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BIOREATTORI Ingegneria dei tessuti: comprende diversi settori come biologia cellulare, biochimica, biologia molecolare, ingegneria chimica,

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BIOREATTORI

Ingegneria dei tessuti: comprende diversi settori come biologia cellulare, biochimica, biologia molecolare, ingegneria chimica, bioingegneria, scienza dei materiali, scienze cliniche e chirurgiche.

Concettualmente si tratta di copiare ciò che la natura ha già fatto, prendendo un tessuto qualsiasi composto da cellule che vivono all’interno di una struttura (matrice). Si crea uno scaffold idoneo e si seminano cellule che aderiscano allo scaffold per poter svolgere le loro funzioni (cellule adesivo-dipendenti: la loro attività -movimento, fagocitosi, duplicazione, proliferazione- viene svolta solo se le cellule sono adese a un substrato. Le cellule del sangue e del midollo non sono adesivo-dipendenti). Lo scaffold è importante sia per le proprietà di superficie che di bulk, in termini di proprietà meccaniche. Questo sarà importante per i campi fisici generati dai bioreattori, i quali stimolano lo scaffold e le cellule adese su di esso. La crescita in numero delle cellule è mediata dallo scaffold e dall’adesione delle cellule stesse ed è dovuta alla duplicazione delle cellule in coltura. La crescita delle cellule avviene grazie all’ambiente adatto in cui sono posti scaffold e cellule: medium di coltura, ambiente liquido che consenta alle cellule di crescere grazie alle sostanze nutritive fornite. L’ambiente viene nel tempo consumato dalle cellule, le quali vanno anche a rilasciare sostanze acide di scarto. Le cellule devono anche differenziarsi: le cellule staminali devono differenziarsi nel tipo cellulare voluto e questo avviene solo per cellule non differenziate. Se le cellule sono

adulte/primarie e già differenziate bisogna controllare che esse non de-differenzino in modo negativo. Il differenziamento può essere indotto da sostanze che stimolano la cellula: fattori di crescita; oppure mediante stimoli fisici che agiscono sul sistema di meccano-trasduzione delle cellule agenti sul DNA per il differenziamento del fenotipo cellulare.

Lo scaffold sarà il materiale direttamente stimolato dal bioreattore, quindi deve essere pensato molto bene in tutte le sue caratteristiche meccaniche, strutturali e superficiali. Lo scaffold è una struttura rigorosamente porosa a pori aperti. Pori aperti significa che i fattori dell’ambiente possano passare nei pori dello scaffold, per aumentare il trasporto delle sostanze nello scaffold per raggiungere le cellule all’interno dello scaffold poroso.

I prodotti dell’ingegneria dei tessuti derivano da materiali naturali e sono viventi, per l’introduzione di cellule. Questo li avvicina ai trapianti.

Ingegneria dei tessuti: applicazione di principi scientifici per la progettazione, costruzione, modificazione, crescita e mantenimento di tessuti viventi. Prevede quindi la manipolazione di cellule e tessuti viventi, per realizzare tessuti biologici viventi. Per quanto riguarda la produzione industriale di tessuti autologhi, al momento vi sono molti sviluppi nell’uso di cellule staminali, con regolazioni e leggi europee, sviluppo industriale e automazione del processo con cell factory che producono industrialmente tessuti. L’idea sarebbe quella di produrre tessuti autologhi per i pazienti in maniera industriale e con processo automatizzato. Queste cellule autologhe verranno quindi poste all’interno di un processo/impianto automatizzato con sistema di controllo molto raffinato per generare tessuti con cellule del paziente, impiantabili nel paziente. Questo è un autotrapianto perché le cellule sono autologhe. L’automazione dell’impianto favorisce il processo, ma non è ancora fattibile.

Il problema è: si ha una patologia o un trauma e si vuole trovare la soluzione. I sostituti sintetici risolvono il problema ma danno una risposta da corpo estraneo che può essere un problema. Si può pensare di utilizzare i trapianti, sostituti di tessuti biologici omologhi, ma questo comporta una risposta immunitaria importante e il paziente deve essere sottoposto a terapia immunosoppressiva che consente al paziente di mantenere questo nuovo tessuto all’interno del corpo, ma l’equilibrio è molto labile. Si prendono quindi i pro di impianti sintetici (proprietà meccaniche) e dei trapianti (biologia), per generare un tessuto autologo che possa rispondere ai requisiti dei trapianti terapeutici tradizionali.

Biopsia da donatore  isolamento delle cellule  decisone di uno scaffold  semina delle cellule sullo scaffold  coltura in vitro e maturazione del costrutto  impianto in vivo nello stesso luogo anatomico di prelievo delle cellule.

È importante considerare e controllare anche i fattori chimici introdotti: fattori di crescita, ormoni, morfogeni. Questo non basta, il tutto deve essere stimolato con bioreattore per riprodurre le caratteristiche dinamiche del tessuto di interesse

(condizionamento biochimico e fisico), senza indurre modifiche fenotipiche nelle cellule primarie oppure inducendo il corretto differenziamento di cellule staminali.

È importante anche il controllo del tempo di coltura e stimolazione: rispettare un periodo iniziale dopo la semina cellulare, per consentire l’adesione e l’adattamento cellulare (1-2 giorni). Questo permette successiva stimolazione cellulare per avere sicurezza che le cellule non si stacchino perché hanno massimizzato la loro forza di adesione al substrato.

Scelta del tipo cellulare:

 Tipo di impianto: per impianto sull’uomo le cellule devono essere autologhe -del paziente- staminali o differenziate.

Le cellule staminali si trovano in nicchie staminali (midollo osseo, sangue) specifiche per ogni tessuto, le cellule sono in stato di quiescenza ma sono abbastanza reattive all’ambiente circostante. Il problema è definire dove si trova la nicchia. Per altri test (no impianto in essere vivente), in vitro o modello animale, si possono usare altri tipi di cellule

 reperibilità del tipo cellulare;

 Immunogenicità: per impianto in un organismo le cellule devono essere di quell’organismo;

 Stabilità fenotipica raggiunta applicando i campi fisici adeguati al tipo cellulare;

 Capacità proliferativa in vitro delle cellule: efficienza di duplicazione, possibilità di duplicarsi in base all’età del donatore e quindi al numero di duplicazioni già subite (senescenza replicativa).

Le cellule differenziate hanno problemi di reperimento (cellule sane in tessuti patologici), danneggiamento del sito di espianto, perdita del fenotipo, numero di replicazioni limitate (10-12 passaggi). Se per il determinato tessuto sono disponibili cellule staminali che diventano cellule differenziate volute, mediante ricetta ben studiata, è preferibile utilizzare queste. Non sempre sono disponibili queste cellule e le ricette per differenziazione. Le cellule staminali embrionali non sono presenti a livello adulto e non è consentito eticamente. Le cellule staminali adulte richiedono condizioni di coltura molto complesse per l’induzione del differenziamento. Le cellule staminali adulte generalmente devono essere coltivate con co-colture per la sinergia che si ha nel tessuto, ad esempio per la presenza di capillari servono cellule epiteliali (effetto regolatorio, sinergico) per un tessuto vascolarizzato più funzionale.

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Lo scaffold è la struttura di supporto che ha la funzione di guidare la crescita cellulare, verso la ricostruzione di un tessuto, in termini di caratteristiche biologiche, funzionali e morfologiche. Induce la crescita e lo sviluppo di un tessuto funzionale a partire da una massa di cellule originariamente disperse (cellule adesivo-dipendenti), funge da guida per l’adesione,

proliferazione, migrazione e differenziamento delle cellule e fornisce un profilo biomeccanico temporaneo al tessuto fino a che le cellule non iniziano a produrre la propria matrice. Esso definisce uno spazio tridimensionale per la formazione di nuovo tessuto e rappresenta un veicolo per il rilascio controllato di fattori bioattivi. I requisiti di uno scaffold sono:

 Morfologia: tridimensionale e altamente poroso con pori aperti e interconnessi (diametro > 100 micron) per

consentire la crescita cellulare, il trasporto di nutrienti e la rimozione di cataboliti. Guida morfologica e topologica (

contact-guidance) per la distribuzione delle cellule nello spazio, fornendo una direzionalità alle cellule. La porosità del materiale (vuoto/totale) deve essere controllata, in base alle richieste, per la distribuzione dei pori nel volume e la loro dimensione (porosità e dimensione dei pori sono cose molto diverse ma che devono essere connesse). Questo modifica le proprietà meccaniche della struttura dello scaffold, rispetto al materiale di bulk. È bene conoscere le prestazioni della struttura porosa. L’interconnessione dei pori favorisce la sopravvivenza cellulare: trasporto di nutrienti ed eliminazione di scarti;

 Biodegradabilità: prodotti non tossici per l’organismo e velocità di degradazione controllabile;

 Chimica superficiale: per favorire adesione, proliferazione e differenziamento cellulare con incorporazione di elementi tipici della ECM (idrofilicità, carica superficiale negativa, presenza di eventuali molecole/farmaci);

 Proprietà meccaniche simili a quelle del tessuto ospite nel sito d’impianto o adeguate al condizionamento;

 Processabilità in diverse forme.

