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CAPITOLO 6 Gli effetti post-quotazione

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 6

Gli effetti post-quotazione

6.1

L’impatto della quotazione sulle imprese

L’ingresso in Borsa rappresenta una svolta nella vita di qualsiasi azienda e, come tutti i cambiamenti, anche la quotazione è portatrice di effetti positivi e negativi137.

Una volta esaminata la procedura di ammissione138, è interessante evidenziare e individuare i potenziali impatti che possono derivare e che si possono produrre nei confronti dei vari portatori di interessi delle imprese neo-quotate.

L’adempimento degli obblighi previsti dalla quotazione induce talvolta le aziende a riorganizzare la loro struttura: la quotazione infatti richiede un sistema di management evoluto, capace di rispondere adeguatamente alle sfide derivanti dall’apertura al mercato borsistico139.

Per analizzare l’incidenza dell’IPO sull’andamento dell’azienda è possibile seguire differenti approcci, che prevedono lo studio dell’offerta pubblica in relazione allo sviluppo dell’economia e dei mercati finanziari (approccio macro-economico), in relazione all’analisi della dinamica dei prezzi nel breve e lungo periodo e alla valutazione dell’underpricing (approccio di mercato), oppure relativamente all’indagine delle variazioni intervenute nell’impresa dal punto di vista interno-organizzativo (approccio aziendale). Quest’ultima impostazione, che sarà applicata e utilizzata nello svolgimento della ricerca empirica che sarà condotta nel presente studio, si propone di evidenziare i principali cambiamenti legati all’IPO in termini di variabili di bilancio, di assetto proprietario, di modelli di corporate governance140.

137 Si rinvia al capitolo 3. 138 Si rinvia al capitolo 2. 139 Devecchi C. et al. (2003). 140 Giudici et al. (2001).

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A questo proposito, i dati ricavabili dai bilanci societari riguardano quattro aree, riconducibili a:

1. dimensione e crescita (fatturato, valore aggiunto, numero dipendenti, capitale sociale);

2. struttura finanziaria (mezzi propri/finanziamento totale, debiti totali/finanziamento totale, leva finanziaria);

3. liquidità e flussi finanziari (rapporto corrente tra attivo e passivo, indicatori di copertura delle immobilizzazioni);

4. redditività (ROE, ROI, MON, utile).

Un volta analizzati gli impatti che la quotazione produce sulle performance economico- finanziarie, si proseguirà studiando l’impiego e il ruolo dei piani di stock

option e di altri strumenti presso le società quotate oggetto dell’indagine.

6.2

Una rassegna dei principali studi sulle Ipo

In letteratura è possibile rintracciare alcuni studi sull’analisi delle performance operative delle società post-IPO. Si delineeranno ora i caratteri principali di queste indagini.

Pagano et al. (1998) e Belcredi e Gualtieri (1995) si sono posti l’obiettivo di individuare le possibili cause della quotazione e le principali conseguenze di questa decisione in termini di variabili aziendali. Questi due contributi costituiscono un importante punto di riferimento per lo studio che si illustrerà nelle pagine seguenti, perché anche essi hanno ad oggetto campioni di società italiane quotate su Borsa Italiana.

Lo studio di M. Pagano, F. Panetta e L. Zingales (1998)

Pagano et al. (1998) si propongono di individuare i fattori che influenzano la probabilità di ricorrere all’IPO, nonché evidenziare i principali effetti post quotazione delle imprese industriali. Gli autori, nella definizione del campione di aziende da analizzare, hanno escluso quelle appartenenti al settore finanziario e bancario, focalizzando la loro attenzione su società industriali di dimensioni non troppo contenute141 quotatesi tra il 1982 e il 1992. Il campione finale risulta essere composto da 69 società “non finanziarie”, di cui 40 (58%) sono società indipendenti e 29 (42%) sono

141

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carve out142.

