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Rimborso spese ai dipendenti: si può pagare in contanti?

Autore: Noemi Secci | 10/08/2018

L’obbligo per i datori di lavoro di pagare le retribuzioni con strumenti tracciabili vale anche per i rimborsi spese e le prestazioni di assistenza?

Hai mandato un dipendente in trasferta, e il lavoratore ti ha chiesto un anticipo per

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le spese in contanti? Anche se dal 1° luglio 2018 sono diventate operative le previsioni della legge di Bilancio 2018 [1], che vietano il pagamento delle retribuzioni con strumenti non tracciabili, puoi ugualmente corrispondere l’anticipo per le spese in contanti. Il rimborso spese ai dipendenti si può pagare in contanti, difatti, perché il divieto di pagamento con mezzi non tracciabili riguarda solo le retribuzioni da corrispondere ai lavoratori dipendenti ed ai collaboratori. In parole semplici, dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro ed i committenti privati hanno l’obbligo di provvedere al pagamento degli stipendi e dei salari con modalità e forme che escludono l’uso del contante, ma l’obbligo non vale per i rimborsi, le prestazioni di assistenza come gli assegni familiari e per tutto ciò che non fa parte, in generale, della retribuzione del lavoratore: lo ha chiarito l’Ispettorato del lavoro, con una recente nota [2]. Se, dunque, hai già corrisposto al lavoratore un anticipo spese, un rimborso spese, o comunque delle somme che non costituiscono retribuzione, non devi temere l’applicazione delle severe sanzioni per chi trasgredisce alle regole sui pagamenti. Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sul divieto di pagamento dello stipendio in contanti: in quali casi non vale, quali sono le nuove regole e gli adempimenti previsti, che cosa succede a chi trasgredisce.

Con quali modalità si può pagare lo stipendio?

Dal 1° luglio 2018 le retribuzioni dei lavoratori subordinati e dei collaboratori possono essere corrisposte con una delle seguenti modalità:

bonifico su conto identificato da codice Iban indicato dal lavoratore;

strumenti di pagamento elettronico;

contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;

emissione di assegno (bancario o circolare) consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.

È fondamentale conservare la ricevuta delle operazioni, per provare di aver adempiuto correttamente ai nuovi obblighi.

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Per quali lavoratori si deve pagare lo stipendio con modalità tracciabili?

Il divieto di pagamento dello stipendio in contanti vale per:

i lavoratori subordinati, a prescindere dalla tipologia del rapporto (a termine, part time, a chiamata, stagionale…);

i lavoratori parasubordinati, ossia coloro che hanno stipulato col committente un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa;

i soci lavoratori, ossia coloro che, in qualità di soci, hanno stipulato un contratto di lavoro con la cooperativa, a prescindere dalla forma.

Quali lavoratori sono esclusi dal pagamento della retribuzione in contanti?

In base a quanto osservato, sono esclusi dal divieto di pagamento in contanti i lavoratori autonomi, compresi i lavoratori autonomi occasionali, che possono essere retribuiti con modalità non tracciabili. Al di fuori del raggio d’azione della nuova normativa anche i lavoratori occasionali, cioè coloro che svolgono la propria attività attraverso il contratto di prestazione occasionale e il libretto famiglia.

Tuttavia, per loro il pagamento in contanti non è comunque possibile, in quanto l’utilizzatore versa delle somme all’Inps in modalità tracciabile, e successivamente l’istituto, sempre con modalità tracciabili, retribuisce i lavoratori occasionali.

Il divieto dell’uso del contante non riguarda, inoltre, il pagamento di altre forme di collaborazione che non consistono in rapporti di lavoro propriamente detti. Niente divieto di pagamento in contanti, dunque, per i compensi derivanti dai tirocini, dalle borse di studio, dall’attività di amministratori di società.

Sono poi esclusi dal nuovo obbligo di pagamento con mezzi tracciabili:

i lavoratori dipendenti da una pubblica amministrazione;

i lavoratori domestici, come colf e badanti.

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Il divieto di pagamento in contanti vale per tutti i compensi?

Il divieto di pagamento in contanti si applica a tutte le tipologie di retribuzione, comprese le anticipazioni: si devono quindi utilizzare strumenti tracciabili anche per gli anticipi dello stipendio. Non vale, invece, per i compensi che non rientrano nella nozione di retribuzione, come chiarito dall’Ispettorato del lavoro.

Il rimborso spese può essere effettuato in contanti?

Considerato che, in base ai chiarimenti dell’Ispettorato del lavoro, tutto ciò che non rappresenta una retribuzione dal punto di vista fiscale o previdenziale può essere pagato in contanti, è possibile corrispondere l’anticipo spese o il rimborso spese al lavoratore in modalità non tracciabili.

Ok al pagamento in contanti, dunque, per i rimborsi spese, ad esempio per trasferte o trasferimenti, e per gli anticipi di spese per conto del datore di lavoro, anche per finalità diverse dalla trasferta.

Tutte le somme corrisposte che non fanno parte della retribuzione possono essere pagate in contanti, ad ogni modo: ok al contante, ad esempio, per gli assegni al nucleo familiare, in quanto si tratta di una prestazione di assistenza riconosciuta dall’Inps, non collegata con la retribuzione.

Il lavoratore deve ancora firmare la busta paga?

Contestualmente all’entrata in vigore del divieto di pagamento in contanti dello stipendio, la legge ha stabilito che la firma apposta dal lavoratore sul cedolino paga non prova l’avvenuto pagamento della retribuzione. Questo, ovviamente, perché la tracciabilità del pagamento ne costituisce la prova: per esempio, la ricevuta del bonifico costituisce senza dubbio prova del pagamento della retribuzione.

Il fatto che la firma della busta paga non provi l’avvenuto pagamento dello

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stipendio, ad ogni modo, non comporta automaticamente che la firma non debba essere apposta: resta sempre, difatti, l’obbligo di consegnare mensilmente il cedolino paga, in cui figurano tutte le competenze e le trattenute, al lavoratore. È bene far aggiungere una seconda firma al cedolino paga, per ricevuta del pagamento, nel caso in cui sia avvenuta un’erogazione in contanti, ad esempio per rimborso spese o per la corresponsione di assegni familiari.

Che cosa succede se si viola il divieto di pagamento in contanti?

La normativa prevede delle sanzioni severe per chi continuerà a pagare le retribuzioni con strumenti non tracciabili: in particolare, si applica al datore di lavoro o al committente una sanzione amministrativa pecuniaria da mille a 5mila euro.

Le sanzioni non sono applicate per le violazioni commesse entro 180 giorni dall’entrata in vigore della norma: nessuna multa, dunque, per chi si dimentica delle nuove regole, ma solo sino al 27 dicembre 2018.

Qual è la cifra massima che si può corrispondere in contanti?

La nuova normativa si affianca al divieto di pagamento in contanti per importi pari o superiori ai 3mila euro [3]: è dunque ancora consentito pagare in contanti, sino alla predetta soglia, nella generalità dei casi, in quanto il divieto riguarda le sole retribuzioni.

Note

[1] Art.1, Co. 910-913, L. 205/2017. [2] Ispettorato Nazionale del lavoro, nota n.6201/2018. [3] Art.49, Co.1, D.lgs. 231/2007.

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