I materiali utilizzabili sono:

 Polimeri naturali: collagene -estraibile dai tessuti e purificabile con processi enzimatici, è possibile cross-linkarlo per regolare la velocità di degradazione in vivo-, acido ialuronico, alginato -usato sotto forma di gel per veicolare le cellule-;

 Polimeri di sintesi: poliesteri biodegradabili per idrolisi del legame estere, poliesteriuretani -hanno ampio range di proprietà meccaniche controllabili indipendentemente dalle proprietà degradative-;

 Matrici decellularizzate;

La scelta si basa sulla riproduzione della natura o sull’utilizzo della natura stessa, usando scaffold decellularizzati ovvero organi manipolati per eliminare tutta la componente vivente per avere una matrice depersonalizzato con la forma

dell’organo/tessuto da ricostruire. Questo è vantaggioso per la forma e la presenta di componenti originali e naturali (componente proteico). La degradazione è lenta e si ha sostituzione con nuova matrice. Questa ha capacità di accogliere le cellule, con adesione molto alta perché sono naturalmente pensati per avere le cellule adese all’interno del tessuto.

Degradazione (idrolisi) dei materiali:

 Fattori che la favoriscono: dimensione (più è piccolo più degrada velocemente), porosità (più è poroso e più si degrada facilmente per la penetrazione dell’acqua), cristallinità (meno è cristallino e più facilmente si degrada, perché è meno denso e compatto). La degradazione è mediata dall’ingresso di fluidi, quindi gli scaffold che favoriscono la penetrazione dei fluidi al loro interno degraderanno con più facilità;

 La degradazione del materiale presuppone la sua sparizione, dopo un certo tempo non si ha più la massa di materiale. Si passa da massa totale a massa zero. Per arrivare alla massa zero la massa viene fagocitata dai macrofagi che o lo

digeriscono e processano oppure lo mantengono al loro interno. Deve diminuire il peso molecolare, con

accorciamento delle catene e perdita delle caratteristiche meccaniche. Le catene a bassissimo perso molecolare sono fatte scomparire dai macrofagi. Questo avviene in vivo, mentre in vitro la massa si mantiene perché non ci sono macrofagi e la massa di materiale rimane in coltura, quindi è bene non raggiungere queste curve di discesa in coltura.

Esempio di coltura statica: uno dei problemi è l’ustione di grandi percentuali di superficie corporea (sopravvivenza se la superficie ustionata è minore del 50%), con induzione di infezione per le zone aperte e la disidratazione. Si sviluppano delle membrane porose con microperforazioni e cellularizzate (cheratinociti autologhi) per il trattamento della pelle dei grandi ustionati, per rigenerazione. Questo trattamento non prevede l’utilizzo di bioreattori perché, rispetto ad altri tessuti, la pelle non è sottoposta a cambi fisici fondamentali.

Bioreattori per coltura dinamica: composti da plastica e viti per mantenere le camere chiuse (stagne, filtri sterili che

permettano il passaggio di gas dall’incubatore), questo per la protezione della coltura e per mantenere sterilità. Accortezze per i meccanismi di applicazione di forze per mantenere la sterilità.

Per l’applicazione di forze si deve fare una scelta ottimale dei parametri, i valori fisiologici sono quelli che si applicano a un tessuto maturo quindi in coltura questi vanno modulati e abbassati, rendendoli più simili a quelli dello sviluppo embrionale.

I bioreattori generano un pattern di flusso del terreno di coltura e aumentano il trasporto di nutrienti e gas per una migliore quantità di essi nelle cellule, per migliore respirazione e vita cellulare. Se si riesce a generare un sistema automatizzato per lo stimolo dei costrutti, con sensori, si possono controllare i parametri d’interesse della coltura (pH, temperatura, percentuale dei gas) in diretta. Per esempio, si può valutare il pH per capire la condizione del mezzo di coltura, con sistema di controllo e attivazione di un circuito che rimuove il medium esausto e ne inserisce di nuovo per riportare il pH a valori fisiologici, senza richiesta di un operatore che a mano cambi il medium, intaccando probabilmente la sterilità (possibile contaminazione). I bioreattori favoriscono anche la semina uniforme delle cellule.

Generalmente la semina viene fatta manualmente, con gocce depositate sullo scaffold e penetrazione di esse per la gravità nei pori. Molte cellule possono però fuoriuscire dallo scaffold con semina statica, inoltre si possono formare degli aggregati sul fondo. La semina dinamica prevede la movimentazione del medium con cellule per semina nello scaffold durante il passaggio all’interno, l’efficienza è comunque bassa e si formano comunque aggregati. Con i bioreattori è possibile far passare il medium

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di coltura con le cellule in maniera quasi statica nelle due direzioni alternativamente e per lungo tempo, per bloccare le cellule nello scaffold in maniera omogenea. Si genera un pattern di flusso del medium con le cellule. La coltura dinamica, rispetto a quella statica, provoca densità cellulare nello scaffold molto più elevata, con maggiore omogeneità nella distribuzione sia sui lati che all’interno.

Per avere riproducibilità del processo abbastanza elevata, rispetto a quella che si ha del processo a mano, si sono introdotti questi device e bioreattori per le diverse fasi della coltura.

Esempio: effetto dell’acido ascorbico in coltura cellulare: diminuzione della rigidezza per riportarli a quelli di un vaso nativo.

È benefico anche per la deformazione a rottura e la costante di tempo (minor dissipazione), mentre ha poco effetto sulla tensione massima.

Bioreattori: schema logico funzionale

Lo scaffold e le cellule vengono posti in una camera di coltura dove avviene l’ingegnerizzazione del tessuto. Nella camera di coltura vi è anche il mezzo di coltura liquido che contiene sostanze importanti per la crescita delle cellule seminate sullo scaffold: sali, vitamine, amminoacidi. La camera di coltura può contenere più di uno scaffold, per la coltura contemporanea. La camera da sola non fa niente, serve il bioreattore per generare i campi fisici sullo scaffold e le cellule. Se non si ha il

bioreattore si parla di coltura statica, mentre la coltura dinamica necessita del bioreattore, con sistema di attuazione per applicare il campo fisico desiderato. Il sistema di attuazione dipende dal campo fisico: ad esempio si applica pressione pulsatile mediante pompa pulsatile, con circuiti per il passaggio del medium (reservoir per abbassare il gradiente fluidodinamico), il quale deve essere pompato dalla pompa con portanza definita e imposta alla pompa. Per capire cosa avviene nella camera si utilizzano sensori per determinate variabili, dalle quali si genera un segnale elettrico da retta di taratura dopo lettura della variabile. I dati possono essere analizzati da un operatore per controllare la coltura. L’attuazione avviene sempre mediante settaggio da parte dell’operatore. I segnali elettrici possono anche agire a sistema chiuso, modificando direttamente il campo e le variabili agenti sul costrutto. Il fenomeno della coltura è infatti dinamico e richiede modifiche dei parametri del campo fisico agente. Ad esempio, le cellule possono aderire al substrato e se esse vanno a ricoprire tutta la superficie interna di un tubo è necessario settare la portata della pompa per provocare sulle cellule un massimo shear stress di 2 Pa, per evitare che si stacchino. Un altro esempio è quello di un cubo poroso che viene perfuso con un valore di portata per far sì che sulle pareti dei pori agiscano massimo 2 Pa. Il flusso passa con velocità controllate per limitare lo sforzo di taglio, quindi si setta la portata in ingresso. Se le cellule aderiscono e proliferano i pori riducono le loro dimensioni, la portata settata da luogo a velocità molto più alte per sezioni di passaggio minori, con incremento dello shear stress. Variazione della portata in base alla crescita attesa delle cellule nello scaffold, questo perché il sistema è dinamico.

Costrutti con cellule e scaffold devono essere inseriti in un incubatore, ovvero un sistema che genera una temperatura desiderata (37°C), una pressione di CO2 al 5% per mantenere il pH fisiologico e un’umidità del 95% per evitare l’evaporazione di liquidi. I tubi che collegano la camera, nell’incubatore, se possibile devono stare dentro, se non si può devono passare la porta dell’incubatore e quindi cambiamo notevolmente le condizioni al contorno, ma tutto in modo molto controllato e con lunghezza dei tubi esterni ridotta.

Il bioreattore è un dispositivo che consente lo svolgimento di processi biologici e/o biochimici in condizioni ambientali operative monitorate, automatizzate e severamente controllate (pH, temperatura, apporto di nutrienti e rimozione di cataboliti).

