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Costruttore deve pagare spese di condominio?

Autore: Redazione | 23/07/2019

È valida la clausola di esonero dal pagamento degli oneri condominiali predisposta dall’originario costruttore e venditore degli appartamenti?

Hai comprato da poco casa nuova. Si tratta di un palazzo di recente costruzione dove ancora non tutti gli appartamenti sono stati venduti. E, infatti, sono ancora

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poche le famiglie che, insieme a te, hanno iniziato a vivere nello stabile. Il venditore, però, ha già redatto un regolamento di condominio che hai firmato insieme all’atto di vendita quando siete andati dal notaio; inoltre ha nominato un amministratore di condominio. Lo hai conosciuto proprio di recente, quando ha bussato alla tua porta per presentarti la “bolletta” con le spese condominiali da pagare. Hai notato che l’importo è più elevato di quanto potessi immaginare, ma lui ti ha rassicurato: «Quando verranno venduti anche gli altri appartamenti, la quota individuale si abbasserà poiché i costi verranno spalmati su tutti i condomini».

Questa affermazione ti ha lasciato interdetto: gli immobili vuoti non sono infatti senza proprietario. La ditta costruttrice resta titolare degli appartamenti invenduti.

Deve, pertanto, partecipare alle spese come tutti gli altri. «E, invece, non è così»

ha replicato l’amministratore. «Sta scritto sia nel rogito notarile che nel regolamento condominiale: la società ha previsto una deroga espressa». Insomma, il venditore ha fatto il furbetto: si è esonerato dal pagare le quote condominiali per tutte le unità immobiliari a lui intestate finché non saranno vendute. È valida una previsione del genere? In altri termini il costruttore deve pagare le spese condominiali?

La stessa questione è stata sottoposta, più volte, alla Cassazione che, sul punto, ha fornito spesso contrastanti pareri. A fronte di un’iniziale interpretazione secondo cui, a detta dei giudici, sarebbe da considerare nulla la clausola del regolamento con cui il costruttore – artefice del regolamento stesso – si esonera dal pagamento delle quote condominiali, è poi subentrata una soluzione opposta. Ora però la Corte sembra aver mutato il proprio orientamento [1]. Ma procediamo con ordine.

Ho appena comprato casa ma non c’è ancora un condominio

Se sei tra i primi acquirenti di un immobile potresti cadere nell’errore di ritenere che non si sia ancora formato un condominio perché il palazzo è stato appena ultimato. Stai sbagliando. Il condominio non è un atto formale, non richiede cioè un contratto o una trafila burocratica. Il condominio è un “fatto” che nasce spontaneamente nello stesso momento in cui l’unico proprietario del palazzo o il costruttore vende un solo appartamento. È in questo momento – ossia quando sullo stesso bene ci sono due diversi proprietari che condividono parti comuni –

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che nasce il condominio. Non c’è, quindi, bisogno di una delibera, di una votazione o di un regolamento. Il regolamento può anche non esserci benché, di solito, viene ormai redatto dal costruttore che, a tal fine, delega un professionista di propria fiducia.

Il costruttore deve partecipare alle spese condominiali?

Proprio nel momento in cui nasce il condominio, scatta una regola prevista dal codice civile [2] che obbliga tutti i condomini – anche se sono soltanto due – a partecipare alle spese condominiali in proporzione ai rispettivi millesimi.

La società Costruzioni Srl ultima un palazzo e vende un appartamento ad Antonio e un altro ad Armando. In questo caso i condomini sono tre: Antonio, Armando e la Costruzioni Srl. Ciascuno pagherà le quote in base alle rispettive proprietà. Per cui è verosimile che la ditta costruttrice verserà più degli altri.

Stando così le cose, anche il costruttore deve pagare le spese di condominio ed è nulla la clausola del regolamento con cui questi si esonera da tale esborso finché non ha venduto tutti gli appartamenti. Questo perché la norma del codice civile che stabilisce la regola della divisione delle spese condominiali secondo millesimi è inderogabile. A meno che – secondo alcuni – tale regolamento non sia stato approvato da tutti i condomini. Ecco allora cosa succede nella pratica.

