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UNIVERSITA ROMA TRE-CAMMINO APRILE 2020 SPECIALIZZAZIONE DIRITTO DELLE PERSONE AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, INTERDIZIONE E INABILITAZIONE

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UNIVERSITA’ ROMA TRE-CAMMINO APRILE 2020

SPECIALIZZAZIONE DIRITTO DELLE PERSONE

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, INTERDIZIONE E INABILITAZIONE dr Mario Ciancio*

1) Capacità giuridica – capacità d’agire-gli istituti a protezione dell’incapace

La capacità giuridica è l’attitudine del soggetto ad essere titolare di diritti e doveri, si acquista con la nascita (art 1, cm 1 cc) e si distingue dalla capacità di agire, che consiste nella idoneità della persona a svolgere direttamente l’attività giuridica che concerne la sfera dei propri interessi, ovvero ad acquistare ed esercitare diritti ed assumere obblighi.

Poiché la capacità d’agire presuppone l’attitudine alla cura dei propri interessi, essa si presume acquisita con la maggiore età (cc art 2), al compimento del diciottesimo anno ed abilita il soggetto a compiere tutti gli atti per i quali non sia prevista un’età diversa; ad esempio, il riconoscimento di figlio naturale, consentito dall’art 250 cc ai genitori che abbiano compiuto i sedici anni di età; le diverse età idonee a prestare la propria attività lavorativa e ad esercitare i diritti conseguenti etc.

Anche il soggetto maggiorenne e non sottoposto a misure di protezione può trovarsi, al momento del compimento di un atto giuridico, nella concreta incapacità di intendere e di volere. Si parla in questo caso di incapacità naturale (art 428 cc), che rende l’atto annullabile, su istanza dell’incapace stesso, dei suoi eredi o aventi causa, se concorra con altri elementi, come il grave pregiudizio per l’autore dell’atto, in caso di atti unilaterali, e nei contratti, anche con la malafede dell’altro contraente.

L’incapacità naturale può essere invocata anche come causa di annullamento del matrimonio (120 cc), del testamento (591 cc), della donazione (775 cc), in questi casi, senza il concorso di altri elementi..

L’inidoneità alla cura dei propri interessi, conseguente ad infermità di mente, può essere dichiarata quando tale stato non sia transitorio, attraverso la pronuncia di interdizione giudiziale ovvero, in maniera meno incisiva, di inabilitazione.

Le misure dell’interdizione ed inabilitazione, a seguito dell’entrata in vigore della L.

9.1.2004 n 6, sono state affiancate dall’istituto dell’amministrazione di sostegno, misura più duttile e più rispettosa della persona.

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Presupposto per la pronuncia dell’interdizione (art 414 cc) è lo stato di abituale infermità di mente che rende incapaci a provvedere ai propri interessi;

presupposto per l’inabilitazione (art 415 cc) è lo stato di infermità di mente, non così grave da dar luogo all’interdizione; l’amministrazione di sostegno (art 404 cc) è la misura di protezione delle persone che, per effetto di una infermità o menomazione fisica o psichica, siano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

Tutti e tre gli istituti si inquadrano nella figura generale dell’incapacità legale, in quanto la situazione d’incapacità è prevista dalla legge, come per la minore età e pertanto si sovrappone alla realtà effettiva, al contrario della incapacità naturale, che riguarda soggetti legalmente capaci, la cui eventuale incapacità di intendere e di volere al momento del compimento dell’atto rende l’atto stesso annullabile, anche se l’incapacità deve essere di volta in volta provata.

Come si nota dalle definizioni e dalla regolamentazione del codice, l’interdizione e l’inabilitazione hanno dei presupposti e delle conseguenze tipizzate; a seguito della dichiarazione d’interdizione il soggetto perde la generale capacità di agire;

come il minore, l’interdetto difetta della capacità negoziale e gli atti negoziali devono essere compiuti nel suo nome dal tutore. Gli atti compiuti direttamente dall’interdetto possono essere annullati su istanza del tutore, dell’interdetto o dei suoi eredi o aventi causa (art 377 cc).

