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«1. Metodo e direttrici essenziali della riforma nella prospettiva costituzionale del C.S.M.

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Risoluzione sulla relazione della Commissione ministeriale per il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario.

(Delibera consiliare del 13 settembre 2016)

«1. Metodo e direttrici essenziali della riforma nella prospettiva costituzionale del C.S.M.

La relazione conclusiva dei lavori della Commissione è stata trasmessa a questo Consiglio con invito a fornire “un contributo di valutazioni e proposte”, nell’auspicata prospettiva di massima condivisione delle emergenti istanze di rinnovamento.

Questa metodica istituzionale, che vede i diversi soggetti ordinamentali, ciascuno entro i limiti delle rispettive prerogative e competenze, attenti al confronto ed alla leale collaborazione, è pienamente apprezzata ed anzi trova nel C.S.M., già da tempo, pieno e sicuro sostegno. Si è, infatti, convinti che la portata delle questioni che involgono l’universo giudiziario è oggi di tale complessità da imporre strategie d’intervento di natura sistemica, fondate sulla stretta sinergia tra le Istituzioni coinvolte, nella piena valorizzazione dell’autonomia di ciascuna e, insieme, nella consapevolezza della reciproca coessenzialità.

In tal senso, la ricchezza fornita dalle diverse visioni prospettiche sul fenomeno giustizia certamente contribuisce allo sviluppo di un progetto riformatore ancor più avveduto e perspicace.

Quanto all’orizzonte teleologico di riferimento, la Commissione ministeriale ha elaborato un complesso progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, avendo, come obiettivo primario, e pressoché assoluto, “l’efficienza complessiva del sistema”, come nitidamente chiarito nella Relazione iniziale. Nella strategia riformistica proposta, invero, “le esigenze di tempestività, prevedibilità ed efficacia” sono considerate gli obiettivi essenziali di un sistema in forte crisi.

In questa prospettiva, l’Organo di governo autonomo, tutore e promotore dell’autonomia e della indipendenza della magistratura, da tempo, ha dedicato una vigile e costante attenzione al tema dell’organizzazione e dell’efficienza del servizio giudiziario, secondo linee calibrate ed incisive. Ciò in quanto “vi è un rapporto sinergico tra indipendenza e autonomia della magistratura ed efficienza del servizio giudiziario. Sono valori consustanziali e l’uno alimenta e rafforza l’altro. L’inefficienza del servizio Giustizia rende residuali, puramente consolatori, i principi costituzionali; al contrario, una risposta efficace e tempestiva ai bisogni di tutela della collettività restituisce a quei valori la loro fondamentale pregnanza e concretezza” (delibera del 24 febbraio 2016).

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Da questo punto di vista, anche tenuto conto delle conclusioni raggiunte dalla Raccomandazione CM / Rec (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli stati membri sui giudici:

indipendenza, efficacia e responsabilità (adottata dal Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010, in occasione della 1098^ riunione dei Delegati dei Ministri), la valorizzazione dei fattori di accrescimento delle potenzialità del servizio costituisce una finalità encomiabile di qualsiasi disegno rinnovatore, purché lo si consideri quale obiettivo non fine a se stesso, ma strumentale e servente rispetto al senso ultimo della giurisdizione, cioè la tutela dei diritti.

E’ proprio in questa linea logica, del resto, che, tutta la politica consiliare è, da tempo, intesa a ricercare soluzioni culturali ed operative equilibrate, nelle quali si trovi soddisfatto un nesso di euritmia e consonanza tra strumenti di miglioramento organizzativo e puntelli di qualità e pregevolezza della giurisdizione.

2. Le proposte contenute nella Relazione

La Commissione ministeriale ha elaborato un documento che contiene numerose e significative proposte di modifica di una pluralità di istituti del diritto ordinamentale.

Il Consiglio offre qui prime essenziali riflessioni sulla relazione, essenzialmente riportando l’esito di percorsi di analisi già avviati ed alla luce di prassi applicative sperimentate.

Infatti, da un lato, la vastità dell’ambito tematico investito e la sua delicatezza richiederebbero i tempi propri di un esame particolareggiato ed approfondito; dall’altro lato, gli spunti di ragionamento che seguiranno, nella forma e nei contenuti, sono calibrati sulla circostanza che, in questa sede, ci si confronta con un percorso riformatore in progress, non ancora assurto a disegno di legge.

Ci si riserva, in caso di eventuale futura formulazione di un disegno di legge in materia, di rendere il prescritto parere, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 195/1958, con ogni più opportuno approfondimento.

2.1 Revisione della geografia giudiziaria

2.1.1. La commissione ministeriale ha concentrato le sue attenzioni sul possibile riordino degli uffici di secondo grado. Partendo dalla considerazione della mutata natura del giudizio di appello e della esistenza di un ammodernamento anche telematico dei servizi giudiziari, idonei oggi a rendere meno rilevante la prossimità territoriale del giudice con gli utenti, la

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commissione ha proposto una razionalizzazione della geografia giudiziaria dei distretti di corte d’appello, con un riequilibrio dei distretti tendenzialmente a base mono-regionale, a condizione che ciascun distretto sia dotato di requisiti dimensionali minimi e coerenti con un modello di efficienza ideale individuato sulla base dell’estensione territoriale, della popolazione amministrata, dell’indice delle sopravvenienze e dei carichi di lavoro. E’ stata, altresì, immaginata la possibilità della creazione di uffici di procura generale interdistrettuale, sulla base di ‘macroaree’; nonché un’ ulteriore riduzione degli uffici giudizi di primo grado.

Inoltre, sono ipotizzate la creazione di una ‘task force’ di magistrati destinati ad operare, anche in più uffici giudiziari contemporaneamente (ferma la distinzione funzionale tra requirenti e giudicanti), nei casi di necessità ed urgenza; una parziale riduzione con razionalizzazione organizzativa dei magistrati distrettuali giudicanti e requirenti al fine di recuperare i numerosi posti in pianta organica che, sin dalla loro istituzione, non hanno mai trovato copertura; una più efficiente modalità di utilizzo di tali magistrati distrettuali mediante l’assegnazione effettuata direttamente dal Consiglio giudiziario; la possibilità per il C.S.M. di costituire nuove sezioni specializzate di primo e secondo grado, a base distrettuale, su una o più materie.

2.1.2. Il Consiglio ritiene di esprimere una sostanziale condivisione sulla gran parte di tali proposte di riforma. In specie, quanto alle modifiche normative va segnalata la preferenza per il mantenimento, per gli organi giudiziari di secondo grado, di una corrispondenza tra uffici giudicanti e requirenti, e – così come già sostenuto dal C.S.M. con la delibera del 13 gennaio 2010 – “la corrispondenza fra tali uffici e il territorio regionale”: ciò senza trascurare quelle situazioni particolari che possano giustificare per un verso l’accorpamento di due distretti, per altro verso l’istituzione di più distretti per regione ovvero il mantenimento delle sezioni distaccate, in ragione delle specificità territoriali ovvero delle peculiarità delle compagini criminali.

Con riferimento alle modifiche più strettamente ordinamentali, se va vista con favore una modifica della disciplina relativa all’utilizzo dei magistrati distrettuali e la valorizzazione delle competenze del C.S.M. nella istituzione di nuove sezione specializzate negli uffici giudicanti di primo o di secondo grado, perplessità sorgono in relazione alla (invero, ancora genericamente delineata) figura dei magistrati della ‘task force’ da utilizzare contemporaneamente in più uffici, trattandosi di istituto che potrebbe mettere in discussione la valenza del principio costituzionale della inamovibilità dei magistrati.

