• Non ci sono risultati.

3 INQUADRAMENTO DELL'AREA DI STUDIO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "3 INQUADRAMENTO DELL'AREA DI STUDIO"

Copied!
33
0
0

Testo completo

(1)

3

INQUADRAMENTO DELL'AREA DI STUDIO

Per meglio capire le problematiche connesse con l’influenza dei due fiumi Arno e Serchio e del canale artificiale Scolmatore sul litorale interessato dai loro apporti e quindi comprendere i movimenti dei sedimenti, trasportati dai corsi d'acqua, lungo costa, in questo capitolo soffermeremo l’attenzione sulle caratteristiche morfologiche del litorale interessato dal nostro studio e sul trasporto litoraneo che lo alimenta. Spingendo lo sguardo oltre la fascia costiera, sposteremo il nostro interesse sulla descrizione dell’entroterra e dei bacini alimentatori, direttamente connessi con il litorale in studio e sulla pressione antropica insistente sia sulla costa che sui bacini stessi. Cercare di capire qual è l'origine antropica o naturale dei sedimenti; come questi vengono poi ridistribuiti dalle correnti lungo costa e alle diverse profondità, ci aiuta a definire la distribuzione spaziale e le potenziali zone di accumulo di sedimenti arricchiti in metalli pesanti potenzialmente tossici.

(2)

3.1

Il litorale in esame: morfologia costiera e batimetria

L'area di studio è rappresentata dal tratto di litorale compreso tra il Fosso della Bufalina (limite settentrionale, poco a nord del fiume Serchio) e il Canale artificiale dello Scolmatore (limite meridionale), che sfocia in mare immediatamente a nord del porto di Livorno. Essa fa capo amministrativamente alla Provincia di Pisa ed ha un’estensione di circa 25Km (Fig. 3.1).

Foce Ser chio Foce Arn o Mar ina di P isa Tirr enia Scol mat ore Cala mbr one

Fig. 3.1 Foto panoramica del litorale in esame (da Google Earth, rielaborata)

Il tratto di litorale in esame rappresenta, all’incirca, la metà meridionale dell’Unità fisiografica5

pisano–versiliese (Gandolfi e Paganelli, 1975-a, 1975-b, 1975-c, 1977) che si estende per circa

65km, delimitata a Nord dal Golfo di La Spezia (Punta Bianca alla Foce del Magra) e a Sud dalla costa alta livornese. La costa appartenente a questa unità fisiografica è, per tutta la sua estensione, bassa e sabbiosa, costituita da un’ampia e regolare falcatura a grande raggio di curvatura. Essa presenta una direzione NW-SE presso Bocca di Magra fino ad orientarsi in direzione N-S in prossimità del porto di Livorno.

5 Unità fisiografica: tratto costiero, delimitato da prominenze, più o meno marcate, di costa alta che fanno da ostacolo

naturale alla corrente di deriva litoranea (drift) che intercetta il sedimento e lo trasporta parallelamente alla linea di riva; all’interno il bilancio sedimentario in entrata ed in uscita è all’incirca uguale.

(3)

La morfologia cosi regolare di questo tratto di costa, interrotta solo dalle foci dei fiumi Magra, Serchio e Arno, ha come causa la grande quantità di materiale alluvionale trasportato dai fiumi appena citati che hanno formato nel tempo una vasta pianura alluvionale tra La Spezia e Pisa, estesa nell’entroterra per 5-10km (Gandolfi e Paganelli, 1975). Peculiari di questa zona sono le dune costiere presenti lungo le spiagge antistanti la macchia lucchese di Migliarino, la tenuta di San Rossore e la pineta di Tirrenia. Leoni et alii (1992) circoscrivono l’area che Gandolfi e Paganelli individuano nell’unità fisiografica pisano-versiliese, in quella porzione di Tirreno settentrionale definita Alto Tirreno-Mar Ligure che ha come limiti geografici: a Nord il Promontorio di Porto Venere, a Sud le Secche della Meloria e l’Isola di Gorgona, ad Est l’isobata dei 400m, che ancora coincide con il “Bacino viareggino” individuato da

Fanucci (1981). Questo bacino si sviluppa su un’area di 1100 km2 ed ha la forma di una semi ellisse

con l’asse maggiore di 70km, che ne definisce la lunghezza, e l’asse minore di 30km, che ne indica la larghezza.

Fig. 3.2 a) Caratteristiche morfobatimetriche del Mar tirreno (da Della Croce 2000; b) Batimetria del Tirreno settentrionale (da Astraldi et alii, 1993)

La piattaforma continentale interna è leggermente inclinata verso Ovest ed è delimitata dall’isobata dei 50m (Fig. 3.2-b); essa raggiunge una notevole estensione, di circa 20km, nell’area delle Secche della Meloria. La piattaforma continentale esterna è delimitata dall’isobata dei 180m; presso l’isola di Gorgona, dove raggiunge l’ampiezza massima dei 35km, i fondali sono segnati da due canyon

(4)

sottomarini (Fig. 3.2a): uno più settentrionale quasi in corrispondenza delle Secche della Meloria, meno accentuato, l’altro meglio visibile tra le isole di Gorgona e Capraia. Queste spaccature trasversali conducono ai fondali più profondi occupati dal Terrazzo di La Spezia che si estende con orientamento N-S dalla costa ligure fino alla soglia di Capraia ed ha profondità media di 500m (Astraldi et alii, 1993).

Le Secche della Meloria rappresentano un’area di bassi fondali di circa 30-40Km2 con profondità

variabile da 20-25Km a 2-3km (Fierro et alii, 1969). Le Secche presentano depressioni subcircolari e numerosi canaloni e anfrattuosità e questo porta alla formazione nell’area di correnti vorticose. La parte orientale degrada con uniformità procedendo verso costa fino alla profondità dei 10m, poi risale gradatamente fino alla linea di spiaggia: tra la terra ferma e le Secche per 6-7km si viene a creare un canale ampio circa 1km (Fierro et alii, 1969). Nel complesso i fondali di questo bacino hanno una scarsa pendenza, tanto che in alcuni tratti piattaforma e terrazza non sono distinguibili, anche a notevole distanza da costa i fondali risultano scarsamente inclinati e poco profondi.

Oltre ai fiumi principali, sfociano, nel bacino, anche fiumi quali il Frigido e il Morto Nuovo di portata modesta ma che hanno comunque influenza sulla composizione dei sedimenti a causa del rilevante apporto nell’area di sostanze inquinanti (Leoni e Sartori, 1997).

Nella porzione più a sud del Tirreno settentrionale, il Terrazzo raggiunge profondità leggermente inferiori (400m), fino a formare la soglia Corso-Toscana, tra Capo Corso e l’isola di Capraia. Oltre questa soglia il fondale degrada fino alla Tuscany Trough (Fossa Toscana), depressione a circa 800m di profondità che termina a Sud con il Terrazzo della Corsica. E’ in questa zona che si po’ individuare tra l’isola d’Elba e l’isola di Capraia una terza spaccatura, più ridotta rispetto alle altre due. A Sud-Ovest dell’Isola del Giglio è presente l’omonimo bacino dove si raggiunge la profondità di 1700m. Tra il Terrazzo della Corsica ed il bacino del Giglio, si elevano dal fondale una serie di rilievi conosciuti con il nome di ridge di Montecristo.

(5)

3.2

Caratteristiche meteomarine

I regimi pluviometrici della Regione Toscana evidenziano una stagionalità molto marcata con due massimi in primavera e in autunno e un minimo in estate: caratteristiche tipiche della classe dei

climi sub-tropicali mediterranei. Essendo praticamente al centro del Mediterraneo nel pieno della

zona temperata settentrionale, a metà strada circa tra Polo Nord ed Equatore, tra 44° 28’ 20” e 42° 14’ 20” di latitudine Nord (Regione Toscana 2004), la regione è soggetta ad inverni relativamente umidi e piovosi ed estati secche. Nei mesi autunnali e invernali la dinamica atmosferica è dominata dal passaggio dei cicloni extratropicali che si originano nell’Atlantico settentrionale, i quali determinano condizioni di tempo generalmente perturbato, accompagnato da precipitazioni talvolta di forte intensità. Nei mesi estivi l’azione di schermo esercitata sulle perturbazioni occidentali dall’Anticiclone delle Azzorre, e da quello sahariano, produce condizioni di atmosfera stabile e di cielo soleggiato, con temperature elevate e lunghi periodi di assenza di precipitazioni. Data la sua particolare posizione geografica, “incastonata” tra la catena Appenninica, che chiude il territorio prima a Nord e poi ad Est, ed il Mar Tirreno ad Ovest; la Regione può presentare una grande variabilità climatica.

Il tratto terminale dell’Arno segna in Toscana un netto limite climatico: a nord del fiume prevalgono infatti condizioni di maggiore umidità idroclimatica rispetto a quelle presenti nelle aree centrali e meridionali. La Provincia di Pisa, pur sviluppandosi in prevalenza a sud dell’Arno, presenta porzioni non trascurabili del proprio territorio a nord del fiume e annovera così un'interessante distribuzione di tipi di clima. I caratteri climatici della Provincia di Pisa, pertanto, risultano da una peculiare combinazione fra gli andamenti della circolazione atmosferica generale e alcuni fattori geografici locali, primo tra tutti il mare che con la propria capacità di regolazione termica, svolge un ruolo primario nella determinazione del clima della Provincia, soprattutto nel corso dell’inverno, quando la temperatura media della superficie marina si stabilizza intorno a 13–14°C (Rapetti, 2003).