Parimenti, l’interdetto non ha capacità di stare in giudizio salvo che nel giudizio d’interdizione o di revoca dell’interdizione (art 720 bis cpc-art 716 cpc). Le azioni spettanti all’interdetto sono promosse dal tutore, previa autorizzazione del giudice tutelare. L’autorizzazione ai trattamenti sanitari riguarda la cura della persona, che spetta anch’essa al tutore; ciò non esclude che, in presenza di una certa capacità di discernimento, l’interdetto debba essere sentito. Nella generalità peraltro, l’esercizio dei diritti personalissimi deve ritenersi preclusa all’interdetto (matrimonio, testamento, donazione).

Per quanto riguarda l’inabilitazione, si può fare ricorso a tale istituto, quando l’attitudine alla cura dei propri interessi non sia totalmente esclusa ma solo ridotta.

L’inabilitazione può essere pronunciata quando l’infermità mentale non è talmente grave da dar luogo all’interdizione, od ancora, nei confronti delle persone che, per prodigalità od abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongano loro e la loro famiglia a gravi pregiudizi economici ovvero, nei confronti dei ciechi e sordomuti dalla nascita, quando non hanno ricevuto un’educazione sufficiente.

Per quanto riguarda gli atti di natura personale, essi non sono impediti all’inabilitato. Per gli atti di natura patrimoniale, per effetto dell’art 424 cc, così come per l’interdetto per infermità mentale si applica la disciplina prevista dal codice per il minore, per l’inabilitato si applica la disciplina vigente per i minori emancipati. L’inabilitato può pertanto compiere da solo gli atti di ordinaria

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amministrazione mentre, per quelli eccedenti l’ordinaria amministrazione, occorre l’assistenza del curatore che si traduce nel consenso all’atto. In questo caso vale quindi quanto previsto dall’art 394 cc: per riscuotere capitali e stare in giudizio, basta l’assistenza del curatore, per gli altri atti previsti dall’art 374 cc occorre l’autorizzazione del giudice tutelare, per quelli dell’art 375 cc occorre l’autorizzazione del tribunale previo parere del giudice tutelare.

L’incapacità, come per l’interdizione, decorre dal giorno della pubblicazione, non dal passaggio in giudicato della sentenza (art 421 cc).

Nell’amministrazione di sostegno la logica appare rovesciata, rispetto a quella degli istituti di protezione tradizionale, nel senso che alla generale condizione d’incapacità, totale o parziale, si contrappone una generale condizione di capacità del beneficiario di amministrazione di sostegno, salva l’esclusione della capacità in relazione ai singoli atti o agli ambiti che il giudice tutelare in concreto individua, in relazione ai quali è necessaria la rappresentanza o l’assistenza dell’AdS.

Tale principio trova fondamento nell’art 1 della L n 6/2004, per il quale tale istituto ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente; e nell’art 409 cc, in base al quale il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.

Nell’amministrazione di sostegno quindi si punta l’attenzione sulle esigenze della persona in difficoltà, con l’obiettivo di limitare l’intervento dell’amministratore di sostegno alla rappresentanza od assistenza solo negli atti per i quali esiste l’esigenza di protezione.

Gli istituti dell’interdizione e l’inabilitazione hanno una maggiore attenzione agli aspetti della tutela economica, guardandosi piuttosto alla difesa del patrimonio familiare, mentre l’istituto dell’amministrazione di sostegno non esclude la tutela economica, ma è in primo luogo finalizzato alla cura della persona.

Quindi, primariamente, l’interesse è rivolto al luogo in cui la persona vive, alla sua salute e alla necessità di terapie od ad altre cose che riguardano le scelte più importanti della vita.

Ciò non esclude l’interesse alla salvaguardia del patrimonio, ad es. al ritiro della pensione, ovvero a far valere anche i diritti patrimoniali (anche se necessario, agendo in giudizio), ma sempre come attività e strumenti finalizzati alla cura ed al benessere della persona. Caratteristiche specifiche dell’amministrazione di sostegno sono la flessibilità e sussidiarietà della misura.

