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Appendice A IL DISTURBO AUTISTICO

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Academic year: 2021

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Introduzione

Questa tesi rappresenta il primo passo verso l'identificazione di un modello in vitro per il mappaggio dei circuiti neurali durante le prime fasi dello sviluppo del cervello.

La procedura di analisi messa a punto verrà utilizzata per lo studio sulla patogenesi dei disordini inerenti allo sviluppo con particolare riguardo all’autismo, ovvero tutti gli studi svolti in questa tesi dovranno poi essere ripetuti sulle colture di neuroni provenienti da modelli autistici e dovranno essere rilevate le differenze nel comportamento presenti.

Proprio per questo tale appendice è dedicata a una breve presentazione e descrizione del Disturbo Artistico.

Quadro generale

Il disturbo autistico, descritto per la prima volta dallo psichiatra Leo Kanner nel 1943 [1], è un disordine neurologico dello sviluppo ad esordio precoce, definito da specifiche caratteristiche comportamentali.

E’il più noto del gruppo di disturbi identificati con il nome di Disturbi Generalizzati dello Sviluppo.

I Disturbi Generalizzati dello Sviluppo sono caratterizzati da una compromissione grave e generalizzata in diverse aree dello

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sviluppo: capacità di interazione sociale reciproca, capacità di comunicazione, o presenza di comportamenti, interessi, e attività stereotipate. Le compromissioni qualitative che definiscono queste condizioni sono nettamente anomale rispetto al livello di sviluppo o all'età mentale del soggetto.

Il gruppo contiene, oltre al Disturbo Autistico, altri 4 disordini: il Disturbo di Rett, il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, il Disturbo di Asperger, e il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato, tutti evidenti nei primi anni di vita e spesso associati con un certo grado di Ritardo Mentale. [2, 3]

Gli esperti, oggi, sono concordi sul fatto che non esista una singola condizione mentale chiamata autismo e che all’interno della definizione diagnostica siano racchiusi una gamma di disturbi con differenti gradi di serietà. Inoltre ogni persona è diversa dall’altra, non solo nelle capacità intellettive, nel carattere, nello stile, negli interessi, o nella presenza o meno di disturbi associati, ma anche nel modo stesso in cui si manifesta la disabilità sociale e comunicativa. Per tenere conto di questa diversità e per sottolineare la peculiarità del disturbo di non avere sintomi chiaramente identificabili e universali per tutta la popolazione colpita, più che al termine autismo si dovrebbe fare riferimento alla dicitura Disordine dello Spettro Artistico (DSA). [4]

Sintomi

Le caratteristiche distintive del DSA sono la menomazione: 9 dell’interazione sociale;

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9 del comportamento e della attività immaginative.

Interazione sociale

La menomazione qualitativa nelle interazioni sociali reciproche si evidenzia nell’incapacità di comportamenti non verbali come il contatto oculare, la mimica facciale, la postura ed i gesti comunicativi, nell’incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei appropriate rispetto al livello di sviluppo, nella mancanza di condivisione spontanea di esperienze con gli altri e nella mancanza di reciprocità sociale ed emozionale (per esempio, non partecipare attivamente a semplici giochi di gruppo, preferire attività solitarie o coinvolgere gli altri solo come strumenti o aiutanti “meccanici”). Tali manifestazioni risultano sempre presenti nel disturbo ma possono variare nel corso nella vita e nei differenti contesti ed essere d’intensità variabile da soggetto a soggetto, a seconda del grado di disturbo presentato.

Comunicazione verbale

La menomazione qualitativa nella comunicazione interessa sia l’area verbale che non verbale, in maniera diversa a seconda dell’età e della profondità del disturbo.

Si manifesta con un ritardo o la totale assenza del linguaggio.

Nei soggetti che parlano, può esservi una notevole compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri, o un uso stereotipato, ripetitivo ed eccentrico del linguaggio.

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Spesso il tono, il volume, la velocità, il ritmo e la sottolineatura del linguaggio sono anomali (per esempio, il tono di voce può contenere accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative).