La temperatura dell’aria lungo la fascia costiera, per effetto della termoregolazione marina, di solito non scende sotto 6–7°C (Rapetti, 2003). Nei mesi estivi suddette differenze risultano attenuate, poiché le temperature medie della superficie del mare e quelle dell’aria sul continente presentano valori molto simili. La fascia costiera ha un clima tipicamente mediterraneo con una ristretta striscia delimitata dall’isoterma dei 15,5°C, contigua a un’estesa area pianeggiante e di basse colline che si estende fino al limite orientale e che si insinua nella bassa valle dell’Era, dove le temperature medie annue superano di poco 15,0°C (Rapetti, 2003).

(6)

Gli studi riguardanti la circolazione a largo nel bacino tirrenico settentrionale sono alquanto scarsi in quanto argomento che presenta aspetti molto complessi.

La piattaforma continentale della Toscana rappresenta una soglia che divide il bacino Ligure provenzale da quello Tirrenico: l'unico passaggio possibile è lungo il Canale tra la Corsica e la dorsale che corre lungo il lato occidentale della piattaforma continentale dallo scoglio d'Africa a Capraia. Questo passaggio ha il suo punto più stretto, con flussi di corrente massimi, nella sezione congiungente Capo Corso e Capraia. La Corrente Tirrenica (TC) che corre verso Nord lungo questo canale all'inizio dell'inverno aumenta di intensità, quindi a primavera progressivamente diminuisce, mentre durante l'estate e l'autunno i flussi a grande scala sono piuttosto modesti. Tale dinamica si osserva sia negli strati superficiali sia in quelli di acqua profonda. Questo schema generale subisce cambiamenti soprattutto in relazione alle variazioni dei parametri climatologici. La TC incontra a Nord di Capraia la West Corsican Current (WCC), che corre lungo il versante occidentale della Corsica, e viene deviata verso Est mentre la WCC scorre più al largo così che la piattaforma della Toscana settentrionale è interessata maggiormente dalle acque tirreniche. Nei periodi di flussi modesti come in estate talvolta una vena locale di WCC scorre verso Sud lungo il canale nei pressi di Capraia. La WCC si origina dal Mar Ligure ed è pressoché invariata durante l’anno e nel corso degli anni; essa si unisce con la corrente proveniente dal lato orientale della Corsica per formare la corrente ligure costiera. La corrente orientale (TC) varia invece nell’arco delle stagioni, con presenza prevalente in inverno ed in primavera, modificandosi negli anni (Astraldi et alii, 1993).

Gli studi effettuati da Astraldi e Gasparini (1986), Astraldi et alii (1993) sui fenomeni a mesoscala (meno di un mese) hanno mostrato come la circolazione all'interno dell'area dell'Arcipelago toscano dipenda sostanzialmente dalla differenza di temperatura esistente tra le acque tirreniche più calde e quelle liguri più fredde: essendo le acque dei due bacini non troppo dissimili in salinità, la differenza termica porta di conseguenza ad una differenza di densità. La causa di questo gradiente termico è da ricercarsi nella presenza costante dei venti settentrionali, masse d’aria fredda e secca insistenti sul Mar Ligure che spostano i flussi d’aria calda dal mare all’atmosfera. Questo fenomeno è particolarmente intenso in inverno momento in cui si ha il massimo raffreddamento delle masse d’acqua superficiale. Per comprendere la circolazione dell’area non vanno trascurati gli effetti dovuti alla morfologia del fondo del bacino e legati in particolar modo alla presenza di canyon sottomarini presenti sul lato esterno della scarpata continentale: l’acqua ligure viene incanalata all’interno dei canyon situati sul margine esterno settentrionale, mentre le acque tirreniche penetrano nei canyon che si trovano in prossimità dell’isola dell’Elba. La presenza del Canale di Corsica può favorire il formarsi di onde che tendono a muoversi verso la piattaforma ligure e quella dell’Alto Tirreno (Astraldi e Gasparini, 1986).

(7)

Durante l’inverno la presenza delle Secche di Vada e della Meloria, insieme al canyon sottomarino localizzato circa nella stessa zona della Meloria, inducono uno sbarramento dell’acqua che fluisce verso Nord: si formano in questo modo strutture vorticose. Questi movimenti rotatori localizzati delle masse d’acqua possono stanziare per lunghi periodi nell’area, in particolar modo d’estate, limitando gli scambi con l’esterno. Le acque fresche provenienti dal Mar Ligure raggiungono l’Arcipelago toscano, fin quasi sotto costa, solo quando d’estate e nei primi mesi autunnali gli scambi con le acque calde divengono meno intensi. Questo è dovuto a vari fattori primo fra tutti la diminuzione del gradiente termico tra le due masse d’acqua, le difficoltà di comunicazione tra i due bacini, rappresentate dalle soglie poco profonde e anguste del Canale di Corsica, e il minor apporto dei venti. Il risultato di tutti questi fattori porta quindi, secondo gli autori prima citati, allo sviluppo di flussi generali rivolti verso Nord, dai quali si generano e si allontanano vortici e meandri.

Una terza massa d’acqua è quella rappresentata dall’acqua costiera toscana per lo più influenzata dagli apporti dei fiumi della zona, principalmente dell’Arno (Astraldi et alli, 1993). Il materiale trasportato dall’Arno, si distribuisce, essenzialmente lungo costa a Nord della foce formando un esteso ventaglio centrato sulla costa viareggina (Astraldi et alli, 1993). Quando il fronte tra le masse d’acqua ligure e tirrenica è trasversale a costa (in estate) è possibile osservare il fluire di masse d’acqua dolce longitudinalmente a largo nell'Arcipelago; a seconda della portata del fiume si posso avere intrusioni più o meno estese fino ad interessare, nei massimi periodi di piena del fiume (principalmente in autunno), gli strati d'acqua fino a circa 50m di profondità (Astraldi et alli, 1993).

Studi fatti da Rapetti e Vittorini (1978), per mezzo delle misurazioni effettuate presso la stazione metereologica posta in prossimità della foce del Fiume Morto Vecchio a circa 5,8km a nord da quella dell’Arno, hanno messo in evidenza che per il litorale in esame il regime anemometrico è caratterizzato dalla prevalenza delle correnti occidentali e da un’attiva circolazione di brezze nel semestre estivo (favorite dall’istaurarsi di un regime ciclonico sull’Europa centro-orientale) e da correnti orientali in quello invernale, (per la presenza di una bassa pressione, quasi stazionaria, sul Mediterraneo centro-occidentale) col prevalere delle ultime se si considera l'intero anno. E’ stato rilevato quindi, stimando sia la situazione barometrica generale, sia i venti locali cioè le brezze giornaliere di mare e terra, che il vento più frequente (il vento regnante) è il Levante, seguito dal Ponente, mentre i venti di velocità maggiori (vento dominante) provengono tutti da un ristretto settore centrato intorno ai 250°, venti di Libeccio. Tra i venti occidentali quelli provenienti dal III quadrante sono predominanti per frequenza e forza, Fig. 3.4 (Rapetti e Vittorini, 1994). Lungo il litorale pisano i venti di mare soffiano in inverno con velocità quasi doppia rispetto alle altre stagioni

(8)

mentre i venti di terra mostrano un andamento della velocità media circa costante durante l’anno (Rapetti e Vittorini, 1978). In conseguenza a quanto detto, le mareggiate principali che si abbattono sul litorale pisano arrivano prevalentemente dal settore 240°-270, alimentate dai venti del III quadrante e chiamate “libecciate” perché una componente molto frequente è il vento di sud-ovest, mentre gli eventi estremi (H>6m) sono centrati su un limitato settore di 225° (Cipriani et alli, 2001). La scarsa frequenza di questi ultimi è probabilmente imputabile alla mancata reperibilità dei dati durante le grosse burrasche in quanto le normali funzioni sono rese difficili dalle condizioni avverse del mare.

Fig 3.4 Grafico della direzione di provenienza del vento. Misure effettuate presso la stazione di Livorno dalla Rete mareografica Nazionale (RON), grafico elaborato mediante il sito www.idromare.com, servizio mareografico dell’APAT (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici).

(9)

3.3

Evoluzione della costa: sintesi storica

Il litorale pisano-versiliese si adagia sul bordo orientale del bacino versiliese-pisano (Mazzanti 1994 C), un bacino di sprofondamento per l'azione distensiva di faglie dirette. La subsidenza di quest’area, collegata al sollevamento generale dei rilievi montuosi formatisi durante le fasi del corrugamento dell’Orogene Appenninico, è stata controbilanciata dalla sedimentazione marina e fluvio-lacustre a partire dal Miocene superiore (7,5-5 milioni di anni fa). Questa attività tettonica distensiva che ha avuto un grande ruolo nell'impostazione del bacino è ben documentata fino al Pleistocene inferiore, circa 1,8 milioni di anni fa (Mazzanti, 1994 C). Da questo periodo fino all'Olocene (circa 10.000 anni fa) assumono particolare importanza sul modellamento geomorfologico e sullo sviluppo del litorale vero e proprio, le variazioni del livello del mare dovute alle oscillazioni climatica.

Di queste variazioni ricordiamo quella negativa risalente alla OIS 2 (terminata circa 18.000 anni fa) durante la quale quasi tutta la pianura costiera doveva essere emersa oltrepassando il limite rappresentato dalla spiaggia attuale. Il ritrovamento del Paleo-Arno nei fondali marini a nord delle Secche della Meloria e nel sotto suolo della pianura pisana (Sarti, 2004), testimonia che il mare era più basso di 110m rispetto a quello attuale (Mazzanti e Pasquinucci, 1983).