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2.2 Organizzazione degli uffici del pubblico ministero

2.2.1. Le proposte, non approvate da tutti i componenti della Commissione ministeriale, incidono sui gangli nodali dell’assetto degli uffici requirenti, e concernono:

a) la previsione di provvedimenti organizzativi con i quali le figure apicali degli uffici requirenti stabiliscono criteri di organizzazione dell’ufficio; criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti e ai magistrati del proprio ufficio, individuando eventualmente settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati al cui coordinamento sia preposto un procuratore aggiunto o altro magistrato; tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica;

b) l’eliminazione della discrezionalità del procuratore capo nell’assegnare la delega al procuratore aggiunto o in sua mancanza, ad altro magistrato per la cura di specifici settori di affari;

c) l’innovazione del ruolo di coordinamento e vigilanza del Procuratore generale della Corte di cassazione, che, al fine di favorire l’adozione di criteri organizzativi omogenei e funzionali da parte dei procuratori della Repubblica e la diffusione di buone prassi negli uffici requirenti, è chiamato a coordinare periodiche riunioni tra i procuratori generali presso le Corti di appello all’esito delle quali vengono formulate linee guida organizzative da trasmettere al Consiglio superiore della magistratura per l’approvazione;

d) l’attribuzione al procuratore generale presso la Corte di appello, nell’ambito del potere di vigilanza, della facoltà di acquisire dati e richiedere notizie alla Procura della Repubblica, che è tenuta a rispondere tempestivamente.

Una particolare attenzione si incentra, poi, sul ruolo del pubblico ministero presso la Corte di cassazione, che si intende rivedere in funzione più propriamente nomofilattica.

2.2.2. Quanto al sistema organizzativo degli Uffici di Procura, da sempre, il Consiglio Superiore ha posto primaria attenzione a veder rispettate le garanzie costituzionali in tema di esercizio dell’azione penale.

In questa direzione, valga citare la Risoluzione del 12 luglio 2007 con cui il Consiglio superiore della magistratura, quale “vertice organizzativo” dell’Ordine giudiziario, ha rivendicato il compito di esercitare i propri poteri di indirizzo nei confronti dei titolari degli uffici di Procura quando, come nel caso della formazione del progetto organizzativo, sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali, nella

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consapevolezza che l’individuazione di alcune linee guida da parte del Consiglio costituisce uno strumento utile ad orientare i Procuratori nello svolgimento delle prerogative organizzative che la legge attribuisce loro; ad assicurare la tendenziale omogeneità a livello nazionale dei progetti organizzativi; a garantire l’adozione di sequenze procedimentali nella loro formazione che permettano il coinvolgimento preventivo di tutti i magistrati dell’Ufficio (nel rispetto dell’art. 107 Cost.); a prevenire squilibri e diseconomie nella gestione delle risorse, valorizzando in primo luogo le risultanze delle analisi dei flussi, a favorire positive relazioni all’interno dell’ufficio.

Il CSM riconosce che la scelta dei procuratori di impartire direttive e criteri generali, cioè linee di azione di carattere generale - ad esempio protocolli investigativi - costituisce una positiva modalità di esercizio della azione penale, così come, esclusa l’applicabilità del regime tabellare agli uffici di procura, sostiene che l’obbligo di comunicazione a sé dei progetti organizzativi adottati dai dirigenti degli uffici requirenti costituisce all’evidenza momento particolarmente significativo e rilevante. In tal senso, il Consiglio può, oltre a stabilire una opportuna interlocuzione con il Procuratore della Repubblica, intervenire per valutare l’azione organizzativa del Procuratore sotto il profilo di un giudizio sulla sua attitudine a svolgere un incarico dirigenziale o più in generale per valutare il suo profilo professionale, ed ancora può apprezzare il progetto organizzativo con riguardo agli artt. 97 e dell’art. 111 della Costituzione, per gli effetti che quel progetto può spiegare sul buon andamento della amministrazione e sulla durata ragionevole del processo. Ovviamente, l’adozione di siffatti modelli organizzativi da parte del Procuratore deve essere preceduta da momenti di dibattito e di coinvolgimento interno dell’intero ufficio, di modo che l’esercizio di siffatta prerogativa da parte dei Procuratori costituisca l’esito di un’attenta analisi dei flussi, con indicazione dei criteri prescelti per pervenire ad un efficace ed uniforme esercizio dell’azione penale alla luce delle risorse tecnologiche disponibili e delle risorse finanziarie di cui l’ufficio può avvalersi.

Con riguardo ai poteri del Procuratore presso la Corte distrettuale e la Corte di legittimità, ex art. 6 D.Lgs 106/2006 del Procuratore generale, il Consiglio superiore della magistratura si è recentemente espresso sia con la delibera del 16 marzo 2016, sia con la risposta a quesito del 20 aprile 2016, chiaramente escludendo un potere di coordinamento investigativo del Procuratore generale. Contestualmente, si è inteso il potere ex art. 6 D.Lgs 106/2006 come un potere di vigilanza di cui in concreto e nella prassi si è declinata una accezione positiva di ricognizione e di diffusione delle buone prassi, nonché di costante impulso e sollecitazione alla condivisione di comuni moduli organizzativi ed alla

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procedimentalizzazione della collaborazione fra uffici in alcuni settori strategici o in quelli che fisiologicamente esulano da competenze territoriali settoriali. Il generale dovere di collaborazione istituzionale fra le diverse autorità giudiziarie deve, dunque, declinarsi come uno spirito di coordinamento che, prima ancora che da disposizioni cogenti o di indirizzo, deve derivare naturalmente da una avanzata e matura cultura delle indagini che fa della collaborazione istituzionale e della ricerca di soluzioni condivise, uno dei degli elementi più nitidi della professionalità del pubblico ministero nel nostro ordinamento.

Da tanto il Consiglio ha dedotto che l’assetto normativo vigente non consente al Procuratore generale di svolgere una funzione di coordinamento investigativo, se non nei casi e con gli stretti limiti in cui tale funzione è prevista espressamente dalla legge (cit. art. 118 bis disp. att., dell’art. 372 co. 1 bis) in forma sussidiaria, organizzativa e in ultima analisi

“patologica” attraverso il potere di avocazione, ed in ogni caso attinente al rapporto interno fra uffici requirenti del Distretto. Il Consiglio ha, quindi, escluso un potere di direttiva esterna - rivolta agli organi di polizia giudiziaria ed a quelli amministrativi con poteri di accertamento - che abbia ad oggetto protocolli investigativi o linee guida per l’interpretazione delle norme che incidano sullo svolgimento delle indagini, essendo tale potere demandato esclusivamente al Procuratore della Repubblica nell’ambito del più generale potere di assicurare il corretto puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale nel circondario.

Al contrario, nell’esercizio delle proprie competenze di vigilanza sul corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale nei circondari del Distretto, il Consiglio ha affermato che il Procuratore generale presso la Corte d’appello ha invece il potere - dovere di richiedere informazioni, di riferire al Procuratore generale della Corte di cassazione sull’esito delle attività ex art. 6 svolte nel distretto, nonché un più generale potere – dovere di operare per favorire soluzioni condivise, attivandosi attraverso atti di impulso e di coordinamento volti a pervenire a tale positivo ed auspicabile risultato.

Ora, riscontrata la sensibile diversità dell’approccio e delle soluzioni offerte dalla Commissione ministeriale Vietti rispetto alla commissione Scotti, la proposta qui in esame non persuade circa la creazione di un rapporto piuttosto rigido di coordinamento e vigilanza all’interno dell’asse requirente, tra Procuratore generale della Corte di cassazione, Procuratori generali presso le Corti d’appello e Procuratori della Repubblica; trattasi, infatti, di riforma che, senza fornire reali vantaggi funzionali al sistema, finirebbe per comprimere gli spazi di autonomia e responsabilità di ciascun capo dell’ufficio, dei singoli magistrati e dello stesso Organo di governo autonomo e che, dilatando ancora di più lo iato tra sistema tabellare degli uffici giudicanti e organizzazione degli uffici requirenti, acuirebbe in modo irrimediabile la

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distanza, già oggi assai consistente, fra magistrati del pubblico ministero e giudici nel modo di declinare la professione magistratuale (come dimostra la sempre minore osmosi fra le due tipologie di uffici).