Immaginazione e repertorio di interessi limitati

Un elemento caratteristico della sindrome è la presenza di comportamenti stereotipati che tendono a ripresentarsi frequentemente nel corso della giornata, apparentemente non finalizzati, fino a divenire in alcuni casi l’unica attività effettuata. Inoltre i soggetti con Disturbo Artistico mostrano una gamma di interessi notevolmente ristretta, e sono spesso eccessivamente assorbiti da un singolo aspetto del tutto.

Si riscontra una marcata resistenza al cambiamento che per alcuni può assumere le caratteristiche di un vero e proprio terrore fobico. La persona può allora esplodere in crisi di pianto o di riso, o anche diventare autolesionista e aggressiva verso gli altri o verso gli oggetti. Altri soggetti, al contrario, mostrano un'eccessiva passività e un'ipotonia che sembra renderli impermeabili a qualsiasi stimolo.

Accanto ai sintomi già descritti, sono frequentemente presenti una serie di altri sintomi meno specifici, quali la presenza di posture anomale, deficit di coordinazione e di organizzazione della motricità, alterazione della percezione (es. uditiva con iperacusia), che determina risposte abnormi a stimoli sensoriali di intensità normale, manierismi alimentari, che si manifestano sia nella modalità di alimentarsi che nella qualità del cibo assunto (fino a giungere a restrizioni della dieta a solo 2-3 alimenti), disturbi del

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sonno, ansia generalizzata che non sempre è riconducibile ad una situazione scatenante, reazioni affettive bizzarre e tono dell’umore labile.

Diagnosi

Il disturbo autistico viene diagnosticato in base alla presenza di un certo numero di indicatori comportamentali presenti in ognuna delle aree dello sviluppo viste in precedenza.

I criteri sono organizzati nel seguente schema:

A) presenza di almeno 6 sintomi, di cui:

9 almeno 2 a carico dell’interazione sociale; 9 almeno 1 a carico di comunicazione; 9 almeno 1 a carico del comportamento.

DSM ed ICD-10 specificano ulteriormente i sintomi riscontrabili nelle tre aree come segue:

™ compromissione qualitativa dell’interazione sociale:

• marcata compromissione nell’uso di svariati

comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee ed i gesti che regolano l’interazione sociale;

• incapacità a sviluppare relazioni adeguate all’età di sviluppo con i coetanei;

• mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi ed obiettivi con altre persone;

• mancanza di reciprocità sociale o emotiva; ™ compromissione qualitativa della comunicazione:

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• ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato, non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica;

• in soggetti con linguaggio adeguato, marcata

compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;

• uso di linguaggio stereotipato o ripetitivo o eccentrico; • mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo; ™ modalità di comportamenti, interessi, attività ristretti, ripetitivi, stereotipati:

• dedizione assorbente a uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali per intensitào per focalizzazione;

• sottomissione del tutto rigida a inutili abitudini o rituali specifici;

• manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, complessi movimenti di tutto il corpo);

• persistente od eccessivo interesse per parti di oggetti; B) esordio dei sintomi prima dell’età di tre anni;

C) anomalia non riconducibile al Disturbo di Rett o a Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza.

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Per la formulazione della diagnosi vengono spesso applicate griglie di osservazione e questionari strutturati, costruiti sui sintomi precedentemente elencati.

Gli strumenti di osservazione diagnostica più diffusi sono:

¾ scala CARS (Childhood Autism Rating Scales), strutturata su un colloquio che si indirizza a 15 punti, adatta all’utilizzo con bambini di più di 24 mesi e in grado di consentire una distinzione tra autismo lieve e moderato; [5]

¾ ADI-R (Autism Diagnostic interview-Revised), adatto per i bambini al di sotto dei 18 mesi e basato su un ampio e strutturato colloquio con i genitori; [6]

¾ ADOS-G (Autism Diagnostic Observation

Schedule-Generic), semistrutturato in quattro moduli che includono attività di indagini dirette a valutare tutti i comportamenti anormali negli individui autistici e adatto a tutte le età. [7]

Questi strumenti oltre a facilitare l’inquadramento diagnostico consentono di stabilire l’intensità del disturbo ed una valutazione nel tempo più oggettiva.