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A seguito della dichiarazione d’interdizione o inabilitazione, come abbiamo visto, vi sono delle conseguenze tipizzate nella sfera giuridica della persona da tutelare:

nel primo caso si ha l’incapacità del soggetto a porre in essere tutti gli atti, di ordinaria e straordinaria amministrazione ed il soggetto interdetto viene in tutto sostituito dal tutore; nella inabilitazione, che è uno strumento fondamentalmente di tutela patrimoniale, si ha l’incapacità solo negli atti di straordinaria amministrazione. In tali atti gli inabilitati sono affiancati dal curatore. Nel caso di interdizione inoltre, non sono consentiti quegli atti di carattere personalissimo, che richiedono la capacità di decisione della persona, quali il testamento (art 591 cc), la donazione (art 774 cc), il matrimonio (art 85 cc), il riconoscimento di figlio naturale (art 266 cc), nelle cui scelte la persona interessata non può essere sostituita. Il rigore della disciplina può essere solo attenuato, a norma dell’art. 427 I cm cc, essendo consentito che il giudice stabilisca nella sentenza che pronuncia l’interdizione o successivamente, che alcuni atti di ordinaria amministrazione siano compiuti dall’interdetto senza la rappresentanza del tutore, che altrimenti rimane per tutta la sfera giuridica del tutelato; la rappresentanza poi come già visto, non può valere negli atti personalissimi.

Analoghe conseguenze generali e tipizzate si hanno nel caso di inabilitazione, per gli atti di straordinaria amministrazione, anche in questo caso con qualche possibile eccezione, potendo il tribunale, con la sentenza, consentire che taluni atti di straordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato, senza l’assistenza del curatore (art 427 cc)

Nel caso dell’amministrazione di sostegno, l’esigenza di protezione viene realizzata con uno strumento flessibile, quindi duttile, i cui contenuti sono di volta in volta stabiliti dal Giudice Tutelare (art. 405 cc). Si focalizza l’attenzione sulla protezione della persona disabile, con l’obiettivo di limitare la sua incapacità d’agire ai soli atti per i quali esiste l’esigenza di protezione, in linea con i principi degli artt. 2 e 3 della Costituzione, nei quali si riconoscono i diritti inviolabili della persona, preesistenti alla stessa organizzazione statuale; e si pone come finalità della stessa organizzazione quella di promozione della persona umana, rimuovendo gli ostacoli di ogni tipo, anche economico e sociale, che ne impediscono il pieno sviluppo (cfr anche art 410, I cm cc).

Inoltre, l’amministrazione di sostegno si pone in linea con i principi della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, del 13.12.2006, ratificata dall’Italia con L 3.3.2009 n 18 (cass. 25.10.2012 n 18320). In essa si enuncia l’importanza dell’autonomia e dell’indipendenza individuale delle persone disabili, ivi compresa la libertà delle stesse di compiere le proprie scelte (lettera n delle premesse); nonché la necessità che la misura sia proporzionata ed adatta alle condizioni della persona ed applicata per il più breve tempo possibile art 12 della Convenzione).

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L’interdizione e l’inabilitazione sono pertanto divenute di fatto figure residuali, da applicare solo in pochi casi (cass. 1.3.2010 n 4866).

La giurisprudenza, in diverse sentenze (cass 18171/2013; 22332/2011;

9628/2009) ha precisato che l’applicazione dell’amministrazione di sostegno o dell’interdizione non attiene al diverso e maggiore o minore grado d’infermità, ma alla maggiore o minore idoneità dello strumento a realizzare la protezione.

Premesso che va applicata di preferenza l’amministrazione di sostegno, si è ritenuto, ad esempio, che possa ricorrersi all’interdizione, quando per la complessità di gestione del patrimonio e la tendenza del soggetto a porre in essere atti di natura negoziale non prevedibili, in maniera compulsiva, appare opportuno un provvedimento più radicale (fattispecie relativa a soggetto incapace socio di numerose società, ovvero titolare di molteplici investimenti mobiliari).