Specifiche di progetto generali dei bioreattori per la medicina rigenerativa (sapere benissimo)

1. Materiali citocompatibili per tutte le parti in contatto con cellule e medium (circuiti che non rilascino sostanze trasportabili dal medium). I materiali utilizzati devono essere definiti;

2. Affidabilità: mantenimento della funzionalità per tutto il tempo previsto per la coltura. Questo vale per tutti i dispositivi, acquistati e progettati in modo artigianale. Anche se per esempio cade la corrente salta tutto;

3. Sterilizzabilità e sterilità: meccanismi di sterilizzazione e materiali che vi si prestano. La sterilità iniziale deve essere mantenuta per tutto il tempo della coltura, perché non esiste la possibilità di sterilizzare a posteriori il costrutto ingegnerizzato. La perdita di sterilità può avvenire durante il cambiamento del medium, quindi ci vogliono attenzioni molto particolari da parte dell’operatore che deve operare sotto cappa a flusso laminare;

4. Compatibilità con le procedure di laboratorio GMP  facilità di montaggio sotto la cappa a flusso laminare: un buon progettista di bioreattori deve tener conto delle possibili operazioni manuali che l’operatore farà -mettere gli scaffold nella camera, cambiare il medium-, per progettare l’oggetto in modo che queste manovre siano fatte nel rispetto di GMP -Good Manufacturing Practice- per esempio in cappa bisogna evitare di passare sopra alla camera perché qualsiasi contaminazione sulle mani dell’operatore verrebbe trasportata direttamente nella camera;

5. Versatilità  diverse applicazioni;

6. No cross-contaminazione  colture di più campioni in parallelo  disposable: un esempio di bioreattore di più colture prevede lo stretching di elementi biologici con un motore collegato a più alberi. Tutti i campioni stanno nello stesso medium, le condizioni sono le stesse e gli sforzi anche, quindi i campioni si cross-contaminano per interazione, ad esempio con scambio di proteine, informazioni, cataboliti. Una camera con tanti campioni permette di ottenere più dati nello stesso tempo (in ambito clinico tutto deve essere buttato se utilizzato per uno specifico paziente, non può semplicemente essere risterilizzato). La cross-contaminazione serve per ottenere valori, non per l’impianto;

7. Semina automatica per evitare la contaminazione ed aumentare l’efficienza di semina;

8. Aumento del trasporto di nutrienti e gas dal terreno di coltura ai costrutti ingegnerizzati: si deve generare un trasporto di nutrienti, mediante movimentazione del medium. In questo modo le sostanze sono messe a disposizione delle cellule in maniera periodica;

9. Stimolazione fisica dei costrutti durante il loro sviluppo: shear stress, strain periodico, pressione pulsatile;

10. Ingombro ridotto: volume di medium che circola con fattori di crescita che hanno effetto a una determinata

concentrazione, al di sotto della quale non si ha effetto. Per cui se si ha tanto liquido bisogna aggiungere molti fattori

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di crescita -molto costosi- perché abbiano effetto. Si minimizza il volume di priming -volume di liquido- per minimizzare i fattori di crescita da inserire. Anche la dimensione effettiva, se ridotta, è favorevole;

11. Automazione e controllo: evitare la manipolazione da operatore;

12. Stand-alone: il bioreattore è “auto-incubato”, non serve un incubatore in cui mettere la camera, ma deve essere previsto un sistema in grado di controllare l’atmosfera nella quale il processo sta avvenendo.

I bioreattori sono usati in diversi campi: ricerca scientifica per creare modelli in vitro, ottimizzando la progettazione, il

processo e i valori; negli studi preclinici su animali e per industrializzazione dell’oggetto progettato per poi passare alla clinica, in caso vi sia dimostrazione di funzionamento da parte degli step precedenti.

I requisiti per clinica e ricerca sono diversi: ad esempio, per la clinica la versatilità non è fondamentale perché poi si butta tutto, anche se nella progettazione puoi si può avere versatilità per l’utilizzo per più applicazioni. Un esempio è anche la cross- contaminazione che non può avvenire per la clinica, ma viene largamente usata durante la ricerca, con device che vengono sterilizzati dopo ogni test perché, se anche vi fosse una cross-contaminazione, i residui di un primo esperimento sul secondo non provocherebbero dei danni così gravi come potrebbero essere in clinica. Per cui i materiali posso essere diversi, per la ricerca il materiale utilizzato deve resistere a più cicli di sterilizzazione, mentre in clinica si può usare un materiale meno costoso perché si utilizzerà una sola volta e poi sarà buttato.

Nella ricerca scientifica, i bioreattori possono essere usati per semina cellulare, condizionamento fisico, ottimizzazione del trasporto di massa dal medium ai costrutti (sia nutrienti che ossigeno), per sviluppo di modelli in vitro per ottimizzazione dei parametri. La semina cellulare viene fatta su scaffold con pori interconnessi, per creare un percorso che consenta al liquido di fluire, si fa gocciolare sopra uno scaffold un medium con cellule  bassa riproducibilità, operatore-dipendente, basata solo su campo gravitazionale, dipendenza dalla dimensione dei pori che provoca distribuzione non uniforme delle cellule, le quali sedimentano per gravità e formano grandi aggregati sul fondo. Un primo passaggio di innovazione potrebbe essere quello di rigirare lo scaffold e seminarlo sull’altro lato. La vera innovazione è quella di usare i bioreattori: primo modo poco efficiente prevede la movimentazione random o con rotazione del fluido contenente le cellule, ma l’adesione non è uniforme con concentrazione sulla superficie laterale (perfusione non confinata); il metodo efficiente prevede che lo scaffold sia bloccato da una struttura, la quale consente al fluido di passare solo attraverso lo scaffold (perfusione confinata). Le soluzioni più usate sono: mixed-flask, ovvero una flask con un certo numero di alberi collegati al tappo, su cui vengono montati gli scaffold, la struttura ruota e movimenta il medium  poco efficiente, con semina solo sulla superficie laterale; u-tube composto da una camera con uno scaffold vincolato in essa, connettori che collegano la camera a un sistema di tubi che prevede la presenza di una pompa a siringa in grado di spostare questo fluido per farlo passare nello scaffold, imponendo il movimento da entrambe le parti per far oscillare il medium carico di cellule in modo molto lento, questo fa sì che in meno di 24 ore lo scaffold sia completamente seminato da cellule (per valutare le cellule adese si contano quelle non adese).

I materiali utilizzati per la mixed flask e u-tube sono vetro, plastica, silicone. Il silicone è permeabile all’ossigeno e permette l’ossigenazione del medium attraverso le pareti. Nel caso dell’u-tube il volume è nettamente più basso rispetto alla flask, quindi la concentrazione di cellule adeguata e necessaria richiederà un numero ridotto di cellule rispetto alla flask.

Per il condizionamento fisico bisogna investigare i meccanismi trasduzionali che determinano lo sviluppo del tessuto in vitro, inducendo lo sviluppo del tessuto mimando l’ambiente fisiologico o embrionale per la differenziazione cellulare. Questo consente l’ingegnerizzazione di tessuti funzionali. Si può avere condizionamento fluidodinamico (perfusione confinata), adatto ad ogni tessuto da ingegnerizzare. Se si utilizza, nel dettaglio, condizionamento con perfusione in tubo circolare si va più nello specifico per i vasi, ma bisogna considerare anche la deformazione che essi subiscono in vivo. Il condizionamento meccanico è specifico per tendini, legamenti, muscolo scheletrico, tessuto cardiaco, cartilagine e osso. Il condizionamento elettrico si applica a tessuti attivi, che necessitano di attivazione elettrica (muscolo scheletrico, tessuto cardiaco, neuroni e nervi). I tessuti vengono stimolati con la combinazione di più campi.

Per capire l’effetto di una stimolazione è importante avere un controllo: campioni sottoposti a coltura statica, con le medesime condizioni senza però il campo fisico, con staticità totale. Questo non è l’ottimo, bensì è importante inserire i controlli nella stessa camera dei campioni testati, senza deformazione. Questo per avere movimentazione del medium.

I sistemi a perfusione prevedono perfusione confinata per avere risultati ripetibili, con diffusione e convezione per il trasporto di massa. rispetto a una coltura statica, la perfusione determina risultati più simili a quelli del tessuto nativo. Un altro metodo per aumentare il trasporto di massa nei sistemi 3D sono sistemi a rotazione. Lo scaffold posto nel medium viene posto in una struttura in silicone, per la permeabilità al silicone, che ruota per creare un caos fluidodinamico con volume di matrice extracellulare prodotta che viene incrementato notevolmente grazie al sistema.

Un atro ruolo dei bioreattori in ricerca clinica è quello di valutare dei fenomeni, sviluppando modelli in vitro: si dividono le variabili e le si analizzano singolarmente e in combinazione; individuazione dei meccanismi fondamentali che regolano le funzioni cellulari; definizione di metodi e protocolli di semina e coltura dinamica.

