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(1) Definizione e disciplina dei tempi dei procedimenti di competenza del C.S.M., in conformità all'art

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Definizione e disciplina dei tempi dei procedimenti di competenza del C.S.M., in conformità all'art. 97 Cost. e alla legge n. 241 del 1990.

(Deliberazione del 21 settembre 2005)

1. Premessa – Il Comitato di Presidenza in data 18 marzo 1999 ha disposto l’apertura dinanzi alla Commissione per il Regolamento interno di una pratica avente ad oggetto la definizione e la disciplina dei tempi dei procedimenti amministrativi espletati dal Consiglio superiore della magistratura nell’esercizio delle sue competenze istituzionali, in conformità dei principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione e dalla legge 7 agosto 1990 n. 241. La trattazione di tale pratica rivitalizza il dibattito, da tempo in atto in ambito consiliare, circa i limiti di applicabilità della legge n. 241 del 1990 all’azione del Consiglio superiore della magistratura, la quale, come noto, nel disciplinare la materia del procedimento amministrativo ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi, all’art. 2 fissa il principio che la Pubblica Amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento iniziato a istanza di parte o di ufficio con l’adozione di un provvedimento espresso (c. 1) e che tutte le amministrazioni “determinano per ciascun tipo di procedimento, in quanto non sia già direttamente disposto per legge o per regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi” (c. 2).

La disamina del complesso argomento oggetto della pratica ora in considerazione deve essere preceduta da una sintesi del dibattito consiliare e degli sviluppi normativi succedutisi nel tempo, allo scopo non solo di dare una esauriente illustrazione della materia in esame, ma anche per evidenziare i problemi che sul piano operativo essa pone al Consiglio. Successivamente si darà conto del dibattito svoltosi nell’ambito della Commissione e dei primi spunti solutori prospettati nell’ambito della discussione.

2. Il dibattito circa l’applicabilità al Consiglio superiore della magistratura della legge n. 241 del 1990 – Il primo dibattito consiliare ebbe ad oggetto i limiti di applicabilità della legge n. 241 al Consiglio superiore della magistratura, ritenendosi che essa fosse in via tendenziale estensibile all’attività consiliare e che, tuttavia, per la particolare posizione costituzionale dell’organo di autogoverno, dovesse procedersi ad una verifica delle singole disposizioni legislative perché potessero essere recepite nel regolamento interno che, in forza dell’art. 20, n. 7, della l. 24 marzo 1958 n. 195, del Consiglio disciplina il funzionamento. Pertanto, su proposta della Commissione per il regolamento interno, in data 27 maggio 1992 il Consiglio adottava una delibera con cui avviava la verifica delle singole disposizioni contenute nella legge n. 241 per accertare quali potessero dar luogo ad una riforma del regolamento e della normativa interna.

Con una successiva delibera del 25 novembre 1992 il Consiglio precisava che la verifica comportava la “analisi delle diverse tipologie di procedimenti, diretta a stabilire se e quali termini po[tessero] essere prefissati … per le fasi procedimentali rientranti nella competenza consiliare”

(1[1]).

Con riferimento specifico ai tempi dei procedimenti consiliari, su proposta della Commissione Riforma, una successiva delibera del 24 marzo 1993, rilevava che, pur di fronte alla molteplicità delle tipologie procedimentali, non poteva escludersi la regolazione dell’attività consiliare secondo termini prefissati e procedeva alla disamina dei diversi procedimenti valutando se e quali termini potessero essere assegnati, prevedendo altresì il momento di decorrenza del termine iniziale e distinguendo tra termine di fase e termine finale del procedimento.

[1] La delibera veniva adottata in riscontro all’invito del Ministro della giustizia di indicare i tempi delle fasi endoprocedimentali di propria competenza, onde definire i tempi complessivi del procedimento per la fase consiliare e quella ministeriale (se necessaria) con decreto ministeriale, ex art. 2, c. 4, della l. 241.