Tra le possibili soluzioni prospettate si conferma preferibile l’opzione, adottata dalla Commissione Scotti, che restituisce al governo autonomo uno spazio di “tabellarizzazione lieve” che rappresenta un corretto punto di equilibrio tra l’esigenza di tenere in debito conto le caratteristiche peculiari e specifiche degli uffici requirenti – che necessitano di spazi di discrezionalità organizzativa e di intervento flessibile, necessari al Procuratore per assicurare il corretto puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale – e quella di assicurare un opportuno controllo sulle scelte organizzative, a cui tutti gli uffici giudiziari devono essere sottoposti.

In ordine, poi, al ruolo del pubblico ministero presso la Corte di cassazione, che si intende rivedere in funzione più propriamente nomofilattica, il Consiglio ha più volte affermato che la partecipazione della Procura generale alle udienze civili innanzi alle sezioni semplici è da rendersi facoltativa e, comunque, da esprimersi in forma scritta, con sintetiche relazioni. Resta, invece, salvo il contributo della Procura generale ai lavori delle Sezioni Unite, che, secondo i precedenti consiliari, può continuare ad essere svolto more solito.

In ogni caso, e per concludere sul punto, sulla complessa tematica dell’organizzazione delle Procure, preso atto degli spazi lasciati all’intervento consiliare dalla Carta costituzionale e dalla più recente riforma dell’ordinamento giudiziario, il CSM già da tempo si è fatto carico, nell’ambito delle proprie prerogative e competenze, di definire ed esercitare misure di propulsione, coordinamento e riscontro delle modalità di esercizio poteri organizzativi dei procuratori della Repubblica. Proprio, anzi, nella logica di una continua verifica dei più adeguati strumenti ordinamentali, è stato costituito presso la Settima Commissione referente un Gruppo di lavoro dedicato a questo tema, che è in procinto di concludere i propri lavori di studio ed elaborazione.

2.3 Accesso in magistratura

2.3.1. La commissione ministeriale ha affrontato le tre problematiche di seguito enumerate, nascenti dall’attuale disciplina dell’accesso in magistratura, strutturato come concorso di secondo grado:

a) eccessivo innalzamento dell'età media di coloro che superano l’esame, fattore implicante ricadute di non poco momento di natura previdenziale;

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b) difficoltà, per l’Amministrazione, di organizzare le prove d’esame (dovendosi gestire un numero di candidati sempre crescente) e, per le commissioni, di sostenere un impegno assai gravoso in termini temporali (dovendosi correggere un numero elevatissimo di elaborati scritti e partecipare, all’esito, alle prove orali);

c) strutturazione delle prove d’esame in chiave eminentemente teorica.

La prima problematica è stata risolta prevedendo, per i laureati più brillanti (ossia per quelli che hanno riportato una media di almeno 28/30 nelle materie qualificanti e un voto complessivo finale non inferiore a 108/110), un canale di accesso più veloce.

La seconda problematica, invece, è stata risolta, ipotizzando una sostanziale riforma delle scuole di specializzazione per le professioni legali (allo stato disciplinate dall’articolo 16 D.L.vo 398/97).

La terza problematica, infine, è stata risolta introducendo, tra le prove scritte, una prova di carattere pratico (da sorteggiarsi, per ogni concorso, tra le tre materie previste), costituita, in specie, dalla redazione di una sentenza.

2.3.2. Il Consiglio, nel riservare una valutazione più dettagliata sulla eventuale proposta di riforma delle scuole di specializzazione, manifesta condivisione verso modifiche normative finalizzate a favorire un allargamento della ‘platea’ dei partecipanti al concorso in magistratura, attraverso la previsione di meccanismi che, in relazione ad una più o meno ampia fascia di laureati più meritevoli, restituisca all’esame le caratteristiche di un concorso di primo grado.

Quanto alla previsione di una possibile introduzione di una prova pratica consistente nella redazione di una sentenza da affiancare ai tre elaborati teorici vertenti su diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo, il Consiglio manifesta dubbi su una siffatta ipotesi di riforma: e ciò sia perché le scuole di preparazione al concorso hanno finora mostrato una qual certa incapacità a fornire gli strumenti per affrontare una prova così particolare, qual è quella della stesura della motivazione di una sentenza; sia anche perché l’introduzione di una quarta prova di esame appare in controtendenza rispetto all’esigenza, pure segnalata dalla commissione ministeriale, di fare fronte alle difficoltà per le commissioni di dover correggere un elevatissimo numero di elaborati.

2.4 Tirocinio e prima assegnazione di funzioni ai m.o.t.

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2.4.1. La commissione ministeriale, tenendo conto delle segnalazioni provenienti dai m.o.t., che lamentano sistematicamente il carattere eccessivamente teorico della formazione loro riservata, ha valutato squilibrata la distribuzione temporale tra il periodo di formazione teorica presso la sede della Scuola Superiore della Magistratura (della durata di 6 mesi) e il periodo di formazione pratica presso gli uffici giudiziari (della durata di 12 mesi).

Conseguentemente, ha proposto la modifica dell’art. 18 D.L.vo 26 del 2006, mediante l’allungamento a 15 mesi del periodo di tirocinio presso gli uffici giudiziari e la correlativa contrazione a 3 mesi del periodo di formazione presso la Scuola Superiore della Magistratura.

Inoltre, alla luce delle modifiche introdotte dall’art. l L. 187/2011 (norma che ha fatto venir meno il divieto di assegnare ai m.o.t. funzioni requirenti), la Commissione, in ragione della sua sostanziale incoerenza e delle negative conseguenze determinate sul piano organizzativo (soprattutto nelle sedi disagiate), ha proposto l’eliminazione della norma (contenuta nell’art.

13, 2° comma, 1° periodo, D.L.vo 160/2006) che impedisce l’assegnazione ai m.o.t. di funzioni penali monocratiche.

2.4.2. Le due soluzioni contenute nella ipotesi di riforma appaiono, ad avviso del Consiglio Superiore della Magistratura, pienamente condivisibili.

Le stesse risultano, infatti, coerenti con le indicazioni in precedenza elaborate in altrettanti provvedimenti consiliari.

In particolare, la prima risponde ai bisogni già rassegnati dal Consiglio nella sua proposta del 2 luglio 2014 concernente il tirocinio dei magistrati, nella quale venne sottolineata l’esigenza di introdurre correttivi alla previgente disciplina “riconoscendo uno spazio maggiore alla sessione presso gli Uffici giudiziari (e) riequilibrando la proporzione originariamente prevista dal legislatore del 2006 rispetto alla sessione presso la Scuola”.

Con riferimento al secondo punto è sufficiente rammentare che il Consiglio Superiore della Magistratura, nella delibera consiliare del 16 luglio 2015, attinente a “parere e proposta al Ministro della Giustizia, ai sensi dell’art. 10, 2° comma, L. 195/1958, sulle disposizioni in materia di organizzazione degli uffici giudiziari e di Giustizia, oggetto del procedimento di conversione in legge del decreto 27 giugno 2015, n. 83, all’esame della Camera dei Deputati”, ha già posto in rilievo che la specifica disposizione normativa, residuo di un filone legislativo più ampio che, per la ritenuta inadeguatezza del magistrato agli esordi a svolgere funzioni monocratiche incidenti sui diritti di libertà personale, aveva inteso impedire l’impiego di tali magistrati negli uffici di procura o del settore penale del tribunale, si è rivelata immediatamente irrazionale a livello ordinamentale e foriera di notevoli disfunzioni

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organizzative e per questi motivi già in gran parte smantellato. Ciò perché le funzioni per cui vige il divieto di assegnazione ai M.O.T. vengono sovente esercitate da giudici onorari, portatori di una formazione di gran lunga minore di quella dei giovani magistrati.

D’altro canto, il Consiglio ha altresì evidenziato che la norma di divieto in questione incrementa il turn over interno, in quanto, come è facile percepire, il magistrato di prima nomina sarà destinato al settore civile e poi, acquisita la prima valutazione di professionalità, immediatamente dirottato al monocratico penale, sostituito da un altro giovane magistrato in arrivo. Dunque con una sola norma di divieto, si creano problemi sia nel settore penale che in quello civile.