Superato l'apice dell’ultima fase glaciale, seguì un progressivo processo di deglaciazione che portò alla trasgressione marina OIS 1 (tra circa 10000 e 4500 anni fa nota anche come “trasgressione versiliana”). Il livello del mare in questa fase non superò comunque quello attuale e raggiunse posizioni anche inferiori di circa 1m nel II-I secolo a.C. (Mazzanti e Pasquinucci, 1983).

Dopo questa fase si è osservato un graduale avanzamento del litorale dovuto a più fattori, primo fra tutti l'intervento antropico (Fig. 3.5). L'aumento degli apporti solidi dei fiumi principali, in particolare dell'Arno per il litorale di nostro interesse, trasportati dalla deriva litoranea portava alla progradazione della linea di costa per il continuo formarsi di nuove barre sommerse parallele, che si disponevano sempre più verso il mare rispetto a quelle già esistenti.

E' questo in sintesi il processo che ha portato alla formazione del litorale attuale e che ha avuto come “leit motiv” l'intensificazione degli apporti fluviali, questi ultimi strettamente connessi con lo sviluppo delle civiltà e delle loro attività. Lo sviluppo dell'agricoltura cui è seguito quello della pastorizia, prima; l'incremento demografico e la necessità di sfruttare legname sia come fonte di energia che come materia prima per le crescenti attività edilizie, minerarie e le costruzioni navali, dopo; ha spinto l'uomo, nei secoli, a disboscare sia le selve litoranee che quelle dell'entroterra in modo da recuperate ingenti appezzamenti di terreno, favorendo, però, l'erosione dei suoli.

(10)

Fig. 3.5 Documentazione della posizione della linea di riva in tempi storici a partire dal sec. VII a.c. (disegno di Mazzanti, tratto dal Quaderno n°3 dell’Autorità di Bacino del fiume Arno).

Ulteriori interventi sull'assetto del territorio si sono avuti a seguito delle bonifiche delle aree paludose: il taglio di nuovi canali (il maggiore di tutti quello dei Navicelli tra Pisa e Livorno); il taglio di numerosi meandri dell'Arno e del Serchio per aumentarne la velocità di deflusso; la colmata delle aree più depresse spesso sommerse dalle acque. Queste ultime hanno però avuto come conseguenza la diminuzione degli apporti detritici al mare che al contrario venivano utilizzati appunto per il riempimento della zone paludose.

Sulla forma del delta attuale dell’Arno, ha avuto particolare influenza lo spostamento artificiale della foce di circa 1,5km più a Nord, a partire dalla prima metà del 1600 dopo il “taglio ferdinandeo” (1606). La bocca del fiume fu voltata nell'ultimo tratto da verso Libeccio a verso Maestrale, per evitare che durante le libecciate , le onde del mare penetrassero nel fiume e ne impedissero il deflusso in mare causando l'allagamento di Pisa e dei sui dintorni. Questa nuova posizione della bocca favorì quindi lo scorrimento delle acque di piena del fiume verso il mare, per l'aumento di pendenza del fiume nel tratto terminale, ed il deposito degli ingenti materiale solidi, per le cause su dette, che le mareggiate e le correnti marine non poterono smaltire. Si avvia cosi una fase di accrescimento della cuspide deltizia che ha raggiunto la sua massima estensione nel 1850.

Dal 1850 ad oggi sia l’Arno che il Serchio hanno invece ridotto la quantità del trasporto solido rendendo negativo il bilancio sedimentario delle spiagge. Tale riduzione è legata all’invertirsi di alcuni fenomeni attivi in precedenza, tra cui citiamo l’attenuazione dell’azione di disboscamento, una diminuzione media delle precipitazioni (alcuni autori ritengono che tra il 1590 e il 1850 la Terra sia stata soggetta alla cosi detta “piccola età glaciale” a cui fa seguito un'ultima fase “calda”, di avanzamento del mare che ha avuto termine intorno al 1950), la diffusione in agricoltura di tecniche

(11)

idonee a ridurre l’erosione dei suoli, la diffusione delle bonifiche con il metodo delle colmate che trattenevano i sedimenti altrimenti diretti verso le spiagge. In tempi più recenti, anche le escavazioni in alveo di materiali di fondo e in sospensione usati per l'edilizia (sabbia e ghiaia) hanno agito nella stessa direzione. Per questi motivi, a partire dalla seconda metà del 1800 sono iniziati i processi di demolizione del delta dell’Arno: dal 1850 è iniziata la demolizione del lobo destro dell'Arno e dal 1878 quella del lobo sinistro (Milano, 1994).

Contemporaneamente ed in conseguenza allo smantellamento del delta, per un certo periodo, si è verificato un ripascimento delle spiagge laterali al delta stesso. Tale ripascimento era alimentato dai processi di smantellamento delle zone apicali del delta la cui ampiezza non poteva essere più mantenuta a causa dell’insufficiente apporto solido. Il punto di separazione tra le spiagge in erosione più vicine al delta e quelle in avanzamento più lontane, si allontanava gradualmente dalla zona della foce in modo che il tratto di litorale soggetto a fenomeni erosivi andava sempre più estendendosi. Nella parte di litorale localizzata a Nord della foce dell’Arno, i processi erosivi si sono progressivamente ampliati fino alla foce del Serchio (raggiunta nel 1985). In questa zona, pochissimo antropizzata, sono state costruite come opere di difesa soltanto le cinque scogliere parallele alla linea di costa nella zona del Gombo in prossimità della Villa Presidenziale a S.Rossore. La costruzione del pennello in destra di Bocca d'Arno ha determinato inoltre una maggiore dispersione dei sedimenti verso il largo causando un ulteriore aumento del deficit sedimentario lungo costa (Pranzini, 1983). Va precisato che fino al 1796 esisteva nel pennello una larga falla che permetteva il rifornimento della spiaggia di S. Rossore (Rapetti e Vittorini, 1974). Nella costa a Sud della foce dell’Arno furono costruite delle scogliere di protezione dall’erosione per difendere l’abitato di Marina di Pisa fin dall’inizio del verificarsi del fenomeno. In questo modo fu arrestato l’ulteriore arretramento della costa, ma non si poté evitare la scomparsa della spiaggia che venne asportata tra il 1878 ed il 1928. L’erosione costiera proseguì comunque progressivamente a sud dell’abitato di Marina ed ha raggiunto oggi la zona immediatamente a Nord dell’abitato di Tirrenia. Quello che succedeva sulla linea di riva si riscontrava poi sulla spiaggia sommersa antistante, la quale subiva un rapido abbassamento davanti alla foce per continuare i processi di sedimentazione nelle zone laterali (Pranzini e alii., 1994). Questo ha portato alla progressiva rettificazione delle isobate almeno fino ai 15-10m, profondità limite alla quale le onde sono in grado esercitare la loro azione di modellamento. La nuova morfologia assunta dal delta andava modificando anche gli effetti di rifrazione delle onde che arrivavo sul delta con minor energia per scagliare tutta la loro forza sulle spiagge laterali (Pranzini, 1989). La rettificazione delle isobate ha concluso la fase per cui una notevole quantità di sedimenti poteva essere rimobilizzata dal moto ondoso a beneficio, almeno in parte, delle spiagge del litorale pisano (Pranzini, 1989).

(12)

3.4

Il trasporto litoraneo e la situazione attuale della costa

Attraverso le diverse pubblicazioni consultate riguardanti il trasporto litoraneo dei sedimenti all'interno dell'unità fisigrafica di nostro interesse (Gandolfi e Paganelli, 1975-1977; Aiello et alli, 1975; Saggini, 1967; Cipriani et alli 2001; Leoni e Sartori, 1992-1997) possiamo inquadrare, in generale, quelli che sono i movimenti dei materiali apportati dai tre fiumi principali lungo questi 65km di costa. Tutti gli studi individuano l'esistenza di una corrente di deriva litoranea che trasporta i sedimenti, per lo più grossolani, del Magra verso Sud. Questi si incontrano con i sedimenti trasportati dal drift diretto dalla Foce dell'Arno verso Nord, nella zona di convergenza individuata tra la Foce del Cinquale e Marina di Pietrasanta. Si può quindi ipotizzare che il limite settentrionale di influenza degli apporti dell'Arno lungo la costa, sia proprio la foce del Cinquale (D'Alessandro, 1994). Una grande parte del materiale apportato dall'Arno e trasportato verso nord, deriva probabilmente dall'erosione della foce nel lato settentrionale, a questi si aggiungono i sedimenti derivanti dal Serchio (Gandolfi e Paganelli, 1975). Il litorale tra Marina di Pietrasanta e la foce del Magra è interessato esclusivamente dagli apporti di questo fiume, mentre tra Viareggio e Pietrasanta il litorale è alimentato da una piccola frazione dei materiali provenienti dal Magra e per la maggior parte da quei sedimenti dell'Arno e del Serchio che riescono ad oltrepassare l'ostacolo costituito dal molo sud del porto di Viareggio. A sud di questo fino alla foce del Serchio, il litorale è alimentato dai sedimenti provenienti sia da questo fiume che dall'Arno. Oltre il Serchio, verso sud, il litorale è interessato quasi totalmente dagli apporti dell'Arno, o meglio dallo smantellamento del delta del fiume che dal 1850 ad oggi è in fase di demolizione (Pranzini, 1983; Gandolfi e Paganelli, 1975; Milano, 1984; Aiello et alii, 1975). A sud dell'Arno il drift è diretto in direzione N-S ed incontra il materiale proveniente da sud, presumibilmente dalle Secche della Meloria e dallo Scolmatore, nella zona di convergenza individuata nei pressi dell'abitato di Calambrone. Attraverso l'analisi di dati granulometrici e mineralogici connessi con le informazioni sui drift costieri, circolazione a largo e caratteristiche morfologiche del fondo e della costa, Leoni et alii (1992) hanno potuto distinguere processi di sedimentazione diversi a seconda della particolare zona che volta per volta si analizza all'interno dell'unità fisiografica pisano-versiliese. La Fig. 3.6 riassume schematicamente i risultati ottenuti.

