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CAPITOLO 4 LO STUDIO DELLA MATERIA PRIMA

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 4

LO STUDIO DELLA MATERIA PRIMA

4.1 INTRODUZIONE

L’uomo preistorico ha lavorato una grande varietà di materiali, tra quelli litici principalmente le rocce dure.

Le rocce, a seconda del tipo, sono legate a particolari contesti geologici, in prossimità dei quali si trovavano spesso i gruppi umani. La loro selezione è stata in parte determinata ed in parte essa stessa ha determinato la posizione degli insediamenti ed è strettamente connessa con l’evoluzione psichica dell’uomo. Infatti, più l’uomo è evoluto, più esso sceglie, seleziona, trasporta, dominando l’ambiente circostante (Inizan

et al., 1980).

Oggi, grazie alla valutazione delle sue caratteristiche intrinseche e proprietà meccaniche, è possibile risalire alla scelta di particolari strategie e comportamenti dei gruppi umani e ricostruire i loro gesti tecnici. Si tratta di un aspetto estremamente importante dello studio di un insieme litico.

Le più comuni rocce dure utilizzate dall’uomo per la scheggiatura sono:

- Rocce di origine sedimentaria, come le numerose varietà di selce o diaspro, calcare, arenaria, etc.

- Rocce eruttive, caratterizzate da una tessitura microlitica o vetrosa. Sono rocce legate al vulcanismo, il cui affreddamento rapido ha impedito o interrotto la cristallizzazione (ossidiane, ignimbriti, basalti, etc.)

- Rocce metamorfiche, come le quarziti

- Minerali di origine idrotermale, che si cristallizzano a basse temperature (quarzo ialino, calcedonio, agata, etc.).

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4.2 ECONOMIA DELLA MATERIA PRIMA

Lo studio relativo all’identificazione del giacimento di provenienza e il riconoscimento della morfologia del paesaggio appartiene all’ambito delle scienze della terra ma consente all’archeologo di valutare se vicino al sito di ritrovamento di una certa industria la presenza di materia litica è abbondante o rara; se ci sono una o più varietà di risorse litiche selezionate; se il giacimento si trova in una posizione accessibile oppure è difficile da raggiungere, etc.

Del resto la ricerca del giacimento geologico da cui proviene la materia prima utilizzata per la scheggiatura in un certo sito permette di individuare l’”areale di approvvigionamento litico” del gruppo preistorico, fortemente legato a determinati bisogni e tradizioni, determinando anche l’eventuale istallazione di “atelier de faille” (Inizan et al., 1980), cioè di officine di lavorazione (testimoniati dalla presenza di tutti i prodotti ottenibili dall’operazione di scheggiatura, come lame, lamelle, schegge, scarti, pezzi di grandi dimensione, nuclei, molti elementi corticati, etc.).

Al contrario la loro assenza fa supporre una certa indipendenza tra l’occupazione di un luogo o di un’area geografica e la necessità di rocce scheggiabili nelle vicinanze.

Bisogna comunque tenere presente, in questo tipo di riflessioni, che ciascun gruppo preistorico avrà avuto un comportamento proprio davanti alle stesse risorse litiche e che nello studio di tutti questi aspetti la quantità numerica del materiale litico ha certamente una notevole incidenza sulla possibilità di comprendere la strategia economica della materia prima.

Premesso ciò, prima di affrontare lo studio sulla materia prima e dei suoi criteri di scelta, si è ritenuto indispensabile analizzare brevemente gli aspetti geologici e geomorfologici dell’area della Garfagnana, fonte di approvvigionamento della maggior parte delle rocce utilizzate per la scheggiatura dai gruppi umani locali in epoche preistoriche.

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4.3 ASPETTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI

DELLA GARFAGNANA

La geologia dell’area considerata (Fig. 24) è caratterizzata dall’affioramento di rocce appartenenti a quella che i geologi chiamano la Serie Toscana, una delle diverse falde di ricoprimento che costituiscono il complesso sistema geologico apuano-appenninico. Si tratta di una pila di sedimenti marini depositatisi dal “Trias” all’”Oligocene”, caratterizzati nella parte più antica da una successione prevalentemente carbonatica, e nella parte più recente da una serie prevalentemente arenacea. In altre parole le rocce che oggi possiamo osservare si sono formate diversi milioni di anni fa ed hanno avuto origine da sedimenti che si sono depositati in un antico mare che, in seguito ai cambiamenti della propria conformazione, modificava anche le deposizioni che in esso avvenivano.