Il Consiglio auspicava perciò il definitivo superamento dei vincoli in questione.

2.5 Mobilità

2.5.1 In materia di mobilità del personale di magistratura la Commissione ministeriale propone in primo luogo la modifica dell’art. 194 O.G. allo scopo di eliminare ogni residuo dubbio interpretativo in ordine all’ambito di applicazione del limite alla legittimazione dei magistrati al trasferimento derivante dalla durata minima della permanenza nel posto ricoperto stabilita dalla norma. La modifica intende stabilire definitivamente che detto vincolo di legittimazione si applica ad ogni tipo di trasferimento, per il conferimento di qualsiasi incarico giurisdizionale, anche direttivo e semidirettivo, anche ufficioso o altrimenti speciale.

Per realizzare tale obbiettivo si propone di espungere dal testo la locuzione “sede da lui chiesta”, che ha talvolta indotto il giudice amministrativo a ritenere che la norma non potesse essere applicata in relazione ai trasferimenti non dipendenti da domanda dell’interessato, o comunque d’ufficio.

Tale intervento chiarificatore, renderebbe così superfluo l’art. 35 del d.l. 9 febbraio 2012 n. 5 che era teso a perseguire in via di interpretazione autentica il medesimo obbiettivo, ma non aveva superato in sede giurisprudenziale i dubbi derivanti dalla permanenza nella norma interpretata della locuzione che oggi si vuole espungere.

La commissione propone inoltre l’ampliamento del termine di permanenza nel posto ricoperto ai fini della legittimazione al trasferimento da tre a quattro anni.

Nell’art. 194 o.g. verrebbe inoltre incorporata l’ulteriore eccezione alla regola della permanenza minima, consistente nella riduzione del termine di legittimazione ad un solo anno, per i soli incarichi apicali e direttivi presso la Corte di cassazione ed il Tribunale superiore della Acque Pubbliche.

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La relazione della commissione si occupa inoltre del tema degli incentivi alla copertura delle sedi disagiate, di cui alla disciplina della legge 1998 n. 133.

Ulteriore previsione proposta in materia di mobilità è quella relativa all’integrazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 160 del 2006, che stabilisce la temporaneità delle funzioni giurisdizionali. Ribadita la utilità ed opportunità di tale principio la Commissione intende estenderlo anche alle funzioni specializzate cui finora non era ritenuto applicabile.

Allo scopo di limitare le difficoltà di continuità funzionale negli uffici interessati da trasferimenti di magistrati, in uscita ed in entrata, è proposta la modifica dell’art. articolo 10 bis del R.D. n. 12 del 1941. La norma è relativa all’esecuzione dei trasferimenti per mobilità ordinaria. La commissione ministeriale ne propone l’integrazione con l’inserimento della previsione della obbligatoria contemporaneità degli spostamenti relativi a ciascun ufficio, stabilendo che tutti i magistrati trasferiti con la medesima procedura prendano possesso contestualmente. La periodicità biannuale della procedura di trasferimento, oggi prevista quale vincolo tendenziale, diventa obbligatoria, con l’espunzione della locuzione “di regola”

dal primo comma dell’art. 10 bis. Infine, si mitiga la previsione dell’unicità del decreto ministeriale di trasferimento di tutti i magistrati che abbiano partecipato alla medesima procedura – stabilito al comma 2 -, stabilendo, per ragionevoli considerazioni di funzionalità della macchina amministrativa, che tale decreto possa essere emesso anche quando siano coperti i due terzi dei posti banditi, per evitare che le eventuali difficoltà nell’assegnazione di uno o di pochi posti possa impedire la definizione di tutti gli altri.

La Commissione ipotizza anche la modifica dell’art. 110 dell’ordinamento giudiziario – R.D. 12/41 -, che disciplina le applicazioni dei magistrati, allo scopo di rendere l’istituto più articolato, flessibile ed efficiente.

2.5.2 Con riferimento alla modifica dell’art. 194 O.G. la proposta corrisponde perfettamente alle posizioni assunte dall’organo di governo della magistratura che ormai in maniera stabile e consolidata, sin da prima dell’entrata in vigore della norma interpretativa da ultimo citata, ha ritenuto che il vincolo di permanenza minima debba applicarsi ad ogni tipologia di trasferimento (cfr. a titolo di esempio risposta a quesito 30 maggio 2012) . Tale indirizzo interpretativo ha spesso però incontrato resistenza in sede giurisdizionale.

Con riguardo all’ampliamento del termine di permanenza nel posto ricoperto ai fini della legittimazione al trasferimento da tre a quattro anni ed alla ulteriore eccezione alla regola della permanenza minima, consistente nella riduzione del termine di legittimazione ad un solo anno, per i soli incarichi apicali e direttivi presso la Corte di cassazione ed il

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Tribunale superiore della Acque Pubbliche, il CSM ha, nel tempo, tenuto posizioni articolate.

In numerose occasioni, prima della modifica normativa del 2012 – quando la norma prevedeva quali uniche eccezioni all’applicazione dell’art. 194 gli incarichi di presidenti e procuratori generali di Corte d’appello - aveva sostenuto l’interpretazione restrittiva e tassativa delle deroghe al vincolo di permanenza minima. Con la delibera 12 gennaio 2011 ha in generale affermato la possibilità di rinvenire posizioni equiparate a quelle direttive di secondo grado, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 195 O.G., in quelle di: primo presidente della Corte di cassazione, procuratore generale presso la Corte di cassazione, presidente aggiunto della Corte di cassazione, presidente del Tribunale Superiore della Acque pubbliche, procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione, presidente di sezione presso la Corte di cassazione, avvocato generale presso la Corte di cassazione . Tale interpretazione è stata recepita nella modifica realizzata con il d.l. n. 5 del 2012

Con riguardo al tema degli incentivi alla copertura delle sedi disagiate, si devono richiamare le molteplici occasioni in cui il Consiglio superiore ha invocato la necessità, preliminare ad ogni ricerca di soluzioni di specie su specifici aspetti in materia di mobilità dei magistrati, che sia realizzata la effettiva copertura degli organici degli uffici giudiziari. Tale lacuna rende inevitabilmente parziale la valutazione sui singoli istituti di mobilità straordinaria che, inevitabilmente, perdono la loro natura di rimedi eccezionali destinati a rimediare a patologiche e contingenti vacanze, divenendo strumenti di gestione ordinaria di una consolidata – straordinaria e crescente – scarsità delle risorse.

Con riferimento, poi, alla proposta di integrazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 160 del 2006, e della relativa estensione anche alle funzioni specializzate, cui finora non era ritenuto applicabile, il C.S.M. si è pronunciato con la delibera del 13 marzo 2008, escludendone la applicabilità, tra gli altri, gli uffici specializzati in materia di sorveglianza, del lavoro e minorile. In tale delibera l’organo di governo autonomo ha cercato di dare ragionata ed equilibrata interpretazione della limitazione della permanenza negli incarichi giudiziari imposta dal legislatore, escludendone l’applicazione negli uffici di dimensioni molto ridotte, ed in quelli di natura specializzata, nei quali le dimensioni degli uffici e la omogeneità della materia impediscono di realizzare una effettività mobilità interna. Il Consiglio ha inoltre stabilito che quando il limite è applicabile in relazione alla specifica posizione tabellare, ed esso è stato raggiunto, la permanenza del magistrato all’interno del medesimo ufficio o della stessa sezione può essere consentita purchè egli sia assegnato ad altro ruolo, che tratti materie diverse rispetto a quelle trattate in precedenza, in misura almeno del 60% del carico (cfr. tra i tanti, risposta a quesito 1 giugno 2016).

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Con riguardo, da ultimo, alla proposta di modifica dell’art. articolo 10 bis del R.D. n.

