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unico del progetto e altre figure professionali. D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull ordinamento

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Sezione delle autonomie

7 – Sezione delle autonomie; deliberazione 6 aprile 2017; Pres. De Girolamo, Rel. Tonolo, Corsetti;

Comune di Medicina.

Impiegato regionale e degli enti locali – Incentivi alla progettazione – Spettanza – Responsabi-

le unico del progetto e altre figure professio- nali.

D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull’or- dinamento del lavoro alle dipendenze delle ammi- nistrazioni pubbliche, art. 7; d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, codice dei contratti pubblici relativi a lavo- ri, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce, art. 93; d.l. 24 giugno 2014 n. 90, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 114, misure urgenti per la semplifica- zione e la trasparenza amministrativa e per l’efficien- za degli uffici giudiziari, artt. 13, 13-bis; l. 28 dicem- bre 2015 n. 208, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), art. 1, c. 236; d.lgs. 18 aprile 2016 n.

50, attuazione delle direttive 2014/23/Ue, 2014/24/

Ue e 2014/25/Ue sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, non- ché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forni- ture, art. 113.

Gli incentivi ai dipendenti della pubblica am- ministrazione, previsti dall’art. 113, c. 2, d.lgs. n.

50/2016 per le attività di programmazione e control- lo delle procedure di gara e dell’esecuzione dei con- tratti pubblici, sono da includere, in quanto erogati al personale – tecnico e non – impegnato nelle men- zionate attività, fra le spese di funzionamento (e non di investimento) dell’amministrazione e vanno com- putati fra gli emolumenti accessori che non possono eccedere il limite massimo (costituito dall’ammonta- re complessivo destinato per l’anno 2015 al tratta- mento accessorio del personale, anche di livello di- rigenziale) stabilito dall’art. 1, c. 236, l. n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) (in motivazione, si precisa che il codice dei contratti pubblici non ha modificato l’ambito soggettivo dei beneficiari dei pregressi in- centivi alla progettazione, oggi remunerati non più a carico dell’apposito fondo, bensì a carico degli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori, a norma dell’art. 113, c. 1, d.lgs. n. 50 cit. (1)(1)

(1) I. - Il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) ha profondamente modificato la disciplina in tema di compensi incentivanti, abolendo gli incentivi alla progetta- zione previsti dal previgente art. 93, c. 7-ter, d.lgs. n. 163/2006 e introducendo all’art. 113 nuove forme di incentivazioni per le c.d. funzioni tecniche (v. Corte conti, Sez. autonomie, 13 maggio 2016, n. 18, in questa Rivista, 2016, fasc. 3-4, 124, con nota di richiami). Quest’ultimo prescrive (c. 2) che, a va- lere sugli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli

(2)

Considerato – 1. La questione di massima og- getto di esame è incentrata sull’esclusione o meno dal tetto di spesa per il salario accessorio dei di- pendenti pubblici – già previsto dall’art. 9, c. 2-bis, d.l. n. 78/2010 e reiterato dall’art. 1, c. 236, l. n.

208/2015 – dei compensi destinati a remunerare le funzioni tecniche svolte ai sensi dell’art. 113, c. 2, d.lgs. n. 50/2016.

La questione, come sopra accennato, era stata risolta in senso positivo dalla deliberazione delle Sezioni riunite in sede di controllo n. 51/2011, con riferimento, però, all’incentivo per la progettazione di cui all’art. 93, c. 7-ter, d.lgs. n. 163/2006.

lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti, le amministrazioni pubbliche iscrivono in un apposito fondo, costituito in misura non superiore al 2 per cento dell’importo dei lavori posti a base di gara, le risorse finanziarie per remunerare una serie di “funzioni tecniche”

svolte dai dipendenti pubblici in relazione alla progettazione e all’esecuzione dei lavori medesimi.

In via generale, la disciplina in tema di compensi incenti- vanti ai dipendenti della pubblica amministrazione deve coor- dinarsi con il limite (di cui all’art. 9, c. 2-bis, d.l. n. 78/2010) delle risorse annualmente destinate al trattamento accessorio del personale della pubblica amministrazione (secondo l’orien- tamento consolidato della giurisprudenza contabile, gli incentivi per la progettazione di cui all’art. 93, c. 7-ter, d.lgs. n. 163/2006 sono esclusi dall’ambito applicativo dell’art. 9, c. 2-bis, cit.; in tal senso, v. Corte dei conti, Sez. riun. contr., 4 ottobre 2011, n. 51, ivi, 2011, fasc. 5-6, 2). Senonché, l’art. 1, c. 236, l. n.

208/2015 (legge di stabilità 2016), reiterando il limite alla spesa annuale per il trattamento accessorio del personale (talché, a decorrere dall’1 gennaio 2016, l’ammontare complessivo del- le risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, non può superare il corrispondente importo destinato alla stessa finalità nel 2015), ha suscitato incertezze circa l’esclusione o meno dal tetto di spesa per il salario accessorio delle nuove forme di compensi incentivanti per la remunerazione delle “funzioni tecniche” di cui all’art. 113 d.lgs. n. 50, cit.

II. - Gli incentivi alla progettazione previsti dall’art. 93, c. 7-ter, d.lgs. n. 163/2006 (destinati al responsabile del pro- cedimento e agli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché dei loro collaboratori) andavano a remunerare unica- mente “prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati e individuabili”, che avrebbero potuto essere acquisite anche all’esterno dell’ente, naturalmente con costi aggiuntivi a carico di quest’ultimo. La fattispecie prevista dall’art. 93, c. 7-ter, cit., era, quindi, riferita al finanziamento di incentivi non spettanti alla generalità dei dipendenti dell’ente e, pertanto, non ricadeva sotto la disciplina dei limiti alla crescita dei fondi che, nell’am- bito della contrattazione integrativa, erano ad essi destinati.

Ora, la disciplina degli incentivi per funzioni tecniche pre- vista all’art. 113, c. 2, d.lgs. n. 50/2016 ha ampliato il novero dei beneficiari, comprendendovi profili (tecnici e non) del personale pubblico coinvolto nelle diverse fasi del procedimento di spesa

Preliminarmente, va rilevata la sostanziale so- vrapponibilità del provvedimento di limitazione alla crescita delle risorse destinate al trattamento acces- sorio del personale, adottato con l’art. 9, c. 2-bis, d.l.

n. 78/2010, rispetto alla previsione della legge di sta- bilità 2016. (Omissis)

Infatti, gli aspetti innovativi della nuova formu- lazione – essenzialmente riferiti al richiamo alle per- duranti esigenze di finanza pubblica, alla prevista at- tuazione dei decreti legislativi attuativi della riforma

(dalla programmazione all’esecuzione del contratto). È stato escluso, in tal modo, che detti incentivi continuassero a remu- nerare le sole “prestazioni professionali tipiche” di specifici soggetti. Essi, inoltre, essendo erogabili con riferimento sia ai contratti di appalto di opere e lavori, sia a quelli di forniture e servizi (v., in tal senso, Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 30 novembre 2016, n. 333, nonché Sez. contr. reg. Emilia-Ro- magna, 7 dicembre 2016, n. 118, che ha proposto il quesito cui la Sezione delle autonomie ha dato risposta con la pronuncia in epigrafe), si configurano come una spesa di funzionamento dell’amministrazione e, dunque, hanno natura di spese correnti (inerenti il personale) e non di investimento.

Alla luce di questo quadro normativo, la deliberazione in epigrafe chiarisce che gli incentivi per “funzioni tecniche”

previste dal codice dei contratti pubblici (art. 113, c. 2), in quanto difformi rispetto all’abrogato istituto degli incentivi alla progettazione (art. 93, c. 7-ter, d.lgs. n. 163/2006), rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 1, c. 236, l. n. 208, cit., nel senso – appunto – che essi vanno computati fra gli emolumenti accessori che non possono eccedere il limite massimo delle risorse annualmente destinate al trattamento accessorio del personale dell’amministrazione interessata.