Ciò significa che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno rimane capace di agire giuridicamente, negli atti per i quali il Giudice Tutelare non ha previsto la sua sostituzione e rimane altresì titolare dei diritti strettamente attinenti alla persona, se non espressamente esclusi dal decreto di apertura dell’amministrazione (scelte personali come il luogo in cui vivere, la cura della salute, la possibilità di contrarre matrimonio, di separarsi o divorziare, di riconoscere un figlio naturale, ma anche di fare testamento o disporre donazioni) e questo attesta il rispetto della sua personalità, ma realizza anche un maggiore pericolo di subire condizionamenti, sicchè l’amministratore di sostegno deve vigilare ed il Giudice Tutelare può escludere di volta in volta tali diritti anche d’ufficio, se ciò espone a pericolo il beneficiario (art 411, IV cm cc; cass. 21.5.2018 n 12460).

In questi casi di richiesta di limitazione di diritti personalissimi, la cassazione ha ritenuto necessaria la presenza di un avvocato, sia per richiedere tali limitazioni di capacità, sia per la tutela del beneficiario (cf oltre par 5).

2)La scelta e la nomina del tutore, del curatore e dell’amministratore di sostegno I criteri per la scelta del tutore, del curatore e dell’amministratore di sostegno sono gli stessi, facendo rinvio all’art 408 cc, per la scelta dell’ads, l’art 424 III cm cc, che riguarda la tutela e la curatela. Il criterio principale per la scelta dell’amministratore-tutore-curatore è enunciato nell’incipit dell’art 408 cc. Il giudice deve scegliere una persona che sia idonea alla cura ed agli interessi del beneficiario. E, nell’ordine, la disposizione prevede la designazione dell’amministratore da parte dello stesso beneficiario, attraverso un atto precedente al procedimento, redatto con atto pubblico o la scrittura privata

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autenticata. Designazione che può essere fatta anche dai genitori, con atto pubblico, scrittura privata o testamento.

Il giudice peraltro, può disattendere la designazione per gravi motivi, che evidentemente riguardano la circostanza che la persona designata non sia la più idonea a salvaguardare la cura e gli interessi del beneficiario, ad esempio per la presenza di conflitti, o per sua incapacità. Subentrano a questo punto per la scelta, le priorità indicate dalla legge al giudice tutelare, ovvero il coniuge o convivente, i genitori, i figli, i collaterali ed i parenti entro il quarto grado.

Passando alle figure extra familiari, la norma esclude che siano nominati amministratori i soggetti del servizio pubblico o privato che si prendono cura della persona, per non far coincidere la figura del controllore con quella del controllato.

E’ rilevante il fatto che a tali soggetti la legge (art 406 cc) ha invece conferito la legittimazione attiva per l’instaurazione del procedimento di amministrazione, per rendere più concreti e reali i principi costituzionali di protezione dei soggetti deboli, nel rispetto dei doveri di solidarietà sociale sanciti dall’art 2 della Costituzione; e per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana di cui al’art 3, 2°

cm della Carta Costituzionale.

La disposizione prevede inoltre la possibilità che siano nominati amministratori i rappresentanti di fondazioni od associazioni, con o senza personalità giuridica;

rappresentanti che a loro volta possono delegare il compito ad un componente dell’associazione o della fondazione. E’ importante che comunque il compito sia affidato ad una persona ben individuata, al fine di impedire incarichi impersonali ed atteggiamenti di deresponsabilizzazione.

La giurisprudenza è contrastante sulla possibilità di nomina di un coamministratore, anche se diversi giudici, nel silenzio della legge, ritengono che la nomina si possa fare, nel caso in cui essa sia ritenuta idonea ad una migliore cura della persona e degli interessi del beneficiario. Tale possibilità è espressamente prevista nel progetto di legge Cendon di abolizione dell’interdizione, pendente presso le Assemblee Legislative.

3)Poteri, doveri e limiti dell’amministratore di sostegno, del tutore e del curatore.

I poteri sono poteri di rappresentanza (o assistenza) – art 405, V cm nn 3 e 4 per l’amministrazione, art 357 cc per la tutela, art 394 cc per la curatela.

C’è una rappresentanza volontaria ed una rappresentanza per legge. Quando la persona si autodetermina e vuole che un altro lo sostituisca nella espressione della sua volontà, si parla di rappresentanza volontaria; in tal caso gli conferisce

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una procura speciale o generale (rappresentanza in un affare od in tutti gli affari – esempi: all’avvocato per la difesa in giudizio; ad un parente mediante atto notarile).