Le caratteristiche delle rocce hanno permesso di ricostruire l’evoluzione nel tempo dell’antico bacino di sedimentazione, fino alla sua chiusura, causata da forze tangenziali alla crosta terrestre. I sedimenti in esso depositati sono stati trasformati in rocce e sollevati, determinando la nascita del complesso apuano-appenninico.

Questo processo si è protratto molto a lungo, durante tutta l’era Mesozoica (che comprende i periodi Triassico, Giurassico e Cretaceo) e quasi tutta l’era Cenozoica e Terziaria (che comprende i periodi Paleocene, Eocene, Oligocene, Miocene e Pliocene). La storia del bacino comincia all’inizio dell’era Mesozoica, nel Triassico (248-213 milioni di anni), con un antico continente che inizia ad aprirsi e ad essere coperto dal mare, o meglio da una laguna saltuariamente invasa dal mare. Le condizioni climatiche di allora determinano una forte evaporazione e la formazione dei relativi depositi. Di tale fenomeno oggi ne sono testimonianza la presenza di gessi, rocce molto solubili (Calcari cavernosi e dolomitici) tra le quali si sono aperte delle grotte.

Verso la fine del Triassico il bacino di sedimentazione diventa progressivamente più profondo: nelle rocce formate in questa fase, i Calcari a Rhaetavicula contorta, di colore nero, è presente un fossile (Rhaetavicula contorta) che attesta la sua deposizione ————————————————————————————————————

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Nel periodo successivo, il Giurassico (213-144 milioni di anni), le deposizioni sono originate da organismi costruttori di scogliere e barriere coralline (Calcari massicci). A causa del diverso grado di permeabilità (maggiore per i Calcari massicci) la zona di contatto tra le due formazioni presenta numerose cavità carsiche.

Questo tipo di bacino paleogeografico ha determinato anche la formazione dei Marmi apuani, i quali si diversificano dai Calcari massicci per aver subito un processo di metamorfismo.

Il graduale approfondimento del bacino di sedimentazione è testimoniato dai Calcari rossi ammonitici (Giurassico – 185 milioni di anni), di colore rosa o rosso, molto ricchi di fossili ammoniti (molluschi cefalopodi muniti di conchiglia completamente estinti alla fine del Cretaceo).

Successivamente, il progressivo approfondimento del bacino arriva a superare il “limite di compensazione dei carbonati” (attualmente intorno ai 4000 metri di profondità) che non consente più la deposizione di carbonato. Le rocce che si formano a tali profondità, dunque, non sono più carbonatiche ma per lo più di natura silicea.

Compaiono allora le seguenti formazioni:

Calcari grigio scuri, stratificati, con selci nere; Radiolariti rosse, verdi, nere (“Diaspri”); “Maiolica”; Brecce sedimentarie poligeniche; Scaglia rossa composta da argilliti policrome (Cretaceo medio-Oligocene inferiore).

Sono queste le formazioni da cui i gruppi umani preistorici che popolavano l’Alta Valle del Serchio estraevano preferibilmente la materia prima silicea per la produzione dei propri strumenti, selezionando le qualità migliori dagli affioramenti più vicini da raggiungere (Par. 4.4).

Sono presenti anche Calcareniti a Nummuliti (rocce costituite da frammenti detritici simili a granuli di sabbia, cementati da sostanze parzialmente calcaree e ricche di animali unicellulari marini di forma lenticolare).

L’ultima deposizione verificatasi nel bacino (Terziario o Cenozoico) ha dato origine al

Macigno (detto anche Flysch), tipo di roccia che deriva dalla cementazione di una

sabbia, quindi a grana molto fine, di colore scuro, che indica la sedimentazione di mare profondo. Questa formazione di notevole spessore (che costituisce in crinale appenninico) chiude il ciclo di sedimentazione e risale all’Oligocene (38-25 milioni di

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anni). Con il Miocene inizia la fase di graduale sollevamento dei rilievi (fase Tortoniano) ben presto aggrediti e modificati da numerosi agenti morfogenetici quali pioggia, fiumi, venti e ghiacciai (che si estendevano sull’Appennino fino a poco più di diecimila anni fa) che determinano forti fenomeni erosivi. Ad essi si aggiungono, nel corso del Pliocene (6.5-1.6 milioni di anni) i movimenti tettonici delle faglie di scorrimento che determinano la formazione di depressioni quali la Valle del Serchio (Giovannini 1993; Ansaldi e Medda, 1999).

