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Una settimana blues, tra Diego e la laguna

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Academic year: 2022

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Caro Guido,

stavolta ti scrivo una lettera aperta. Certo è un articolo, non preoccuparti. E come sempre è un piacere farlo per te e per ytali. Ma la forma è diversa stavolta, anche e soprattutto per me che sono un tipo sobrio anche se “fumantino” (per chi non è romano significa che mi inc…zo come Paperino: trenta secondi da tsunami e poi baci e abbracci, anche se ho una memoria d’elefante per le offese gratuite).

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D’altronde è stata una settimana pienamente “Blues” e io non ho saputo – né voluto – sfuggirgli:

“murió Maradona” nella settimana in cui chiude dopo vent’anni la trasmissione di Marco Giusti Stracult e va in tv L’Alligatore sull’onda del blues della tua Laguna (con qualche eccesso di immagini di fiume Tevere riconosciuto – almeno da me – nella sua parte “sgarrupata” e utilizzata per motivi di riprese da Covid… Ma Vicari va perdonato, il Tevere così come l’hanno ridotto è davvero da Blues, fuori dal centro storico).

Allora, rimettiamo in ordine: il lockdown, o giù di lì, ci chiude in noi stessi, ci fa pensare – le pagine su Giorello di Michele Mezza, per esempio, in L’algoritmo e il contagio che a mio avviso sono in contraddizione culturale, apparentemente, con l’argomento trattato ma in realtà parlano della stessa cosa, ovvero di libertà e comunità (fraternité?!); se poi in settimana muore Maradona e tutti diventano esperti Maradonologi (dopo politologi, virologi, Usanologi) mentre tu capisci che se ne va un’era che significa, a caso, al di là degli anni: Panatta, Totti, McEnroe, George Best, Cantona e voglio metterci appositamente il Marcello Mastroianni del finale della Dolce Vita che pare dire “mi dispiace, son fatto così” oltre a Paul Newman e Robert Redford: “Tu quello lo chiami coprire le spalle?” “E tu quello lo chiami correre?” – il magnifico finale di Butch Cassidy

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Matteo Martari

Bene, con ciò detto (e col groppo alla gola) ricordo Maradona e del perché è stato il più grande, nulla a spartire coi grandi come Pelè un po’ troppo inamidati per i miei gusti e qualcosa da

spartire invece con la follia razionalizzante e le sigarette eccessive di Cruijff. I prodromi di questo Blues c’erano però gia stati con la fine del programma televisivo di Marco Giusti Supercult e il suo pensionamento, al giorno e all’ora prestabilita per legge. Perché? Certo nessun programma dura per sempre né è necessario (forse) alla vita che continua. Valse anche per Chissà chi lo sa? di Febo Conti, mia epoca adolescenziale, costretto a emigrare alla tv svizzera, oppure per Mister Fantasy di Carlo Massarini, tutta gente come Giusti, troppo sobria e troppo poco glam per piacere nell’epoca del trash (Tommaso Labranca docet).

Sia chiaro, tutto legittimo, non è l’editto bulgaro berlusconiano. Forse peggio, visto che lì almeno c’era una distorta visione politica, qui il nulla post nietzschiano. E dire che Stracult era una

bellissima “cartina di tornasole” di Labranca, perché i partecipanti (e alcuni conduttori negli anni) si sfidavano in una sorta di gara inconsapevole tra kitsch, trash e camp sotto l’occhio attento di Marco Giusti (che le differenze le conosce eccome…) così come accade nella vita vera, per cui si recupera l’opera di Emmer o si capisce Ermanno Olmi e però non si resiste a recuperare i Vanzina (decontestualizzandoli e quindi rendendoli socialmente inoffensivi, come Alvaro Vitali e giù di lì fino al “milanese al cientopeciento”).

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regalato, con Blob, la realtà del sottotraccia, del “vero” secondo schermo, del racconto veritiero e

“à la Verga” di come l’Italia (e buona parte dell’Occidente) si è trasformato in questi anni, cedendo giorno dopo giorno all’eterno presente, senza desiderio di futuro e con un passato di cui non si ricorda nulla (sembro parlare della politica? Sì, la politica è vita, e questa vita oggi è esattamente così, la politica la rende benissimo con Conte, il suo portavoce Casalino, i giornalisti alla Giletti, i talk show inconcludenti, i cialtroni che potevamo permetterci prima della pandemia e invece sono parlamentari e ministri nel pieno del Covid 19).

Willem Dafoe e Gene Hackman in Mississippi Burning

Un poco ci aiuta la colonna sonora dell‘Alligatore (la sto sentendo ora mentre ti scrivo), con Teho Teardo che ha recuperato anche le canzoni raccontate mirabilmente da Alessandro Portelli sul

“cuore nero” degli Usa. Ma vorremmo essere lì. Persi con Matthew McConaughey e Woody Harrelson nel delta del Mississippi a fronteggiare fondamentalisti creazionisti (per un cattolico romano sono una lebbra peggio dei terrapiattisti, credimi) e militanti della NRA (True Detectives) oppure assieme a Willem Dafoe e Gene Hackman (Mississippi Burning)…

Invece siamo qui, discutendo (sentendo discutere) di settimane bianche e “shopping natalizio per garantire la ripresa del paese”, stretti tra Giletti e Barbara D’Urso. Con loro e sodali che parlano di Maradona e di Napoli o dell’Argentina senza coglierne l’essenza; che non sanno nemmeno cosa sia stato Blob o Stracult, tranne che per confronto del maledetto “share” e che del Blues non sanno che farsene.

D’altronde il Blues non fa parte della loro vita. Pensano sia una cosa triste. Invece, come in questa

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diceva il libro autobiografico di Simone Signoret, “la nostalgia non è più quella di un tempo”), ti costringe a resistere al presente e forse, carissimo Guido, anche a costruire un futuro diverso.

Forse non migliore in assoluto, ma migliore perché lo costruisci con le tue mani e i tuoi errori (e orrori trash). Il disco è finito. Murió Maradona!

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