Nella tutela e nell’amministrazione di sostegno il potere di rappresentanza è conferito dalla legge.

Nella tutela tale potere di rappresentanza è generale con esclusione dei cd diritti personalissimi. Nell’amministrazione di sostegno invece si limita tale potere alle situazioni di effettiva incapacità della persona protetta, che vengono espressamente individuate dal giudice tutelare nel decreto che apre l’amministrazione; ad es: gestione del conto in banca, ritiro della pensione, pagamenti in nome e per conto dell’amministrato, gestione di beni immobili, ritirando l’affitto e versandolo sul conto dell’amministrato; presentando la domanda per ottenere la pensione o indennità di accompagnamento a nome dell’amministrato, chiedendo il rilascio di un documento d’identità, certificati medici, cartelle cliniche, estratti conto bancari o postali, presentando la dichiarazione dei redditi. Vi sono poi atti e fatti che superano l’ordinaria amministrazione, (artt. 374-375-411 cod civ) – es. accettare un’eredità; vendere una casa per sostenere le spese ingenti o i debiti accumulati; effettuare una divisione concordata di beni con altri parenti; investire soldi dal conto corrente in titoli od altri mezzi finanziari; affidare l’incarico ad un avvocato per la difesa in giudizio; spostare il beneficiario che non può fare liberamente la scelta, da una abitazione ad un luogo di cura. In questi ultimi casi la decisione, che è destinata ad avere effetti rilevanti nella vita del beneficiario, è sottoposta anche all’autorizzazione del Giudice Tutelare. Il decreto del giudice tutelare può comprendere una o più delle situazioni indicate, ma potrebbe anche essere limitato alle questioni di cura della persona in senso ampio, ad esempio, stabilire il luogo in cui l’amministrato deve risiedere, stabilire le terapie cui deve essere sottoposto etc.

I doveri del tutore riguardano la cura della persona e l’amministrazione dei beni.

Per l’amministrazione di sostegno dipende da cosa viene individuato dal giudice tutelare. Abbiamo accennato all’amministrazione dei beni, per la cura della persona vengono in rilievo l’eventuale ricerca del luogo in cui la persona deve essere alloggiata o ricoverata; l’attenzione agli aspetti medico-terapeutici, con le questioni relative al consenso alle terapie, di cui si parlerà oltre.

Vi è un dovere generale, che per la tutela può rientrare nel dovere di cura, anche se è espressamente indicato solo dalle norme sull’AdS, di tenere conto delle esigenze e dei bisogni dell’amministrato: l’art. 410, I e II cm cc richiede, per quanto possibile, di instaurare un dialogo con l’amministrato per renderlo partecipe, anche se non sempre può essere deciso nel senso da lui indicato. Questo dovere mette in evidenza che vi sono in capo all’amministratore di sostegno non solo compiti di

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sostituzione ma anche compiti di promozione della vita, delle esigenze e delle aspirazioni del beneficiario. Es: organizzare l’invio quotidiano ad un Centro di recupero e socializzazione; spingere la persona a lavori compatibili con le sue capacità.

Vi è un’attività di controllo del giudice tutelare che riguarda la tutela, la curatela e l’amministrazione di sostegno.

Nel campo patrimoniale, vi è il controllo dato dall’autorizzazione ad atti di straordinaria amministrazione, artt 374, 375 cc, richiamati per l’AdS dall’art 411, I cm cc e per la curatela, dall’art 394 cc; ma anche dall’autorizzazione all’investimento di capitali, artt 372, 373 cc, o all’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, ex artt 471, 472 cc, applicati in base all’art 411 ult cm cc;

accettazione beneficiata, quando l’eredità sia a rischio o gravata da pesi.

In base all’art. 44 disp. att cc, il giudice tutelare può, in qualsiasi momento, convocare il tutore, il curatore e l’amministratore di sostegno, per chiedere informazioni e notizie e dare istruzioni relative agli interessi morali e patrimoniali del beneficiario.

Il giudice tutelare può, anche d’ufficio, in base alle informazioni avute, modificare od integrare il decreto di amministrazione di sostegno (art 407 IV cm cc).