Prima di esporre l’indagine empirica condotta, gli autori ripercorrono le principali teorie che ritengono utili nell’elaborazione delle ipotesi e nella costruzione di un modello di analisi il più completo possibile. In primo luogo si richiama al problema dell’adverse selection, che si verifica a causa dell’asimmetria informativa esistente tra emittenti e investitori: questo fenomeno potrebbe influenzare negativamente il successo di un’IPO. A questo proposito sembra che le imprese più svantaggiate risultino quelle più giovani, piccole e meno conosciute: come fanno notare Chemmanur e Fulghieri (1995), in presenza di adverse selection, la probabilità di quotarsi è correlata positivamente all’età dell’azienda e alle sue dimensioni. Inoltre, con riferimento alle spese da sostenere per espletare i vari obblighi richiesti da un’operazione di quotazione, Pagano et al. sottolineano che questi costi incidono in modo considerevole sulle aziende di piccole dimensioni (non esistendo una relazione diretta tra ammontare della spesa e dimensione aziendale). Sulla base di queste considerazioni, gli autori definiscono una prima variabile SIZE da includere nel modello.

Tra i principali benefici citati anche da altri studi, vi è senz’altro la possibilità di accedere a fonti di finanziamento alternative ai prestiti bancari che è particolarmente rilevante per le imprese caratterizzate da considerevoli investimenti correnti e futuri, da un leverage alto e una crescita sostenuta. Per tenere in considerazione tutti questi aspetti si ricorre alle seguenti variabili: il CAPEX, ovvero il capital expenditure over property

plant and equipment, per misurare gli investimenti correnti143, il MTB che è il rapporto medio del market-to-book value delle aziende quotate appartenenti al medesimo settore, il LEVERAGE per rilevare il rapporto tra debito ed equity e, infine, la variabile GROWTH che rappresenta il tasso di crescita del fatturato.

Inoltre, gli autori includono nel modello il costo del debito (RCC) e l’indice di HERFINDAHL che misura la concentrazione del credito di un’azienda: ciò al fine di rilevare se è vero che le aziende che sopportano un più elevato tasso di interesse e con

142 Per carve-out si intende quella situazione in cui una società madre (parent company) vende una quota

di minoranza di una società figlia, di solito durante un’IPO, conservando il resto delle azioni. La child

company avrà un proprio consiglio di amministrazione e propri financial statements, ma beneficerà

delle risorse e del supporto strategico dell’azienda madre. Questa operazione è nota anche come

partial spinoff. Il carve-out, con la creazione di una nuova entità giuridica, consente di attrarre

investitori “specializzati” che valorizzano meglio l’attività in questione, di incentivare in maniera più diretta il management attribuendo stock-option, e di permettere una maggiore flessibilità operativa, anche in termini di partnership e joint-venture.

143 Capital expenditures rappresentano flussi di cassa in uscita per la realizzazione di investimenti in

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crediti più concentrati, sono più inclini alla quotazione144.

Per catturare invece l’influenza della profittabilità sull’IPO, si definisce la variabile ROA come rapporto tra EBIT e total assets.

Gli autori a questo punto procedono a stimare il seguente modello di stima della probabilità di quotarsi: t t it it it it it it it it it YEAR HERFINDAHL RCC MTB LEVERAGE ROA GROWTH CAPEX SIZE F IPO γ α α α α α α α α + + + + + + + + + = = 8 7 6 5 4 3 2 1 ( ) 1 Pr(

IPOit è uguale a 0 se la società i rimane non quotata nel periodo t, mentre è uguale a

1 se la società entra nel listino di Borsa.

Dall’indagine empirica risulta che la dimensione dell’azienda e l’industry market to

book ratio sono i due più importanti fattori che incidono positivamente sulla decisione

di un’IPO. Inoltre, entrambe le variabili che misurano i bisogni di finanziamento dell’azienda, GROWTH e CAPEX, incrementano la probabilità di ricorrere alla quotazione, così come la profittabilità (ROA). Diversamente dalle aspettative, sembra che la variabile per il costo dei prestiti bancari (RCC), la concentrazione di credito (HERFINDAHL) e il LEVERAGE esercitino un’influenza negativa sulla probabilità dell’IPO, ma occorre tener in considerazione che nessuna di queste risulta essere statisticamente significativa.