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La Commissione per il regolamento, pertanto, veniva investita di procedere all’elaborazione di una modifica regolamentare che tenesse conto delle considerazioni generali e dei tempi sopra fissati.

Della questione si auspicava si tenesse conto nell’ambito di una generale revisione del regolamento interno (si veda la relazione dell’Ufficio studi del 22.2.96 n. 73).

3. Il regolamento ministeriale – Con il d.m. 20 novembre 1995 n. 540 il Ministro della giustizia ha emanato il regolamento di attuazione degli artt. 2 e 4 della l. n. 241, relativamente ai procedimenti di competenza dell’Amministrazione della giustizia. Il regolamento prevede che detti procedimenti debbano concludersi con un provvedimento espresso nel termine per ciascuno di essi indicato in apposite tabelle allegate, fissandosi nel contempo il momento della decorrenza del termine iniziale e quello della maturazione del termine finale.

I termini indicati nel regolamento ministeriale sono comprensivi dei periodi di tempo necessari per l’espletamento delle fasi di competenza delle amministrazioni diverse dal Ministero della giustizia, il che, per i procedimenti attinenti alle materie rientranti nelle attribuzioni del C.S.M.

(2[2]), non essendo intervenuta una preventiva intesa tra le due Istituzioni, non esclude la necessità di una verifica di congruità di detti termini e di rispondenza alle effettive esigenze dell’azione amministrativa consiliare (si veda al riguardo la citata relazione dell’Ufficio studi del 1996, ripresa dalla relazione 13 maggio 1999 n. 201).

4. L’attività svolta dalla Commissione nella corrente consiliatura – Aperta la pratica ora in esame (n. 5/MO/99) la Commissione per il Regolamento procedeva all’interpello dei Presidenti delle singole commissioni consiliari allo scopo di ricevere indicazioni circa la tempistica ritenuta necessaria per l’espletamento dei procedimenti di specifica competenza. A tale richiesta pervenivano le risposte di varie commissioni, quasi tutte caratterizzate da una perplessa valutazione dell’opportunità di procedere alla definizione dei tempi di esaurimento dei procedimenti consiliari.

La Commissione per il Regolamento insediatasi nella presente consiliatura, ha dedicato alla trattazione numerose sedute, prima per la ricognizione della materia e dei precedenti sopra esposti, poi per l’individuazione delle eventuali connessioni di carattere organizzativo che nascerebbero da una compiuta regolazione dei tempi dei procedimenti (3[3]).

In particolare ha preso in esame il punto della individuazione dei limiti di applicazione ai magistrati della disposizione dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, testo unico sullo stato giuridico per i pubblici dipendenti, in materia di autorizzazione degli incarichi estranei all’attività istituzionale, per il quale nel caso di richiesta di autorizzazione “l’amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa” (c. 10). Al riguardo, tuttavia, la questione può ritenersi superata sulla base della delibera dell’8 novembre 2000 con cui il Consiglio ha ritenuto che la figura del silenzio-assenso di cui al c.

10 non sostituisce l’autorizzazione che in ogni caso il Consiglio superiore della magistratura deve rilasciare ai sensi dell’art. 16 ord. giud. e della circolare prot. 15207 del 1987.

[2] Il Consiglio di Stato, nell’esprimere un parere preventivo sullo schema di decreto ministeriale aveva sottolineato che “la legge n. 241 del 1990 impone in ogni caso la fissazione di un termine finale del procedimento amministrativo, allo spirare del quale deve essere emesso il relativo provvedimento. Pertanto, appare necessario che i termini per l’emanazione di provvedimenti che richiedano l’esperimento della fase endoprocedimentale dinanzi al Consiglio superiore della magistratura siano comunque comprensivi del tempo necessario per l’espletamento di tale fine” (parere della Commissione speciale della Terza Sezione del 13.10.93 n. 15).