Vi è l’obbligo del tutore e dell’amministratore di sostegno di riferire periodicamente al giudice tutelare sulla situazione generale della vita personale e sociale del tutelato-amministrato (per quest’ultimo art 405, V cm n 6 cc) -relazione- e di rendere il conto, per l’amministratore se ha anche la gestione economica, della situazione contabile e patrimoniale (art 380 cc). Il tutore e l’amministratore devono considerare, per quanto riguarda le spese, che devono fare i conti con la situazione economica reale della persona protetta.

Vi è poi un obbligo di rendiconto finale (art 385 cc), a carico del tutore e dell’amministratore, se quest’ultimo ha la gestione patrimoniale, da presentare entro due mesi dalla cessazione dell’amministrazione (artt 385-386 cc). Il decreto con cui il giudice tutelare approva o non approva il rendiconto può essere impugnato da chi vi ha interesse avanti il tribunale in sede contenziosa (art 386, III cm cc).

4.Il consenso alle terapie

In linea generale la Costituzione italiana prevede, in virtù del principio del rispetto dei diritti fondamentali della persona umana e della sua dignità, previsto dall’art 2;

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dell’inviolabilità della libertà personale, in cui è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo, tutelata dall’art 13 Costituzione; altresì del fondamentale diritto dell’individuo alla salute ex art 32 Costituzione, che i trattamenti sanitari devono essere liberamente consentiti dal paziente, previa informazione sui loro effetti e rischi. La legge italiana pertanto (L 23.12.1978 n 833, da ultimo la L 22.12.2017 n 219) anche in linea con i principi enunciati da Convenzioni Internazionali (Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la biomedicina, fatta ad Oviedo il 4.4.1997 e ratificata dall’Italia con L 28. 3.2001 n 145) stabilisce che i trattamenti sanitari sono volontari, e che gli interventi nel campo della salute possono essere effettuati solo se il paziente abbia espresso il proprio consenso libero ed informato; che per contro i trattamenti sanitari obbligatori sono circoscritti e previsti dalla legge.

Certo il nostro ordinamento non ritiene un fatto lecito il suicidio né l’eutanasia, per cui sanziona chi a tale gesto istiga o ad esso dà aiuto (art 580 cp – art 35 del codice deontologico dei medici); tuttavia, il principio del consenso informato prevede la facoltà oltre che di scegliere tra i trattamenti medici, anche di rifiutare la terapia e di interromperla in tutte le fasi della vita (Cass. 16.10.2007 n 21748), essendo escluso che il principio di autodeterminazione incontri un limite, allorchè ne possano derivare gravi conseguenze, anche eventualmente il sacrificio della vita. Mentre il medico per espressa disposizione dell’art 1 della L 219/2017 se rispetta la volontà del paziente di rifiutare le cure, è esente da responsabilità, ciò non è contemplato dalla legge per altre figure. Tuttavia la Corte Costituzionale, cui la questione era stata rimessa dal giudice penale, a seguito di procedimento penale nei confronti di imputato che aveva agevolato persona affetta da grave malattia incurabile, con sentenza n 242 del 25.9.2019, ha ritenuto non punibile ex art 580 cp, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, liberamente formatosi, di persona capace di prendere decisioni libere e consapevoli, tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze che ella reputa intollerabili.

Qual è la disciplina, nel caso di pazienti disabili o la cui volontà è inficiata da problemi psichici? La legge riconosce la facoltà del legale rappresentante (tutore o amministratore di sostegno) di prestare il consenso ai trattamenti sanitari a beneficio del paziente che è impossibilitato a formare ed esprimere una propria volontà consapevole, in base al principio che tali rappresentanti devono occuparsi della cura della persona del rappresentato (artt. 405, 357 cod civ; art 3 L 22.12.2017 n 219; art 6 Convenzione di Oviedo).

Per il principio di autodeterminazione, che si fonda sul valore fondamentale della tutela della dignità umana, quando esista una volontà attuale del disabile, che possa ritenersi valida e rilevante, ovvero una volontà pregressa ricostruibile con certezza, diretta a rifiutare il trattamento, poiché si tratta di una scelta personalissima, la cura o l’intervento terapeutico può essere rifiutato dallo stesso

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disabile o dal suo legale rappresentante, anche se necessario alla sopravvivenza (es. Testimoni di Geova ed emotrasfusioni).