(13)

Fig. 3.6 Rappresentazione schematica delle aree di influenza prevalente dei principali tributari e dell'andamento delle principali correnti che trasportano e distribuiscono gli apporti dei fiumi all'interno dell'unità fisiografica pisano-versiliese (da Leoni et alii, 1992). Simbologia: 1=correnti prevalenti; 2=principali apporti terrigeni; 3=drit distali; 4=lenti movimenti circolari; 5=zona di influenza delle alluvioni dei fiumi Arno e Serchio; 6=zona di influenza delle alluvioni del Magra.

Scendendo quindi nel particolare, soffermando l'attenzione sul tratto di litorale di nostro interesse, Aiello et alii (1975) individuano due drift costieri: uno prossimale vicinissimo a costa (entro la batimetrica dei 10m), che interessa la Surf Zone e la Swash Zone, ed uno distale (esterno all'isobata dei 10m) che interessa la Breaker Zone e zone più esterne. Quest'ultimo di notevole entità a cui sono direttamente legati gli equilibri delle spiagge; il primo di minore entità e strettamente connesso con la morfologia di dettaglio della spiaggia sommersa e con le caratteristiche del litorale, derivanti anche dai manufatti artificiali, e che quindi assume significati e ruoli differenti a seconda del tratto costiero osservato. Secondo gli autori da Bocca d'Arno verso nord fino al porto di Viareggio i due drift assumono direzione S-N concordante. Le cose si complicano a Sud del fiume (Fig. 3.7): in questa porzione il drift distale assume direzione N-S e converge nella zona compresa tra Tirrenia e Calambrone con il drift distale proveniente da Sud, fatto questo confermato, secondo gli autori, dall'avanzamento della spiaggia sottomarina di Tirrenia, sede di un continuo accumulo di materiale, e dall'assenza di un'intensa sedimentazione terrigena nel porto e nei pressi delle Secche della Meloria. Il

(14)

drift distale assume entità notevole nella zona di Marina di Pisa mentre si attenua andando verso sud; in questa zona si fa sentire la presenza delle Secche della Meloria che costituisce una barriera naturale alle mareggiate provenienti da S-W (Cipriani et alii, 2001) in quanto le onde rifratte dalle Secche arrivano a costa con meno energia.

Fig. 3.7 Drift prossimale e distale tra Bocca d’Arno e Livorno (Aiello et alii, 1975)

Studi fatti attraverso l'uso di modelli matematici per la simulazione del moto ondoso hanno evidenziato che tali fenomeni sono più evidenti per le mareggiate provenienti dal III quadrante (libecciate) in quanto si verifica una forte convergenza dei fronti d'onda intorno alle Secche, con conseguente notevole aumento dell'altezza d'onda, che provoca i primi frangimenti a notevole distanza dalla riva; il fenomeno si estende fin quasi alla foce dell'Arno (Milano, 1994).

Il drift prossimale assume andamento differente a seconda della località: è diretto da sud a nord nella zona tra Tirrenia e Marina di Pisa, inverte il senso tra Tirrenia e Calambrone, tra questa e Livorno riprende direzione S-N. Nei pressi di Calambrone si individua una convergenza tra quest'ultimo drift prossimale e quello proveniente da sud di Tirrenia. La direzione dei drift prossimali, spesso inversa rispetto a quella dei drift distali, avrebbe la funzione di ridistribuire il materiale su un tratto di litorale più ampio (Aiello et alii, 1975).

(15)

E’ possibile a questo punto inquadrare la dinamica in atto lungo il litorale pisano; si è preferito dividere la costa in vari settori per avere un quadro più schematico della situazione.

Zona litoranea a Nord della Foce dell’Arno. Dalla foce del Torrente Cinquale fino al Lido di

Camaiore la spiaggia è in condizioni di equilibrio, mentre la presenza del porto di Viareggio che fa da sbarramento al trasporto lungo costa proveniente da sud porta all'erosione il tratto tra il porto stesso e Camaiore. Proprio per la presenza del molo portuale le spiagge a sud di Viareggio fino alla foce del Serchio sono invece stabili o in accumulo.

Il tratto costiero che va dalla Foce dell’Arno fino alla foce del Serchio é attualmente in erosione per il deficit sedimentario dell'Arno. In questo contesto, la costa ubicata subito a nord delle opere di difesa in prossimità dello sbocco dell’Arno in mare è attualmente in fase di arretramento piuttosto marcato. Più a Nord, nella zona del Gombo, la presenza di scogliere, costruite per contrastare i processi erosivi in atto, si comportano come un pennello causando un ripascimento della spiaggia posta immediatamente a sud delle scogliere stesse (zona sottoflutto) ed un arresto dei processi erosivi nella zona costiera adiacente a quest’ultima ancora verso sud. Mentre nella zona a Nord delle scogliere stesse si è realizzato il processo inverso in quanto l’entità dei fenomeni erosivi è aumentata. L’erosione si è propagata ancora più a Nord, fino a raggiungere la zona posta immediatamente a Sud dei manufatti della foce del Fiume Morto Nuovo che a loro volta in precedenza avevano invece creato le condizioni favorevoli per la stabilizzazione dello stesso tratto costiero. Di conseguenza nella zona della Bocca del Fiume Morto Nuovo l’erosione è attualmente attiva sia a sud che a Nord delle opere murarie costruite a difesa della foce nel 1934. In questa fascia l’erosione marina si è accentuata in anni recenti ed in particolare nel molo destro.

Zona della Foce dell’Arno. In prossimità della foce dell’Arno, sono attualmente molto attivi i

fenomeni erosivi sulle spiagge adiacenti al molo destro non protette da opere di difesa parallele alla costa. Un ulteriore elemento di criticità di questa zona è il fenomeno della tendenza all’insabbiamento della foce. La corrente del fiume infatti, se si escludono i periodi di piena, non è in grado di contrastare fenomeni di innalzamento dei fondali in prossimità della foce stessa, che arrivano anche a profondità inferiori a 2m. Per facilitare il transito delle imbarcazioni nel tratto terminale dell’Arno sono stati effettuati in passato dei dragaggi la cui modesta entità non è riuscita a contrastare l’attuale tendenza evolutiva.

(16)

Zona litoranea a Sud della Foce dell’Arno. Dalla foce dell’Arno al Porto di Livorno il trasporto

solido marino risulta diretto da Nord verso Sud nel tratto che va dalla foce dell’Arno a Tirrenia, mentre, proseguendo verso meridione, l’assenza di accumulo a ridosso del molo Nord di Livorno dimostra l’esistenza in quel tratto di un trasporto di verso opposto. Come già esposto esiste quindi una zona di convergenza delle direzioni di trasporto a largo di Tirrenia, come confermato dalla tendenza all’ampliamento della spiaggia sottomarina.

A Nord di Tirrenia la spiaggia si presenta in forte erosione, mentre a sud appare in equilibrio o in avanzamento. Nella fascia costiera compresa tra Marina di Pisa, il cui abitato è stato difeso da scogliere a partire dal 1898, e la periferia settentrionale di Tirrenia, si è verificato, dal 1839 in poi, un notevole arretramento della linea costiera.

Il tratto di litorale tra Tirrenia ed il porto di Livorno è interessato dalla tendenza all’avanzamento dal 1823. Anche la linea di riva in prossimità della foce dello Scolmatore è attualmente in avanzamento. Tale foce è attualmente soggetta a fenomeni di insabbiamento che contribuiscono ad alterare la funzione di riduzione del rischio idraulico, per la città di Pisa, dello Scolmatore stesso. Le cause di questa progradazione sono da ricercarsi nel fatto che la zona è protetta dal Porto di Livorno a Sud e dalle Secche della Meloria ad Ovest. Il ripascimento della spiaggia è probabilmente alimentato dagli apporti seppur limitati dello Scolmatore e delle Secche della Meloria in erosione e dai sedimenti che provengono dall’erosione dell’apparato deltizio dell’Arno e delle spiagge ad esso adiacenti.

