualizzati, ma secondo contratti collettivi specifici declinati poi in contratti individuali non sempre del tutto omogenei, che disciplinano in modo affatto differente quanto all’instaurazione del rapporto di lavoro (si è detto), ma anche quanto alla sua gestione.

Questo secondo aspetto viene generalmente trascurato tanto nelle sedi istituzionali quanto nelle sedi sindacali, con la pretesta di estendere l’applicazione dei principi e delle regole poste per il personale docente della scuola statale, attraverso il rispettivo contratto collettivo nazionale, a quello della scuola paritaria.

In particolare è attribuito soprattutto alle organizzazioni sindacali di categoria la tentazione di includere il personale docente della scuola paritaria in alcune di queste categorie, nonostante la presenza di due tipologie differenti di status, come ampiamente riconosciuto degli organi giudicanti richiamati.

Una, tra tutte, la confusione sulla gestione dell’orario di servizio, nella quale si mescolano gli impegni derivanti dal contratto nazionale del personale docente dello Stato con le possibili forme di occupazione nella scuola paritaria.

Gli organi dell’Amministrazione, sotto la spinta forzata di dette organizzazioni sindacali, hanno più volte posto una equivalenza tra le due forme di impiego, trovando possibile – anzi, opportuno e in qualche caso doveroso – sommare l’orario di insegnamento prestato nella scuola statale con quello prestato nella scuola paritaria. Questo, attuando forme di “completamento” dell’orario obbligatorio, e nel passato anche forme di superamento di questo, poste al limite delle ventiquattro ore (facoltà ora soppressa in quanto ammessa esclusivamente nella sola sede di servizio del docente).

Leggiamo l’O.M. n. 60 del 2020, all’articolo 13, comma 21 (Conferimento delle supplenze brevi e temporanee); in particolare l’ultimo periodo:

Nel predetto limite orario, il completamento è conseguibile con più rapporti di lavoro a tempo determinato da svolgere in contemporaneità esclusivamente per insegnamenti per i quali risulti omogenea la prestazione dell’orario obbligatorio di insegnamento prevista per il corrispondente personale di ruolo. Per il personale docente della scuola secondaria il completamento dell’orario di cattedra può realizzarsi per tutte le classi di concorso, sia di primo che di secondo grado, sia cumulando ore appartenenti alla medesima classe di concorso sia con ore appartenenti a diverse classi di concorso, ma con il limite rispettivo di massimo tre sedi scolastiche e massimo due comuni, tenendo presente il criterio della facile raggiungibilità. Il predetto limite vale anche per la scuola dell’infanzia e primaria. Il completamento d’orario può realizzarsi, alle condizioni predette, anche tra scuole statali e non statali, con rispettiva ripartizione dei relativi oneri.

E ad un quesito posto sul medesimo problema in un sito web.

Mentre alla domanda è negata la facoltà richiesta:

(10)

10 È possibile raggiungere 24 ore, cumulando ore tra la scuola statale e la paritaria?

No, non è possibile.

L’orario, per tutti gli insegnanti in servizio nella scuola secondaria è di 18 ore, anche per chi insegna in più scuole

l’ulteriore precisazione cade nell’errore:

Il completamento orario può quindi realizzarsi, anche tra scuola statale e paritaria, fino al raggiungimento dell’orario obbligatorio di insegnamento previsto per il corrispondente personale di ruolo.

Si osservi l’espressione ambigua sopra riportata: il completamento è conseguibile con più rapporti di lavoro.

E’ una commistione del tutto indebita, attuata sulla sola base dell’equivalenza dell’attività didattica, ma ignorando tanto le differenti modalità di reclutamento quanto le possibili diverse articolazioni di svolgimento dell’attività, disposta, nel caso della scuola paritaria, dall’accordo contrattuale stipulato tra docente e gestore: questo potrebbe comprendere, per esempio anche altre forme di impegno professionale in prestazioni non di stretto insegnamento, nonché impegni ancora differenti per attività aggiuntive, come le riunioni collegiali o l’assunzione di altre competenze e responsabilità nella scuola (anche interventi mirati di recupero o di assistenza allo studio individuale, ecc.).

Si ignora, altresì, che la scuola paritaria può disporre di alternative nelle forme di assunzione, che vanno dal contratto a tempo indeterminato, a quello a tempo determinato, o a quello di collaborazione, ognuno dei quali ubbidisce a norme di legge non assimilabili a quelle previste invece per il personale dello Stato, per non richiamare le diverse esigenze in tema di obblighi contributivi ed altro.

Una equivalenza, insomma, impossibile e in ogni caso impropria.

Il cumulo dei due diversi impegni lavorativi, invece, deve essere visto esclusivamente alla luce delle norme e del regime di incompatibilità, secondo le possibilità, o gli impedimenti, che questo pone al docente della scuola statale in quanto dipendente, appunto, dallo Stato (come dipendente pubblico) e non certo sulla base di indebite estensioni del contratto nazionale di categoria del personale della scuola statale a quello della scuola paritaria.

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