Nell’affermare il principio di cui alla massima, la delibera- zione si ricollega a precedenti pronunce della Corte, tra le quali:

Sez. autonomie 7 dicembre 2016, n. 34, in questa Rivista, 2017, fasc. 1-2, 139, con nota di richiami, secondo cui le eco- nomie derivanti dall’attuazione dei piani triennali di razionaliz- zazione e riqualificazione della spesa di cui all’art. 16, cc. 4 e 5, d.l. n. 98/2011 sono escluse dal tetto di spesa previsto dall’art.

1, c. 236, l. 28 dicembre 2015, n. 208, qualora conseguano a specifiche iniziative volte al raggiungimento di puntuali obiet- tivi di incremento della produttività individuale del personale interno all’amministrazione da realizzare mediante il diretto coinvolgimento delle unità lavorative in mansioni suppletive rispetto agli ordinari carichi di lavoro;

Sez. autonomie n. 18/2016, cit., secondo cui gli enti locali, nel caso di realizzazione di opere o di lavori pubblici, possono riconoscere “incentivi alla progettazione” al responsabile unico del procedimento, agli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori e del col- laudo, nonché ai loro collaboratori, anche se l’attività di pro- gettazione non venga interamente svolta all’interno dell’ente;

Sez. autonomie 15 aprile 2014, n. 7, ivi, 2014, fasc. 1-2, 101, con nota di richiami, secondo cui, ai fini dell’attribuzione del compenso incentivante al dipendente che abbia redatto un

“atto di pianificazione”, è necessario che la relativa attività sia direttamente collegata alla realizzazione di un’opera pubblica,

(3)

della pubblica amministrazione, alla considerazione anche del personale assumibile e all’assenza di una previsione intesa a consolidare nel tempo le decurta- zioni al trattamento accessorio – non incidono sulla struttura del vincolo di spesa, come già evidenziato da questa sezione (delib. n. 34/2016/Qm).

La norma si sostanzia in un vincolo alla crescita dei fondi integrativi rispetto ad una annualità di ri- ferimento e nell’automatica riduzione del fondo in misura proporzionale alla contrazione del personale in servizio.

Le Sezioni riunite, chiamate a pronunciarsi sulla soggezione di taluni compensi ai tetti di spesa per i trattamenti accessori posti dall’art. 9, c. 2-bis, d.l.

n. 78/2010, hanno ritenuto la norma di stretta inter- pretazione, tenuto conto dell’effetto di proliferazione della spesa per il personale determinato dalla con- trattazione integrativa, i cui meccanismi hanno finito per vanificare l’efficacia delle altre misure di conte- nimento della spesa (tra cui i vincoli assunzionali).

tale da contenere un quid pluris di progettualità rispetto a un mero atto di pianificazione generale e da giustificare una deroga ai due principi cardine in materia di pubblico impie- go, quello di onnicomprensività della retribuzione e quello di definizione contrattuale delle sue componenti economiche, in forza dei quali nulla è dovuto al dipendente che abbia svolto una prestazione rientrante nei suoi doveri d’ufficio, oltre al trattamento fondamentale e a quello accessorio stabiliti dai contratti collettivi;

Sez. riun. contr. n. 51/2011, cit., secondo cui, tra le risorse che affluiscono ai fondi unici per la contrattazione decentrata destinate annualmente al trattamento accessorio del personale anche di livello dirigenziale degli enti locali, quelle destinate ad incentivi economici per le attività di progettazione di opere pubbliche e per le prestazioni dell’avvocatura interna devono ritenersi escluse dall’ambito applicativo dell’art. 9, c. 2-bis, d.l.

n. 78/2010, che fissa, a decorrere dall’1 gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 (prorogato fino al 2014 dalla l. 27 dicembre 2013, n. 147), l’ammontare complessivo delle suddette risorse nell’importo corrispondente a quello dell’anno 2010 (in motiva- zione, si precisa che, per stabilire se l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale non superi il corrispondente importo dell’anno 2010, occorre sterilizzare la spesa per il personale relativa all’anno che costituisce la base di confronto, e cioè il 2010, dalle risorse destinate agli incentivi per le attività di progettazione e per le prestazioni professionali dell’avvocatura interna);

Sez. autonomie 13 novembre 2009, n. 16, secondo cui gli

“incentivi per la progettazione interna”, previsti dall’art. 92 d.lgs. n. 163/2006, sono esclusi dai limiti alle spese di per- sonale disciplinati dall’art. 1 l. 27 dicembre 2006, n. 296, e, precisamente, dal c. 557 (per cui gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retri- butiva e occupazionale, anche attraverso la razionalizzazione

In tale contesto, l’organo nomofilattico ha indi- viduato quale criterio discretivo la circostanza che determinati compensi siano remunerativi di “presta- zioni tipiche di soggetti individuati e individuabili”, le quali “potrebbero essere acquisite anche attraverso il ricorso a personale estraneo all’amministrazione pubblica con possibili costi aggiuntivi”. Sussisten- do queste condizioni, gli incentivi per la progetta- zione di cui all’art. 93, c. 7-ter, d.lgs. n. 163/2006 sono stati esclusi dall’ambito applicativo dell’art. 9, c. 2-bis, andando a compensare prestazioni profes- sionali afferenti ad “attività sostanzialmente finaliz- zata ad investimenti”. Peraltro, tale orientamento si riporta alle affermazioni di questa sezione (delib. n.

16/2009/Qm) che, ai fini del computo delle voci di spesa da ridurre a norma dell’art. 1, cc. 557 e 562, l.

27 dicembre 2006, n. 296, aveva escluso gli incen- tivi per la progettazione interna di cui al previgente codice degli appalti a motivo della loro riconosciuta natura “di spese di investimento, attinenti alla gestio- ne in conto capitale, iscritte nel titolo II della spesa, e finanziate nell’ambito dei fondi stanziati per la re- alizzazione di un’opera pubblica, e non di spese di funzionamento”.

2. Come ben evidenziato nella delibera di remis- sione della sezione territoriale, il compenso incenti- vante previsto dall’art. 113, c. 2, del nuovo codice degli appalti non è sovrapponibile all’incentivo per

delle strutture burocratico-amministrative) e dal c. 562 (per cui, per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’Irap, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004; l’art. 4-ter, c. 11, d.l. n. 16/2012 ha poi sostituito l’anno 2004 con il 2008).

III. - Sez. contr. reg. Emilia-Romagna n. 118/2016, cit., ha anche ritenuto che gli incentivi per funzioni tecniche non possono remunerare attività di manutenzione ordinaria e stra- ordinaria, in quanto non rientranti nell’elenco, da considerar- si tassativo, delle attività specificamente individuate dall’art.

113, c. 2, d.lgs. n. 50, cit. (“attività di programmazione della spesa per investimenti, per la verifica preventiva dei progetti di predisposizione e di controllo delle procedure di comando e di esecuzione dei contratti pubblici, di responsabile unico del procedimento, di direzione dei lavori ovvero direzione dell’e- secuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di ve- rifica di conformità, di collaudatore statico ove necessario per consentire l’esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti”).

IV. - Circa i presupposti per l’attribuzione degli incentivi alla progettazione per il personale delle pubbliche amministra- zioni, v. da ultimo, Cass. 5 giugno 2017, n. 13937, in questo fascicolo, 509, con nota di richiami. [g. giuliAno]

(4)

la progettazione di cui all’art. 93, c. 7-ter, d.lgs. n.

163/2006, oggi abrogato.

È anzi precisato nella legge delega (art. 1, c. 1, lett. rr, l. n. 11/2016) che tale compenso va a remune- rare specifiche e determinate attività di natura tecni- ca svolte dai dipendenti pubblici, tra cui quelle della programmazione, predisposizione e controllo delle procedure di gara e dell’esecuzione del contratto

“escludendo l’applicazione degli incentivi alla pro- gettazione”.