(17)

3.5

Caratteristiche dei sedimenti

Gli autori Gandolfi e Paganelli (1975-a, 1975-b, 1975-c, 1977) studiando la composizione mineralogica dei sedimenti costieri (tra la foce del Fiume Magra e l’Ombrone), individuano all’interno dell’unità

fisiografica pisano-versiliese tre provincie petrografiche sedimentarie6. Il tratto di costa

analizzato nel presente lavoro di tesi, può essere individuato in parte all’interno della provincia petrografica PISANO-VERSILIESE, più ampia, che si estende da Marina di Pietrasanta a Calabrone, interessata dagli apporti sedimentari dell’Arno e del Serchio ed in parte in quella del CALAMBRONE, molto piccola, che va dall’omonima località fino al porto di Livorno, interessata dai trasporti sedimentari provenienti dall’Arno, dal canale artificiale dello Scolmatore e dalle Secche della Meloria. Citiamo per completezza la terza provincia petrografica, quella del MASSESE che si estende da Bocca di Magra a Marina di Pietrasanta, zona interessata dagli apporti sedimentari del Magra e quindi non di nostro interesse. Secondo gli autori (1975), le sabbie della provincia petrografica pisano-versiliese sono caratterizzate da un’elevata maturità composizionale: presentano valori di quarzo sempre superiori al 50%, seguite dai feldspati, dai carbonati e dai frammenti litici. Essendo i due fiumi caratterizzati da una litologia dei loro bacini molto simile, solo attraverso l'analisi dei frammenti di roccia, gli autori hanno potuto distinguere gli apporti provenienti dai due tributari. E' stato visto quindi che nelle sabbie del Serchio prevalente è la presenza di selce, seguita poi da rocce carbonatiche e vulcaniti acide. Per l'Arno le rocce carbonatiche assumono i valori maggiori, seguono le vulcaniti acide le selci e le arenarie. In generale è stata riscontrata una buona corrispondenza tra le sabbie del Serchio e quelle delle spiagge nelle vicinanze della foce. Corrispondenza vista anche per l'Arno, anche se la presenza di fenomeni erosivi delle spiagge attorno alla foce fanno pensare che gran parte delle sabbie di questo fiume si depositi prevalentemente verso il mare, contribuendo in minima parte all'alimentazione delle spiagge contigue, che quindi rappresenterebbero vecchie spiagge rimaneggiate.

I risultati sulla frazione pesante del sedimento (minerali con densità superiore a 2,9 g/cm3)

evidenziano sia per l’Arno che per il Serchio e per l’intera provincia pisano-versiliese l’associazione epidoto-granato.

6 Provincia petrografica: riunisce un insieme di sedimenti distribuite in un’area definibile geograficamente e collegate

geneticamente. In una stessa provincia posso essere presenti più litotipi dovuti a processi di differenziazione o alla presenza di più facies. Il concetto e la definizione di provincia petrografica sono estendibili anche alle rocce sedimentarie (Gandolfi e Paganelli, 1977).

(18)

Gli autori hanno individuato nella zona di convergenza dei drift tra la Foce dello Scolmatore ed il centro abitato di Calambrone (circa 1km di costa) l'omonima provincia petrografica, in quanto le sabbie analizzate presentavano una diversa composizione rispetto a quelle dell'Arno e del Serchio: valori bassi di quarzo, valori alti di feldspati e vulcaniti acide; mentre per quanto riguarda la frazione pesante hanno riscontato un’associazione ad epidoto e subordinati augite e granati. Questa differenza era visibile macroscopicamente per il colore grigio dei sedimenti e per la presenza di frammenti di conchiglie. Si è quindi ipotizzato, come già detto in precedenza, che gli apporti in quest'area fossero dovuti alla presenza delle Secche della Meloria, probabilmente derivanti dallo Scolmatore e/o dal materiale eroso lungo la spiaggia di Marina di Pisa.

Attraverso l’analisi granulometrica, condotta da Immordino e Setti (1993), è stato possibile individuare, all’interno dell’unità fisiografica di nostro interesse, cinque facies significative (Fig 3.8) sia di situazioni locali, specie sotto costa dove vi è l’influenza degli apporti dei fiumi o di quelli bioclastici delle Secche della Meloria; che di situazioni generali, influenzate dall’andamento delle correnti e dalla naturale selezione dei materiali dalla costa al largo.

Fig. 3.8 Distribuzione areale delle facies granulometriche: 1 sabbie detritiche; 2 sabbie biodetritiche; 3 silt, silt sabbioso; 4 silt argilloso; 5 argilla siltosa (da Immordino e Setti, 1993).

(19)

Scendendo più nel particolare, la Fig. 3.9 mostra i risultati delle analisi granulometriche effettuate da Leoni e Sartori (1997) lungo la linea di costa compresa tra la foce del fiume Arno e Torre del Lago (che corrispondente all’incirca al tratto di costa oggetto di studio) all’interno della batimetrica dei 20m. Come è possibile osservare, tra la linea di spiaggia e l'isobata dei 10m si depositano per lo più i sedimenti sabbiosi trasportati in mare dai due fiumi, mentre i sedimenti molto fini, prevalentemente di tipo argilloso e limoso, si disperdono sui fondale oltre l’isobata dei 10m. Immediatamente a nord della foce dell'Arno e a nord di quella del Serchio è possibile notare la presenza di granulometria più fine (argilla maggiore del 40%) nelle vicinanze della costa, entro l'isobata di 10m. Questa anomalia è probabilmente imputabile al verificarsi di processi di flocculazione di materiale fine nella zona antistante le foci, lì dove avvengono i primi mescolamenti tra acqua dolce ed acqua salata. L'aggregazione del materiale fine in flocculi aumenta il peso del granulo che quindi si deposita sul fondo invece di essere trasportato più a largo. Alla base del processo vi sono fenomeni di adsorbimento, influenzati dal pH, temperatura e forza ionica. E’ da rilevare che non tutto il trasporto dell’Arno risulta utile per il ripascimento del litorale; secondo i risultati di analisi granulometriche per sedimentazione condotte sulle torbide del fiume, il 22% di esse è di dimensioni maggiori a 0,06mm e risulta utile all’alimentazione del litorale; il 78% viene invece disperso al largo dalla corrente e dal moto ondoso (Milano 1994).

Dal punto di vista mineralogico, i sedimenti sotto costa sono caratterizzati per lo più da alti tenori di quarzo e feldspati, da tenori relativamente bassi in carbonati (quasi esclusivamente di origine terrigena) e da bassi tenori in fillosilicati (tra i fillosilicati il più abbondante nei sedimenti del bacino appaiono le miche). Lontani da costa i tenori di questi ultimi aumentano mentre diminuiscono quelli di quarzo e feldspati, in quanto spostandosi verso il largo si osserva un incremento della percentuale della frazione fine e diminuisce quella sabbiosa (Leoni e Sartori, 1997).

I sedimenti compresi tra la battigia e i 10m di profondità, secondo gli studi condotti dal Pranzini (1994) sulle caratteristiche granulometriche dei sedimenti che costituiscono le spiagge (emerse e sommerse) del delta dell’Arno, variano di dimensione tra sabbie grossolane, che si trovano sulla battigia, e sabbie molto fini, presenti alle profondità maggiori. Nel settore meridionale il passaggio da granulometria grossolana a fine avviene con gradualità man mano che la profondità aumenta, in quello meridionale il passaggio è assai brusco. Questa differenza tra i due settori evidenzia la presenza di due distinti meccanismi di alimentazione. A seguito delle forti mareggiate che si verificano lungo la costa, provenienti dai settori meridionali (libeccio e scirocco) la frazione più grossolana degli apporti dell’Arno viene più facilmente trasportata verso il settore nord; al contrario i sedimenti fini (argilla e limi) vengono spinti in sospensione a sud dalle mareggiate di Maestrale (provenienti da nord) che

(20)

hanno minore intensità e muovono le sabbie solo in prossimità della riva. In generale si può dire quindi che si verifica una riduzione della dimensione dei clasti a partire dalla foce dell’Arno e procedendo verso Livorno, mentre a nord della foce dell’Arno le dimensioni dei granuli sembrano invece più grossolane, anche se vi sono poi situazioni locali assai differenziate. Nella zona antistante le scogliere di Marina di Pisa la fascia delle sabbie fini si allontana dalla riva, poiché questa è una zona di alta energia per il fenomeno della riflessione delle onde indotte dalle opere di protezione. Subito a nord di Bocca d’Arno, sopraflutto al pennello che causa fenomeni di diffrazione e quindi di bassa energia, si trovano sedimenti fini già su fondali di 5m. In questa zona gli apporti di materiale grossolano sono scarsi in quanto, spinti dalle piene verso il largo, vengono trasportati su fondali maggiori prima di essere spinti verso riva (Pranzini et alli. 1994).

Fig. 3.9 Distribuzione dei sedimenti superficiali lungo la costa tra Torre del Lago e la foce dell'Arno. I numeri rappresentano il contenuto in peso di argilla; le linee sia continue che tratteggiate sono le isoconcentrazioni delle argille. Simboli grafici: a=sabbia; b=limo; c=limo argilloso; d=argilla limosa (da Leoni e Sartori 1997).

Gli studi geochimici di Leoni e Sartori (1992, 1997) hanno messo in evidenza che la distribuzione degli elementi maggiori sembra condizionata dalla granulometria e dalla mineralogia del sedimento: Al, Fe, Mg e K sono correlati ai fillosilicati e alla frazione fine (soprattutto argilla ma, in parte, anche silt); Na e Ca alla frazione più grossolana (le sabbie) e a quarzo, feldspati e carbonati in essa contenuti. P, Mn

(21)

e Ti, insieme ad elementi in traccia quali Zr, Cr, Ba, appaiono legati soprattutto alla frazione pesante delle sabbie costituita da minerali quali apatite (per il P), rutilo (per il Ti), spinello (per il Mn, insieme al Cr), zircone (per il Zr), epidoto (per il Mn), barite (per il Ba). Anche gli elementi in traccia, quali Sr, Rb, Ba, Zr, analizzati per discriminare meglio il carattere antropogenico o naturale degli eventuali arricchimenti in metalli potenzialmente tossici (Ni, Co, Cu, V, Pb, Zn, Cr), mostrano in generale associazione con la frazione pesante del sedimento. Lo Sr è, in particolare, legato ai carbonati (di origine terrigena, per lo più calcite): i più alti tenori in carbonati appaiono associati a sabbie ricche in minerali pesanti (contenenti P, Ba, Zr) e si trovano distribuiti nei sedimenti situati in corrispondenza dell’isobata dei 10m, dove per effetto del drift si ha un arricchimento selettivo di minerali con densità superiore rispetto a quarzo e feldspati.