Negli studi preclinici si utilizzano animali, quindi si usano i bioreattori sviluppati in ricerca scientifica, per valutare gli effetti dei prodotti sviluppati. Il problema è l’industrializzazione, perché per questo passaggio devono essere dimostrati risultati ottimali del progetto. Vi sono dei requisiti molto stringenti sui prodotti industrializzati: monitoraggio e controllo, automazione, standardizzazione e riproducibilità (prodotti uguali), tracciabilità (convalida dei processi, gestione del rischio, controllo di qualità), conformità con richieste regolatorie (GMP, norme europee e italiane che regolamentano la produzione), scale up (meccanismi di produzione in volumi molto alti), scale out (produzione di tessuti ingegnerizzati per i singoli pazienti).

Trasferimento alla clinica: i bioreattori per la sostenibilità clinica devono dimostrare sicurezza, efficacia (trial clinici) e conformità alle normative. I bioreattori per la sostenibilità economica richiedono un processo industrializzato per ridurre tempi e costi dell’ingegnerizzazione del costrutto, si contengono i costi a lungo termine e si ha aumento dell’accessibilità, con trattamenti a lungo termine.

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Le cellule staminali sono in grado di replicarsi -dividersi per mitosi cellulare in due cellule- generando due cellule figlie identiche alla madre, possibile per un numero quasi infinito di volte. Le cellule non staminali, dette somatiche, compongono tessuti maturi funzionali.

Queste vanno incontro a senescenza replicativa, ovvero al crescere del numero di divisioni cellulari effettuate si ha

accorciamento dei telomeri delle cellule, ed esse diminuiscono la velocità di replicazione fino ad arrivare non replicarsi più. Il numero di cicli di replicazione prima della senescenza è basso e dipende dal tipo cellulare, 14-24 volte. Le cellule staminali non soffrono di questo fenomeno. Un’altra capacità tipiche delle cellule staminali è quella di differenziarsi in un particolare progenitore, se opportunamente stimolati. Gli stimoli inducono la produzione di due figlie: una che è il clone della madre, l’altra un progenitore con attivazione di geni specifici del tipo cellulare che si formerà. Questo progenitore si dividerà fino ad arrivare all’ottenimento di una cellula specializzata per lo specifico tessuto. La cellula staminale, se non stimolata, non fa nulla e si trova in uno stato di quiescenza -limbo, ma con sensori di attivazione-. La staminalità si ha da adulti e queste cellule si trovano in nicchie dei tessuti. Per il differenziamento vi sono segnali interni ed esterni: i segnali interni sono controllati da geni, i segnali esterni includono sostanze chimiche secrete da altre cellule, contatto fisico da cellule vicine e molecole specifiche presenti nel microambiente.

Le cellule staminali si trovano negli embrioni nelle prime fasi di sviluppo (blastocisti) che si trovano in natura o in vitro, per fecondazione appunto in vitro. Gli embrioni possono anche essere ottenuti mediante clonazione terapeutica, con sviluppo di embrioni in vitro con il nucleo di una cellula somatica inserito in una cellula uovo privata del nucleo. Si possono anche trovare in un feto abortito, nel sangue dei vasi del cordone ombelicale o nei tessuti adulti. Le cellule staminali adulte si trovano nelle nicchie dei tessuti, le quali sono servite allo sviluppo del tessuto adulto. Alcune nicchie sono conosciute, altre no.

Le cellule staminali embrionali creano dei problemi: a livello di individuo adulto non sono più presenti, l’utilizzo di cellule embrionali di altre persone/feti non da luogo a tessuti autologhi e vi sono molte limitazioni etiche.

La preparazione di cellule staminali embrionali umani implica:

1. La produzione di embrioni umani e/o utilizzazione di quelli in sovrannumero da fecondazione in vitro o crioconservati;

2. Il loro sviluppo fino allo stadio di iniziale blastocisti;

3. Il prelevamento delle cellule dell’embrioblasto o massa cellulare interna (IMC), questa operazione implica la distruzione dell’embrione;

4. La messa in coltura di tali cellule dove si moltiplicano e confluiscono fino alla formazione di colonie, dette embrioidi;

5. Ripetute messe in coltura delle cellule delle colonie ottenute, che portano alla formazione di linee cellulari staminali capaci di moltiplicarsi indefinitamente conservando le proprie caratteristiche per mesi e anni.

Per l’ottenimento di cellule staminali embrionali, con fecondazione assistita, porta allo sviluppo di blastocisti e prelevamento di queste cellule utilizzabili per ricerca e non impianto. Si ha problema immunitario perché il DNA è specifico.

Se si ha fecondazione dell’uovo da parte dello spermatozoo, l’uovo ha due protonuclei e inizia a duplicarsi fino ad ottenere morula (8 cellule, day 4) e poi blastocisti, composte dalle cellule staminali embrionali della persona che si svilupperà. Questo percorso è libero, in ambiente liquido, quindi può essere riprodotto in vitro, fino al giorno 8 in cui si ha attacco all’utero della madre con fusione con i tessuti. La blastocisti, se non si lega, non porta a sviluppo di un nuovo individuo. Le cellule staminali danno luogo ai precursori dei tessuti, mantenendo comunque un certo numero di cellule staminali che via via diventano cellule staminali adulte ma con mantenimento della staminalità. Le cellule staminali possono avere una certa plasticità, ovvero alcune cellule staminali adulte per un tessuto possono differenziare in maniera forzata, in laboratorio, per lo sviluppo di un certo numero di altri tessuti, ad esempio le cellule del sangue possono differenziare in neuroni, oppure le cellule ematopoietiche possono differenziare in cellule muscolari cardiache. Le cellule iPS, somatiche, possono essere riprogrammate con spegnimento dei geni specifici per il tessuto in modo da riottenere in vitro una cellula staminale. Si ha quindi forzatura per tornare indietro, oppure per re-differenziare.

Le cellule staminali vengono coltivate per avere proliferazione, poi si può indurre differenziazione con sostanze chimiche e /o stimoli fisici. Potenza delle cellule staminali in vivo:

1. Totipotenza: inner cell mass in grado di dare origine a progenitori per tutti i tipi cellulari;

2. Multipotenza: cellule staminali -midollo osseo- in grado di generare precursori per un certo numero di tessuti;

3. Unipotenza: cellule staminali in grado di generare il precursore per un solo tipo cellulare.

Più le cellule si sviluppano e più la potenza diminuisce.

Nel midollo osseo, in particolare nello stroma, vi sono cellule multipotenti ematopoietiche che permettono di dar luogo alle cellule del sangue per tutta la vita dell’individuo. Le cellule stromali sono in grado di dar luogo a molti precursori per diversi tessuti del corpo. In vitro si possono fare diverse manipolazioni e forzature.

Esiste la possibilità di rifare un embrione uguale a noi stessi, in laboratorio: clonazione terapeutica. La clonazione riproduttiva permette di creare un nuovo animale uguale alla madre, l’efficienza è però bassa e si da luogo ad animali con gravi

malformazioni. La clonazione terapeutica permette di creare cellule embrionali umane, non fattibile in Italia. Si prende una persona e si espianta una cellula somatica della persona e, attraverso tecnologie, si libera il nucleo della cellula il quale contiene le informazioni genetiche della persona e, stimolando parti del genoma si possono ottenere diversi tessuti. Si prende una cellula uovo e in essa si mette il nucleo della cellula della persona e ci si riporta al day 1 della fecondazione  la cellula si riproduce in vitro e si può pensare di ottenere differenziazione in cellule dei tessuti desiderati. Se invece questa cellula venisse impiantata nell’utero si avrebbe clonazione riproduttiva. Il mantenimento in vitro è la clonazione terapeutica. Si ha un primo

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problema religioso, con distruzione di una vita, mentre il secondo problema è la presenza nell’uovo di sostanze e segnali che possono indurre il nucleo a seguire percorsi diversi dopo la fecondazione. Vi sono informazioni proteiche che possono modificare lo sviluppo. Un’altra idea sarebbe quella di prendere il nucleo di una cellula staminale adulta, rispetto a quella somatica, per avere meno segnali attivati al suo interno.

Laboratorio di colture cellulari

Mantenimento e crescita di cellule in laboratorio. Le cellule sono classificate in base a:

 Presenza di nucleo: cellule procariotiche, con materiale genetico non racchiuso nel nucleo, ed eucariotiche;

 Provenienza: cellule primarie o cellule di linea continua;

 Meccanismo di crescita: cellule ancoraggio-dipendenti (colture monostrato), cellule in sospensione;

 Morfologia: cellule semi-epiteliali che aderiscono a un substrato e appaiono piatte e di forma poligonale, riempiendo il substrato per formare un epitelio; simil-linfoblasti che non aderiscono ma si possono appoggiare in un punto; simil- fibroblasti che aderiscono ma non con lo scopo di formare un epitelio, appaiono allungate e bipolari con spazi vuoti.