Il costruttore può esonerarsi dal pagare le spese condominiali?

Proprio per evitare di sborsare somme elevate a titolo di oneri condominiali per l’invenduto, i costruttori hanno iniziato a prendere le contromosse. Così nei contratti di vendita o nei regolamenti di condominio predisposti dal costruttore e allegati all’atto notarile viene spesso inserita una clausola con cui si prevede espressamente che il costruttore è esonerato dal pagamento di tutte o alcune spese condominiali.

Subito si sono ribellati gli acquirenti che hanno iniziato a impugnare tali clausole. E la Cassazione ha sposato, in un primo momento, la tesi della illiceità di tali

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previsioni in quanto abusive perché imposte sulla parte debole.

Dopo non molto tempo, però, i giudici supremi hanno cambiato idea. E difatti, con una sentenza recente [3], è stata ritenuta valida la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali predisposta dal costruttore. Ma ciò solo a condizione che il regolamento condominiale sia stato approvato all’unanimità.

Cosa piuttosto facile da realizzare per chi vende: basta imporre agli acquirenti, al momento del rogito, di accettare anche il regolamento stesso che, in tal modo, risulta essere voluto da tutti. Così facendo, però, chi compra l’appartamento non sa che, oltre ad acquistare, sta accettando anche la clausola limitativa contenuta nel regolamento stesso.

Del resto – hanno sottolineato i giudici – il codice civile da un lato dice che le spese condominiali vanno divise per millesimi ma poi stabilisce che ciò vale «salvo diversa convenzione». È possibile quindi un patto contrario, purché approvato all’unanimità.

Una più recente sentenza, sempre a firma della Cassazione [1], sembra però tornare sui propri passi richiamando un altro principio: il codice del consumo.

In buona sostanza, se chi compra un appartamento è una persona fisica (non quindi una ditta, una società o un professionista) e chi vende è una società, il primo deve ricevere tutte le tutele che il codice del consumo predispone. Ivi compresa quella dalle clausole vessatorie [4].

In particolare, si stabilisce la nullità di tutte le clausole che impongono uno squilibrio o un eccessivo onere a sfavore dell’acquirente, escludendo la responsabilità del venditore. Il che significa che una clausola, in favore del costruttore, di esonero a tempo indeterminato dal pagamento delle spese condominiali, benché contenuta nel contratto di compravendita e quindi approvata da tutti i condomini, è abusiva e quindi nulla [5].

Note

[1] Cass. sent. n. 19832/19 del 23.07.2019. [2] Art. 1123 cod. civ. [3] Cass. sent.

n. 16321/2016. [4] Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, art. 33. [5] Nel caso di specie, tuttavia la Cassazione ha escluso che la vessatorietà della clausola potesse essere fatta valere nei confronti della società, perché questa è il soggetto beneficiario dell'esonero dalle spese, ma non quello che ha venduto gli immobili.

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Sentenza

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 gennaio – 23 luglio 2019, n. 19832 Presidente Lombardo – Relatore Picaroni Fatti di causa 1. Il Tribunale di

Catania, con sentenza pubblicata il 18 novembre 2014, ha rigettato l’appello proposto dal Condominio (omissis) , nel Comune di […], avverso la sentenza del

Giudice di pace di Giarre n. 312 del 2013 e nei confronti di Cogea s.r.l.. 1.1. Il giudizio di primo grado, avente ad oggetto l’opposizione proposta Cogea avverso il

decreto ingiuntivo che le intimava di pagare Euro 4.799,48 a titolo di oneri condominiali, come da Delib. 27 maggio 2012, era stato definito con pronuncia che

dichiarava la cessazione della materia del contendere per alcune delle unità immobiliari di proprietà Cogea, e condannava la stessa Cogea a pagare la minor

somma di Euro 272,56. 2. Il giudice d’appello ha ritenuto che la Delib.