Decorso

Per definizione, l'esordio del Disturbo Autistico si situa prima dei tre anni di età.

Le manifestazioni del disturbo durante l'infanzia sono sottili e difficili da definire rispetto a quelle che si vedono dopo i 2 anni di età. In una minoranza di casi, può essere riferito che il bambino si è sviluppato normalmente nel 1º anno di vita (o anche nei primi 2).

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Il Disturbo Autistico ha un decorso continuo. Nei bambini in età scolare e nell'adolescenza, sono comuni recuperi di sviluppo in alcune aree (per esempio, aumentato interesse nel funzionamento sociale quando il bambino raggiunge l'età scolare).

Alcuni soggetti si deteriorano sul piano comportamentale durante l'adolescenza, mentre altri migliorano. Le capacità di linguaggio (per es., la presenza di eloquio comunicativo) e il livello intellettivo generale sono i fattori che più fortemente condizionano la prognosi definitiva.

Gli studi di follow-up disponibili indicano che solo una piccola percentuale di soggetti con questo disturbo riesce, nell'età adulta, a vivere e a lavorare in modo indipendente. In circa un terzo dei casi, è possibile un certo grado di indipendenza parziale. I soggetti adulti affetti da Disturbo Autistico con funzionamento più elevato continuano tipicamente a mostrare problemi nell'interazione sociale e nella comunicazione, oltre a una notevole ristrettezza di interessi e attività.

Aspetti cognitivi e neuropsicologici

Gli studi effettuati hanno condotto alla formulazione di differenti teorie riguardo alla modalità di funzionamento cognitivo e neuropsicologico dei soggetti autistici.

La presenza di differenti modelli nasce dalla disomogeneità di presentazione del disturbo e dalla compromissione di diverse aree, che rende il problema estremamente complesso e difficilmente riconducibile ad un’unica alterazione o percorso patogenetico.

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Tra i modelli interpretativi, che tentano di spiegare la presenza nel disturbo autistico di tre aree deficitarie nelle fasi precoci dello sviluppo sociale, quattro risultano essere i più accreditati.

Teoria del deficit della “cognizione” sociale

Tale teoria considera centrali nella patogenesi del disturbo alcuni elementi comportamentali, riconoscibili fin dalle più tenere età: la mancanza di contatto affettivo già presente nella relazione precoce madre-bambino con incapacità di riconoscere le emozioni e di rispondervi in maniera adeguata ed adattiva, la mancanza d’attenzione condivisa e il deficit dell’imitazione. [8]

Teoria della Mente

Le diverse versioni della teoria della mente ipotizzano una disfunzione a qualche stadio dell’acquisizione di una “teoria della mente”, ovvero della capacità di orientarsi nel mondo interpersonale attraverso l’automatica attribuzione di stati mentali, intenzioni e punti di vista agli interlocutori.

I soggetti affetti da autismo non sono in grado di rappresentarsi lo stato mentale altrui e di se stessi, di raffigurarsi un agire che tenga conto delle credenze e dei pensieri soggettivi e di rispondere agli stimoli ambientali, se non dentro un rapporto oggettuale, vissuto ed esperito nel concreto. Tale teoria spiegherebbe il deficit di gioco simbolico frequentemente osservato. [9]

Teoria dell’alterazione delle funzioni esecutive (pianificazione, categorizzazione)

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In questo modello il disturbo neuropsicologico di base, dal quale anche il deficit di teoria della mente secondariamente deriverebbe, intralcerebbe l’organizzazione e la percezione dell’esperienza interumana come insieme strutturato e coerente di comportamenti orientati ad uno scopo e lo sviluppo implicito del concetto di “agente intenzionale”.