12 del 1941 deve rilevarsi che la norma è stata introdotta con il d.l. 132 del 2014, ed il suo contenuto è stato esaminato nel parere reso dal Consiglio ai sensi dell’art. 10 l. 195/58 con delibera 9 ottobre 2014 nell’ambito del quale si pone in rilievo che il Consiglio Superiore della Magistratura è affidatario delle competenze di governo del personale magistratuale, che esercita in maniera discrezionale proprio allo scopo di individuare in ciascuna vicenda procedimentale la soluzione più funzionale per la definizione del caso concreto, in ragione dei diversi possibili interessi rilevanti nella specie. In tale prospettiva, non può non osservarsi che interventi normativi che impongano all’Organo di governo autonomo scelte procedimentali e tempi di definizione rigidi e predeterminati in maniera astratta, rischiano di privare l’organo di quella opportuna flessibilità dei moduli operativi talvolta necessaria per declinare in ciascun caso l’esercizio del potere nelle forme più adeguate all’effettivo perseguimento degli interessi sostanziali in gioco. Così, previsioni quali quelle della obbligatorietà delle cadenze concorsuali o della contestualità della presa di possesso negli uffici di nuova destinazione costituiscono vincoli formali, astratti e rigidi che possono nuocere alle esigenze di funzionalità che intendono perseguire. Non può farsi a meno di notare, innanzitutto, che i problemi di copertura degli organici nelle sedi meno ambite – cioè, soprattutto, negli uffici di primo grado – discendono dall’ormai endemico divario, stabilmente superiore alla doppia cifra percentuale, tra l’organico della magistratura ed i magistrati effettivamente in servizio, divario che, ferma restando la dimensione degli organici, può essere colmato solo nel medio termine (dati i tempi necessari per l’espletamento dei concorsi) ed attraverso l’indizione di concorsi per un congruo numero di M.O.T. Nella presente situazione di elevata scopertura dei ruoli dei magistrati, ad esempio, imporre una elevata frequenza delle procedure di trasferimento avrebbe l’effetto di aggravare la scopertura delle sedi meno ambite di primo grado, con il prevedibile trasferimento dei magistrati che le occupano a posti di maggiore gradimento. Se in una condizione di auspicabile limitazione delle vacanze negli uffici a percentuali fisiologicamente esigue potrebbe ravvisarsi l’opportunità di una mobilità costante, fino a quando sussisterà una condizione di straordinaria limitatezza delle risorse appare molto più opportuno affidare al Consiglio la scelta dei tempi con cui procedere all’avvio di nuove procedure di trasferimento, consentendogli di governare – nei limiti del possibile – i flussi nella direzione di minore impatto sulla funzionalità degli uffici, già pesantemente gravata.

Con riferimento, infine, alla modifica dell’art. 110 dell’ordinamento giudiziario – R.D.

12/41 -, che disciplina le applicazioni dei magistrati, deve osservarsi che il Consiglio superiore ha da tempo elaborato una serie di regole e criteri direttivi generali, in attuazione

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dello specifico compito assegnatogli dalla norma nel testo vigente, finalizzati a perseguire gli obbiettivi di funzionalità degli uffici, in un contesto che tenga conto della situazione generale degli organici e dei carichi di lavoro uffici, garantendo le prerogative individuali dei singoli magistrati. Tali regole, dettagliate e analitiche, frutto della approfondita e risalente riflessione provocata dalla esperienza consiliare, sono oggi contenute nella specifica ed ampia Circolare sulle applicazioni e supplenze negli uffici giudiziari, tabelle infradistrettuali e magistrati distrettuali, n. P. n. 19197 del 27 luglio 2011 e successive modifiche. La scelta di eliminare il potere di indirizzo e vincolo preventivo sulla materia dell’organo di governo autonomo, rischia di lasciare il campo ad iniziative dei capi degli uffici eterogenee sul territorio nazionale e comunque viziate dalla inevitabile limitatezza del punto di vista, al di fuori di ogni programmazione di governo generale del fenomeno – e di omogeneità applicativa - che solo il Consiglio può attuare. Né a tale lacuna può supplire la delibazione successiva delle misure che, per i tempi burocratici inevitabili del procedimento, non potrebbe che riferirsi a situazione ormai esaurite.

Da ultimo, la commissione propone alcune modifiche sulle modalità del ricollocamento in ruolo dei magistrati. In particolare, si prevede l’applicazione della preclusione geografica prevista dall’art. 50 del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160 per il caso di cessato esercizio di una “funzione elettiva extragiudiziaria” anche all’ipotesi del ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano partecipato, senza successo, ad una competizione elettorale politica a livello territoriale, nazionale o sovranazionale, nonché l’ampliamento di quella preclusione alle sedi site in un distretto limitrofo a quello in cui si trovava la sede giudiziaria di provenienza, nonché l’applicazione della nuova disciplina anche ai magistrati che abbiano assunto incarichi di governo nazionale o presso enti locali. Per quanto la proposta appaia apprezzabile nelle sue finalità non può sottacersi che la fissazione di limiti geografici – territoriali all’esercizio della giurisdizione da parte di chi, cessato il mandato elettivo torni ad esercitare funzioni giurisdizionali, si è dimostrata inidonea ad evitare la perdita, quantomeno sotto il profilo dell’apparenza, dell’indipendenza e dell’imparzialità dell’ordine giudiziario. Sarebbe preferibile, quindi, un intervento normativo volto ad introdurre una disciplina differenziata per l’ipotesi del magistrato candidato eletto o che abbia assunto incarichi di governo nazionali o presso enti locali e quella del magistrato candidato non eletto. Segnatamente, si potrebbe prevedere per la prima ipotesi un divieto di ricollocamento in ruolo alla scadenza del mandato elettivo o dell'incarico di governo ed il passaggio del magistrato nell’organico dell’avvocatura dello Stato o in ruoli dirigenziali di altre amministrazioni. Per la seconda, invece, il ricollocamento in ruolo del magistrato in

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circondari o distretti diversi, per almeno cinque anni, da quelli di candidatura, con destinazione dello stesso all’esercizio di funzioni giudicanti collegiali.

Possono essere favorevolmente apprezzate, invece, le modifiche ipotizzate sulla tempistica dei ricollocamenti in ruolo mediante l’inserimento nell’art. 50 del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160, di un nuovo comma 1 bis. Allo stato, infatti, i tempi tecnici di espletamento delle procedure di ricollocamento in ruolo del magistrato proveniente da incarichi cessati o scaduti comportano, more solito, un periodo in cui il magistrato non ha un ufficio di riferimento ove svolgere la propria attività lavorativa.

2.6 Conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi

2.6.1 La Commissione, con riguardo alla materia del conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, propone in primo luogo il recepimento a livello di legislazione primaria, dei principi di disciplina formale e sostanziale del procedimento e delle regole con cui gli incarichi in questione vengono assegnati ai magistrati, che sono allo stato contenuti nella disciplina secondaria.

L’ipotizzato articolato normativo conterrebbe in primo luogo la descrizione della successione provvedimentale, e degli organi competenti (deliberazione del C.S.M., decreto del Presidente della Repubblica per il conferimento di incarichi direttivi, decreto ministeriale per quelli semidirettivi). Sancirebbe e circoscriverebbe l’onere motivazionale collegato alla scelta, specificando che la comparazione tra i candidati deve avvenire in maniera unitaria e sintetica, e deve contenere soltanto l’indicazione specifica delle ragioni di preferenza per il candidato prescelto. Sono inoltre precisati i requisiti professionali indispensabili in via preliminare - indipendenza ed imparzialità nell’esercizio delle funzioni – ed i parametri per la valutazione, consistenti in merito professionale ed attitudini direttive; nessun rilievo è attribuito al criterio dell’anzianità.

La norma proposta prosegue poi ai commi 2 e 3 nella definizione di alcuni indicatori rilevanti ai fini dell’accertamento delle attitudini e del merito. Tali indicazioni sono conformi sia alla legislazione vigente – art. 12 commi, 10 e 12 D.Lgs. n. 160 del 2006 - sia alla normativa secondaria consiliare – in particolare al Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria.

La norma, nel testo proposto, non chiarisce quale sarebbe il suo rapporto con le disposizioni legislative già vigenti nella medesima materia, in particolare l’art. 12 d.l.g.vo 160/2006.