Le colture cellulari sono utilizzate per: sviluppare sistemi modello, per biologia cellulare e molecolare, effetto di farmaci, processi di invecchiamento cellulare, biocompatibilità/citotossicità, cellule tumorali e tumorigenicità; terapia genica;

ingegneria dei tessuti. La numerosità cellulare varia in base al tempo e segue una curva di crescita cellulare. Al tempo t0 la numerosità è molto più bassa di quella richiesta per la semina su uno scaffold. Bisogna favorire la crescita per far crescere questo numero ed arrivare a una quantità di cellule desiderata. La curva mette in relazione il logaritmo del numero di cellule vive (modello esponenziale) e il tempo. Nella fase Lag si ha semina di un numero ridotto di cellule, le quali sono ancoraggio- dipendenti e quindi in questa fase si ha ancoraggio al substrato sintetico e le cellule non si dividono ma si adattano

all’ambiente. Il substrato può essere trattato può favorire l’adesione delle cellule e l’adattamento. La fase successiva è detta di Log, con proliferazione delle cellule che si duplicano e vanno ad invadere il substrato (piastra di Petri), senza spazi vuoti tra una cellula e l’altra. Se la coltura cellulare viene protratta in questa situazione, con confluenza e fase di plateau (stazionaria), le cellule vanno incontro a morte per inibizione da contatto e deplezione dei nutrienti. In fase di confluenza il numero di cellule è molto elevato ma esse sono in difficoltà biologica. È importante aumentare periodicamente la superficie disponibile alle cellule, mediante spostamento in un numero maggiore di piastre. Inoltre, il recupero delle cellule deve essere fatto al 70-80%

di confluenza per evitare di avere cellule in sofferenza. L’operatore deve controllare lo sviluppo delle cellule e il loro stato per scegliere il momento ottimale di prelievo. Il distacco delle cellule prevede la generazione di una sospensione cellulare, queste vengono prese e messe in medium di coltura. Esse vengono poi divise in più flask e substrati per aumentare la numerosità. A ciascun passaggio le cellule del passaggio precedente non ci sono più, per cui è bene, ad ogni passaggio, crio-preservare una parte della coltura (ad esempio una delle flask ad ogni passaggio) per avere memoria dei passaggi effettuati. Le cellule primarie soffrono del fenomeno della senescenza che limita il numero di duplicazioni possibile. Questa popolazione cellulare può essere trasformata in cellule di linea continue. Esse derivano da tessuti e vengono trasformate con immortalizzazione attraverso agenti virali o irraggiamento. Queste diventano cellule simil-tumorali che crescono velocemente e si riproducono indefinitamente. Impiantate in vivo danno luogo a tumori e non possono essere impiantate. È però possibile comprarle presso banche cellulari. La risposta cellulare è riproducibile se si utilizzano le stesse condizioni ambientali, quindi i risultati sono facilmente fruibili dai ricercatori, per la comparazione e l’utilizzo. La risposta è però poco realistica perché non hanno proprietà fisiologiche. Inoltre, non si possono fare ragionamenti assoluti, per il comportamento in vivo. Si possono fare solo dei confronti. Le cellule di linea devono essere coltivate secondo le condizioni determinate e dettate dal fornitore, le quali sono più semplici. Per le cellule primarie è necessario un certo ragionamento e una certa specificità per le cellule. La

standardizzazione è propria delle cellule di linea, mentre quelle primarie non hanno proprietà riproducibili ma danno risposta specifica e mirata per l’individuo da cui sono prese le cellule.

Terreno di coltura e campi fisici hanno ruolo importante nel differenziamento di cellule primarie, le cellule di linea non de- differenziano. Le cellule primarie, da tessuto, costituiscono una popolazione cellulare eterogenea con i tipi cellulari che costituiscono il tessuto (ad esempio cellule endoteliali dei capillari, fibroblasti sempre presenti, macrofagi residenti), le cellule di linea invece sono vendute in popolazione omogenea. L’eterogeneità può essere favorevole per la funzionalizzazione di un tessuto, il quale è sempre composto da più tipi cellulari che comunicano tra loro. La caratterizzazione delle cellule primarie è complessa, mentre è accertata per quelle di linea. Le cellule di linea vengono acquistate, mentre quelle primarie sono ottenute per espianto o biopsia.

Cellule primarie Cellule di linea continua

Approvvigionamento Isolamento in lab Acquisto da banche

Caratterizzazione Complessa Accertata

Omogeneità Popolazione eterogenea Popolazione omogenea

Stadio differenziativo De-differenziano No de-differenziamento

Capacità proliferative Ridotto numero di passaggi Illimitato numero di passaggi Standardizzazione  Variabilità intra- e inter-

individuale (scarsa ripetibilità)

 Scarsa riproducibilità

 Alta ripetibilità degli esperimenti

 Buona riproducibilità

Condizioni di coltura Terreni complessi Condizioni semplici

Risposta in vitro Realistica e significativa Poco realistica (alterata proliferazione e attività sintetica)

Applicabilità Applicabilità clinica (trapianto autologo o immunosopressione)

No applicabilità clinica (potenziale tumorigenicità)

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Congelamento in azoto liquido delle cellule: mantiene le cellule quiescenti, preservandone morfologia e funzione, anche per anni. Garantisce la presenza di scorte in caso di contaminazioni. La sospensione cellulare, di cellule in fase di Log è conservata in criovials, depositate in contenitore per azoto liquido, ha una temperatura di -196°C in forma liquida, -156°C per i vapori.

Il medium è un liquido che tenta di riprodurre sangue e ambiente fisiologico, contiene nutrienti ed elementi per crescita e proliferazione, mantiene il pH (sistema tampone bicarbonato/acido carbonico) e ne consente il controllo grazie al virare del suo colore, indicativo dello stato delle cellule. Al duplicare delle cellule, si avrà un numero sempre maggiore di cellule che

assumono i nutrienti dal medium. L’ambiente fisiologico o il medium forniscono queste sostanze. Esso contiene amminoacidi essenziali (energia, sintesi proteica), carboidrati (energia), sali inorganici (regolazione del potenziale di membrana), vitamine (nutrimento), elementi in tracce (zinco, rame, selenio). A questo medium base si possono aggiungere degli additivi:

glutammina, antibiotici (penicillina, streptomicina), sieri con fattori di crescita, ormoni e lipidi (parte liquida senza fattori di coagulazione), amminoacidi non essenziali.

Questi fattori diminuiscono nel tempo, perché consumati dalle cellule. Si ha inoltre accumulo dei cataboliti cellulari, ovvero degli elementi di scarto. È importante cambiare il medium con tempistiche idonee. Il pH (7.4) è un indicatore della salute cellulare: i cataboliti vanno ad inacidire il medium, abbassandone il pH e indicando uno stato di stress delle cellule. Si può inserire un sistema di controllo del pH, se esso scende sotto a 7 il sensore può dare un segnale all’operatore (sistema di controllo ad anello aperto, operatore dipendente) oppure attivare un sistema automatizzato per far sì che venga cambiato il medium dal bioreattore stesso (sistema di controllo chiuso, operatore indipendente). Inizialmente l’acidificazione del medium è indicativa della proliferazione cellulare, con cellule che usano il medium e producono scarti. Se non cambia colore potrebbero esserci problemi di coltura o una contaminazione

Medium con SIERO Medium SERUM-FREE

Effetti sulla proliferazione Favorisce la crescita cellulare Crescita cellulare rallentata Riproducibilità delle colture Bassa, a causa della variabilità inter-

lotto della composizione del siero

Buona perché il medium ha

composizione chimicamente definita

Standardizzazione Difficoltosa > consistenza dei risultati

Specificità per tipi cellulari Bassa Alta

Rischio di contaminazioni Alto Basso

Costo Alto Basso

Interferenze con letture Alta Bassa

Il tutto viene posto in incubatore per il controllo della temperatura, dell’umidità relativa e della composizione atmosferica. Se il bioreattore è stand-alone, quindi autonomo, è necessario che esso stesso mantenga le condizioni desiderate di temperatura, umidità e pressione parziale dei gas.

Dato un certo numero di cellule scongelata e messe in sospensione, esse sono seminate su una flask, con incubazione e ottenimento della semi-confluenza per il passaggio, ovvero il distacco delle cellule e la suddivisione in un numero maggiore di piastre. Questo passaggio comprende diversi step: harvesting e sospensione in mezzo di coltura, per distacco delle cellule dal substrato mediante distacco enzimatico (tripsinizzazione che deve essere veloce perché la tripsina è molto aggressiva);

centrifugazione per rimuovere medium con tripsina e cataboliti; ri-sospensione; splitting in un vario numero di flasks. Le cellule da mettere in una delle piastre vengono congelate per avere memoria del passaggio.

È fondamentale mantenere la sterilità nel sistema bioreattore. Gli agenti contaminanti sono virus, batteri, lieviti, micoplasmi, funghi, essi possono provenire da mani, attrezzi, respirazione. Tutto non è sterile, ad eccezione del bioreattore che deve avere sterilità mantenuta. In condizioni statiche si possono usare filtri con pori 0.22 micron; nelle piastre di coltura di può usare il percorso tortuoso di Pasteur oppure controllare la sterilità, in base allo scambio gassoso; nell’incubatore si utilizzano filtri HEPA; gli strumenti vengono sterilizzati con autoclave; le operazioni vengono svolte in cappa a flusso laminare.