Di conseguenza, sono destinate risorse al fon- do di cui all’art. 113, c. 2, d.lgs. n. 50/2016 (nella misura del 2 per cento degli importi a base di gara)

“esclusivamente per le attività di programmazione della spesa per investimenti, di predisposizione e di controllo delle procedure di bando e di esecuzione dei contratti pubblici, di responsabile unico del pro- cedimento, di direzione dei lavori ovvero direzione dell’esecuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di collaudatore sta- tico ove necessario per consentire l’esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti”.

Diversamente dispone l’art. 113, c. 1, per “gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori ovvero al direttore dell’esecuzione, alla vigi- lanza, ai collaudi tecnici e amministrativi ovvero alle verifiche di conformità, al collaudo statico, agli studi e alle ricerche connessi, alla progettazione dei piani di sicurezza e di coordinamento”, i quali “fanno cari- co agli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti”.

È, quindi, fondato il dubbio interpretativo e la remissione della questione alla Sezione delle au- tonomie, trattandosi di fattispecie non assimilabili.

(Omissis)

3. In relazione alla rilevata difformità della fatti- specie introdotta dall’art. 113, c. 2, d.lgs. n. 50/2016 rispetto all’abrogato istituto degli incentivi alla pro- gettazione, occorre verificare la sussistenza, nei nuo- vi “Incentivi per funzioni tecniche”, dei requisiti fis- sati dalle Sezioni riunite, ai fini della loro inclusione o meno nei tetti di spesa di cui all’art. 1, c. 236, l. n.

208/2015.

Per quanto già esposto, va affermato che nei nuo- vi incentivi non ricorrono gli elementi che consen- tano di qualificare la relativa spesa come finalizza- ta a investimenti; il fatto che tali emolumenti siano erogabili, con carattere di generalità, anche per gli appalti di servizi e forniture comporta che gli stessi si configurino, in maniera inequivocabile, come spese

di funzionamento e, dunque, come spese correnti (e di personale).

Nel caso di specie, non si ravvisano, poi, gli ul- teriori presupposti delineati dalle Sezioni riunite (nella richiamata delib. n. 51/2011) per escludere gli incentivi di cui trattasi dal limite del tetto di spesa per i trattamenti accessori del personale dipendente in quanto essi non vanno a remunerare “prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati e indivi- duabili” acquisibili anche attraverso il ricorso a per- sonale esterno alla pubblica amministrazione, come risulta anche dal chiaro disposto dell’art. 113, c. 3, d.lgs. n. 50/2016.

La citata norma, infatti – nel disporre che la ri- partizione della parte più consistente delle risorse (l’80 per cento) debba avvenire “per ciascuna ope- ra o lavoro, servizio, fornitura con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di apposito re- golamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, tra il responsabile unico del procedimento e i soggetti che svolgono le funzioni tecniche indicate al c. 2 nonché tra i loro collabora- tori” e che “gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’am- ministrazione” – appare indicativa della diversa con- notazione degli incentivi in parola.

È infatti evidente l’intento del legislatore di ampliare il novero dei beneficiari degli incentivi in esame, individuati nei profili, tecnici e non, del per- sonale pubblico coinvolto nelle diverse fasi del pro- cedimento di spesa, dalla programmazione (che nel nuovo codice dei contratti pubblici, all’art. 21, è resa obbligatoria anche per l’acquisto di beni e servizi) all’esecuzione del contratto. Al contempo, la citata disposizione richiama gli istituti della contrattazione decentrata, il che può essere inteso come una sotto- lineatura dell’applicazione dei limiti di spesa alle ri- sorse decentrate.

Per converso, giova ribadire che, nella riscrittura della materia ad opera del nuovo codice degli appal- ti, risultano assolutamente salvaguardati i beneficiari dei pregressi incentivi alla progettazione, i quali sono oggi remunerati con un meccanismo diverso dalla ri- partizione del fondo. Infatti, per le spese di proget- tazione, di direzione dei lavori o dell’esecuzione, di vigilanza, per i collaudi tecnici e amministrativi, le verifiche di conformità, i collaudi statici, gli studi e le ricerche connessi, la progettazione dei piani di si- curezza e di coordinamento e il coordinamento del- la sicurezza in fase di esecuzione ove previsti dalla legge, si provvede con gli stanziamenti previsti per

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la realizzazione dei singoli lavori, a norma dell’art.

113, c. 1, d.lgs. n. 50/2016. In tal senso, deve esse- re apprezzato l’intento chiarificatore del legislatore delegato.

P.q.m., la Sezione delle autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla Sezione regionale di controllo per l’Emi- lia-Romagna con delib. n. 118/2016/Qm, enuncia il seguente principio di diritto:

“Gli incentivi per funzioni tecniche di cui all’art.

113, c. 2, d.lgs. n. 50/2016 sono da includere nel tetto dei trattamenti accessori di cui all’art. 1, c. 236, l. n.

208/2015 (legge di stabilità 2016)”.

9 – Sezione delle autonomie; deliberazione 12 aprile 2017; Pres. De Girolamo, Rel. Petronio, Petrucci;

Comune di Giarre.

Contabilità regionale e degli enti locali – Comune e provincia – Piano di riequilibrio finanziario pluriennale – Successiva emersione di disa- vanzi e debiti fuori bilancio – Rimodulazione o riformulazione del piano – Ammissibili- tà – Parere dell’organo di revisione – Necessi- tà – Verifica della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali – Necessità.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’or- dinamento degli enti locali, artt. 188, 194, 243-bis, 243-quater; d.lgs. 23 giugno 2011 n. 118, disposizio- ni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 l. 5 maggio 2009 n. 42, art. 3; l. 28 dicembre 2015 n. 208, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), art. 714-bis; d.l. 24 giugno 2016 n. 113, con- vertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2016 n.

160, misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, art. 15.

Gli enti locali che, successivamente alla presen- tazione o all’approvazione del piano pluriennale di riequilibrio finanziario, abbiano registrato disa- vanzi o debiti fuori bilancio emersi successivamen- te alla deliberazione o all’approvazione del piano (e, quanto ai debiti, ignoti all’ente per motivi allo stesso non imputabili) sono autorizzati a modificare quest’ultimo entro il termine perentorio del 30 set- tembre 2016; peraltro, poiché l’inclusione nel piano di ulteriori poste passive comporta una nuova quan- tificazione del disavanzo e dell’intera situazione de- bitoria, con effetti sulle complessive misure di risa-

namento previste dal piano, è essenziale che il piano così rimodulato o riformulato sia corredato del pa- rere dell’organo di revisione contabile e sia oggetto di apposita istruttoria da parte della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, prima di essere sottoposto all’esame della competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti. (1)(1)

(1) I. - La deliberazione in epigrafe chiarisce, anzitutto, il differente ambito applicativo dell’art. 1, c. 714-bis, l. n.

208/2015 (introdotto dal d.l. n. 113/2016, convertito con modifi- cazioni dalla l. n. 160/2016), rispetto a quello dell’art. 1, c. 714, della stessa legge. Entrambe le disposizioni riguardano gli enti locali che hanno presentato un piano di riequilibrio finanzia- rio pluriennale o ne hanno conseguito l’approvazione; mentre, però, la seconda li autorizza a ripianare la quota di disavanzo applicato al piano di riequilibrio mediante la rimodulazione o la riformulazione del precedente piano nell’arco temporale di trent’anni previsto per il ripiano dei disavanzi dovuti al riaccer- tamento straordinario dei residui, il primo consente agli enti di rimodulare o riformulare il piano, ferma restandone la durata massima decennale, al fine di tener conto – ma senza alcuna connessione con le operazioni di riaccertamento straordinario dei residui – dell’eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato o da debiti fuori bilancio; e ciò in deroga – rispettiva- mente – alla disciplina generale in tema di ripiano del disavanzo di amministrazione (art. 188 Tuel) e a quella dei debiti fuori bilancio (art. 194 Tuel).