[3] E’ stato, inoltre, considerato che parallelamente alla pratica ora in esame è in trattazione nella Sesta Commissione referente una diversa pratica, avente ad oggetto il decentramento di alcune funzioni consiliari ai Consigli giudiziari, che sotto diversa prospettiva (appunto quella del decentramento) si ripromette di organizzare l’attività consiliare in maniera tale da procurare l’accelerazione dei tempi di emanazione del provvedimento finale. La Commissione Seconda non ha, peraltro, rilevato interferenze tra le due pratiche.

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All’esito di questa fase della discussione è stata analizzata la proposta di regolare la tempistica di definizione delle pratiche sulla base delle diverse tipologie dei procedimenti. Secondo questa impostazione si dovrebbero distinguere le procedure che hanno uno sviluppo esclusivamente intraconsiliare da quelle che necessitano, invece, dell’intervento di soggetti estranei al Consiglio (Ministro, Consigli giudiziari, Autorità giudiziaria, periti e consulenti ecc.), fissando per le prime una tempistica più breve che per le seconde. Inoltre, in ragione dell’oggettiva difficoltà di fissare a priori la durata dei procedimenti, dovrebbe fissarsi in sede regolamentare solamente il principio generale della durata predeterminata, lasciando ad una delibera ordinaria della commissione da assumere all’inizio della trattazione della pratica (o di un gruppo di pratiche) la durata effettiva.

In attuazione di questa impostazione, quale spunto di discussione, è stata ipotizzata una disciplina regolamentare articolata secondo i seguenti passaggi:

1. enunciazione del principio che i procedimenti amministrativi consiliari si svolgono secondo

un tempo predefinito fissato all’inizio della trattazione dalla Commissione competente;

2. fissazione del momento in cui comincia a decorrere il termine di definizione, enunciazione

delle cause di sospensione del procedimento, fissazione dello strumento regolamentare previsto per l’ipotesi che il termine di definizione venga superato;

3. affermazione del principio che la Commissione deve prevedere un termine di maggiore

durata per il caso in cui il procedimento amministrativo preveda una fase istruttoria;

4. eventuale limitazione in sede di prima applicazione della disciplina solo a pochi

procedimenti (ad esempio in materia di autorizzazione di incarichi extragiudiziari).

Nel corso del dibattito preliminare è, altresì, emersa la preoccupazione che, di fronte alla generalizzazione della temporizzazione dei procedimenti amministrativi, potrebbe realizzarsi un pregiudizio per la funzionalità dell’azione consiliare, la quale perderebbe di efficacia e di incisività e si presterebbe ad una gestione burocratica per i condizionamenti che subirebbe dalla necessità di rispettare i tempi fissati dal regolamento.

Questa fase dei lavori si è conclusa con il deposito in Commissione di un testo preliminare di esposizione analitica della problematica interessata e riassuntiva dello stato dei lavori.

5. L’accelerazione del dibattito – La materia dei tempi dei procedimenti consiliari ha trovato una pur parziale trattazione in sede plenaria a seguito del dibattito avviatosi a seguito della sollecitazione mossa al Consiglio superiore della magistratura dal Capo dello Stato circa il protrarsi dei procedimenti per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, nonché per i trasferimenti ordinari e le assegnazioni di sede. A seguito di tale iniziativa, infatti, il Consiglio ha adottato alcune delibere con cui sono stati adottati vari accorgimenti per accelerare i tempi dei procedimenti in materia di conferimento degli incarichi direttivi e di trasferimenti.

Analogamente, la Seconda commissione, ha proceduto ad un esame ulteriore della tematica della disciplina dei tempi dei procedimenti consiliari, affrontato dalla pratica in oggetto, esaminando quali possono essere i rimedi che, in attesa della fissazione di una disciplina generale sui tempi, possa consentire l’accelerazione e la sollecita definizione quantomeno di singole tipologie di pratiche sulla base degli strumenti procedimentali già esistenti.