La cappa a flusso laminare permette di lavorare in condizioni di sterilità, con filtri HEPA per il filtraggio e per trattenere oltre il 99.9% delle particelle. Il flusso è laminare dall’alto verso il basso. Essa non sterilizza ma, se essa è pulita, dovrebbe mantenere e garantire la sterilità di un oggetto sterile, se trattato in maniera idonea. È importate che niente passi sopra agli oggetti sterili, perché si avrebbe passaggio e caduta di ciò che è presente sull’oggetto non sterile che va a maneggiare quello sterile. La metodologia di maneggiamento è la GCCP (good cell culture practice): mani disinfettate, movimenti lenti per non disturbare il flusso interno alla cappa, movimenti laterali e con attrezzi sterili.

La microscopia ottica utilizza radiazione elettromagnetica nel campo del visibile per ottenere immagini ingrandite del particolare in esame. Ha potere risolutivo di 0.2 micron, con ingrandimento 10X-1000X. Può essere di diverso tipo:

 A luce riflessa: le disomogeneità sulla superficie provocano riflessione della radiazione luminosa ad angoli differenti;

 A luce trasmessa: strutture con differente densità ottica assorbono la radiazione in maniera differente;

 A contrasto di fase: utilizzato per osservare in trasmissione campioni che non assorbono significativamente la luce (converte differenze di fase, deviate da differenze di indici di rifrazione, in differenze di ampiezza).

La microscopia a fluorescenza si basa sull’uso di molecole fluorescenti che, eccitate da una radiazione ad una determinata lunghezza d’onda, ne emettono una ad una lunghezza d’onda differente. Lo scopo è quello di rilevare e quantificare la presenza di una proteina per la quale si dispone di un anticorpo primario che si lega alla proteina e anticorpi secondari con marcatori fluorescenti, che si legano al primario. È possibile marcare le diverse componenti cellulari, per contare le cellule, per valutarne la disposizione e la presenza di determinati componenti da soli o accoppiati ad altri.

Il microscopio elettronico a scansione si basa sull’impiego di un fascio di elettroni che, per interazione con il campione, danno luogo all’emissione di differenti tipi di radiazione. L’analisi è qualitativa.

Esistono dei test quantitativi che danno una misura di ciò che sta avvenendo in coltura: saggio biochimici. MTT test che misura la vitalità cellulare in base ai mitocondri, con riduzione che avviene solo se le cellule hanno un certo livello di attività metabolica cellulare. Si ottiene un colore con intensità correlata al numero di cellule vitali preseti. Questo test è invasivo e distruttivo. Alamar blue test è un test non distruttivo, indica la vitalità cellulare senza necessità di interrompere la coltura.

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Per sapere il numero di cellule a disposizione si valuta il volume di liquido con un certo numero di cellule incognito, si ipotizza una distribuzione omogenea di queste cellule nel volume e se questo è vero si possono prendere pochi microlitri (200 l) e contare il numero di cellule all’interno. Si fa poi la proporzione per avere il numero totale di cellule nel volume totale,

basandosi su un campione molto ridotto. Si ha un certo errore ma trascurabile. Per contare le cellule nel campione è importante colorarle, ad esempio con Trypan blue nello stesso volume del liquido con le cellule (200l), ora le cellule sono soggette a un fattore di diluizione f che è 2 perché ora sono in 400l. Bisogna quindi tener conto di questo fattore di diluizione. Le cellule colorate sono solo quelle morte, per bassa permeabilità di membrana e canali che ne favoriscono il passaggio. Si vedranno colorate le cellule morte, quindi le cellule si inoculano in camera di conta per ottenere al microscopio una figura con distribuzione di cellule vive e morte. Le camere di conta favoriscono il conto delle cellule e la loro somma (A, B, C, D) e la loro media in ogni cella. Si fa la media su 4 celle e su 9, con precisione superiore. Si minimizza lo sforzo contando su 4. La media si moltiplica per 10^4 per tornare ai millilitri, poi si moltiplica per il fattore di diluizione. Il tutto poi si riporta al volume totale. Si contano tutte le cellule, anche quelle colorate. Si fa la conta della vitalità valutando il numero di cellule vive

(bianche) e morte (blu), rapportando le cellule vive sul totale. Si può capire se la coltura andrà a buon fine per alta vitalità.

Bioreattore a perfusione

1. Non confinata: scaffold ancorati a una struttura ad albero rotante in una flask, per la semina delle cellule. È richiesto un volume importante di liquido con alto numero di cellule per avere una certa efficienza, che resta comunque bassa;

2. Confinata: il medium è forzato a passare all’interno dello scaffold, esso potrebbe spostare uno scaffold non bene vincolato e a resistenza troppo elevata. Si ha una certa portata, correlata alla porosità e che determina uno shear. È possibile anche muovere lo scaffold in un medium.

La perfusione confinata determina maggior perfusione e distribuzione del medium e della sostanza. Le sue caratteristiche principali sono: eliminazione dei prodotti di scarto, ossigenazione del medium e applicazione di shear stress. Questo attiva i meccanotrasduttori presenti sulla membrana cellulare, promuove la produzione di ECM, promuove la rigenerazione del tessuto e il differenziamento cellulare.

Una delle soluzioni tecnologiche è lo u-tube, alloggiabile su un sistema in grado di stimolare tanti u-tube in parallelo, senza cross-contaminazione perché essi sono scollegati. Si muove il medium nello scaffold. Il T-CUP bioreattore invece muove il medium nello scaffold. Tutto deve essere mantenuto sterile perché il liquido spostato va poi nello scaffold con le cellule.

In letteratura sono presenti anche altri esempi di sistemi di perfusione: perfusione oscillatoria generata da una pompa a siringa, con membrana a silicone per ogni camera che si sposta per la pressione, muovendo un liquido nella camera, l’attuazione e generazione del flusso vinee fatta in modo da non avere intersezione o contatto diretto con gli elementi vitali nel bioreattore per la membrana di silicone messa in pressione con cambiamento di concavità per spostare il medium che quindi non entra in contatto con l’attuatore, questo determina disaccoppiamento per mantenere la sterilità nella camera ma non necessariamente sotto la membrana.

Specifiche di progetto del bioreattore a perfusione confinata:

1. Semplicità di utilizzo;

2. Affidabilità;

3. Basso costo;

4. Corretto espletamento di tutte le funzionalità;

5. Modularità: fatto a moduli, presupponendo più camere non collegate, senza cross contaminazione;

6. Ergonomicità;

7. Biocompatibilità;

8. Autoclavabilità: materiali utilizzati in grado di resistere alla sterilizzazione e risterilizzazione (laboratorio);

9. Ingombro ridotto: volume di priming ridotto;

10. Assenza di zone di ristagno del medium, grazie all’ottimizzazione delle forme evitando ricircoli e spigoli vivi;

11. Trasparenza dei materiali: valutazione visiva dei colori, soprattutto del medium (se si hanno molti sensori si può evitare questo requisito);

12. Possibilità di effettuare il cambio medium: luogo in cui è possibile cambiare il medium con una siringa, da parte dell’operatore;

13. Possibilità di effettuare i time course: esperimenti a lungo termine:

14. Mantenimento della sterilità;

15. Presenza di un manuale dettagliato.

Vi sono poi delle specifiche particolari:

1. Interfacciabilità tra bioreattore, pompa e sistema di controllo;

2. Tenuta idraulica tra tutti i componenti;

3. Perfusione confinata e bidirezionale: il liquido si muove in un verso e nell’altro;

4. Range di portata per garantire velocità di perfusione comprese tra 100 e 1500 m/sec;

5. Procedura di riempimento automatizzata e bubble-free;

6. Ossigenazione del medium: o per pelo libero con diffusione (complesse) o per convezione con medium già ossigenato. La diffusione deve prevedere una superfice elevata di diffusione;

7. Minimo volume di priming;

8. Interfacciabilità con i sensori di fluometrix di pH e ossigeno;

9. Sistema di controllo PC-based, cioè controllabile da PC;

10. Linee di perfusione idraulicamente indipendenti;

11. Linee di perfusione biologicamente indipendenti;

12. Possibilità di alloggiare scaffold di diverse altezze.

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Il medium viene spostato dalla pompa, deve essere ossigenato con gli ossigenatori, poi vi sono dei reservoir di medium prima di ogni camera.

Per prima cosa si pensa alla camera, con gli scaffold a disposizione cilindrici con dimensioni definite (anche variabili, come da specifiche).

Gli scaffold devono essere vincolati per evitare che il flusso li trasporti.