Vengono pertanto in rilievo le eventuali Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT), disciplinate dalla L 219/2017, che il beneficiario possa aver effettuato mediante atto pubblico, scrittura privata autenticata o consegnata personalmente all’ufficio di stato civile del comune di residenza, o presso le strutture sanitarie. In questo caso, (cass. n 12918/2019; 23707/2012), non occorre ricostruire la volontà del beneficiario, espressa chiaramente in una sua dichiarazione rilevante. In mancanza però di un’espressa dichiarazione di volontà, occorre un’opera di ricostruzione che tenga conto anche delle sue manifestazioni e convinzioni, al tempo in cui lo stesso era cosciente.

In base all’art 4, V cm, della citata L 219/2017, il medico è tenuto al rispetto delle DAT, potendo disattenderle, in accordo col fiduciario, solo se appaiano palesemente incongrue, non corrispondenti alla condizione attuale del paziente, o se emergano terapie non prevedibili al momento della sottoscrizione delle DAT.

Nel caso di conflitto tra fiduciario e medico, la decisione è rimessa al giudice tutelare.

La L 219/2017 ha definitivamente chiarito (art 1) che sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione e l’idratazione artificiali, ha fissato le forme di manifestazione delle DAT, disponendo che il dichiarante nomini un fiduciario per manifestare la sua volontà in caso di incapacità, e la competenza del giudice tutelare in caso di contrasto sulle terapie tra rappresentante dell’incapace e medico, o tra fiduciario e medico (artt 3, 4).

Nel caso in cui non vi sia un chiaro divieto posto da dichiarazioni anticipate o da principi manifestati dal beneficiario, quando era lucido, prevale il principio solidaristico della tutela della vita (Cassaz. 23676/2008; Cassaz. 21748/2007) ed il rappresentante può sostituirsi al rappresentato sotto tutela o amministrazione, nel consentire al trattamento, sotto il controllo del giudice tutelare.

Il ricovero coatto, nel caso di patologie psichiatriche e per terapie dello stesso genere, resta invece di competenza esclusiva del Sindaco, in presenza di precise condizioni e per tempi strettamente prestabiliti (artt. 34 e 35 L n 833 del 1978), ed è convalidato dal Giudice Tutelare con un controllo relativo solo alla legalità del provvedimento.

5. Indicazioni procedurali e pratiche

La domanda si propone al giudice tutelare del Tribunale in cui la persona interessata ha la residenza o il domicilio (art 404 cc), può utilizzarsi lo schema che

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si trova nel sito del Tribunale di Roma (www.tribunale.roma.it; “minori e tutele”;

“ricorso per amministratore di sostegno”). La giurisprudenza prevalente dei giudici di merito non ritiene necessaria la nomina di un difensore né per proporre la domanda, nè da parte della persona che viene esaminata; sia il ricorrente che la persona per la cui amministrazione si ricorre, sono però liberi di munirsi di difensore. La Corte di Cassazione peraltro, con sentenza n 25366/2006, poi confermata (n 6861 del 20.3.2013), ha ritenuto la necessità della difesa tecnica in favore del beneficiario, quando con il decreto di nomina o successivamente, si ritiene di far luogo a decadenze o ad altri effetti incapacitanti propri dell’interdizione (capacità di testare, di contrarre matrimonio, di donare). Ove sia già nominato un amministratore, sarà sua cura provvedere; nel caso di procedimento al suo inizio, ove la persona non sia in grado di capire e di procedere alla nomina, si può nominare un curatore speciale, ex art 78 cpc, o un amministratore provvisorio al fine di nominare un legale, o provvedere alla difesa, avendone il titolo.

Il giudice tutelare deve vedere ed esaminare la persona per cui si chiede l’amministrazione, in ufficio o, se la stessa non può accedervi, fissando un’udienza nel luogo in cui essa si trova e deve tener conto dei bisogni e delle richieste della stessa (art 407, 2 cm cc).