Condominiale 27 maggio 2012, fosse nulla, perché a maggioranza aveva previsto criteri di riparto degli oneri in contrasto con il regolamento condominiale; che, di

conseguenza, fosse ammissibile l’opposizione a decreto ingiuntivo che su tale Delib. era fondato; che, infine, fosse valida la clausola prevista dal regolamento

condominiale richiamato nei contratti di acquisto dei singoli condomini, che esonerava Cogea dal pagamento degli oneri condominiali su tutte le unità immobiliari di sua proprietà rimaste invendute, se non utilizzate. 3. Ricorre per la

cassazione della sentenza il Condominio sulla base di due motivi, ai quali resiste Cogea srl. Il ricorso è stato rimesso alla pubblica udienza dalla Sottosezione Sesta,

ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3. Ragioni della decisione 1. Il ricorso è infondato. 2. Con il primo motivo il Condominio denuncia violazione e falsa

applicazione degli artt. 1136 e 1137 c.c., per contestare l’ammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, a fronte della mancata impugnazione della

Delib. 27 maggio 2012, sulla quale il decreto ingiuntivo era fondato. 2.1. La doglianza è priva di fondamento. Come correttamente evidenziato dal giudice d’appello, la Delib. Condominiale 27 maggio 2012, è nulla in quanto ha modificato a maggioranza, e non all’unanimità, il criterio convenzionale di riparto delle spese

condominiali (tra le molte, Cass. 04/08/2017, n. 19651, Cass. 04/08/2016, n.

16321; Cass. 17/01/2003, n. 641; da ultimo, Cass. 04/07/2018, n. 29217 ha ulteriormente precisato che sono nulle, per impossibilità dell’oggetto, le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale). In sede di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, non operava pertanto il limite alla

rilevabilità anche officiosa dell’invalidità della sottostante Delib., trattandosi di elemento costitutivo della domanda di pagamento (Cass. 10/01/2019, n. 470; Cass.

20/12/2018, n. 33039; Cass. 12/09/2018, n. 22157; Cass. 12/01/2016, n. 305). 3.

Con il secondo motivo il Condominio denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 206 del 2005, art. 33 e art. 1123 c.c., comma 1, assumendo la

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vessatorietà della clausola di esonero di Cogea dalle spese condominiali, in ragione sia della durata illimitata dell’esonero, sia della posizione di consumatore del Condominio. Secondo il ricorrente, la clausola di esonero violerebbe il principio sancito dall’art. 1123 c.c., producendo un significativo squilibrio tra i condomini, con conseguente indebito arricchimento del costruttore, che è uno dei condomini.

3.1. La doglianza è inammissibile. È stato affermato più volte da questa Corte regolatrice che le norme del Codice del consumo sono applicabili alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall’originario unico proprietario dell’edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale da quello svolta, e sempre che il condomino acquirente dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore, agendo per soddisfare esigenze di natura personale, non

legate allo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale (ex plurimis, Cass. 07/07/2016, n. 16321; Cass. 24/06/2001, n. 10086). Tuttavia, nella fattispecie in esame, il Tribunale ha escluso che la vessatorietà della clausola potesse essere fatta valere nei confronti della Cogea, che è il soggetto beneficiario

dell’esonero dalle spese, ma non è il soggetto che ha venduto gli immobili, e l’affermazione non è censurata. Costituisce infine questione nuova, e come tale inammissibile, la questione dell’arricchimento indebito di Cogea. Il Tribunale non

l’ha trattata nella sentenza impugnata e il Condominio ricorrente non ha dimostrato di averla prospettata nel giudizio di appello (ex plurimis, Cass.

13/06/2018, n. 15430; Cass. 18/10/2013, n. 23675). 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura indicata in

dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma

dello stesso art. 13, comma 1-bis.

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