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Come si è già detto, le disposizioni proposte, stabiliscono principi generali del tutto corrispondenti a quelli vigenti, che necessitano integrazione di dettaglio ad opera della regolamentazione consiliare. Tale regolamentazione, allo stato costituita dal Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria del 2015, è perfettamente coerente con essi, e non necessiterebbe alcuna modifica od integrazione a seguito dell’eventuale approvazione della proposta legislativa.

Ulteriore innovazione proposta in materia di conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, è la previsione, inserita negli artt. 45 e 46 del D.Lgs. n. 160/2006, della possibilità di anticipare la procedura di conferma nell’incarico, e quindi di valutazione dell’operato del dirigente, rispetto al periodo fisso di quattro anni stabilito dalla normativa oggi vigente.

Tale istituto ovvierebbe alla impossibilità attuale di verificare l’adeguatezza della gestione fino allo scadere del primo quadriennio.

2.6.2. Il Consiglio superiore ha in passato avvertito la mancanza di uno strumento che consentisse di intervenire immediatamente, anche nel corso del quadriennio, ove l’esercizio in concreto dell’incarico direttivo o semidirettivo non si dimostrasse corrispondente alle aspettative di adeguatezza attitudinale formulate al momento della nomina.

Per tale motivo, in sede consiliare, è stato avviato un approfondimento sul tema, con richiesta di parere all’Ufficio Studi sul punto.

Il parere n. 25 del 2014 dell’Ufficio Studi si è espresso nel senso dell’impossibilità, a legislazione vigente, di ipotizzare la revoca dell’incarico di direzione prima della scadenza del termine previsto dalla legge.

Sono quindi state aperte delle pratiche finalizzate a promuovere una richiesta al ministro di modifica legislativa in tal senso in V Commissione (n. prat 76/2013) ed in VI commissione (prat. Num. 118/2013).

La prima di dette pratiche risulta tuttora pendente all’ordine del giorno della commissione. La seconda risulta essere stata archiviata dalla commissione consiliare in data 15 settembre 2015.

La proposta della commissione ministeriale si muove nella stessa direzione, proponendo però, invece di un autonomo procedimento di revoca, la anticipazione della procedura di conferma.

Tale scelta procedurale, tuttavia, introduce qualche incertezza in ordine al computo della durata dell’incarico nel caso in cui la conferma, anticipata, abbia esito positivo.

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Posto che il primo comma degli artt. 45 e 46 stabiliscono la regola generale per cui l’esercizio delle funzioni direttive o semidirettive può durare per un periodo di quattro anni a seguito della conferma, potrebbe sorgere il dubbio che in quel caso al magistrato anticipatamente confermato residui soltanto il secondo quadriennio, perdendo in maniera irrimediabile la porzione del primo non espletata.

Tale soluzione sarebbe a forte rischio di illegittimità ove le perplessità sull’adeguatezza attitudinale che avevano provocato l’intervento si siano rivelate infondate.

Alternativamente si potrebbe pensare di procedere ad una ulteriore conferma, alla scadenza naturale del primo quadriennio. Si perverrebbe però così ad un computo complessivo di due conferme in altrettanti quadrienni, non previsto dalla legge e, probabilmente, sovrabbondante.

Sarebbe quindi stato più opportuno, forse, utilizzare per l’intervento anticipato di verifica dell’attività direttiva utilizzare il diverso strumento della revoca, piuttosto che la conferma tipizzata in maniera piuttosto rigorosa dalla norma.

La procedura di nuova istituzione potrebbe trovare luogo ogni volta che nell’ufficio di appartenenza si evidenzino gravi disfunzioni organizzative addebitabili al dirigente.

Detta procedura potrebbe essere avviata dal C.S.M., su conforme parere del Consiglio giudiziario, previa comunicazione all’interessato; e dovrebbe concludersi in tre mesi.

L’eventuale mancata conferma farebbe decadere immediatamente l’interessato dall’incarico direttivo o semidirettivo.

Inoltre, si stabilirebbe una valutazione del dirigente all’esito del quadriennio, anche nel caso in cui non richieda la conferma nell’incarico.

Per impedire prolungate soluzioni di continuità nella direzione degli uffici, la norma proposta prevederebbe inoltre che alla scadenza del proprio incarico direttivo o semidirettivo il magistrato rimane nell’esercizio dello stesso fino alla presa di possesso del nuovo titolare.

2.7 Parametri per l'istituzione dei posti semidirettivi nei Tribunali, nelle Corti d'Appello e nelle Procure della Repubblica

2.7.1 La Commissione ha preso atto dell’incongruità dell’attuale rapporto numerico tra i posti riservati in organico ai giudici e quelli riservati ai presidenti di sezione presso i tribunali e presso le corti d'appello, e, nelle procure della Repubblica, tra il numero dei pubblici ministeri ed il numero degli aggiunti. In particolare, ha rilevato come, soprattutto negli uffici più grandi,

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la molteplicità di compiti organizzativi e gestionali attribuiti ai capi, ha reso insufficiente il numero dei posti semidirettivi, specie in relazione ai compiti di collaborazione con il capo dell'ufficio propri di tali incarichi, con conseguente proliferazione di collaboratori del presidente del tribunale o della corte d'appello e del procuratore della Repubblica.

La Commissione ha, pertanto, proposto di modificare l’attuale disciplina normativa, prevedendo:

a) per i Tribunali, il passaggio dall’attuale proporzione di un presidente di sezione per ogni dieci magistrati a quella di un presidente di sezione per ogni otto magistrati, con le eccezioni previste per le sezioni lavoro, le sezioni delle procedure concorsuali e le sezioni gip- gup (rispetto alle quali permarrebbe la possibilità di istituire il posto di presidente di sezione senza l'osservanza del limite). Quanto alle sezione gip-gup nei tribunali di all'art 1, comma 1, del D.L. 25 settembre 1989, n. 327 (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia), l’istituzione del posto di presidente aggiunto solo laddove la sezione sia composta da almeno otto giudici;

b) per le Procure della Repubblica, il passaggio dall’attuale proporzione di un procuratore aggiunto per ogni dieci magistrati a quella di un procuratore aggiunto per ogni otto magistrati;

c) per le Corti d'Appello, la proporzione di un presidente di sezione per ogni sei magistrati, con l’eccezione delle sezioni lavoro (rispetto alle quali si prevede la possibilità di istituire il posto di presidente di sezione senza l'osservanza del limite).

2.7.2 La proposta avanzata dalla commissione ministeriale risulta essere sostanzialmente in linea con l’esigenza evidenziata dal CSM nella delibera del 17 ottobre 2013 (Segnalazione in ordine alla rideterminazione delle piante organiche dei posti semidirettivi degli uffici giudiziari di primo grado, in attuazione del decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012) di provvedere all’istituzione di nuovi posti semidirettivi al fine di agevolare ulteriormente l’efficace attuazione della riforma della geografia giudiziaria e di rispondere alle necessità dei singoli uffici, specialmente di quelli di minori dimensioni, derivanti dalle nuove consistenze numeriche delle piante organiche e dalle mutate condizioni lavorative, che richiedono celeri ed idonei interventi organizzativi. Nondimeno si segnala che all'ampliamento dei posti semidirettivi dovrebbe opportunamente accompagnarsi quello delle piante organiche degli uffici giudiziari, implemento ponderato in funzione dei carichi di lavoro, del rapporto magistrati - utenza e del sostrato economico sociale dei territori.

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2.8 Ipotesi di incompatibilità e di ineleggibilità di magistrati

2.8.1. La proposta della Commissione è intervenuta sull'art. 60 del decreto legislativo 267 del 2000 recante il "Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali ", con le seguenti proposte di modifica:

- ampliamento del1'ambito territoriale entro il quale non è possibile la candidatura di un magistrato a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale: oltre a quanto già previsto ("territorio nel quale i magistrati hanno esercitato o esercitano le funzioni") si ricomprende anche il territorio facente parte delle circoscrizioni limitrofe.