Serve una corona circolare che blocchi lo scaffold ma al contempo favorisca una buona perfusione per l’area utile. Il materiale per la camera è il policarbonato: trasparente, autoclavabile, biocompatibile,

dimensionalmente stabile. La lavorazione del policarbonato, per questa geometria semplice e simmetrica viene fatta con tornio. La geometria della camera deve evitare zone di ristagno, poi deve essere semplice da montare sotto cappa e deve garantire una corretta perfusione. Si utilizzano degli o-ring in plastica, utili nel caso di mantenimento della sterilità in oggetti che devono incastrarsi tra loro. L’incastro, con o-ring, da luogo a tenuta idraulica senza fuoriuscita del liquido. La camera, per essere perfusa, deve avere ingresso e uscita collegati grazie a connettori luer (maschio-femmina) che si incastrano dando luogo a una forza di tenuta molto alta, impedendo fuoriuscita di liquido.

Gli ossigenatori sono fatti con tubi in silicone, ad alta permeabilità all’ossigeno. È importante calcolare correttamente la giusta dimensione in termini di lunghezza e diametro dei tubi di ossigenazione, tenendo conto della pressione di ossigeno, la velocità di diffusione e lo shear stress, per una data portata. Vi sono dei modelli di ottimizzazione per definire le dimensioni idonee. Si ottiene, come lunghezza ottimale, 3,6 metri. Bisogna pensare a qualcosa di più comodo: torrette ossigenanti per montare i tubi per minimizzare l’ingombro (sistema modulabile), mantenendo la lunghezza ottima dei tubi.

La pompa può essere a siringa o roller. La pompa roller ha come caratteristica principale il disaccoppiamento dal liquido che sposta, quindi non lo tocca ed è più facile mantenere la sterilità. Essa spinge il fluido grazie allo spostamento da parte della pompa di un tubo. Bisogna anche rispettare il range di velocità, quindi si va alla tabella di taratura della pompa, in cui si trova il valore del range di portata applicabile per ottenere la velocità.

La sensorizzazione del sistema, per misurare ossigeno e pH, prevede l’uso di un sensore ottico non invasivo con patch sensibile alla variabile desiderata (O2, pH) in un certo range. Il patch è messo all’interno del sistema, quindi deve essere sterile. La misura viene fatta con rilevatore disaccoppiato. I contro sono costo, precisione, specificità e sensibilità. Un sensore non ottico è più preciso e prevede una punta introdotta nel sistema con un filo che fuoriesce.

Il risultato è una pompa che muove il medium in un ossigenatore, poi nella camera e infine in un reservoir da cui poi viene ri- pompato. Vi sono linee fisicamente e biologicamente indipendenti per le diverse camere, il medium viene cambiato attraverso connettori di sterilità. Il volume di priming (2 ml) e l’ingombro sono ridotti.

La struttura presenta un reservoir in vetro con tappo in grado di accogliere tre ingressi, in modo sterile, con filtro sull’ingresso per mantenere appunto la sterilità ma mettendo in compartecipazione l’atmosfera nel reservoir e l’atmosfera esterna, ovvero dell’incubatore. Dal filtro sterile entra dell’aria, in equilibrio con quella esterna per lo stesso ambiente ma mantenendo appunto la sterilità. Il reservoir è collegato alla camera, con perfusione controllata e diversi tubi e circuiti. La pompa roller funge da attuatore, che impone una certa portata (3 ml/min) per avere una velocità idonea per i requisiti e lo shear.

La pompa roller è una pompa volumetrica, che non va a variare la portata anche al variare della resistenza fornita a valle. La portata è quindi costante, non influenzabile dalle variabili del sistema. La pompa funziona con un sottopompa, con rotore che comprime il tubo e ruota attorno a un albero centrale a cui è vincolato. Questo sposta un volume pari a quello che c’è tra un rotore e l’altro, ad ogni giro. Vi può essere un numero variabile di rotori, con il risultato di generare una certa portata. La pompa funziona grazie a un motore che verrà collegato a un sistema di generazione di potenza, con un certo limite superiore. Il rotore si trova nella testa della pompa, con il sottotesta (tubo). L’effetto della pompa è quello di spingere il fluido in un tubo in una direzione. Essa è vantaggiosa perché l’elemento attuativo è disaccoppiato, perché la pompa tocca il tubo solo dall’esterno, questo favorisce il mantenimento della sterilità. Quindi essa può essere non sterile. La pompa roller multitesta rende possibile alloggiare un numero variabile di tubi sottopompa, comandati dalla stessa unità, al fine di avere tante portate in parallelo, ma tutte dello stesso valore (non modificabile per i singoli tubi), questo consente comunque il mantenimento dell’indipendenza dei vari sistemi. L’ingombro della pompa è ridotto.

Ha però un grosso svantaggio: occlusività, la semina in questo caso è sconsigliata.

Specifiche generali del sistema di controllo:

1. Semplicità di utilizzo;

2. Sicurezza elettrica;

3. Affidabilità;

4. Basso costo;

5. Corretto espletamento delle funzioni;

6. Manuale dettagliato.

Specifiche particolari:

1. Assolvere alle funzionalità del bioreattore (circuito di perfusione);

2. Interfacciabilità pompa/elettrovalvole/sensori;

3. PC-based;

4. Rispetto delle temporizzazioni;

5. Risoluzione della scala temporale in MINUTI/ORE;

6. Funzione di PAUSA: previsione di sospensione dell’attività in corso, per esempio per il cambio medium;

7. Funzione di RESET per tornare a zero;

8. Riempimento del circuito automatizzato;

9. Possibilità di impostare diversi cicli di coltura caratterizzati da: tempo di perfusione, portata e verso;

10. Monitoraggio in real-time dei parametri di coltura;

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11. Adeguato grado di protezione per cavi, involucri e connettori.

Scheda di controllo in grado di controllare i diversi componenti del sistema. È stato sviluppato un software in grado di

interfacciare programmazione elettronica con attuazione elettrica di potenza. Si impostano i parametri o si gestiscono parametri impostati, da un programma salvato e riproducibile. Si hanno le funzioni si start, pause e stop. In alto si hanno input e in basso output. Il sistema è PC-based e si interfaccia con i sensori e comunica con l’attuatore, per comandare la pompa (multi-testa).

Funzionamento: fasi di collaudo tecnico e collaudi funzionali per ogni requisito richiesto. Ad esempio, si valuta la

sterilizzabilità dei materiali, la tenuta idraulica (le perdite sono problematiche sia per la fuoriuscita ma anche per l’ingresso e quindi la contaminazione). La sterilità si controlla facendo funzionare il sistema in assenza totale di cellule, ma con medium di coltura corretto (quello che si userà con le cellule). Dopo aver fatto circolare il medium per uno o due giorni, in base alla norma, lo si rimuove e lo si mette in piastra di Petri e in incubatore per valutare se sono presenti contaminazioni. Se si scoprono colonie batteriche nel medium, dopo 24 ore, la prova di sterilità non è andata a buon fine. Poi si fa una valutazione del sistema di attuazione e di controllo. Infine, la prova definitiva prevede il confronto tra i risultati ottenibili con bioreattore e senza bioreattore. Si usano cellule di linea si osteosarcoma (SAOS-2), con semina statica di 1 milione di cellule. Questo perché si vuole ottenere un tessuto simil-osseo. Lo scaffold è commerciale, in idrossiapatite, con diametro 10 mm e altezza 4 mm, porosità volumetrica 85%. Il terreno di coltura viene fornito insieme alle cellule, presenta fattori osteogenici per stimolare il fenomeno. Lo stesso medium viene usato sia in coltura statica che dinamica, perché si varia una sola variabile nel confronto (statico-dinamico). Perfusione portata avanti per 11 giorni, con inversione del flusso ogni 48 ore. Dai risultati si confronta il gradiente di aumento delle cellule vitali, dal milione di cellule iniziali. Quella statica ha un numero di cellule superiori e, qualitativamente, essa è favorevole nella proliferazione cellulare. Si va fare anche analisi SEM che mostra una miglior distribuzione delle cellule perfuse. È importante anche fare un’analisi che dimostri l’ottenimento di un tessuto funzionale, sia con cellule ma anche con la matrice ECM rilasciata da esse. Bisogna valutare quindi che cosa queste cellule vanno a secernere:

in questo caso si analizza la presenza di collagene I e fosfatasi alcalina (differenziazione in osteoblasti), mediante microscopia a fluorescenza. Il dinamico mostra una maggior quantità di questi due elementi.

Un’altra esperienza fattibile è quella di passare dalle cellule di linea di osteosarcoma, con risposta non assoluta ma

comparabile e assolutamente non utilizzabili per studi preclinici (vanno molto bene per la ricerca fine a sé stessa), a cellule staminali mesenchimali umane isolate da midollo osseo. La significatività dei risultati sale.

In questo caso si fa perfusione monodirezionale per 21 giorni, poi si confrontano i risultati con il controllo (statico): maggior proliferazione e maggior produzione di fosfatasi alcalina, con organizzazione delle strutture cellulari maggiore nel caso perfuso. Inoltre, si valuta anche la presenza di osteocalcina, quasi assente in condizioni statiche.