Tale teoria rende ragione dei comportamenti rigidi e stereotipati e del ristretto campo di interessi, con un deficit delle funzioni frontali, ed in particolare nella capacità di pianificare una sequenza e di monitorarne lo svolgimento con attività di feed-back, nella capacità di spostare l’attenzione su diversi stimoli, distogliendola da quelli catturanti, o su più stimoli contemporaneamente. [10]

Teoria della debole coerenza centrale

Tale teoria considera centrali le difficoltà dei soggetti autistici nelle operazioni di “sintesi” e integrazione dell’informazione e delle sue componenti cognitive ed affettive e nell’attribuire diverso valore a stimoli con significato da quelli senza significato e/o random e quindi nell’astrarre da uno stimolo complesso gli elementi significativi ed unitari rispetto a quelli privi di significato. [11]

Come è possibile dedurre da questa rapida carrellata, nessuno dei modelli formulati è in grado di rappresentare in maniera convincente ed unitaria la realtà autistica, in tutta la sua complessa sintomatologia e multiformità di presentazione.

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I modelli teorici sono tuttavia necessari per guidare la ricerca futura con la consapevolezza della necessità di modificarli o sostituirli, alla luce dei progressi ottenuti.

Ipotesi eziologiche

Ancora oggi rimane solo ipotizzata la causa che determina l’insorgenza del disturbo autistico, così come rimane da studiare la concatenazione di eventi patologici che provocano l’insorgenza di un quadro sintomatologico così complesso e variegato, che si correla con il non corretto funzionamento di strutture distinte, sia dal punto di vista anatomico che funzionale, conducendo quindi ad ipotizzare una compromissione multisistemica, di origine verosimilmente multifattoriale.

La maggior parte degli autori concorda comunque sulla presenza di una causa biologica del disturbo, come la disfunzione di un sistema o una sua lesione, ed è stata quasi completamente abbandonata l’ipotesi di un’origine psicosociale o psicodinamica.

Infatti, alterazioni chiare risultano identificabili nella maggioranza dei casi.

Anomalie cerebrali

Studi recenti hanno dimostrato che, già molto precocemente, il cervello dei bambini autistici appare anatomicamente diverso dalla norma, sia macro, che microscopicamente ed è sempre più accettata l’esistenza di un legame tra le anormalità strutturali e il comportamento.

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Per esempio, i dottori Bauman e Kemper, esaminando tessuti cerebrali postmortem di quasi 30 soggetti autistici, hanno rilevato anomalie del sistema limbico e in particolare dell'ippocampo, implicato nell’apprendimento e nella memoria, e dell'amigdala, il centro del cervello emotivo primitivo. Le cellule del sistema limbico dei soggetti autistici sono tipicamente piccole e sottilmente impachettate assieme, e, se comparate alle cellule corrispondenti di soggetti normali, esse appaiono insolitamente immature, come se aspettassero un segnale per crescere.

Bauman e Kemper hanno evidenziato un’anormalità intrigante anche nel cervelletto di autistici adulti e bambini: le cellule di Purkinje sono molto ridotte numericamente. [12] Questo, secondo Courchesne, offre un elemento critico su ciò che non funziona nell’autismo: senza queste cellule, il cervelletto è incapace di fare il suo lavoro, che è quello di ricevere torrenti di informazioni dal e sul mondo esterno, di computarne i significati e di preparare altre aree cerebrali a rispondere ad esse in modo appropriato. [13]

Alcuni mesi fa, Courchesne ha formulato una nuova e provocatoria ipotesi. Al livello strutturale macroscopico, il processo di non corretto sviluppo del cervello è segnalato dal fatto che, mentre alla nascita il cervello di un bambino autistico è di dimensioni normali, dopo il primo anno di vita cresce più velocemente. [14, 15, 16, 17] Questo accrescimento anormale non è uniformemente distribuito. Usando la tecnologia della MRI-imaging, Courchesne e i suoi colleghi hanno potuto identificare i tessuti in cui questo aumento di crescita è più pronunciato: i neuroni-stratificati della materia grigia della corteccia cerebrale e della materia bianca sottostante, che

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contengono le proiezioni di connessione fibrosa, per e dalla corteccia, e altre aree del cervello, incluso il cervelletto. Secondo Courchesne, molto probabilmente, è il sovraccarico del segnale causato da questa proliferazione di connessioni che danneggia le cellule di Purkinje e alla fine le uccide.