Sulla portata dell’art. 1, c. 714, cit., nel testo precedente alle modifiche apportate dall’art. 15 d.l. n. 113, cit., e dall’art.

1, c. 434, l. n. 232/2016, v. già:

Corte conti, Sez. autonomie, 3 maggio 2016, n. 13, secondo cui gli enti locali che, dopo aver presentato o approvato il piano di riequilibrio finanziario, abbiano riformulato o rimodulato il piano originario per attuare il ripiano del disavanzo scaturito dal riaccertamento straordinario dei residui, sono comunque soggetti all’osservanza dei vincoli normativi e degli impegni già assunti al momento dell’approvazione del piano;

Sez. riun. giur. (spec. comp.), 17 gennaio 2017, n. 1, in que- sta Rivista, 2017, fasc. 1-2, 281, con nota di richiami, per cui gli enti locali possono aggiornare il piano di riequilibrio finanziario solo ed esclusivamente con riferimento al maggior disavanzo di amministrazione scaturito dal riaccertamento straordinario dei residui e dal primo accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità; ivi, la precisazione per cui, data la perentorietà del termine del 30 settembre per la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio, l’ente dovrebbe, entro tale termine, presentare il piano di riequilibrio rimodulato o riformulato, e non limitarsi ad avviare, con una delibera consiliare, la proce- dura di rimodulazione o riformulazione (v. pure Sez. riun. giur., spec. comp., 7 dicembre 2016, n. 25, ivi, 2016, fasc. 5-6, 286, con nota di richiami).

La ratio dell’art. 1, c. 714-bis, cit., risiede, invece, come spiega la Sezione delle autonomie, nel consentire agli enti “in piano di riequilibrio” di inserire nel piano stesso, ferma restando la durata massima decennale per esso stabilita, le poste concer- nenti a) i disavanzi ulteriori risultanti dai rendiconti approvati successivamente alla redazione del piano di riequilibrio e b) i debiti fuori bilancio che non erano riconoscibili al momento

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Considerato – 1. La Sezione delle autonomie è chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazio- ne della disciplina prevista dall’art. 1, c. 714-bis, in- trodotto dall’art. 15 d.l. 24 giugno 2016 n. 113, con- vertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2016, n.

160, che ha integrato la l. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).

Secondo la su richiamata disposizione, gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio fi- nanziario pluriennale o ne hanno conseguito l’appro- vazione ai sensi dell’art. 243-bis Tuel, con delibera da adottarsi dal consiglio dell’ente, entro la data del 30 settembre 2016, possono provvedere a rimodulare o riformulare il piano stesso, fermo restando la sua durata originaria e quanto previsto nel c. 7 dell’art.

243-bis, per tenere conto dell’eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato o dei debiti fuori bilancio, anche in deroga agli artt. 188 e 194 Tuel.

Occorre preliminarmente porre in evidenza che la disciplina delineata dal citato c. 714-bis appare nettamente distinta dalla normativa contenuta nel c.

714 dell’art. 1 della medesima l. n. 208/2015 e sul cui ambito applicativo è intervenuta la deliberazione della Sezione delle autonomie n. 13/2016/Qm richia- mata dalla sezione remittente.

dell’approvazione del piano e che non potevano già essere evi- denziati alla suddetta data neppure quali passività potenziali.

Peraltro, siccome l’introduzione di tali poste nel piano originario determina modifiche sostanziali di quest’ultimo, essendo destinata a ripercuotersi anche sulle misure di risana- mento predisposte dal piano originario e sulla individuazione di nuove misure di copertura, il piano così rimodulato o rifor- mulato dev’essere munito del parere dell’organo di revisione contabile ed essere sottoposto alla specifica attività di verifica della commissione ministeriale.

Si tratta, in ogni caso, di una disposizione eccezionale (la cui applicazione – osserva la sezione – è stata limitata a un ri- dottissimo arco temporale: dal 24 giugno al 30 settembre 2016), che configura una variazione del tutto estemporanea alle regole generali che presiedono alla gestione dei disavanzi, con misure che vanno dall’immediata loro applicazione al bilancio (con eventuale distribuzione negli esercizi considerati nel bilancio di previsione, anche successivi alla consiliatura in corso: v., sul punto, Sez. autonomie 25 ottobre 2016, n. 30, ibidem, 95, con nota di richiami) alla possibilità, ove ciò non sia sufficiente a ripristinare l’equilibrio, di ricorrere alla procedura di “riequili- brio finanziario pluriennale”, all’interno della quale si colloca, appunto, la norma del c. 714-bis, la quale ha concesso, in via del tutto eccezionale e – come detto – per un tempo brevissimo, l’opportunità agli enti locali di modificare il piano originario per “assorbire” gli effetti di ulteriori disavanzi o debiti fuori bilancio (donde, nel rispetto delle disposizioni di cui all’art.

243-bis, c. 6, Tuel, “una nuova quantificazione dell’intero di- savanzo e dell’intera situazione debitoria, nonché una novellata indicazione, per ciascun esercizio ricompreso nel piano, della

Infatti, il c. 714, nel testo previgente alle modifi- che intervenute dapprima con l’art. 15 d.l. 24 giugno 2016, n. 113, e poi con l’art. 1, c. 434, l. 11 dicembre 2016, n. 232, consentiva agli enti locali che, nel cor- so del 2013 o del 2014, avevano presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne avevano conseguito l’approvazione di ripianare la quota di disavanzo applicato al piano di riequilibrio, secondo

percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione e degli importi per il finanziamento dei debiti fuori bilancio”).

II. - Allo scopo di conferire una soddisfacente collocazione sistematica alla nuova disposizione, la Sezione delle autonomie si richiama a proprie precedenti pronunce, quali, oltre quelle citate sub I:

Sez. autonomie 20 dicembre 2016, n. 36, secondo cui l’e- same, da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte, dello stato di attuazione dei piani di riequilibrio non è diret- to solamente ad una verifica contabile del conseguimento di ciascun obiettivo finanziario programmato dall’ente, ma deve tener conto di ogni eventuale elemento sopravvenuto. Lo scopo primario della procedura di riequilibrio finanziario consiste, infatti, nell’individuare un percorso graduale di risanamento dell’ente, anche in relazione a difficoltà o criticità che emergano nel corso della sua attuazione;

Sez. autonomie 25 ottobre 2016, n. 30, cit., per cui il ripiano del disavanzo di amministrazione deliberato dal commissario prefettizio di un comune ben può essere programmato per una durata superiore a quella dell’esercizio in corso e fino a quella di un triennio (arco temporale che costituisce l’estensione minima obbligatoria della programmazione di bilancio), salvaguardando le compatibilità economico-finanziarie del processo di program- mazione; ciò in quanto la circostanza che gli esercizi successivi al primo superino la durata della consiliatura o dell’incarico commissariale in corso, rientrando, così, nel periodo di mandato elettivo di una nuova amministrazione, non costituisce impedi- mento giuridico-contabile all’adozione del ripiano pluriennale, il quale deve essere obbligatoriamente adottato.

III. - Sul c.d. disavanzo tecnico, che si manifesta allorquan- do i residui passivi reimputati a un esercizio sono di importo superiore alla somma del fondo pluriennale vincolato stanziato in entrata e dei residui attivi reimputati allo stesso esercizio, v.

Corte cost. 11 gennaio 2017, n. 6, ivi, 2017, fasc. 1-2, 539, con nota di richiami, secondo cui la relativa disciplina normativa (art. 3, c. 13, d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118), costituendo una tassativa eccezione al principio generale dell’equilibrio del bi- lancio, dev’essere considerata di strettissima interpretazione e applicazione e, in quanto tale, deve essere circoscritta alla sola irripetibile ipotesi normativa del riaccertamento straordinario dei residui.