Suddividendo il campione in due e analizzando separatamente i carve-out e le società indipendenti è possibile evidenziare alcune differenze che aiutano a individuare le differenti motivazioni che le portano alla quotazione. Innanzitutto, la dimensione sembra non essere un fattore determinante per i carve-out: di fatto, queste aziende possono beneficiare del sostegno della parent company che ha già sostenuto i costi fissi per il listing, nonché della sua notorietà. Inoltre con riferimento al leverage emerge che le aziende più indebitate sono più propense ad approdare in Borsa se sono società indipendenti e meno inclini se sono carve-out: queste considerazioni non sono però statisticamente significative. Infine, mentre le independent company investono molto e crescono molto, i carve-out investono poco e crescono poco. Da queste differenze è possibile delineare il diverso comportamento di queste due tipologie di aziende rispetto alla scelta di quotarsi in Borsa: una società indipendente può voler accedere al mercato perché necessita di capitale ed è probabile che sia fortemente indebitata. I carve-out al

144 In seguito alla quotazione ci si aspetta che i prestiti risultino più economici e maggiormente

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contrario non si rivolgono al mercato per reperire finanziamenti e il management ha la libertà di scegliere il momento più opportuno per entrare sul mercato: per questa maggiore libertà un carve-out si quoterà quando i le sue condizioni economiche e finanziarie sono buone.

Gli autori hanno inoltre stimato una regressione a effetti fissi per individuare le implicazioni conseguenti alla quotazione. Negli anni immediatamente successivi all’ingresso in Borsa si nota una diminuzione della profittabilità, che passa da 1,5% nel primo anno post-IPO fino a 3% al terzo anno post-IPO. Per le società indipendenti, si ha una diminuzione della leva finanziaria e una contrazione degli investimenti in modo consistente e significativo; per contro, i carve-out conoscono altresì un abbassamento della leva finanziaria, ma nel lungo periodo e un aumento temporaneo degli investimenti.

Nei primi tre anni successivi all’IPO, grazie al maggior potere contrattuale dell’azienda quotata, si assiste a una contrazione del costo del credito, più marcata per le società indipendenti, che però si affievolisce in seguito. Si rileva inoltre un aumento degli asset finanziari, una minore concentrazione dei creditori e un aumento dell’incidenza dei cambi di controllo, nonostante l’azionista di controllo generalmente disinvesta molto poco.

Gli autori, sulla base di questi e altri risultati che per ragioni di spazio non vengono riportati, concludono che la probabilità di una IPO è positivamente influenzata dalla valutazione di mercato delle società dello stesso settore e dalla dimensione della società. La necessità di ribilanciare la propria struttura finanziaria sembra affermarsi come una delle cause più ricorrenti di quotazione. Inoltre è stato notato che in termini di dimensioni del capitale posto sul mercato, le IPO di aziende dell’Europa continentale sono generalmente più grandi e più vecchie di quelle anglosassoni.

Lo studio di M. Belcredi e P. Gualtieri (1995)

Belcredi e Gualtieri (1995) si propongono di verificare l’esistenza di differenze statisticamente significative tra un campione di società approdate in Borsa e un campione di società non quotate. I due autori hanno deciso di limitare il periodo di osservazione, di considerare esclusivamente società operative145 e di analizzare

145 La fonte di dati utilizzata è stata la Centrale dei bilanci e poiché essa contiene un numero limitato di

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essenzialmente grandezze flusso e non stock146, selezionando indicatori che fossero meno condizionati di altri da convenzioni contabili e politiche di bilancio.

L’indagine ha ad oggetto 25 società non finanziarie e non a prevalente partecipazione statale quotatesi tra il 1985 e il 1990 presso Borsa Italiana147. Il campione di confronto è stato costruito individuando per ogni società quotata una pluralità (ove disponibili) di aziende non quotate al fine di ridurre il più possibile eventuali disomogeneità derivanti da differenti processi produttivi, dall’organizzazione societaria e dalla dimensione delle aziende.

Sono state esaminate solo le aziende quotate per le quali risultavano reperibili i dati di bilancio per sei anni consecutivi; l’anno di quotazione, a seconda che l’ingresso in Borsa sia stato effettuato nel primo o secondo semestre di un anno, è stato considerato, rispettivamente, il primo anno del periodo post quotazione (t=+1) o l’ultimo del periodo ante quotazione (t=-1).