In base all’art. 406, III cm cc, la domanda può essere proposta dai responsabili dei servizi sociali o sanitari che hanno la cura o l’assistenza della persona; essi però non possono comunque essere nominati amministratori di sostegno (art 408 III cm cc). Da notare che il codice menziona i responsabili, e quindi se nell’unità pubblica o privata (ad es Municipio, ASL, clinica privata), esistono più operatori che si occupano dell’attività sanitaria o sociale, la domanda deve essere sottoscritta dal responsabile dell’unità.

La domanda può essere anche proposta dal pubblico ministero, cui i servizi sociali o terze persone possono rivolgersi (artt 406-417 cc).

E’ indispensabile allegare copia del documento d’identità ed un certificato medico relativi alla persona interessata, certificato che attenga anche agli aspetti relativi all’incapacità della stessa.

Fermo restando che l’unica parte necessaria del procedimento è l’amministrando, possiamo ritenere che il procedimento per apertura amministrazione di sostegno si distingue in due fasi: la prima fase, che termina con il decreto del giudice che accoglie la domanda o la respinge, si svolge come un procedimento camerale con la presenza di più parti; in questa fase tutti i soggetti costituiti hanno diritto di visionare gli atti del procedimento. Nella seconda fase tali soggetti hanno poteri di segnalazione (410 cc) e di richiesta di revoca dell’amministrazione (art 413 cc) ma la facoltà di esame degli atti è subordinata ad una valutazione discrezionale del giudice tutelare (art 380, cm 2 cc).

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L’art 720 bis cpc prevede la competenza della Corte d’Appello a conoscere il reclamo avverso il decreto del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno. La Corte di Cassazione, avallando la posizione di alcune Corti d’Appello (tra cui Roma e Bologna), ritiene che la competenza della Corte d’appello e poi della Corte di Cassazione valga unicamente ove si impugni il decreto di apertura e di rigetto della domanda di amministrazione, essendo i provvedimenti a carattere gestorio, tra cui quello con cui si individua l’amministratore, sempre revocabili e modificabili dal giudice che li ha emessi (cassaz 16.2.2016 n 2985); recentemente la stessa Corte (cass. 14158/2017) ha ritenuto non avere carattere gestorio ma natura decisoria su diritti soggettivi personalissimi e quindi impugnabile in corte d’appello ex art 720 bis cpc, il provvedimento con cui il giudice tutelare decida sulla domanda dell’amministratore, di autorizzazione ad esprimere, in nome e per conto dell’amministrato, il consenso o il rifiuto di sottoporsi a terapie mediche. I provvedimenti di carattere gestorio invece si impugnano, secondo la regola generale, con reclamo al tribunale, in composizione collegiale, ex art 739, I cm cpc.

Segnalo tuttavia una recentissima sentenza in senso contrario (cassaz 32409/dicembre 2019) in base alla quale dalla lettura testuale dell’art 720 bis cpc, si desumerebbe che sul reclamo sia sempre competente la Corte d’appello senza distinzioni.

Quando la situazione è gestibile con gli strumenti ordinari, è bene evitare l’apertura dell’amministrazione di sostegno, che rende la gestione della situazione della persona più complessa, con il coinvolgimento di un Ufficio Pubblico quale il Tribunale, ed i conseguenti disagi burocratici (deposito atti in cancelleria, ritorno per ritiro provvedimento del giudice, etc).

Ad esempio non è necessaria se la pensione del disabile è modesta, va su un conto cointestato gestito da un familiare cointestatario senza problemi tra congiunti. L’amministrazione serve, se vi è necessità di vendere od acquistare immobili o di effettuare investimenti di denaro e la persona interessata non può firmare, se vi è la necessità di interventi medici che pongono in pericolo la vita della persona e la persona non è in grado di dare il consenso, se vi è la necessità di effettuare divisione di beni immobili tra parenti o coeredi, se vi è necessità di spostare la persona a vivere da un luogo ad un altro e la persona non è in grado di dare il libero consenso allo spostamento. Gli interventi che hanno carattere esclusivamente assistenziale non necessitano dell’apertura dell’amministrazione di sostegno.

*già presidente di sezione del Tribunale di Roma.

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