Riguardo ai metalli pesanti, gli autori non rilevano arricchimenti importanti per Ni, Co, Cu (né impoverimenti) nella zona antistante Arno e Serchio, mentre il Cu presenta arricchimenti a largo di Livorno probabilmente imputabili, a processi di inquinamento industriale. I contenuti di V in generale associati alla frazione fine, non presentando variazioni significative da quelli che sono i valori del tenore di fondo naturale. Per alcuni campioni con granulometria prevalentemente sabbiosa (sabbia a 93-96%), ubicati sull’isobata dei 10m subito a sud della foce del Serchio, subito a sud di quella dell’Arno e in corrispondenza della foce del fiume Morto Nuovo, sono state riscontrate anomalie importanti di vanadio associate a concentrazioni elevate di minerali pesanti, indicati da alti contenuti di fosforo, titanio, cromo, zirconio e bario. Questo tipo di anomalie appaiono attribuibili a concentrazioni locali di minerali pesanti che contengono quantità elevate dell’elemento come magnetite. Anche per Pb e Zn (associati prevalentemente alla frazione fine del sedimento) non sono state evidenziate anomalie significative salvo in corrispondenza delle Secche della Meloria connessa con quella antistante il polo industriale di Livorno, che si sovrappone nella zona centro-settentrionale alla sedimentazione della frazione ultra fine contaminata proveniente dall’Arno (Leoni e Sartori 1996). Il Cr presenta due popolazioni di campioni, nelle quali il contenuto dell’elemento è attribuibile a fasi mineralogiche e granulometriche differenti. In generale all’interno di tutta l’area analizzata (quindi da costa fino all’isobata dei 20m) si hanno anomalie positive di questo elemento sia associate alle sabbie (evidenziata a 10m di profondità) che a granulometria più fine (associata per lo più alla frazione fillosilicatica) imputabile da una parte ad un’anomalia naturale dovuta alla concentrazione elevata di minerali pesanti (minerali cromiferi, quali spinelli) che vengono apportati dai fiumi lungo tutta la costa, a cui si associa un’anomalia positiva più modesta e diffusa dovuta all’accumulo di particelle fini contaminate da attività antropica. Cosma et alii (1980) analizzando l’intera unità fisigrafica (con metodologie analitiche diverse) da costa fino all’isobata dei 200m, hanno osservato due stazioni a 10m

(22)

e 5m di profondità in prossimità della foce dell’Arno in cui si riscontano alti valori di Cr (rispettivamente 840ppm e 500ppm), ma comunque associati a sedimenti sabbiosi e quindi probabilmente imputabili ad anomalie naturali dovute ad accumulo di minerali pesanti.

Dall’analisi sui sedimenti marini prospicienti la foce dei fiumi, quindi, e più in generale all’interno della batimetrica dei 20m, non vengono evidenziate importanti anomalie positive di metalli pesanti (Leoni e Sartori. 1997). Questo risultato appare alquanto inaspettato, data la comprovata presenza (Cortecci et alii, 1998; Cosma et alii, 1980; Bargagli e D’Amato, 1987) di elevate concentrazioni di questi metalli nei sedimenti fluviali del Serchio ma soprattutto dell’Arno.

La spiegazione di questa incongruenza è stata data dagli studi condotti dagli stessi autori (Leoni e Sartori, 1997-96) analizzando i sedimenti marini all’interno della stessa area ma spingendosi fino all’isobata dei 200m; questi studi mostrano la presenza di una vasta area di sedimentazione a granulometria fine caratterizzata da marcate anomalie positive di Pb, Zn, Cr nelle zone più a largo. Quindi la concentrazione dei metalli pesanti aumenterebbe allontanandosi da costa, in accordo con la riduzione della granulometria perché correlata con la frazione fine del sedimento che viene trasportato a largo (Leoni et alii, 1997-96; Angelidis et alii, 2000; Bortolotto et alii, 2005; Aluopi et alii 2001; Zhang et alii, 2002). Questa ipotesi sarebbe avvalorata dal “Modello del ciclo degli elementi in traccia negli estuari fluviali” (Turekian, 1977 ripreso da Salomons e Foestner, 1984) secondo cui il rilascio e la dispersione degli elementi in traccia avviene quasi esclusivamente nell’ambito dell’estuario. Una notevole frazione degli elementi in traccia (oltre alla fuga in soluzione dalla trappola sedimentaria dell’estuario) può raggiungere le zone più esterne della piattaforma costiera perché associata a particelle ultra fini a bassa densità.

(23)

3.6

I bacini idrografici

Con la Legge n° 183 del 1989 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della

difesa del suolo” (testo integrato con la legge 253/90 e con il decreto legge 398/93 convertito con

la legge 493/93), si affronta in modo razionale ed organico il problema del riassetto funzionale del suolo, indicando le strategie e i metodi per superare il degrado idrogeologico del territorio. Ai sensi della legge il territorio nazionale viene quindi suddiviso in Bacini Idrografici che rappresentano l'unità fisica di pianificazione per permette il superamento delle frammentazioni prima verificatesi negli ambiti di competenze amministrative. Per bacino idrografico viene cosi inteso tutto il territorio in cui i deflussi superficiali sono convogliati, a causa della morfologia, verso una determinata sezione di asta fluviale principale cui il bacino si riferisce. Ogni bacino può essere suddiviso in sottobacini individuati come superfici terrestri all’interno delle quali scorrono le acque che defluiscono ad un dato corso d’acqua, lago o mare. La presente legge ha quindi lo scopo di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi, affidando alle Autorità di bacino compiti di notevole rilevanza soprattutto in materia di pianificazione e programmazione di attività, attraverso l’elaborazione di un piano di bacino che definisca anche regole gestionali per la difesa e la valorizzazione del suolo e della qualità delle acque.

Di seguito quindi verranno quindi descritti, come definiti dalla legge, i bacini idrografici del fiume Arno, a cui appartiene anche il canale artificiale Scolmatore, e il bacino idrografico del fiume Serchio.

(24)

3.6.1

Il bacino del fiume Arno

Il bacino idrografico più rappresentativo della Regione Toscana con un'estensione di circa 8.200Km2

(bacino imbrifero) e una lunghezza dell'asta principale di 241Km è quello del Fiume Arno. Il fiume ha origine sul versante meridionale del Monte Falterona, (a quota 1.385m sul livello del mare), Appennino tosco-romagnolo, all'interno della Provincia fiorentina. Nella Provincia di Arezzo, dopo circa 60Km dalla sorgente, si congiunge con il Canale Maestro della Chiana (tributario di sinistra). Presso San Giovanni Valdarno rientra in provincia di Firenze, percorre il Valdarno Superiore in direzione Sud-Est-Nord-Ovest sino a Pontassieve dove confluisce con la Sieve (principale affluente destro) e prosegue il suo corso piegando verso Ovest. Dopo Pontedera l'Arno corre verso la foce; superata Pisa, attraversando un'ampia pianura costiera formata da secoli di alluvioni del fiume e da dune recenti con cordoni sabbiosi paralleli alla linea di costa, dopo 12Km sbocca nel Mar Tirreno a Marina di Pisa con una foce a delta (Fig. 3.8). La Pianura pisana secondo Fancelli, Mazzanti, Pasquinucci, può essere definita come una “pianura intermontana” originatasi da sprofondamenti all'interno della Catena Paleoappenninica. Essa è per la gran parte compresa nel Bacino Pisano Versiliese, graben compreso tra il Monte Pisano e le Alpi Apuane ad Est e dalla Dorsale della Meloria-Maestra (sommersa dal mare) ad Ovest. Verso Sud i Monti Livornesi e quelli di Casciana Terme chiudono il bacino (Della Rocca et alii 1987).

Fig 3.8 Particolare della foce dell’Arno

Ai sensi della legge 183/89 il bacino del fiume Arno comprende, nella parte terminale pisana, oltre al bacino idrografico definito in senso strettamente geografico, anche, la zona racchiusa tra il Fiume Morto, a Nord, e lo Scolmatore, a Sud, inclusa l'area di bonifica di Coltano-Stagno ed il bacino del torrente Tora che viene fatto confluisce nello Scolmatore, arrivando cosi ad occupare una superficie

(25)

interessa la Regione Toscana (98,4%) e la Regione Umbria (1,6%) con le province di Arezzo, Firenze, Pistoia, Prato, Pisa e, marginalmente, Siena, Lucca, Livorno e Perugia. I principali affluenti sono: nella parte destra la Sieve, il Bisenzio, l'Ombrone, la Pescia; in quella sinistra il Canale Maestro della Chiana, il Greve, la Pesa, l'Elsa, l'Usciana e l'Era.

Fig. 3.9 Bacino idrografico del fiume Arno (da Autorità di Bacino del fiume Arno, Quaderno n°1, 1993)

Il bacino dell'Arno viene suddiviso in sei sottobacini: il Casentino, il bacino della piana di Arezzo/La Val di Chiana; il Valdarno Superiore; il sottobacino della Sieve; il Valdarno Medio; il Valdarno Inferiore. Presso la stazione di S. Giovanni alla Vena (Servizio Idrografico e Mareografico Regionale), località del comune di Vicopisano (PI) ad Est della città di Pisa, posta a circa 25km di distanza dalla foce dell’Arno vengo rilevati i dati relativi ai parametri idrologici: portate medie di 90m³/s (1931), portata minima 2,2 m³/sec (1931), portata massima 2.290 m³/sec (04/11/1966) (Autorità di Bacino del Fiume Arno, 2007). Pur essendo lontana dalla foce, questa località viene considerata per valutare la portata a chiusura di bacino, poiché da questo punto in poi il corso dell’Arno è considerato pensile, cioè è situato ad un livello più elevato del territorio che attraversa e non può, ovviamente, ricevere altri apporti (Regione Toscana 2001).