Al fine di individuare i vantaggi e le conseguenze derivanti dall’IPO e mettere in evidenza eventuali diversità dell’andamento economico e finanziario, i due autori hanno proceduto a confrontare i valori delle società neo-quotate con la media aritmetica dei corrispondenti valori di una pluralità di società comparabili148. Quindi, una volta definiti i vari indicatori che si volevano analizzare, sono stati calcolati i rapporti (o le differenze, a seconda del tipo di dato) tra i valore degli indicatori di ciascuna società quotata e la media dei valori delle società non quotate comparabili. Dapprima, l’analisi ha coinvolto l’intero campione149, poi, l’indagine è stata ripetuta per alcuni sottocampioni delineati sulla base dei macro settori rintracciabili.

In primo luogo, gli autori hanno analizzato lo sviluppo dimensionale delle aziende attraverso lo studio della crescita annuale del fatturato. Dal momento che sono stati rilevati anche alcuni dati estremi, sia positivi che negativi, riconducibili per lo più a

146 Questa scelta deriva dalla considerazione che le grandezze di stato patrimoniale che offrono la

fotografia dell’azienda in un dato istante possono non rappresentare la struttura che l’azienda ha assunto in media nel periodo considerato e inoltre sono facilmente influenzabili da convenzioni contabili e caratterizzate da specificità aziendali.

147 Sono state escluse le banche, le compagnie di assicurazione, le società finanziarie di partecipazione per

le quale non fosse individuabile un gruppo sottostante con attività prevalentemente industriale, le società a prevalente partecipazione statale e, infine, quelle aziende che al momento dell’IPO appartenevano a gruppi già presenti in Borsa.

148 Per ognuna delle società quotate del campione è stata determinata una “società ombra” fittizia ricavata

dalla media dei valori delle società comparabili per settore e dimensioni.

149

Per ogni indicatore si è proceduto a calcolare la media delle differenze o dei rapporti e la varianza dei dati, testando l’ipotesi che i valori medi fossero significativamente diversi da zero tramite il calcolo dei test t. Quindi, sono state determinate, per ciascun indicatore, le differenze tra la variazione annua delle società quotate e delle società confrontabili per tutti gli anni precedenti e successivi l’IPO.

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operazioni straordinarie occorse negli anni considerati, si è deciso di eliminare le variazioni annue superiori al 50% in aumento e al 25% in diminuzione. Dal confronto dei due campioni emerge che il fatturato delle società quotate non cresce più di quello delle aziende non quotate: peraltro, la media delle differenze della variazione annua del fatturato non ha segno univoco e spesso non è statisticamente significativa. Per quanto riguarda lo studio della redditività, è stato monitorato il rapporto tra il margine operativo netto e il fatturato netto al fine di limitare i problemi derivanti dal considerare il solo valore assoluto del MON. Dall’analisi emerge una maggiore profittabilità per le società quotate e, in particolare, si evidenzia un valore più elevato sia nel periodo immediatamente antecedente la quotazione che nell’anno immediatamente successivo150. Occorre sottolineare a questo proposito che, anche qualora fosse stato ipotizzato un peggioramento della redditività, non si potrebbe rifiutare con assoluta certezza tale ipotesi poiché, data la ristrettezza del periodo di analisi, è possibile che i risultati peggiori emergano solo successivamente ai tre anni considerati. Belcredi e Gualtieri fanno notare che dallo studio risulterebbe la tendenza delle aziende italiane a intraprendere il processo di quotazione in corrispondenza del periodo in cui hanno registrato i migliori risultati economici con l’obiettivo di massimizzare il prezzo di offerta delle loro azioni151.

Per quanto riguarda il ruolo della leva finanziaria152, si desume che le società quotate presentano una migliore situazione, nonché un’incidenza minore degli oneri sul margine operativo lordo, che va a segnalare un miglior equilibrio della struttura finanziaria.

Un risultato molto importante, che costituisce un elemento da sviluppare nell’ambito dello studio empirico proposto di seguito, riguarda il fatto che per le società quotate la variazione delle immobilizzazioni materiali e finanziarie è più elevata dopo la quotazione: ciò è riconducibile alle operazioni di crescita esterna153. Infine, per quanto riguarda lo studio delle fonti di finanziamento, sono stati monitorati i debiti a medio-lungo termine, i prestiti obbligazionari e gli aumenti di capitale a pagamento. Dai dati

150 Per gli ultimi due anni di analisi, successivi all’IPO, i valori subiscono una contrazione e diminuisce

anche la significatività statistica.