Egli inoltre ha potuto osservare, analizzando il cervelletto di pazienti autistici, un'ipoplasia del verme posteriore interessante i lobuli VI e VII, a volte associata a ipoplasia degli emisferi cerebellari, correlata in maniera apparente proporzionale alla gravità dei sintomi. Tuttavia, alcuni pazienti mostravano invece un'iperplasia degli stessi. Dato che le persone con autismo necessitano di tempi più lunghi del normale per spostare l'attenzione, egli, da ulteriori indagini, concluse che i lobuli VI e VII potessero avere un ruolo in questo senso, con una conseguente perdita d'informazioni su contesto e contenuto.

Sembra che l’alterazione sia causata da un mancato sviluppo all’interno dell’utero e ciò va a conferma dell’ipotesi che un danno precoce nello sviluppo del cervelletto rivesta un ruolo importante nella patogenesi della sindrome autistica.

In seguito, le metodiche di neuroimmaging, quali risonanza magnetica standard e funzionale e PET e agli esperimenti ERP (Event Related Potentials) hanno dimostrato la presenza, nei cervelli autistici di bambini e adulti, di anormalità neurofunzionali anche a livello delle cortecce cerebellare, frontale e temporale. [18, 19, 20, 21]

Le patologie cellulari e di crescita frontali, cerebellari e temporali si presentano prima e durante il periodo critico in cui i sistemi

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neuronali di più alto ordine iniziano a formare i loro circuiti e ciò spiega perché nell' autismo le funzioni di più alto livello non riescono a svilupparsi normalmente. [22]

Secondo Courchensne e Pierce la distruzione nella corteccia e nel cervelletto è alla base dell’anormale connettività neurale. [23]

Pare, infatti, che l’autismo sia associato con una riduzione della connettività fra le reti neurali locali specializzate nel cervello, ovvero con una bassa connettività long-range, e con un’alta connettività all’interno di singoli assemblaggi, ovvero con un’alta connettività locale. [24, 25] L’alterazione della rete di connessione tra strutture cerebrali differenti ma funzionalmente integrate, causata, molto probabilmente, da un’anormale crescita e differenziazione cellulare o da un’alterata sinaptogenesi, rende ragione della molteplicità di funzioni neuropsicologiche e comportamentali compromesse e, in particolare, delle anormalità nell’integrazione delle informazioni.

L’ipotesi della correlazione tra le caratteristiche cliniche e lo sviluppo dell’anormale connettività è rafforzata dal fatto che il periodo di iniziale crescita eccessiva della corteccia coincide con il periodo in cui i processi di sinaptogenesi, apoptosi e mielinizzazione sono al loro picco.

Alterazioni biochimiche e disfunzioni metaboliche

Ricerche dell'ultimo decennio su possibili alterazioni biochimiche nell'autismo hanno consentito l'individuazione, in molti casi, di una disfunzione dopaminergica e più precisamente di una carenza di dopamina, che potrebbe essere dovuta ad un'incapacità da parte

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delle cellule nervose di produrre dopamina, ad un'insensibilità o un basso numero di recettori dopaminergici o ad una impossibilità della dopamina a svolgere la sua funzione per la presenza di inibitori. Il sistema dopaminergico, con le influenze degli altri neurotrasmettitori, svolge la sua principale attività a livello del sistema mesolimbico, meso-corticale e nigro-striatale. Attraverso questa rete di strutture si esplicano le funzioni dell’attenzione, associazione, percezione, intenzione, comunicazione, emozione e motricità e un funzionamento non adeguato del sistema dopaminergico potrebbe dunque giustificare l’isolamento e le anomalie percettive e comportamentali presenti nell’autismo. [26] Diverse sono le disfunzioni metaboliche che possono essere correlate con l'autismo e da esse sono scaturiti numerosi approcci che riscuotono al momento svariati consensi, data la loro rilevanza "pratica".