- è stato stabilito in un anno l'arco di tempo durante il quale il pregresso esercizio di funzioni determina l'ineleggibilità.

Si è intervenuti, inoltre, sugli incarichi regionali, con la modifica degli articoli 2 e 3 della legge 2 luglio 2004 n. 165, recante "Disposizioni di attuazione dell'articolo 122 primo comma della Costituzione" introducendo le ipotesi, attualmente non previste, di ineleggibilità per i

"magistrati ordinari nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni o nelle circoscrizioni ad essi limitrofe in un periodo compreso nei dodici mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura, e che, all'atto dell'accettazione della candidatura, non si trovino in aspettativa" e di "incompatibilità dell'esercizio delle funzioni giudiziarie da parte dei magistrati ordinari, superabile con collocamento in aspettativa per tutto la durata del mandato o dell'incarico".

2.8.2. La proposta avanzata dalla commissione ministeriale non è distonica dalle posizioni assunte dal Consiglio Superiore della Magistratura da ultimo nella delibera del 21 ottobre 2015 sullo specifico tema delle incompatibilità e ineleggibilità dei magistrati. Nella menzionata delibera, infatti, si segnala che ad oggi per le cariche politiche e/o amministrative presso enti locali territoriali, la legge vigente non prevede aspettativa obbligatoria e, conseguentemente, i magistrati possono assumere incarichi politico-amministrativo elettivi presso gli enti locali territoriali quali quelli di sindaco, presidente della provincia o della regione, consigliere comunale, provinciale e regionale, presidente o consigliere circoscrizionale o l’incarico di assessore, proseguendo contemporaneamente l’esercizio delle funzioni giurisdizionali con il solo limite della diversità degli ambiti territoriali.

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Si auspica, inoltre, che la disciplina in tema di eleggibilità dei magistrati chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali fosse arricchita da una regola analoga a quella oggi vigente per le elezioni al Parlamento, la quale impone che i magistrati non si candidino nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni per un congruo periodo antecedente la data di accettazione della candidatura.

2.9 Partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari

2.9.1. L'intervento intende implementare il ruolo degli avvocati all’interno del circuito del governo autonomo decentrato.

L’attuale articolo 8 del d. lgs.vo 30.1.2006, n.25, che ha istituito il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e ha innovato la composizione dei Consigli giudiziari, prevede che nel Consiglio direttivo il componente avvocato, nominato dal Consiglio nazionale forense ed i componenti professori universitari, partecipino esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative alle tabelle ed ai criteri di assegnazione degli affari. Correlativamente, per i Consigli giudiziari, ai sensi dell'articolo 16 i componenti designati dal Consiglio regionale, i componenti avvocati e professori universitari, possono partecipare esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all'esercizio delle competenze di cui all'articolo 15 comma 1 lettere a), d) ed e).

La Commissione ha ritenuto contraddittoria la disciplina prevista per il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, laddove il presidente del Consiglio Nazionale Forense, componente di diritto del Consiglio direttivo, non ha limitazioni alla partecipazione alle delibere dell'organo di cui fa parte, diversamente da quanto accade per il componente avvocato designato dal Consiglio nazionale forense.

Si è, in ogni caso, valutata non più attuale la disciplina prevista per entrambi gli organi consultivi poiché contrastante con il ruolo assegnato all'avvocatura dalle più recenti iniziative assunte in sede legislativa e istituzionale. Si è proposta pertanto, l'abolizione delle due norme limitative, degli articoli 8 e 16 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25.

2.9.2. Il Consiglio superiore, in linea generale, condivide la filosofia di fondo del decentramento organizzativo, attraverso la promozione del governo autonomo di prossimità,

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in una logica di valorizzazione e responsabilizzazione delle collettività distribuite sul territorio, a più diretto contatto con le singole realtà locali, in tutte le loro componenti.

Sullo specifico tema qui trattato, il Consiglio non ha delibato in via specifica la partecipazione del ceto forense ai Consigli giudiziari, pur considerando con favore la facoltà dei Consigli giudiziari di assumere informazioni su fatti specifici segnalati dai Consigli dell’Ordine degli avvocati. Infatti, con delibera del 31 maggio 2007, pg. 44, ha valutato come un ridimensionamento di una particolare fonte conoscitiva di indiscutibile utilità per ottenere più compiute e periodiche valutazioni di professionalità dei magistrati la riformulazione dell’art. 15 lett. b) D.lgs 25/2006, con la conseguente eliminazione dell’obbligo dei Consigli giudiziari di acquisire motivate e dettagliate valutazioni dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati avente sede nel luogo dove il magistrato esercita le funzioni. Ancora, con la recente delibera del 19 marzo 2014, ha ribadito l’obbligo dei dirigenti, previsto dall’art. 11 l.

160/2006, di inoltrare tempestivamente ai Consigli giudiziari le eventuali segnalazioni prevenute dal Consiglio dell’Ordine, o da terzi, sempre che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica.

L’ottimizzazione del ruolo dell’avvocatura all’interno dei Consigli giudiziari si può correlare, in questa traiettoria evolutiva, con l’esigenza, da tempo sostenuta dal CSM, di trarre pieno beneficio dalla ricchezza delle culture della legalità, pur con modalità calibrate sulla incomprimibile diversità delle funzioni. La recentissima sottoscrizione del Protocollo d’intesa col Consiglio Nazionale Forense rappresenta una chiara espressione di questo obiettivo di contaminazione di saperi e sensibilità.

La partecipazione degli avvocati ai lavori dei consigli giudiziari è giudicata favorevolmente dal Consiglio Superiore, sicché si potrebbe ampliare lo spettro delle materie di competenza dei consigli giudiziari per i quali ammettere la partecipazione diretta del rappresentanti del locale Consiglio forense; ovvero, in alternativa, mutuando prassi di alcuni consigli giudiziari, prevedere un ampliamento del diritto di tribuna, attraverso la partecipazione dei componenti non togati alle sedute concernenti materie escluse dalla loro competenza, ove ne faccia richiesta il Presidente del Consiglio dell’Ordine del capoluogo del distretto.

2.10 Valutazioni di professionalità

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2.10.1 In relazione al vigente sistema di valutazione della professionalità dei magistrati, pur manifestando un giudizio complessivamente positivo, la commissione ministeriale ha proposto diverse modifiche, in particolare prevedendo un’altra valutazione di professionalità sei anni dopo la VII nei casi in cui il magistrato non sia stato già positivamente valutato in occasione della presentazione della domanda per altro incarico, sì da evitare che il magistrato possa andare esente da valutazioni per periodi molto lunghi, senza avere motivazioni o incentivi; l’integrazione dei c.d. prerequisiti di valutazione inserendo l’indipendenza e l’equilibrio; l’accorpamento dei requisiti della diligenza e dell’impegno;

l’introduzione tra le fonti di conoscenza delle segnalazioni di fatti specifici provenienti dall’Ufficio giudicante o requirente corrispondente e dall’Ufficio competente per le impugnazioni (con l’obbligo di trasmettere tutte le segnalazioni con cadenza annuale al fine di consentirne l’utilizzazione in sede di valutazione di professionalità in modo da garantire trasparenza e diritto al contraddittorio).

La commissione ministeriale ha, altresì, proposto una modifica degli indici statistici qualitativi e quantitativi del lavoro dei magistrati (nel senso di enucleare, oltre al numero dei procedimenti introitati e definiti, le tipologie degli affari trattati e dei provvedimenti emessi, il loro esito ed eventuali ritardi); ha riaffermato l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto alle valutazioni di professionalità, tuttavia riconoscendo che i fatti oggetto del vaglio disciplinare ben possano essere considerati ai fini di quello di professionalità; ha indicato la possibilità di una semplificazione dell’attuale meccanismo di valutazione, talora caratterizzato dalla ripetitività e dalla burocratizzazione dei giudizi, con un maggiore ricorso all’istituto del silenzio-assenso, con l’adozione del sistema della motivazione sintetica e con la previsione del termine di otto mesi per la conclusione del procedimento.