IV. - Sulla decadenza degli enti locali dalla facoltà, ad essi concessa dall’art. 1, c. 714-bis, l. n. 208/2015, di rimodula- re o riformulare entro il termine perentorio del 30 settembre 2016, il piano originario di riequilibrio finanziario pluriennale già precedentemente presentato o approvato, per tenere conto dell’eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato o dei debiti fuori bilancio, v. Corte conti, Sez. riun., (spec.

comp.), 3 luglio 2017, n. 19, in questo fascicolo, 241, con nota di richiami. [g. giuliAno]

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le modalità previste dal d.m. economia 2 aprile 2015, mediante la rimodulazione o riformulazione del pre- cedente piano, in coerenza con l’arco temporale di trenta anni previsto per il riaccertamento straordina- rio dei residui attivi e passivi di cui all’art. 3 d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118.

Tale disposizione, come chiarito dalla Sez. auto- nomie con delib. n. 13/2016/Qm, cit., interveniva sul tema del coordinamento tra gli originari contenuti del piano di riequilibrio e gli eventuali effetti peggio- rativi derivanti dall’adozione degli adempimenti pre- visti ex lege per il passaggio al sistema di contabilità armonizzata e andava a colmare un vuoto normativo al quale, nelle more dell’intervento normativo, la Se- zione delle autonomie aveva già cercato di ovviare in via interpretativa con le delib. nn. 4 e 32/2015.

Dal tenore letterale della norma del c. 714, che operava una distinzione tra rimodulazione e rifor- mulazione del piano di riequilibrio, la Sezione delle autonomie concludeva che “la proposta di rimodula- zione o di riformulazione del piano già approvato o di quello adottato, corredata del parere dell’organo di revisione economico-finanziaria, deve essere pre- sentata, rispettivamente, alla pertinente sezione re- gionale di controllo della Corte dei conti (nel caso di piano già approvato) o alla competente commissione ministeriale (nell’ipotesi di piano solo adottato)”.

La sezione aggiungeva, inoltre, che la facoltà di riformulare o rimodulare il piano già approvato o presentato era prevista soltanto per consentire il ripiano del disavanzo scaturito dal riaccertamento straordinario dei residui nei termini e con le moda- lità stabilite dall’art. 3 d.lgs. n. 118/2011 e dal d.m.

2 aprile 2015, ma lasciava “impregiudicati i vincoli normativi e gli impegni già assunti da ciascun ente al momento dell’approvazione del piano”.

Gli enti locali potevano, pertanto, aggiornare le previsioni del piano di riequilibrio solo ed esclusi- vamente con riferimento al maggior disavanzo di amministrazione determinato dal riaccertamento straordinario dei residui e dal primo accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità (Sez. riun. giur., spec. comp., n. 1/2017). (Omissis)

Su un ambito completamente differente rispetto alle ipotesi obbligatorie di riaccertamento straordi- nario dei residui, si pone, invece, la disposizione in- trodotta dal c. 714-bis, che consente agli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finan- ziario pluriennale o ne hanno conseguito l’appro- vazione di rimodulare o riformulare il piano, ferma restando la durata massima decennale, al fine di tener conto dell’eventuale disavanzo risultante dal rendi-

conto approvato o dei debiti fuori bilancio, anche in deroga agli artt. 188 e 194 Tuel.

Tale possibilità di rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio, consentita, peraltro, senza al- cuna limitazione temporale riferita all’annualità di ri- corso alla procedura di riequilibrio come previsto dal c. 714, non presenta, quindi, alcuna connessione con le operazioni di riaccertamento straordinario dei residui imposte a tutti gli enti territoriali dal passaggio al nuo- vo sistema di armonizzazione contabile e che, in ogni caso, dovevano essere tempestivamente e regolarmente eseguite (Sez. autonomie n. 4/2015). (Omissis)

2. La disciplina recata dal c. 714-bis appare, inol- tre, derogatoria della disciplina generale di cui al nuovo testo dell’art. 188 Tuel, così come modificato dal d.lgs. n. 118/2011, ai sensi del quale l’eventuale disavanzo di amministrazione deve essere immedia- tamente applicato all’esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto; la mancata adozione della delibera che applica il disavanzo al bilancio in corso di gestione è equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazio- ne del rendiconto di gestione; il disavanzo di ammi- nistrazione può anche essere ripianato negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della consiliatura, con- testualmente all’adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio; il piano di rientro è sottopo- sto al parere del collegio dei revisori.

In via generale, l’ordinamento giuridico attual- mente vigente già predispone opportune cautele in presenza di un accertato disavanzo di amministrazio- ne, disponendone l’immediata applicazione in sede di bilancio o al più entro il periodo minimo triennale previsto dalla nuova impostazione programmatoria di bilancio. [In proposito, la sezione ha: n.d.r.] rileva- to che, “laddove l’applicazione del disavanzo all’e- sercizio in corso risulti non sostenibile da un punto di vista finanziario, lo stesso deve essere distribuito negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, avuto riguardo solo alla sua estensione minima obbligatoria triennale e salvaguardando le compatibilità economico-finanziarie del processo di programmazione. La circostanza che gli esercizi successivi superino la consiliatura in corso e coinci- dano con il periodo di mandato elettivo di una nuova amministrazione non costituisce impedimento giuri- dico-contabile all’adozione del ripiano pluriennale che deve essere obbligatoriamente adottato” (delib.

n. 30/2016/Qm).

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È, quindi, evidente che qualora le misure predi- sposte dall’art. 188 Tuel non siano idonee a superare gli squilibri di bilancio, gli enti locali possono ricor- rere alla procedura di riequilibrio finanziario plurien- nale, ed è all’interno di tale procedura che si colloca la norma del c. 714-bis, che introduce una precipua ipotesi di modifica del piano originario per effetto dell’individuazione di un ulteriore disavanzo o di ulteriori debiti fuori bilancio che comportano ne- cessariamente, nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 243-bis, c. 6, Tuel, una nuova quantificazione dell’intero disavanzo e dell’intera situazione debi- toria nonché una novellata indicazione, per ciascun esercizio ricompreso nel piano, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione e degli im- porti per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.

3. Tuttavia, al fine di poter addivenire ad una cor- retta interpretazione della disposizione in commento, è necessario porre attenzione all’intento perseguito dal legislatore nel prevedere una modifica del pia- no di riequilibrio per via di un ulteriore disavanzo o ulteriori debiti fuori bilancio non ricompresi inizial- mente dal piano medesimo.

La norma dettata dal c. 714-bis, che indubbia- mente concede una nuova facoltà agli enti che hanno già deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio e che ha avuto un ridotto arco temporale di appli- cazione (dal 24 giugno 2016 al 30 settembre 2016), non può essere interpretata in senso estensivo, poi- ché introduce un sistema derogatorio esclusivamen- te rivolto a consentire agli enti soggetti al piano di riequilibrio di ripianare il disavanzo e i debiti fuori bilancio in un arco temporale più ampio.

Tale lettura deve, poi, necessariamente coor- dinarsi sia con la disciplina generale in materia di procedura di riequilibrio finanziario che con il nuovo regime di armonizzazione contabile oramai vigente all’atto dell’entrata in vigore del c. 714-bis. Infatti, la disciplina di cui all’art. 243-bis, c. 6, Tuel già pre- vede che il piano di riequilibrio finanziario plurien- nale debba contenere la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio nonché riportare la quantificazione e previsione di “tutte” le misure per l’integrale ripiano del disavanzo accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio, indi- cando, per ciascuno degli anni del piano di riequili- brio, la percentuale di ripiano del disavanzo e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bi- lancio.