Tenuto conto dello stato del dibattito e della natura ancora interlocutoria delle soluzioni generali sopra enunziate, la Commissione intende proporre all’attenzione del Plenum non una proposta di modifica regolamentare, per la quale i tempi non sembrano ancora maturi, quanto un progetto di risoluzione circa le iniziative che le commissioni e gli altri organismi consiliari dovranno adottare nel caso che la trattazione delle pratiche superi ragionevoli termini di espletamento, il cui apprezzamento è rimesso in questa fase interlocutoria, alle commissioni stesse.

Tale iniziativa trova spunto nella norma generale enunziata dall’art. 11 della l. 24 marzo 1958 n- 195 che “il Consiglio delibera su relazione della commissione competente” e nella conseguente possibilità prevista dal Regolamento interno che il Plenum consiliare dia direttive alle commissioni nelle materie di competenza di ciascuna di esse (art. 21) e richieda alle stesse, ove ritenga l’urgenza

(4)

assoluta di singole pratiche, di richiedere alla commissione competente l’esame immediato (art. 38, c. 5).

6. La soluzione interlocutoria – In questa sede non è ancora possibile procedere alla fissazione di termini specifici a carattere generale per lo svolgimento dei procedimenti consiliari. Tuttavia, in conformità con quanto già stabilito in materia di conferimento degli incarichi direttivi con la delibera del 22 giugno 2005, può indicarsi alle singole commissioni l’opportunità di adottare una propria delibera interna a carattere organizzativo che fissa la durata della trattazione delle pratiche.

Tale delibera dovrà avere un carattere meramente organizzativo dei lavori della commissione senza assumere rilievo di carattere procedimentale e senza acquisire carattere esterno tale da costituire fonte di posizioni soggettive degli interessati al procedimento amministrativo. Tuttavia, la previsione della sua adozione potrà costituire fonte di affidamento del sollecito espletamento da parte della commissione di tutte le attività necessarie alla trattazione della pratica ed alla sottoposizione al Plenum consiliare di una proposta definitiva.

Nel caso di superamento dei tempi così fissati, le commissioni dovranno rendersi parti attive e procedere, nell’ambito delle proprie attribuzioni, all’individuazione delle ragioni dei rallentamenti che subisce la trattazione delle pratiche di loro competenza. Ogni eventuale momento di disservizio che affligge gli organismi referenti dovrà essere accertato mediante opportuni monitoraggi ed indagini per individuare le soluzioni più opportune. Non può essere, del resto, ignorato che la variegata tipologia dei procedimenti fissati da leggi e circolari per l’adozione delle delibere consiliari è in molti casi condizionata da soggetti esterni al Consiglio (ad esempio i Consigli giudiziari, o le commissioni per la valutazione delle domande di riconoscimento di causa di servizio, o i collegi peritali; lo stesso Ministro per la formulazione del concerto).

L’accertamento di una situazione di difficoltà nell’adozione della decisione di una o più pratiche e l’individuazione delle cause che procurano il rallentamento comporta per ogni commissione l’obbligo di attivarsi per il superamento della situazione di disservizio venuta a crearsi. Ove, nonostante tutte le iniziative adottate a livello organizzativo interno (eventualmente di concerto con la Segreteria generale), dovesse permanere la situazione di disagio, la commissione dovrà riferire direttamente al Plenum.

7. Conclusione – In definitiva, si invitano le Commissioni nella trattazione delle pratiche di propria competenza ad attenersi alle seguenti iniziative di carattere operativo:

a) stabilire con propria delibera interna a carattere organizzativo il termine entro il quale la Commissione dovrà presentare al plenum una proposta; la delibera potrà avere ad oggetto singole fasi procedimentali o intere tipologie di pratiche;

b) nel caso in cui la trattazione in sede referente superi detto termine di durata, effettuare gli opportuni accertamenti per individuare le cause del ritardo e adottare (eventualmente di concerto con la Segreteria generale) gli opportuni interventi di carattere organizzativo;

c) all’esito ed in caso di persistenza dei motivi che hanno determinato il superamento del termine, riferire al Plenum.

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