2.10.2 Il Consiglio manifesta un segno di tendenziale favore verso queste proposte di riforma, che appaiono venire incontro a reali esigenze poste dalla prassi applicativa: ciò, tuttavia, con due importanti precisazioni.

La prima è che il tema dell’ampliamento delle fonti di conoscenza ha visto recentemente il Consiglio dividersi sulle possibili soluzioni, ma con l’adozione, alla fine, di due delibere del 6 e del 19 marzo 2014 con le quali, rispettivamente, si è escluso di integrare la normazione secondaria “nel senso di coinvolgere formalmente e sistematicamente i Consigli dell’ordine in occasione del procedimento valutativo del magistrato, richiedendo loro di formulare eventuali segnalazioni in ordine a fatti specifici comunque incidenti sulla

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professionalità”; e si è rigettata la proposta intesa a rendere obbligatoria per il consiglio giudiziario, nel caso di valutazione di un magistrato giudicante, la richiesta di un parere della procura e, nel caso di valutazione di un magistrato requirente, di un parere del tribunale.

La seconda precisazione è che la previsione di una sostanziale mancanza di motivazione dei pareri positivi dei consigli giudiziari e l’omessa previsione dell’inoltro al CSM per la valutazione complessiva di professionalità presenta significative controindicazioni, quali la eccessiva valorizzazione del solo rapporto del capo ufficio (con il rischio di accentuare negativi fenomeni di gerarchizzazione) e la rinuncia all’acquisizione di reali dati di conoscenza utili per tratteggiare il profilo del magistrato anche ad altri fini, ad esempio, in sede di successiva valutazione per l’assegnazione di incarichi direttivi o semidirettivi.

Va, inoltre, segnalata la opportunità di rimeditare la disciplina delle valutazioni di professionalità inserendo criteri di compensazione e bilanciamento tra i parametri valutativi e, con riferimento ai magistrati sospesi dal servizio per un lungo periodo e dei magistrati fuori ruolo, di valutare per i primi la possibilità di introdurre nuove norme che tendano ad escludere la valutabilità degli intervalli di sospensione, per i secondi la possibilità di prevedere meccanismi di valutazione calibrati su documentazione relativa ad attività che non siano in alcun modo assimilabili a quella giudiziaria. In questo ambito, considerata la complessità delle questioni e delle modifiche suggerite dalla commissione ministeriale, sarà necessario un articolato parere di dettaglio al momento dell’eventuale presentazione del disegno di legge, anche in relazione alla necessità di un rinnovato approfondimento sull’allargamento delle fonti di conoscenza.

Va posto l’accento, infine, sulla circostanza che il magistrato, per un certo tempo, quando non addirittura per l’intero periodo considerato, può non avere esercitato la sua professione.

Nei casi in cui l’anzianità di servizio risulti pregiudicata, il periodo di tempo trascorso senza esercitare le funzioni rimane 'isolato' rispetto alla carriera del magistrato: è come che non sia mai trascorso. E così come non può contare ai fini della progressione di carriera, parimenti neppure può essere preso in considerazione ai fini delle valutazioni di professionalità.

Per quanto riguarda invece il modo di comportarsi nei casi in cui il periodo di sospensione delle funzioni non incida sull’anzianità, si trova una unica Indicazione, relativa alle situazioni di fuori ruolo, nel d.legisl. n. 160/2006, ai sensi dell’art. 11, co. 16°, del quale

‘I parametri contenuti nel comma 2 (capacità, laboriosità, diligenza, impegno; ai quali si

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dovrebbero aggiungere, a maggior ragione, i non contemplati parametri rappresentati dai prerequisiti della imparzialità e della indipendenza, essendo in un certo qual modo i primi quattro subordinati agli ultimi due) si applicano anche per la valutazione di professionalità concernente i magistrati (appunto) fuori ruolo. Il giudizio è espresso dal Consiglio superiore della magistratura, acquisito, per i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, il parere del consiglio di amministrazione, composto dal presidente e dai soli membri che appartengano all'ordine giudiziario, o il parere del consiglio giudiziario presso la corte di appello di Roma per tutti gli altri magistrati in posizione di fuori ruolo, compresi quelli in servizio all'estero. Il parere è espresso sulla base della relazione dell’autorità presso cui gli stessi svolgono servizio, illustrativa dell’attività svolta, e di ogni altra documentazione che l’interessato ritiene utile produrre, purché attinente alla professionalità, che dimostri l’attività in concreto svolta'.

La norma si trova riprodotta anche nella proposta Vietti di riforma dell'ordinamento giudiziario, con l’unica variante della sostituzione al Consiglio giudiziario della Corte d’appello di Roma, quale consiglio deputato a rendere il parere in ordine alla professionalità del magistrato da valutare, del Consiglio giudiziario dell'ultima Corte d’appello dove il magistrato ha esercitato le sue funzioni.

La ragione della proposta è con ogni probabilità da ravvisare nell’intento di diminuire il peso degli incombenti a carico di quello che probabilmente è il Consiglio giudiziario più onerato d’Italia.

Rimangono però ancora aperti tutti i problemi che si pongono qualora non solo non sia stata svolta attività giurisdizionale, ma neppure sia stata svolta una attività a quella giurisdizionale non assimilabile, quando, addirittura, non sia stata svolta attività alcuna; casi, questi ultimi, nei quali non sarà evidentemente disponibile alcuna documentazione attinente alla professionalità che possa fondare una valutazione in merito, e rispetto ai quali opportuna parrebbe la previsione di una sospensione del procedimento di valutazione della professionalità e di un rinvio della medesima al tempo in cui sia disponibile una documentazione adeguata, salvo una ulteriore previsione di retroattività della valutazione compiuta e di conseguente assenza di pregiudizio in ordine alla progressione del magistrato.

2.11 Incompatibilità parentali

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2.11.1 La commissione, senza incidere sulla schema generale in tema di incompatibilità, ha proceduto ad alcune integrazioni rese necessarie dall’evoluzione sociale ed ha, al contempo, cercato di colmare le lacune evidenziate dall’espereinza.

Nello specifico, ha:

- parificato al coniuge e al convivente la persona con cui si intrattiene una stabile relazione affettiva;

- limitato ai tribunali metropolitani il rilievo delle specializzazioni nel settore civile;

- esteso a tutti i dirigenti l’incompatibilità;

- esteso l’incompatibilità a periti ed amministratori giudiziari.

2.11.2 Con riguardo a questo ultimo punto, si introduce una norma che, prevedibilmente, produrrà un notevole impatto e che attiene ad una questione della quale l’Ufficio Studi si è a più riprese occupato, da ultimo con l’allegato parere n. 187/2016, e che attiene al delicato tema del contemperamento tra le esigenze di professionalità dei collaboratori dell’autorità giudiziaria e quelle di trasparenza nella gestione degli incarichi.

Le restanti soluzioni adottate paiono condivisibili, anche con specifico riferimento alla applicazione dell’istituto delle incompatibilità parentali che, per i dirigenti degli uffici di secondo, ha registrato negli ultimi anni una non uniforme interpretazione della relativa disciplina.

2.12 Trasferimento d'ufficio

2.12.1 In ordine alla materia del conferimento del trasferimento d’ufficio dei magistrati disciplinato dall’art. 2 R.D. n. 511 del 1946 propone alcune rilevanti innovazioni.

La principale, in un tema da anni oggetto di approfondite riflessioni e di dibattito articolato, è l’eliminazione della limitazione dell’intervento del C.S.M. ai casi in cui la causa che impedisca al magistrato di svolgere le sue funzioni con piena indipendenza ed imparzialità sia indipendente da colpa.

La proposta prevede la necessità dell’audizione dell’interessato, la possibilità del C.S.M. di utilizzare lo strumento dell’applicazione del magistrato ad altro ufficio per rimediare a situazioni solo transitorie di incompatibilità. Stabilisce il termine di tre mesi per la definizione della procedura, pena l’estinzione, e la sua sospensione nel caso in cui penda procedimento disciplinare cautelare per gli stessi fatti.

Riferimenti

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