Entrambe le norme summenzionate adoperano, quindi, la medesima terminologia poiché fanno riferi- mento ad un “eventuale disavanzo risultante dall’ulti- mo rendiconto approvato”, nonché ad eventuali debiti fuori bilancio; da ciò si desume che la previsione del c. 714-bis può assumere coerenza logica e sistematica solo se riferibile ad un eventuale disavanzo o ad even- tuali debiti fuori bilancio emersi successivamente alla deliberazione o all’approvazione del piano, risolven- dosi, altrimenti, in una mera duplicazione della nor- mativa già esistente, contenuta nell’art. 243-bis, c. 6, lett. b), Tuel e già applicata dall’ente al momento del ricorso alla procedura di riequilibrio.

Occorre, peraltro, considerare che, durante la fase attuativa del piano di riequilibrio pluriennale, prosegue l’attività finanziaria, economica e patrimo- niale degli enti e non può, in astratto, escludersi che tale attività gestoria possa generare un “nuovo disa- vanzo” o “nuovi debiti fuori bilancio” che gli enti non siano in grado di ripianare o finanziare entro i termini di durata imposti dagli artt. 188 e 194 Tuel proprio perché, ai sensi dell’art. 243-bis, c. 1, pre- sentano “squilibri strutturali in grado di provocare il dissesto” che li hanno indotti ad aderire alla procedu- ra di riequilibrio. (Omissis)

La norma del c. 714-bis risponde, poi, ad una consolidata tecnica di redazione legislativa che af- fianca la fattispecie dei debiti fuori bilancio al di- savanzo da ultimo rendiconto approvato, come de- sumibile dal nuovo testo dell’art. 188, c. 1-quater, che espressamente prevede che: “Agli enti locali che presentino, nell’ultimo rendiconto deliberato, un disavanzo di amministrazione ovvero debiti fuori bilancio, ancorché da riconoscere, nelle more della variazione di bilancio che dispone la copertura del disavanzo e del riconoscimento e finanziamento del debito fuori bilancio, è fatto divieto di assumere im- pegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti per legge”.

Deve aggiungersi che le eventuali operazioni di ripiano dei debiti fuori bilancio devono poi essere ef- fettuate annualmente dal consiglio comunale, come imposto dall’art. 193 Tuel ai fini della salvaguardia degli equilibri di bilancio; infatti, il principio dell’eco- nomicità della gestione richiede che le verifiche pre- viste dall’art. 193 Tuel siano immediatamente effet- tuate, evitando la maturazione di interessi e penalità a carico dell’ente (Sez. contr. reg. Calabria n. 63/2016).

I debiti fuori bilancio, infatti, non solo alterano l’equilibrio della gestione, ma possono anche prelu- dere a situazioni di dissesto, e uno slittamento del riconoscimento del debito in un esercizio successivo

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a quello effettivo di maturazione, ad esempio, viola il principio di veridicità dei documenti e delle risul- tanze contabili e, nel contempo, altera le risultanze rilevanti ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pub- blica e degli equilibri di bilancio (Sez. autonomie, relazione al Parlamento sulla gestione finanziaria de- gli enti locali, approvata con delib. n. 4/2017, vol. II, pp. 196 e 257).

Il legislatore, inoltre, proprio alla luce della rifor- ma contabile, esclude la possibilità dell’emersione di debiti “occulti” e infatti l’art. 183, c. 8, Tuel, come modificato dal d.lgs. n. 118/2011, dispone che, al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di de- biti pregressi, il responsabile della spesa che adotta provvedimenti che comportano impegni ha l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di cassa; la violazione del predetto ob- bligo di accertamento comporta responsabilità disci- plinare e amministrativa.

Tale soluzione ermeneutica risulta suffragata anche dalla scheda di lettura dei lavori parlamen- tari redatta durante l’iter di conversione del d.l. n.

113/2016, ove si chiarisce che la facoltà consentita dal c. 714-bis attiene “alla circostanza in cui tali enti si trovino ad affrontare nel corso della gestione del piano nuovi disavanzi o debiti fuori bilancio e non riescano ad assorbirli nel periodo previsto dagli artt.

188 (per il disavanzo) e 194 (per i debiti fuori bilan- cio) del Tuel”.

Si osserva, inoltre, che quando, in via ecceziona- le, è stata assegnata rilevanza a debiti fuori bilancio già sussistenti e non nuovi rispetto all’avvio della procedura di riequilibrio, ciò è stato espressamente affermato dalle norme, come avvenuto con l’art. 8, c. 6, d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con mo- dificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 125. Tale dispo- sizione prevede, tra l’altro, la concessione di antici- pazioni di liquidità al fine di far fronte ai pagamenti da parte degli enti locali dei debiti fuori bilancio che presentavano i requisiti per il riconoscimento già alla data del 31 dicembre 2014, anche se riconosciuti in bilancio in data successiva, inclusi quelli contenuti nel piano di riequilibrio approvato dalla sezione re- gionale di controllo.

Anche in tema di dissesto dell’ente locale, l’in- clusione di ulteriori passività “pregresse” è consenti- ta espressamente dall’art. 268-bis Tuel, solo nell’am- bito di un’apposita procedura definita “straordinaria”

dal legislatore.

Posto che, pertanto, una corretta applicazione del quadro ordinamentale su delineato, soprattutto in se-

guito alla legislazione dell’armonizzazione, dovreb- be impedire il rinvenimento successivo di debiti fuo- ri bilancio non contemplati dall’ente già al momento dell’approvazione del piano, deve, tuttavia, ritenersi possibile, proprio in virtù del carattere derogatorio del c. 714-bis, l’inclusione di fattispecie di debito che, seppure venute a maturazione in precedenza, non erano note all’ente per motivi allo stesso non imputabili. Si tratta, quindi, di fattispecie soprav- venute e non conoscibili in precedenza che, in ogni caso, non siano in grado di alterare in misura signifi- cativa la determinazione della massa passiva, come potrebbe avvenire nell’ipotesi dell’emersione di una [situazione: n.d.r.] debitoria talmente consistente da inficiare la sostenibilità stessa del piano.

Infatti, al momento dell’adesione alla procedura di riequilibrio, riveste primaria importanza la rappre- sentazione della situazione economico-finanziaria dell’ente in osservanza dei principi di veridicità e attendibilità (Sez. contr. reg. Campania n. 60/2016), che impongono “una quantificazione veritiera e at- tendibile dell’esposizione debitoria in stretta ottem- peranza a quanto previsto dalle norme che stabilisco- no il contenuto obbligatorio del piano” onde evitare che la procedura di riequilibrio si riveli un dannoso escamotage con il quale si evita la dichiarazione di dissesto (Sez. autonomie n. 16/2012 e n. 36/2016/

Qm).Non può, quindi, ritenersi consentita la successiva inclusione nel piano originario di quote di disavanzo o di debiti fuori bilancio già esistenti e conoscibili dall’ente alla data di presentazione o approvazione del piano di riequilibrio, in contrasto con i principi di veridicità, trasparenza e attendibilità che devono, invece, contraddistinguere ogni attività programma- toria degli enti e quindi anche la redazione del piano di riequilibrio.

4. Una volta acclarato che le variazioni del pia- no di riequilibrio, operate per effetto dell’art. 1, c.

714-bis, assumono carattere di sostanziale novità per effetto dell’introduzione di ulteriori poste passive che sono conseguentemente destinate a ripercuo- tersi anche sulle misure di risanamento predisposte dal piano originario nonché sull’individuazione di nuove misure di copertura, deve ritenersi necessario lo svolgimento di una specifica attività di verifica istruttoria da parte della commissione ministeriale, sia per le fattispecie di rimodulazione di un piano già approvato che per le fattispecie di riformulazione di un piano soltanto adottato dall’ente.

Si ribadisce, infatti, che costituisce principio generale della procedura di riequilibrio, affermato

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dall’art. 243-quater, c. 1, Tuel, l’assegnazione alla Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali del potere di svolgere la necessaria istruttoria, anche sulla base delle linee guida deliberate dalla Se- zione delle autonomie.