Shattock, partendo dalla constatazione di Panksepp sulla somiglianza tra la sintomatologia dovuta ad assunzione cronica di oppioidi e quella dell'autismo ha analizzato con la HPLC (Cromatologia Liquida ad Alta Resa) le urine di alcuni soggetti affetti o con disturbi correlati, rilevando l'effettiva presenza di elevati livelli di oppioidi (come la beta-endorfina) nel SNC, che potrebbero essere dovuti a:

• un'incompleta scissione del glutine e della caseina;

• la creazione da parte di glutine e caseina dei ligandi per enzimi preposti alla scissione degli oppioidi naturali, con un conseguente accumulo di endorfine per un tempo più lungo.

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Questo spiegherebbe anche le osservazioni di Reichelt et al., che hanno mostrato un elevato tasso di prodotti della scissione del glucosio di alcuni cereali e prodotti caseari (glutine e caseina, appunto). [27]

Gli oppioidi sarebbero responsabili dell'inibizione della trasmissione nei principali sistemi di neurotrasmettitori esistenti e ad essi potrebbero anche essere dovute alcune alterazioni del sistema immunitario nell'autismo. Dato il loro ruolo nei processi di specializzazione neuronale nello sviluppo neonatale, ad un elevato tasso di peptidi oppioidi potrebbe anche essere dovuta l'eccessiva riduzione di neuroni, rilevata in alcune aree del cervello di persone con autismo. [28]

Sono state anche documentate, anche se non in modo univoco e conclusivo, alterazioni al metabolismo della serotonina ed in particolare un aumento dei livelli di serotonina nel sangue. Gli alti tassi di serotonina sono apparsi correlati al livello intellettivo e all’età di soggetti, suggerendo conferme all’ipotesi di un ritardo maturativo del SNC. [29]

Radici genetiche dell’autismo

Diversi indizi portano attualmente a ipotizzare che la componente genetica abbia un ruolo rilevante nella sindrome autistica.

La maggior incidenza del disturbo nei maschi si potrebbe per esempio attribuire ad anomalie dei cromosomi sessuali, tanto più che le manifestazioni sintomatiche nelle femmine sono più gravi. [30]

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Anche i dati ottenuti da ricerche sui familiari di soggetti con autismo depongono a favore di un'eziologia genetica del disturbo. Da una ricerca della UCLA (Utah) risalente agli anni ‘80, è emerso che, su 44 nati in 11 famiglie dove il padre aveva una diagnosi di autismo, 25 hanno ricevuto la medesima diagnosi, in accordo con l'osservazione che un genitore trasmette al proprio figlio circa metà dei suoi geni.

Da una ricerca successiva condotta su coppie di gemelli è emerso che per un gemello monozigote di una persona affetta, la probabilità di una diagnosi di autismo è molto maggiore di quella di un gemello dizigote. [31]

E' tuttavia quasi certa un'interazione tra fattori genetici e ambientali, poiché non necessariamente il gemello omozigote di un paziente con autismo riceve la stessa diagnosi.

Per esempio, da una ricerca di Folstein e Rutter è risultata importante l'influenza dei fattori perinatali, dato che se nelle coppie di gemelli omozigoti solo uno dei due era affetto, si trattava quasi sempre di quello che era incorso in maggiori difficoltà durante il parto. [32]

E' stata anche ipotizzata una predisposizione genetica ai danni cerebrali causati da agenti accidentali, conseguentemente all'osservazione di alcune correlazioni tra l'esposizione al virus della rosolia in gravidanza e l'autismo alla nascita, che non esclude tuttavia un'ipotesi alternativa per cui l'autismo, più che da una predisposizione, dipenderebbe da quale area del cervello entra per caso in contatto con l'agente nocivo.

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Un'incidenza maggiore di comportamenti autistici è stata anche osservata in pazienti affetti da disturbi a base genetica accertata, quali l'X fragile, la sclerosi tuberosa e la fenilchetonuria. [33]

Infezioni come causa dell’autismo

Numerose infezioni virali al cervello del bambino durante la gravidanza o il parto sono state associate con l’autismo. Tra queste, vanno evidenziate soprattutto: [34]

♦ rubella;

♦ cytomegalovirus (CMV);

♦ herpes encephalitis.