151 A questo proposito gli autori affermano che si tratta di un fenomeno probabilmente più ricorrente in

Italia dove operano per lo più aziende a proprietà concentrata e in cui la decisione di entrare in Borsa è assunta dagli azionisti di controllo: infatti motivati anche dalla possibilità di disinvestire parzialmente la loro quota, è ragionevole che gli azionisti di maggioranza abbiano scelto il momento più opportuno al fine di massimizzare il prezzo del loro disinvestimento.

152

Il concetto di leva finanziaria esprime la possibilità che un investimento possa superare abbondantemente il capitale a disposizione.

153 Per analizzare le politiche di investimento, gli autori hanno osservato le variazioni, pre e post

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emerge innanzitutto che le società quotate effettuano aumenti di capitale in misura significativamente maggiore rispetto al campione di comparazione. Generalmente però queste capitalizzazioni sono realizzate in occasione della quotazione. In seguito all’IPO, Belcredi e Gualtieri notano che le società quotate ricorrono al debito più di quanto facciano quelle non quotate. Sembra che, in corrispondenza dell’IPO le aziende italiane si affidino ad aumenti di capitale per migliorare la loro struttura finanziaria (riduzione temporanea del leverage), ma con l’entrata sul listino di Borsa, le società aumentino nuovamente i debiti a lungo termine, ritornando a un rapporto tra debiti a lungo e capitale proprio simile a quello del periodo pre IPO.

Questi primi due contributi empirici sono accomunati dal fatto che si rileva un peggioramento delle performance operative degli indici di bilancio, ma evidenziano altresì sostanziali differenze. I principali risultati discordanti riguardano, per esempio, l’andamento della leva finanziaria e degli investimenti dopo l’ingresso sul mercato. Queste diversità hanno condotto gli autori a individuare cause e motivazioni alternative per la decisione di quotarsi in Borsa. Pagano et al. sostengono che le imprese indipendenti siano spinte per lo più a quotarsi per ribilanciare la struttura finanziaria, ridurre la concentrazione e il costo del credito che per finanziare una crescita futura, mentre per i carve out l’obiettivo perseguito sarebbe favorire un disinvestimento successivo.

Belcredi e Gualtieri invece ritengono che l’approdo in Borsa costituisca un’occasione per raccogliere equity al fine di sovvenzionare politiche di crescita esterna tramite future acquisizioni154.

Lo studio di Jain e Kini (1994)

In linea con le conclusioni dei precedenti studi, nella letteratura si rintraccia il lavoro di Jain e Kini (1994) che si occupa di un campione di 682 società quotate tra il 1976 e il 1988 (non oggetto di LBO). Per studiare l’effetto della quotazione sulle performance operative delle aziende, Jain e Kini utilizzano due indicatori ovvero il ROA (operating

return on assets) e operating cash flows al netto del total assets. Inoltre, gli autori si

preoccupano anche di verificare la crescita di altre grandezze contabili come il fatturato, il turnover degli assets e capital expenditures che possono fornire una spiegazione ai cambiamenti intervenuti nelle performance operative delle aziende quotate nel corso dei primi anni post-IPO. Essi verificano che, in linea di massima, le aziende coinvolte in

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un’operazione di IPO conoscono un sostanziale declino delle performance operative155 (relativamente all’anno immediatamente successivo alla quotazione).

Nonostante risulti difficile individuare la motivazione di tale trend, Jain e Kini ritengono che tale fenomeno può essere giustificato con tre ragioni:

1. il timing dell’offerta si realizza in un periodo di performance operativa molto positiva. È possibile che il declino non sia legato all’offerta, ma sia fisiologico e che la società abbia deciso di quotarsi proprio nel momento in cui si verificava un picco nell’andamento degli indicatori;

2. window dressing 156 dei bilanci prima della quotazione che sovrastima le performance pre-IPO e sottostima gli andamenti operativi post-IPO;

3. aumento dei costi di agenzia dopo l’offerta pubblica.

Con riferimento a quest’ultimo punto, una parziale spiegazione del peggioramento dell’andamento operativo di un’azienda va individuato nel cambiamento degli incentivi dovuto a una minor concentrazione della proprietà manageriale nel periodo post-IPO. Emergono asimmetrie informative e conflitti di interessi fra vecchi e nuovi azionisti nonché fenomeni di selezione avversa e di moral hazard. L’adverse selection fa sì che le imprese si quotino proprio nel momento in cui le performance iniziano a scendere, mentre il moral hazard incentiva i vecchi azionisti a trarre vantaggi personali dalla conduzione dell’impresa, a scapito degli azionisti di minoranza. Dal moral hazard dovrebbe derivare un aumento dei costi di agenzia e di conseguenza un peggioramento delle performance operative tanto più rilevante quanto più bassa è la quota di possesso dell’azionista di controllo.