La litologia del bacino dell'Arno è per lo più caratterizzata da rocce sedimentarie (costituite da argille, marne, scisti argillosi, calcari marnosi e arenarie compatte) mentre minore importanza assumono le rocce magmatiche e metamorfiche. Nella parte alta del bacino troviamo come litologia affiorante

(26)

principale le arenarie quarzo-feldspatiche oligoceniche della formazione del Macigno e del Monte Cervarola. La notevole estensione di queste formazioni interessa il Casentino, la Val di Chiana, il Valdarno Medio e Superiore e affiora all'interno delle valli degli affluenti del nord quali Salutio e Sieve. Nella Val di Chiana, dove scorre l'omonimo fiume, affluente più importante dell'Arno nella porzione superiore del bacino, emergono depositi marini, lacustri e continentali del Pliocene e Pleistocene. Nella parte centrale del bacino intorno a Firenze troviamo arenarie, argilliti e torbiditi calcaree interstratificate con argille disposte in modo caotico insieme a blocchi sparsi di ofioliti. Intorno a Firenze e nella regione del Chianti sono prevalenti le rocce alloctone a varia litologia conosciute come Formazioni delle “Liguriadi” (Gruppo dell’Alberese-Pietraforte, Unità del Monte Morello, Unità del Bracco, Unità del Gottero) in cui abbondano le argilliti, spesso disposte in modo caotico e i calcari marnosi (“alberese”); sulla catena del Chianti-Monte Albano invece affiora soprattutto la Formazione del Macigno (Falda Toscana) (Pranzini 1994). A valle di Firenze gli affluenti di destra (Bisenzio, Ombrone, Usciana) drenano un'area composta da arenarie appartenenti alla formazione del Macigno, calcari e selci calcaree. Entro le valli degli affluenti di sinistra (Greve, Egola, Pesa, Elsa, Era) si trovano depositi pliocenici sabbiosi e argillosi a grana fine di origine marina e lacustre. Sedimenti litologicamente simili a quelli del Pliocene, ma di origine fluvio-lacustre riconducibili al Quaternario inferiore o Villafranchiano si ritrovano nella conca di Firenze, nel Casentino, nel Valdarno Superiore e nella Val di Chiana (Principi 1948). Calcari triassici e gesso-anidrite insieme a gesso-arenite affiorano nella sorgente dell'Era e dell'Elsa zona caratterizzata anche dalla presenza di rocce ofiolitiche soprattutto serpentiniti (Dinelli et all 2005). Nel Valdarno Inferiore e nella zona di Siena si trovano principalmente depositi neoautoctoni pliocenici (Pranzini 1994). Alla fine del bacino, a nord di Pisa, troviamo rocce metamorfiche rappresentate da marmi, metaconglomerati, metarenarie, filladi (Leoni e Sartori 1997) per lo più affioranti nell'area dei Monti Pisani. In questi ultimi si riscontrano le formazioni più antiche riconducibili al Permo-Cambriano: il Verrucano, costituito da serie di scisti filladici, quarzitici, arenacei intercalato con conglomerati di ciottoli quarzosi cementati da silice. La pianura costiera intorno a Pisa è composta da un graben ricoperto da depositi palustri e fluvio-marini ricondicibili al Quaternario medio-superiore.

(27)

3.6.2

Il bacino del fiume Serchio

Il Bacino idrografico del fiume Serchio con i sui 1408Km2, quasi tutti compresi all’interno della

Provincia di Lucca, ed una lunghezza complessiva dell'asta fluviale pari a 102Km circa rappresenta per estensione il terzo bacino della Regione Toscana, dopo l'Arno e l’Ombrone (Autorità di Bacino del Fiume Serchio, 2007). Il Serchio ha origine dal Monte Romecchia (zona appenninica a 1007m di quota) in Alta Garfagnana, anche se non è possibile individuare una vera sorgente, in quanto il fiume nasce da una fitta ragnatela di sorgenti e di infiltrazioni subalvee nessuna di importanza tale da poter essere identificata come la “sorgente madre”: soltanto oltre Piazza al Serchio, si forma veramente il fiume segnando con il suo corso, la naturale divisione tettonica fra il massiccio delle Apuane e la catena degli Appennini. Dopo la confluenza con la Lima (il suo maggiore affluente di sinistra proveniente dai monti dell’Abetone) il Serchio si rivela alla Pianura di Lucca, pianura in passato modellata e innondata dalle alluvioni dell’antico corso del fiume, l’Auser, che si dirigeva verso Bientina, dove sorgeva il lago omonimo, poi prosciugato, e nel quale il fiume sforava le sue piene (Della Rocca et alii. 1987, Federici e Mozzanti 1995). Dalla Piana di Lucca in poi il fiume scorre in un alveo artificiale e pensile fino alla foce, regimato nei secoli (dal VII al XVI sec.) attraverso opere idrauliche fino a raggiungere l'attuale corso (Autorità di Bacino del Fiume Serchio, 2007). Giunge quindi nella Pianura di Pisa dirigendosi verso il Mar Tirreno, attraversando il sistema di dune costiere e deviando il proprio corso verso Nord-Ovest all’interno della macchia di Migliarino-S.Rossore (Provincia di Pisa). Questa deviazione è verosimilmente imputabile all'azione continua delle correnti di deriva litoranea, agenti prevalentemente verso nord, che fanno ulteriormente deviare il corso del fiume nel tratto terminale (Fig. 3.11) prima di supera con difficoltà una barra emersa e sfociare in mare (Autorità di Bacino del Fiume Serchio, 2007).

(28)

L'Autorità di bacino comprende, in base alla Legge 183/89, anche il bacino del lago di Massaciuccoli fino al Fosso di Camaiore a Nord e il Fiume Morto (escluso) a Sud, per un’estensione totale di 1565Km2. Il territorio del bacino interessa la Provincia di Lucca per 81,5%, quella di Pistoia per il 10,5% e solo marginalmente, nel suo tratto finale, la Provincia di Pisa (8%). La quota media del bacino 717m s.l.m.

I principali affluenti sono: nella parte destra l’Edron, il Turrite Secca, il Turrite di Gallicano, il Turrite Cava, Pedogna, Celetra, Freddana, Contesola, che discendono dalle propaggini meridionali delle Apuane; mentre i tributari di sinistra (Covezza, Corfino, Castiglione, Sillico, Ceserana, Corsonna, Loppora, Ania, Segone, Dezza, Suricchiana, Fegana, Lima, Vinchiana, Fraga, Ozzeri) hanno origine dall’Altipiano delle Pizzorne.

Fig. 3.10 Bacino idrografico del fiume Serchio (da sito www.provincia.lucca.it)

In riferimento ai caratteri morfologici e considerazioni storiche l’Autorità di Bacino del Fiume Serchio individua tre zone, delle vere e proprie microregioni: la Garfagnana; la Media Val di Serchio che comprende come sottobacino la Val di Lima e la Piana di Lucca.

I dati relativi alle portate misurati a valle di Borgo a Mozzano rilevano valori medi intorno ai 46m³/sec, con portate minime mai al di sotto di 6.5m³/sec (portata minima storica 4m³/sec, portata massima a Lucca 2.200m³/sec nel 9.11.1982). Si riscontra in questo fiume un basso grado di inquinamento dovuto principalmente all’elevata piovosità: le valli e i crinali (rappresentati dall’ampio

(29)

bacino intermontano della Garfagnana e della Media Val di Serchio) e l’altitudine dei sistemi montuosi fanno da ostacolo o deviano le masse d’aria che qui poi scatenano le loro turbolenze.

Nella parte prevalentemente collinare-montuosa del bacino del Serchio affiorano una grande varietà di

formazioni geologiche, essenzialmente sedimentarie e metamorfiche. Gli affioramenti della

Successione metamorfica toscana corrispondono alle Alpi Apuane sul margine occidentale del bacino e ai Monti Pisani su quello meridionale. Al di sopra di un substrato Paleozoico prevalentemente filladico-scistoso e del Verrucano (filladi, quarziti e conglomerati quarzosi) si ha una copertura metamorfica prevalentemente carbonatica, di cui i Grezzoni e i Marmi rappresentano le formazioni più caratteristiche (Autorità di Bacino del Fiume Serchio, 2007). Le Alpi Apuane sono per lo più caratterizzate da metacalcari selciferi, marmi cipollini, arenarie micacee, dolomie, calcari dolomitici. Sui Monti Pisani gli affioramenti prevalenti sono rappresentati da quarziti, quarziti sericitiche e metabrecce calcaree di diverse origini. Le unità litologiche più rappresentate nel bacino sono quelle appartenenti alla Falda Toscana (Successione toscana non metamorfica). Nella pozione inferiore di questa unità si trovano formazioni carbonatiche, sovrapposte a questi argilliti, calcari, calcari marnosi e sovrastanti o intercalati torbiditi calcaree a Nummuliti (Autorità di Bacino del Fiume Serchio, 2007), affioranti soprattutto in vaste aree a est delle Apuane. La porzione sommitale dell’unità è rappresentata dalle arenaree quarzoso-feldspatiche oligoceniche della formazione del Macigno che affiorano in vastissime aree del bacino soprattutto nella parte nord-orientale, in corrispondenza dell'Appennino tosco-emiliano. L’altra formazione che interessa aree consistenti del bacino è rappresentata dall’Unità di M. Modino-M. Cervarola: formazioni argillitiche e siltitico-marnose sovrastate dalle Arenarie di M. Modino e le Arenarie di M. Cervarola. All’interno delle depressioni tettoniche della Garfagnana e della Media Valle si trovano affioranti calcari e i calcari marnosi della formazione dell’Alberese. Questa formazione è composta da un basamento prevalentemente argillitico-calcareo che include estese masse ofiolitiche (serpentiniti, gabbri, basalti). All’interno della depressione della Val di Serchio, la presenza di depositi lacustri e fluvio-lacustri sono testimonianza di due vasti bacini lacustri risalenti al Villafranchiano. A Nord e a nordovest della Piana di Lucca a seguito di un altro ciclo fluvio-lacustre si ritrovano conglomerati poligenici a prevalenti elementi di Macigno o di Verrucano, sabbie e argille. Sempre nella Piana di Lucca e nel tratto compreso tra la Versilia e la foce del Serchio (parte nord-occidentale della Pianura di Pisa) depositi alluvionali risalenti al Quaternario occupano notevoli settori: sono per lo più ghiaie, sabbie e limi di origine poligenica (continentale-palustre-marino). Tra questi depositi una abbondante frazione è rappresentata dai ciottoli del Macigno, derivati dalla degradazione del crinale appenninico.