Inoltre, il permanere delle funzioni istruttorie del- la commissione in presenza di modifiche di carattere sostanziale al piano di riequilibrio originario consen- tite dal legislatore è già stato considerato dalla Sezio- ne delle autonomie che, in occasione della normativa dettata dall’art. 1, c. 15, d.l. 8 aprile 2013, n. 35, con- vertito con modificazioni dalla l. 6 giugno 2013, n. 64, che prevedeva la modifica del piano per adeguarlo al fine di ottenere le anticipazioni di liquidità, aveva sot- tolineato che l’utilizzazione della maggiore liquidità costituita dalle anticipazioni andava ad incidere pro- prio sugli aspetti del piano quali la puntuale ricogni- zione dei fattori di squilibrio, l’eventuale disavanzo di amministrazione e i debiti fuori bilancio, che sono tra quelli sui quali la commissione ministeriale, prima, e la sezione regionale di controllo, poi, ciascuno per la sua competenza, conducono le proprie valutazioni:

istruttorie, la commissione, cognitive e decisionali, la sezione (delib. n. 22/2014/Qm).

Si reputa, quindi, necessario che il piano rimodu- lato o riformulato venga corredato da un nuovo pa- rere dell’organo di revisione contabile che, ai sensi dell’art. 243-bis, c. 5, Tuel, si era espresso sul piano originario, in quanto si tratta di concrete variazioni del piano di riequilibrio.

5. (Omissis) L’individuazione delle passività po- tenziali è oramai richiesta per tutti gli enti locali dalla nuova formulazione dell’art. 167 Tuel conseguente all’adozione del sistema di armonizzazione contabi- le, che prevede di stanziare nella missione “Fondi e accantonamenti”, all’interno del programma “Altri fondi”, appositi accantonamenti riguardanti proprio le passività potenziali, sui quali non è possibile effet- tuare impegni e pagamenti.

I debiti fuori bilancio, includibili nel piano, do- vranno, poi, presentare tutti i requisiti di legittimità previsti ai sensi dell’art. 194 Tuel, essere riconosciuti con apposita deliberazione consiliare con specifica indicazione delle fonti di finanziamento e presentare un piano di rateizzazione del pagamento convenu- to con i creditori di durata massima pari agli anni del piano di riequilibrio “compreso quello in corso”, come prevede il disposto del c. 7 dell’art. 243-bis.

Si rammenta, al riguardo, che “la mancata pre- visione e allegazione di un idoneo accordo con i creditori costituisce un indice dell’inattendibilità del piano di riequilibrio, rinviando ad eventi futuri

e incerti la possibilità di ristrutturazione del debi- to” (Sez. riun. giur., spec. comp., nn. 10/2014/Qm e 37/2014). (Omissis)

P.q.m., la Sezione delle autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi sulla questione di massima po- sta dalla Sezione di controllo per la Regione sicilia- na con la delib. n. 259/2016/Qm, enuncia i seguenti principi di diritto:

“Il c. 714-bis della l. n. 208/2015 assegna agli enti locali la facoltà di effettuare, entro il termine del 30 settembre 2016, una sostanziale modifica del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, per effetto dell’in- clusione di un ulteriore disavanzo o di ulteriori debiti fuori bilancio. La suddetta facoltà è rivolta essenzial- mente a considerare l’ipotesi in cui il disavanzo o i de- biti fuori bilancio siano successivi alla deliberazione o all’approvazione del piano di riequilibrio.

Non è ammissibile la successiva inclusione nel piano originario di quote di disavanzo o di debiti fuori bilancio già esistenti e conoscibili dall’ente alla data di presentazione o approvazione del piano, in violazione dei principi di veridicità, trasparenza e attendibilità.

L’inclusione di ulteriori poste passive comporta una nuova quantificazione dell’intero disavanzo e dell’intera situazione debitoria destinata a ripercuo- tersi sulle misure di risanamento previste dal piano originario e, quindi, sostanziali variazioni del piano di riequilibrio che richiedono l’applicazione della disciplina generale in materia. Pertanto, il piano ri- modulato o riformulato, corredato del parere dell’or- gano di revisione contabile, dovrà essere oggetto di apposita istruttoria da parte della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, al fine di ac- certare la natura di tali modifiche, l’insorgenza di un nuovo e ulteriore disavanzo o ulteriori debiti fuori bilancio, la effettiva impossibilità di rilevarli tempe- stivamente e l’idoneità del percorso di risanamento.

Il termine di legge del 30 settembre 2016 ha na- tura perentoria e la sua inosservanza implica la de- cadenza dalla facoltà di avvalersi della possibilità di modificare il piano originario”.

11 – Sezione delle autonomie; deliberazione 12 mag- gio 2017; Pres. De Girolamo, Rel. Brandolini, Provvidera; Comune di Barumini e altro.

Impiegato regionale e degli enti locali – Comune e provincia – Titolari di cariche elettive – Emo- lumenti.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’or- dinamento degli enti locali, art. 90; l. 31 dicembre

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2009 n. 196, legge di contabilità e finanza pubbli- ca, art. 1; d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010 n. 122, misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, art. 5; d.l. 9 febbraio 2012 n. 5, convertito con modificazioni dalla l. 4 aprile 2012 n. 35, disposizioni urgenti in materia di sem- plificazione e di sviluppo, art. 35; d.l. 24 aprile 2017 n. 50, convertito con modificazioni dalla l. 21 giugno 2017 n. 96, disposizioni urgenti in materia finanzia- ria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e mi- sure per lo sviluppo, art. 22.

Il principio di gratuità stabilito dall’art. 5, c. 5, d.l. n. 78/2010 per gli incarichi di prestazioni pro- fessionali conferiti ai titolari di cariche elettive delle regioni e degli enti locali, ivi inclusa la partecipazio- ne ad organi collegiali di qualsiasi tipo (ad eccezio- ne dei soli incarichi, obbligatori ex lege, di revisore dei conti e di componente di collegi sindacali) è ap- plicabile a tutte le situazioni antecedenti l’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017, che ha escluso la gratuità dei menzionati incarichi ove la pubblica amministra- zione conferente operi in ambito territoriale diverso da quello dell’ente nel quale l’interessato ricopre la carica elettiva; il principio trova altresì applicazio- ne, entro i limiti stabiliti dal d.l. n. 50 cit., nelle ipo- tesi in cui l’assunzione della titolarità della carica elettiva sia successiva al conferimento dell’incarico, nonché agli incarichi conferiti per lo svolgimento di attività di supporto agli organi di direzione politica (art. 90 Tuel). (1)(1)

(1) Il principio di gratuità stabilito dall’art. 5, c. 5, d.l. n.

78/2010 per gli incarichi di prestazioni professionali conferiti ai titolari di cariche elettive delle regioni e degli enti locali è stato attenuato dal d.l. n. 50/2017, con l’introduzione dell’ecce- zione – indicata dall’art. 22, c. 4, dello stesso decreto – per cui esso non opera quando la pubblica amministrazione conferente operi in ambito territoriale diverso da quello dell’ente nel quale l’interessato ricopre la carica elettiva. Tale eccezione non opera, tuttavia, nel caso di incarichi conferiti dal comune presso il quale il professionista è titolare di una carica elettiva o da enti pubblici a carattere associativo, consortile o convenzionale, volontario o obbligatorio, di cui faccia parte il comune stesso.

Prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 50, cit., un’altra ec- cezione era ed è tuttora costituita dagli incarichi obbligatori ex lege, espressamente indicati dall’art. 35, c. 2-bis, d.l. n. 5/2012 e, cioè, di revisore dei conti o di componente dei collegi dei revisori e sindacali. Sul punto, v. Corte conti, Sez. autonomie, 31 marzo 2016, n. 11, in Rep. Foro it., 2016, voce Comune e provincia, n. 293, per cui il revisore dei conti di un comune, nominato successivamente sia all’entrata in vigore dell’art. 5, c. 5, d.l. n. 78/2010 sia al nuovo sistema di nomina dell’organo di revisione degli enti locali, ha diritto a percepire il compenso

Considerato – 1. La questione di massima sol- levata dalla sezione remittente con delib. nn. 1 e 2 del 19 gennaio 2017, deferita alla Sezione delle au- tonomie con ordinanza del presidente della Corte n.