Pregi del sistema:

 Sistema modulare: coltura di più scaffold in parallelo (riduzione dei tempi di coltura per ottenere lo stesso numero di risultati);

 Linee biologicamente indipendenti: assenza di cross-contaminazione;

 Camera trasparenti: controllo di riempimento e dell’andamento della coltura (pH);

 Sensorizzazione del dispositivo: controllo real-time;

 Linee idraulicamente indipendenti: possibilità di effettuare time course. Senza linee indipendenti, per avere time course bisogna fare diversi esperimenti: 1 settimana, smontaggio, analisi, risterilizzazione, rimontaggio, 2

settimane… Molto dispendioso in termini di tempo e costi. Con più linee parallele si possono fare esperimenti nelle stesse condizioni a diverse settimane, minimizzando i tempi (per ogni linea si applica un certo periodo di coltura).

Inoltre, in questo caso si hanno risultati più robusti, perché le condizioni iniziali sono le stesse, impostati inizialmente.

Difetti del sistema:

 Occlusività della pompa roller, la semina è sconsigliata. Questa pompa è vantaggiosa nel caso di presenza di solo fluido o per cellule già seminate sullo scaffold. Se le cellule devono essere seminate e sono presenti nel tubo, la pompa provoca emolisi meccanica delle cellule, con urto e compressione delle cellule, che vanno incontro a morte. La semina deve essere eseguita manualmente, in maniera statica, per poi inserire lo scaffold nel sistema e attuazione di esso dopo 24 ore, per consentire l’adesione di queste cellule.

 Difficile assemblaggio in caso di sostituzione di alcuni componenti;

 Non miniaturizzato;

 Monitoraggio di una singola linea di perfusione.

Bioreattore per ingegneria del tessuto muscolare scheletrico

Tessuto fortemente organizzato, in maniera gerarchica e altamente direzionale. Si ha una stretta correlazione tra struttura e funzione. Esso si sviluppo da una cellula staminale che da luogo ai mioblasti, i quali si duplicano e fondono a formare i miotubi che si organizzano a formare miofibre, le quali contengono cellule satellite, ovvero cellule staminali adulte. Durante lo sviluppo embrionale, si ha sviluppo direzionale delle miofibre perché i muscoli sono legati alle ossa, le quali trascinano le fibre

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tra le loro estremità, allungandoli lungo la direzione preferenziale. Durante lo sviluppo embrionale vi sono inoltre fattori di crescita e ormoni, per avere la miogenesi.

Per la riproduzione in vitro del muscolo è importante mantenere la direzionalità e la struttura gerarchica del tessuto, fornendo ad esempio uno scaffold in grado di dare una direzione preferenziale al tessuto. Un altro requisito prevede l’applicazione di uno stretch alla struttura, per ottenerne l’allungamento. Per avere miogenesi artificiale è importante avere sia il

condizionamento dinamico, con componente meccanica di allungamento, sia stimolazione elettrica per riprodurre la giunzione neuromuscolare che controlla il muscolo. È importante introdurre anche condizionamento biochimico, con fattori di crescita e ormoni che riproducano quelli presenti a livello embrionale, oltre al condizionamento dinamico e alla guida fornita dallo scaffold (guida topologica).

La stimolazione meccanica è volta a riprodurre le sollecitazioni cui è sottoposto il tessuto durante lo sviluppo embriogenico e neonatale. Fornisce la regolazione genica, controlla iperplasia cellulare e ipertrofia delle miofibre, determinando

organizzazione strutturale dei costrutti e migliorando le proprietà meccaniche. Si valutano le proprietà meccaniche in condizioni statiche e meccaniche, oltre alle componenti che sono secreti dalle cellule. In condizioni statiche si nota una forte produzione di collagene, non favorevole, anche se fornisce un elevato modulo elastico. Le cellule de-differenziano in fibroblasti. In condizioni dinamiche il modulo elastico viene mantenuto nel tempo, senza modifica da parte delle cellule.

La stimolazione elettrica viene fatta per riprodurre il reclutamento neuronale, il carico funzionale e l’attivazione contrattile che si ha per stimoli elettrici. Questo da luogo a contrazione delle miofibre, sviluppo di architetture sarcomeriche, sintesi e

accumulo di miosina, aumento dell’espressione del fenotipo slow e maturazione di miotubi. Questo può essere dimostrato mediante l’analisi dello sviluppo di bande A all’interno delle miofibre. La stimolazione meccanica fornisce ottimizzazione strutturale, quella elettrica ottimizzazione funzionale. Il bioreattore deve quindi essere in grado di stimolare sia

meccanicamente che elettricamente i costrutti. La topologia dello scaffold può orientare le cellule e questo può essere valutato confrontando due colture di C2C12 su una piastra con topologia ottimizzata, con elevata direzionalità, e una liscia. Si vanno a marcare sia i nuclei che gli elementi della matrice, per valutare la proliferazione, l’orientamento delle cellule, la formazione di miotubi e in quale direzione essi vengono sviluppati. La sola analisi dei nuclei non da informazioni sullo sviluppo di un tessuto muscolare funzionale, è importante analizzare l’orientamento. Per la sola stimolazione topografica si può avere orientamento preferenziale o random, con stimolazione meccanica è possibile ottenere comunque orientamento specifico senza necessità di uno scaffold con direzione preferenziale.

Nel passato sono state studiate moltissime variabili che influenzano lo sviluppo di un muscolo, fornendo un pattern di stimolazione idoneo e di riferimento (Vandenburgh).

Un primo stimolatore meccanico prevedeva pozzetti per la semina delle cellule su una membrana in silicone, con stimolazione della membrana mediante stretching, mantenendo disaccoppiamento tra attuatore e membrana. La stimolazione era applicata radialmente, non unidirezionalmente. L’evoluzione di questo stimolatore è stato un bioreattore che prevedeva l’utilizzo di device commerciali (importante per la progettazione, per semplificarla e facilitare l’industrializzazione), con sei piastre di coltura, ciascuna collegata con un albero centrale, a sua volta collegato a un’asta collegata all’albero motore. Si movimenta l’asta mediante albero motore (sx-dx), la quale movimenta 6 afferraggi nelle piastrine, che traslano a destra e a sinistra. Quindi i campioni sono messi in trazione in base alla traslazione dell’asta. Lo scaffold è bloccato ai due afferraggi, di cui uno fisso e uno mobile per applicare stretching mediante l’asta mobile. Vengono stretchati separatamente i campioni a destra e a sinistra in base alla direzione in cui si sposta l’asta.

Sono stati poi sviluppati sistemi via via più complessi, ad esempio per stimolazione elettrica e meccanica, con un numero elevato di campioni stimolati in contemporanea, con modularità per avere time course. Questo sistema è risultato però poco versatile nel disegno dei pattern di sollecitazione, con scarsa compatibilità con la buona pratica di laboratorio e sistemi di afferraggio poco adatti. Esso funge da base per ciò che vogliamo sviluppare.

Requisiti per un bioreattore per ingegneria del tessuto muscolare scheletrico:

1. Controllo e stimolazione tramite pattern meccanici e/o elettrici ripetibili, con alta risoluzione del segnale;

2. Controllo dell’occorrenza relativa degli stimoli;

3. Conformità alle GLPs;

4. Generazione dell’ambiente biochimico appropriato per lo sviluppo del tessuto;

5. Acquisizione ed elaborazione dei parametri d’interesse;

6. Controllo retroazionato.

Prevedono una camera di coltura inserita in incubatore, stimolata da un motore (nell’incubatorebioreattore non stand alone) e con elettrodi collegati a uno stimolatore elettrico (esterno all’incubatore). Il motore è controllato da un controllo di assi e modulo di posizione. Il tutto collegato a un PC o PLC esterno. È importante poi pensare a un circuito di perfusione per buona ossigenazione e trasporto del medium. Mediante trasduttori di forza si misura la forza generata da scaffold e cellule quando si applica una deformazione, mentre i trasduttori di parametri chimico fisici valutano gli altri parametri d’interesse all’interno della camera. Questi trasduttori, posti all’interno della camera, portano il segnale fuori dall’incubatore ed entrano in uno schema di acquisizione dati che riporta i segnali a un PC o elaboratore di dati, con possibilità di ridisegnare l’attuazione modificando le grandezze relative a stimolo meccanico, elettrico e di perfusione. Il sistema è retroazionato, con sistema di controllo reale in cui le variabili interne vanno a dare informazioni al PC, che può agire su queste variabili in caso di uscita dal range ottimale.

Ad esempio, le informazioni del pH arrivano al PC che legge questi valori in base a un range definito dall’esterno. Quando ad esempio arriva pH=6.9, limite massimo inferiore (6.9-7.3), è necessario cambiare il medium. Quindi il PC manda informazioni per cambiare il medium e avere pH nel range ottimale. Se il sistema fosse aperto, ci sarebbe un segnale con allarme sonoro che informerebbe l’operatore della necessità di cambiare medium. Questa operazione deve quindi essere svolta fisicamente

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