(30)

3.6.3

Lo Scolmatore d’Arno

Lo Scolmatore è un canale artificiale costruito presso Pontedera (lungo 32Km), terminato nel 1976 (Cavazza 1994), per salvaguardare Pisa dalle esondazioni; è collegato attraverso il Fosso Arnaccio al torrente Calambrone (a Sud dell'Arno) (Mazzanti 1997) e sfocia in mare poco più a sud dell’omonima località (Fig. 3.12). A questo canale è stato collegato il Canale Usciana che attraversa la depressione di Fucecchio e la Valdinievole-Valpescia, ma nello Scolmatore confluiscono anche una serie di canali di bonifica, di corsi d’acqua provenienti dalle Colline Pisane e dai Monti Livornesi, i più importanti dei quali sono il Canale dei Navicelli (costruito nella seconda metà del 1500, collega Pisa con il porto di Livorno) e il Torrente Tora. Come già ampliamente sottolineato l’influenza degli apporti di questo canale interessa soprattutto l’area di convergenza in località Calambrone.

Fig 3.12 Particolare della foce dello Scolmatore.

L’ossatura dei Monti Livornesi è costituita in massima parte da rocce della serie del Dominio Ligure come argilloscisti, calcari marnosi, arenarie, diaspri ed ofioliti (rocce verdi) e dalle formazioni rocciose del Dominio Toscano. In superficie si trovano depositi in prevalenza sabbiosi, conglomeratici ed argillosi che sono riferibili geologicamente al complesso Neoautoctono. Lo Scolmatore, all’interno della Pianura Pisana, scorre sui depositi alluvionali dell’Olocene e Pleistocene superiore (Sabbie e limi di Vicariello, Della Rocca et alii, 1987), mentre avvicinandosi a costa attraversa le dune costiere dell’Olocene. Il Torrente Tora, che contribuisce agli apporti dello Scolmatore stesso, attraversa nel suo tratto iniziale litologie del complesso ligure quali calcari marnosi, marne e arenaree calcaree; nella parte centrale, incontra argille-marne-argilliti, sabbie e sabbie-argillose mentre, avvicinandoci alla confluenza con lo Scolmatore, percorre depositi superficiali fluviali o fluvio-lacustri (ciottoli e sabbie prevalenti, argille in subordine). Il Canale dei Navicelli attraversa invece esclusivamente depositi superficiali alluvionali, di spiaggia ed eolici.

(31)

3.7

La pressione antropica

In relazione alle sorgenti antropiche, cioè all’insieme di rifiuti derivanti dalle principali attività umane, i carichi inquinanti si possono differenziare in: popolazione civile; attività industriali; attività zootecniche; attività agricola. Nella fattispecie le fonti dei metalli pesanti sono costituite perlopiù dagli scarichi di industrie tessili, conciarie e galvaniche (Taponico e Giaconi, 1969) e da diversi prodotti di uso agricolo che vengono sversati in mare attraverso le vie fluviali.

Le Regioni ai sensi del Decreto Legislativo n°152 (vedi capitolo 1, paragrafo 1.5) effettuano piani di monitoraggio (triennali) delle acque marine costiere per verificare il raggiungimento o il mantenimento del livello di qualità del corpo idrico, analizzando le matrici acqua, biota e sedimenti.

Attraverso la definizione dell’indice trofico TRIX7, viene effettuata la classificazione delle acque marine

costiere e viene attribuito lo stato di qualità ambientale. L’andamento spaziale delle medie annuali dell’indice di stato trofico per il periodo giugno 2001/2004 indica che tutta la zona settentrionale della regione Toscana, viene classificata in uno stato tra buono e mediocre, le situazioni peggiori si riscontrano in corrispondenza delle aree sottoposte a maggior pressione ambientale quali quelle del bacino dell’Arno, della città di Livorno e meno nel bacio del Serchio; in queste aree sono infatti localizzate le attività trainanti della Toscana industriale: la produzione cartaria, le lavorazioni tessili e le attività portuali.

Con 166 Comuni ricadenti nel bacino (Aut. B. F. Arno, 2007) ed una popolazione di 2.200.000 abitanti (ISTAT 1991) nel bacino dell’Arno si concentra il maggior carico inquinante dell’intera regione, circa

il 60% del totale che assomma a oltre 12.000.000 di Ab.Eq8.

7 La classificazione dei corpi d’acqua superficiali e quindi il livello di qualità vengono stabiliti sulla base dei dati ottenuti

analizzando lo stato chimico (definito attraverso la presenza di sostanze chimiche pericolose nelle acque, nei sedimenti e negli organismi bioindicatori) ed ecologico (individuato in relazione alle caratteristiche della biocenosi presente nell’ambiente e al calcolo dell’indice trofico TRIX). Comparando i risultati relativi a stato chimico ed ecologico, si definisce lo stato ambientale che rappresenta lo scostamento tra lo stato del corpo idrico in esame e quello di un ipotetico corpo idrico di riferimento teoricamente immune da impatto antropico.

L’Indice Trofico è un indice composto da indicatori ambientali direttamente misurabili e correlati alla biomassa fitoplanctonica. Per lo sviluppo e la validazione dell'indice TRIX sono stati utilizzati come riferimento i dati raccolti lungo la costa adriatica della Regione Emilia Romagna. Si calcola mediante la seguente formula:

TRIX= [Log10 (Cha x D%O x N x P)+ 1,5]/1,2

Cha= clorofilla “a” mg/l; D%O= ossigeno disciolto espresso come deviazione % assoluta della saturazione (100- O2D%);

P= fosforo totale mg/l; N=N-(NO3 +NO2 +NH3 )(mg/L). Le classi di qualità per questo indice sono: 2-4, giudizio elevato; 4-5, buono; 5-6, mediocre; 6-8, scadente.

8

Abitante equivalente (Ab.Eq.): concetto convenzionale che esprime il carico inquinante dovuto ad utenze industriali e agricolo-zootecniche in termini di BOD, considerando come unità di misura il carico prodotto da un abitante e mediamente valutato pari al carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60/70 g di ossigeno per abitante al giorno (D. Lgs. 152/1999).

Figura

Fig. 3.1 Foto panoramica del litorale in esame (da Google Earth, rielaborata)
Fig. 3.2 a) Caratteristiche morfobatimetriche del Mar tirreno (da Della Croce 2000; b)  Batimetria del Tirreno settentrionale (da Astraldi et alii, 1993)
Fig 3.4 Grafico della direzione di provenienza del vento. Misure  effettuate presso la stazione di Livorno dalla Rete mareografica  Nazionale (RON), grafico elaborato mediante il sito  www.idromare.com, servizio mareografico dell’APAT (Agenzia  per la prot
Fig. 3.5 Documentazione della posizione della linea di riva in tempi storici a partire dal sec
+7

Riferimenti

Documenti correlati

152/2006 che hanno recepito la Direttiva 91/676/CEE (Direttiva Nitrati), occorre attuare una serie di misure necessarie per proteggere le acque da tale inquinamento quali:

un acido è una sostanza capace di accettare un doppietto elettronico da un'altra specie chimica detta base. una base è una sostanza capace di cedere un doppietto elettronico

Il Progetto è dedicato allo sviluppo delle competenze dei tecnici della Regione Sardegna, degli Enti Locali, dei Ministeri e di tutti gli attori impegnati sul territorio regionale

“Gli standard e le linee guida per l’assicurazione interna ed esterna della qualità … sono stati elaborati per essere. adottati dalle istituzioni accademiche e dalle agenzie per

152/2006, in questo studio si è voluto valutare la qualità biologica delle acque del Bacino del fiume Stella, mediante lo studio della fauna ittica tramite l’Indice dello

L’area di campionamento ri- veste un rilevante interesse quando si consideri che in questo tratto iniziale il fiume Buna raddoppia la propria portata grazie alla “cattu- ra”,

La campagna di monitoraggio del 2000 ha mostrato un notevole recupero della qualità biologica, confermando così anche le peculiari modalità dell’impatto ambientale del- la

• Valutazione dell’impatto delle politiche di miglioramento della qualità dell’aria sulle conseguenze di salute in Emilia-Romagna e relativo trend (PAIR). • Supporto concreto