6 del 23 febbraio 2017, verte su alcune problemati- che interpretative afferenti l’ambito di applicazione dell’art. 5, c. 5, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, converti- to con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, che, nell’ambito delle disposizioni per la riduzione del costo degli apparati politici e amministrativi, ha introdotto il principio di gratuità di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni a titolari di cariche elettive.

Si premette che la norma costituisce principio fondamentale di coordinamento della finanza pub- blica, ascrivibile alla competenza legislativa dello Stato, ai sensi dell’art. 117, c. 3, Cost. (in termini:

Corte cost. n. 151/2012) e pertanto è dettata ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, in quanto risponde all’imprescindibile esigenza di unitarietà del sistema di finanza pubblica.

Rispetto alla corretta interpretazione e applica- zione della richiamata normativa, la Sezione regio- nale di controllo per la Sardegna ha formulato altri e ulteriori dubbi esegetici, che involgono aspetti in parte diversi da quelli già esaminati, in sede di no- mofilachia, dalla Sezione delle autonomie con la recente delib. n. 11/2016/Qm, legati a particolari si- tuazioni (dalla medesima rappresentate) per dirimere le quali ha ravvisato l’esigenza, in via preventiva, di una decisione nomofilattica. In particolare la sezio- ne chiede: 1) se possano configurarsi fattispecie di esclusione dell’applicabilità del surriferito principio di gratuità degli incarichi con riferimento alla con- dizione dei titolari di cariche elettive nei comuni di ridotte dimensioni demografiche (in specie comuni aventi, rispettivamente, nn. 556 e 1.310 abitanti); 2) se la disposizione vincolistica di cui all’art. 5, c. 5, d.l. n. 78/2010 debba trovare integrale applicazione anche nelle ipotesi in cui l’assunzione della titolarità della carica elettiva sia successiva al conferimento dell’incarico; 3) se tra gli incarichi attribuiti ai titola- ri di cariche elettive, a cui si applica l’art. 5, c. 5, d.l.

n. 78/2010, rientrino anche quelli di cui all’art. 90 d.lgs. n. 267/2000.

Nelle more delle risoluzione della questione di massima deferita è entrato in vigore il d.l. n. 50/2017, recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori in-

professionale ai sensi dell’art. 241 Tuel nel caso in cui sia con- sigliere comunale in altra provincia.

(12)

terventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo” (di cui in pari data il governo ha presentato al Parlamento il disegno di legge di con- versione), che ha introdotto un comma aggiuntivo all’art. 5, c. 5, d.l. n. 78/2010, attenuando il principio di gratuità degli incarichi, ivi contemplato, nei con- fronti dei titolari di cariche elettive di regioni ed enti locali, fermo restando l’obbligo di rispetto dei limiti di spesa previsti dalla normativa vigente.

Il c. 4 dell’art. 22 dell’intervenuto decreto legge, infatti, integra il c. 5 dell’art. 5 d.l. n. 78/2010, ag- giungendo la disposizione che esclude, tra gli incari- chi conferiti ai titolari di cariche elettive dalle ammi- nistrazioni pubbliche di cui al c. 3 dell’art. 1 della l.

31 dicembre 2009, n. 196, per i quali vige il principio di gratuità, quelli aventi ad oggetto prestazioni pro- fessionali, conferiti dalle predette amministrazioni a titolari di cariche elettive di regioni ed enti locali, purché la pubblica amministrazione conferente ope- ri in ambito territoriale diverso da quello dell’ente presso il quale è rivestita la carica elettiva, all’uopo precisando che, in caso di carica elettiva comunale, l’ambito in cui opera la pubblica amministrazione conferente deve essere riferito ad area provinciale o metropolitana diversa da quella dell’ente presso il quale è rivestita la carica elettiva.

La novella disposizione precisa, altresì, che il conferimento deve essere effettuato nel rispetto dei limiti di spesa previsti dalla normativa vigente.

È necessario, pertanto, verificare quali siano gli effetti della nuova disposizione sulle fattispecie in esame.

Infatti, se pur espressamente qualificati (art. 77 Cost.) come “provvedimenti provvisori”, i decre- ti legge sono immediatamente efficaci, ovviamente nel rispetto delle condizioni tutte poste dalla Costi- tuzione, e hanno forza di legge: sono atti normativi del governo parificati alla legge, sia come capacità di innovare nell’ambito dell’ordinamento giuridico, che come resistenza all’abrogazione da parte di fonti subordinate.

Nello specifico, la novella di che trattasi produ- ce i suoi effetti a decorrere dal 24 aprile 2017, non avendo efficacia retroattiva poiché non reca l’inter- pretazione autentica dell’art. 5, c. 5, d.l. n. 78/2010, ma (come pure si legge nella relazione tecnica ex art.

17, c. 3, l. 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni – A.C. 4444) integra detto comma, in- novandolo, al fine di attenuare “il vigente divieto di corresponsione di compensi nei confronti dei titolari di cariche elettive che svolgono incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni”.

In proposito si richiama la giurisprudenza co- stituzionale (ex multis: sent. nn. 155 e 380/1990;

nn. 246, 440, 454 e 455/1992; nn. 39 e 424/1993;

n. 397/1994) che costantemente ha precisato che si deve riconoscere il carattere interpretativo soltanto a una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ov- vero privilegia una tra le tante interpretazioni possi- bili, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significa- to normativo.

La disposizione, pertanto, deve essere applicata alla luce del principio di irretroattività della norma:

principio cardine del nostro ordinamento giuridico, nonché fondamento dello Stato di diritto e conditio sine qua non della certezza del diritto stesso, a mente di quanto disposto dall’art. 11 delle disposizioni sul- la legge in generale.

In conseguenza:

1) per il periodo antecedente all’entrata in vigore del d.l. 24 aprile 2017, n. 50 resta fermo il principio interpretativo enunciato dalla giurisprudenza con- tabile, che esclude che il titolare di cariche elettive possa percepire ulteriori emolumenti per “lo svolgi- mento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al c. 3 dell’art. 1 della l. 31 dicembre 2009, n. 196, inclusa la partecipazione a organi collegiali di qualsiasi tipo”, fatta eccezione per quelli ex lege di cui alla delib. n. 11/2016/Qm.

In relazione a detto principio di gratuità, giova ri- cordare quanto affermato dalla Corte costituzionale, che ne ha qualificato la ratio nell’esigenza di evitare il cumulo di incarichi retribuiti e di perseguire in tal modo, attraverso un risparmio della spesa corren- te, l’equilibrio della finanza pubblica complessiva, all’uopo precisando che la norma deve considerarsi

“espressione di una scelta di fondo, diretta a conno- tare la disciplina settoriale degli incarichi conferiti ai titolari delle cariche elettive e, nel contempo, a ridur- re gli oneri della finanza pubblica” (in termini: Corte cost. n. 151/2012).

Con riferimento a detto arco temporale, quindi:

1.1) quanto al primo quesito formulato dalla se- zione remittente, il testo di legge non permette alcun aggancio letterale idoneo a consentire di poter esclu- dere dall’ambito di applicazione della disciplina vincolistica dell’art. 5, c. 5, d.l. n. 78/2010 i titolari di cariche elettive nei comuni di ridotte dimensio- ni demografiche. La locuzione normativa “qualsiasi incarico conferito” preclude all’interprete di operare distinzioni circa la natura dell’incarico medesimo, di talché non può condividersi la diversa opzione erme-

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