Lo studio di W. H. Mikkelson, M. Megan Partch, K. Shah (1997)

Altre ricerche sono state condotte nell’ottica di indagare anche i profondi cambiamenti che possono conseguire a livello manageriale e proprietario. In particolare, Mikkelson et al. (1997) si propongono di studiare la relazione esistente tra la variazione della proprietà di azioni da parte dei manager e le performance operative delle aziende che si quotano. In particolare, l’obiettivo è quello di verificare l’ipotesi formulata da

155 A questo proposito gli autori hanno valutato i seguenti indicatori: operating returns on assets,

operating cash flows, growth of sales, asset turnover, capital expenditure.

156 Si tratta di un termine utilizzato soprattutto nell’ambito dei fondi comuni di investimento per indicare

una politica di ritocco mirato delle quotazioni attuato dagli investitiori istituzionali in coincidenza con la chiusura dei bilanci, al fine di poter presentare una migliore performance del fondo. In questo caso indica la possibilità di modificare criteri di bilancio prima della quotazione al fine di presentare una situazione contabile e finanziaria migliore di quanto non sia nella realtà.

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Jensen e Meckling (1976) ovvero che l’interesse dei manager e degli altri azionisti diventano sempre meno allineati poiché la proprietà dei manager stessi si contrae mentre cresce il numero degli shareholder.

Per condurre questo studio Mikkelson et al. (1997) prendono in considerazione un campione di 283 società statunitensi quotate tra il 1980 e il 1983 che non appartengano a settori regolamentati. Con riferimento alle performance operative è possibile notare come le aziende quotate analizzate abbiano conosciuto un’elevata performance nel corso dell’anno immediatamente prima all’offerta pubblica, osservazione peraltro sottolineata già da Jain e Kini (1994). Come delineato in precedenza anche da Jain e Kini, nel periodo post-quotazione le aziende sperimentano un peggioramento dei vari indicatori economico-finanziari. L’andamento di questi indici non risulta in alcun modo essere correlato all’evoluzione dell’assetto proprietario: i fattori che principalmente influenzano i risultati operativi di un’impresa sono l’età, le dimensioni e la presenza di offerte secondarie. Inoltre si evidenzia che le imprese di più grandi dimensioni e attive da tempo risentono in misura più lieve del peggioramento delle proprie condizioni operative.

Con riferimento invece all’assetto proprietario si nota che in corrispondenza di una IPO la proprietà diventa meno concentrata nonostante il mantenimento di quote anche piuttosto considerevoli da parte di alcuni azionisti/soggetti di spicco. Questo risultato può essere ricondotto al fatto che i manager continuano a detenere quote rilevanti e in parte al fatto che esistono incentivi sostitutivi della proprietà diretta come la

compensation tramite stock option. Inoltre, contrariamente all’ipotesi iniziale secondo la

quale la dimensione del consiglio di amministrazione di una società quotata dovrebbe allargarsi, gli autori hanno potuto verificare che la dimensione media del board rimane in media la stessa per i primi 5 anni per poi aumentare dopo 10 anni.

Un risultato significativo da affiancare, in termini di performance e di ownership, a questi studi è quello analizzato da Mayur et al. (2007) su un campione di imprese indiane. Nonostante infatti il target di indagine sia diverso, in quanto si tratta di imprese operanti in un paese emergente, si evidenziano alcune conclusioni in linea con altre indagini. Innanzitutto le performance dell’intero campione subiscono un peggioramento significativo in seguito all’IPO e, in secondo luogo, si osserva che imprese con un basso livello di proprietà di manager post IPO sperimentano un grande decremento delle loro performance. Da ciò Mayur et al. ritengono di poter concludere che, almeno per quanto riguarda l’esperienza indiana, il cambiamento nel livello della proprietà dei manager è

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direttamente proporzionale ai cambiamenti delle performance delle aziende in concomitanza dell’evento quotazione.

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