Sindromi congenite

Esistono differenti sindromi, dette anomalie congenite, che sono state spesso rilevate nei bambini autistici:

ƒ sindrome di Cornelia de Lange;

ƒ sindrome di Noonan;

ƒ sindrome di Coffin Siris sindrome; ƒ sindrome di William’s sindrome; ƒ sindrome di Moebius syndrome ; ƒ sindrome di Biedl-Bardet;

ƒ sindrome di Leber.

Questo significa, semplicemente, che fin dalla nascita sono identificabili anormalità fisiche, come un’anormale posizione o formazione degli orecchi.

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Difficoltà nella gravidanza e nel parto come possibile causa dell’autismo

I problemi durante la gravidanza o il parto possono causare danni al cervello del bambino. Numerosi fattori di rischio sono riportati in associazione con l’autismo:

• donne che, al momento del parto, hanno più di 35 anni;

• medicazioni durante la gravidanza: l'introduzione di farmaci per debellare o scongiurare malattie infettive si rivela devastante per il sistema immunitario, metabolico e neurologico;

• presenza del meconio nel liquido amniotico durante il parto; • sanguinamento tra il quarto e l’ottavo mese di gravidanza; • incompatibilità tra il gruppo sanguigno della madre e quello del bambino.

Questi fattori da soli non sono sufficienti a causare l’autismo, ma comunque operano in combinazione con altri fattori.

L’idea del percorso finale comune

Gli studi compiuti sino a questo momento fanno luce sulla catena causale che provoca l’autismo. Tale catena causale presenta tre passaggi: quello del rischio (fattori genetici, lesionali, biochimici); quello dell’attacco (al sistema nervoso centrale) e quello del danno vero e proprio (nello sviluppo dei vari sistemi cerebrali relativi) Non si può escludere che i vari agenti eziologici possano agire attraverso una unica "via-finale comune" e che quindi esista un solo meccanismo patogenetico in grado di spiegare tutti i casi di autismo (figura 1).

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Figura 1 Il percorso finale comune: uno dei tanti possibili modelli

Terapia

Nell’ambito delle Sindromi Autistiche sono possibili differenti tipi di intervento, che si articolano su più livelli (terapeutici, riabilitativi, educativi e sociali) e che vanno scelti in funzione dell’età del soggetto, del livello di compromissione generale, del bilancio delle potenzialità, delle abilità raggiunte, del livello intellettivo, dell’ambiente in cui il soggetto autistico vive (famiglia, scuola, istituto) e delle risorse socio-sanitarie disponibili nel territorio.

La terapia deve essere preceduta da una valutazione prolungata che esplori tutte le aree dello sviluppo del bambino (comunicativa, interattiva, cognitiva e neuropsicologica). [35]

Nessun intervento fino ad ora proposto si è comunque rivelato risolutivo o migliore in assoluto rispetto agli altri.

Gli interventi più frequentemente adottati sono: ¾ trattamento educativo;

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¾ trattamento psicoanalitico; ¾ trattamento logopedico; ¾ trattamento farmacologico; ¾ terapia dietetica. Trattamento educativo

Tale trattamento deve prevedere:

™ un approccio individualizzato, in quanto gli individui affetti da autismo presentano personalità differenti e background sociali molto vari;

™ una continuità strutturale, in quanto il soggetto autistico ha la necessità di ritrovare le stesse persone che si occupano di lui, le stesse insegnati, una ritmicità costante nelle attività da svolgere, nei tempi e luoghi in cui queste vengono svolte, su cui costruire piccole e lente modificazioni che mirino a renderli più flessibili senza disorientarli o disorganizzarli.

Le istruzioni devono essere date una per volta, in maniera semplice e priva di ambiguità o possibili interpretazioni e accanto alle istruzioni verbali è utile associare talvolta una spiegazione gestuale o un modello da imitare.

Ogni compito deve essere portato a termine prima di iniziare il successivo, date la difficoltà di pianificazione ed organizzazione sia spaziali che temporali.

Dato che il deficit del linguaggio è molto frequentemente non solo a carico degli aspetti produttivi ma anche a livello di comprensione, soprattutto per i contenuti astratti, vanno evitate la frasi lunghe ed articolate, il linguaggio metaforico, ironico o figurato.

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E’ utile a fini comunicativi l’uso di foto o disegni che si riferiscono a situazioni concrete e che sfruttano le normalmente buone competenze visive e visuo-spaziali.

Uno tra i metodi educativi più conosciuti e frequentemente utilizzati è il TEACCH, che utilizza un sistema molto direttivo e strutturato di istruzioni basate su stimoli visivi, volto a sviluppare le competenze comunicative, in una sorta di alleanza tra genitori e figure educative, che tendono a riproporre gli stessi esercizi nei diversi ambiti di vita del soggetto.

In ambito scolastico è assolutamente auspicabile l’inserimento in ambienti altamente strutturati, con un numero basso di studenti. Il livello di apprendimento scolastico raggiunto dal soggetto deve sempre far parte del processo diagnostico e diventare parte integrante del progetto terapeutico. Nel percorso scolastico appare prioritario stabilire quali apprendimenti sono consentiti, sulla base dell’organizzazione affettiva del soggetto, e quali sono compatibili con la sua organizzazione cognitiva e neuropsicologica, riconoscere le dissociazioni tra ciò che il bambino comprende e quello che comunica e tra ciò che fa e quello di cui parla e valutare come gli apprendimenti scolastici possono essere utilizzati per costruire una rete di significati e di relazioni con la realtà. [36, 37]

Trattamento psicanalitico

Tale approccio sembra risultare, secondo alcuni studi, più utile nei bambini con funzionamento cognitivo più elevato ed in età adolescenziale.

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Il lavoro psicanalitico mira a restituire ai soggetti autistici la capacità di tollerare la tristezza e la frustrazione e di godere della profondità del rapporto con gli altri, focalizzandosi sulla capacità di riconoscere gli stati emotivi propri ed altrui ed iniziare ad esprimerli.

In molti casi il terapeuta deve divenire un oggetto quasi inanimato affinché il soggetto possa inglobarlo nella propria esperienza, senza dovervi controreagire. [38]

Trattamento “logopedico”

Accanto al trattamento classico vengono insegnate tecniche di comunicazione alternativa o aumentativa, mediante l’uso di gesti o disegni, e comunicazione facilitata.

La comunicazione facilitata consiste nell’utilizzo di una macchina da scrivere o della tastiera di un computer per esprimersi ed apprendere e prevede anche l’aiuto di una persona,“il facilitatore”, che sostiene la mano o l’arto superiore, che il paziente utilizza per scrivere, durante l’esecuzione della scrittura. La finalità di tale facilitazione è il sostegno a livello motorio, emotivo e prassico.

Trattamento farmacologico

L'intervento farmacologico serve per controllare le manifestazioni sintomatiche che possono negativamente influenzare la qualità della vita e gli altri interventi terapeutici. Il trattamento deve essere preceduto da una attenta analisi funzionale che evidenzi i sintomi bersaglio, che possono essere molto diversi nei vari soggetti. Sono utilizzati diversi farmaci con finalità e meccanismi differenti:

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ƒ pimozide, che produce un discreto effetto su manifestazioni comportamentali e condotte di ritiro;

ƒ fluoxetina, indicato nelle forme depressive associate ai disturbi pervasivi dello sviluppo;

ƒ risperidone, antagonista sia serotoninergico che

dopaminergico, che risulta efficace nel ridurre comportamenti stereotipati, aggressività, impulsività, chiusura relazionale;

ƒ cicli di melatonina, che contribuiscono in alcuni casi al miglioramento del sonno, al rasserenamento dell'umore, alla diminuzione delle stereotipie anche per periodi discretamente lunghi dopo la sospensione del farmaco senza che si manifestino rilevanti effetti collaterali.

Terapia dietetica

La terapia dietetica comprende l’eliminazione di alimenti contenente glutine, latte e derivati, l’uso di integratori proteici e le implementazioni vitaminiche e con olii omega 3.

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Bibliografia

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4. Antonio M. Persico and Thomas Bourgeron, - Searching for

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Figura

Figura 1 Il percorso finale comune: uno dei tanti possibili modelli

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