Fig 24 - Successioni stratigrafiche dei nuclei apuano e toscano dalla carta geologica IGM 1:100.000, foglio 96 Massa. Si rimanda a suddetta carta per il dettaglio dei simboli.

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4.4 LE RISORSE LITICHE A PIAN DI CERRETO E

MURACCIO

Per l’analisi della materia prima dei due siti in esame si è fatto riferimento alla classificazione messa a punto per l’Appennino Settentrionale (Cipriani et al., 2001). Tale lavoro, infatti, basato su campionamenti geologici e relative analisi mineralogico-petrografiche, ha permesso di risalire alle possibili fonti di approvvigionamento delle rocce silicee utilizzate nella scheggiatura di diversi siti della Toscana Appenninica, e di definirne le rispettive strategie di raccolta.

Materie prime locali

La materia prima utilizzata per la litotecnica nei siti di Pian di Cerreto e Muraccio proviene per la quasi totalità dalle formazioni carbonatico-silicee del Giurassico - Cretaceo inferiore della Falda Toscana, come i Calcari grigio chiari con selce, la

Scaglia Toscana e i Diaspri che affiorano nella porzione nord occidentale del versante

toscano dell’Appennino settentrionale (Classe A) e dai litotipi delle Unità Liguri campionati nell’Alta Valle del Serchio (Classe C).

Per la Classe A l’area di maggior affioramento si trova a ca. 20 Km dai due siti presi in esame - ad ovest della Pania di Corfino presso le località Casini di Corte (ca. 1160 m), Piagge di Parecchiola (ca. 1200 m) e La Ripa (ca. 1250 m), nel Parco Naturale dell’Orecchiella - e testimonia spostamenti di breve durata da parte dei gruppi umani alla ricerca di risorse litiche.

In base ai caratteri macroscopici delle selci rilevati su numerosi campioni geologici provenienti da quest’area sono stati individuati i seguenti tipi:

A1: Selci provenienti da liste o noduli, di colore rosso-bruno - non sempre

omogenee - tessitura prevalentemente fine in qualche caso media - aspetto ottico lucido, a volte semiopaco, raramente opaco.

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A2: Selci provenienti da liste o noduli, di colore bruno-viola più o meno intenso -

omogeneità difficilmente riscontrata - tessitura generalmente fine - aspetto ottico da lucido a semiopaco.

A3: Selci provenienti da liste, raramente da noduli, di colore variabile tra il grigio e

il verde - non sempre omogenee - a tessitura fine - aspetto ottico lucido - scarsa attitudine alla scheggiatura.

A4: Selci provenienti da liste o noduli variamente colorate, nello stesso supporto o

manufatto si possono avere due o più colori più o meno sfumati - qualitativamente hanno caratteristiche uguali, secondo i campioni, ai tipi 1, 2 o 3.

Sono stati individuati inoltre alcuni litotipi silicei riconducibili alle Brecce ofiolitiche (Unità Liguri, Classe C) affioranti nell’area di Piazza al Serchio quali i Calcari silicizzati - provenienti da liste, noduli e ciottoli fluviali, di colore variabile tra il grigio scuro e il grigio chiaro, quasi sempre omogenei, a tessitura media ed aspetto ottico opaco - e i Diaspri di colore rosso bruno, non omogenei, a tessitura fine e aspetto ottico lucido.

Materie prime circumlocali

Sono presenti, in percentuali minori, anche selci provenienti dalle formazioni torbiditiche terrigene dell’Unità Cervarola-Falterona, affioranti nel versante emiliano dell’Appennino settentrionale (Classe D). Le più rappresentate sono quelle di colore nero più o meno intenso - quasi sempre omogenee – a tessitura media e aspetto ottico semiopaco (Fig. 25). La presenza di tali risorse consente di ipotizzare significativi spostamenti fra i due versanti dell’Appennino (Biagi et al.,1981 - Cipriani et al., 2001). Oltre a queste fonti, esiste un’area di approvvigionamento di ciottoli silicei, spesso con caratteristiche superfici picchiettate, di ottima qualità e vario colore, estranei alle precedenti formazioni toscane (Fig. 26).

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Fig. 25 – “Le selci nere” dell’Unità Cervarola – Falterona (campioni geologici e riproduzioni sperimentali)

Fig. 26 – I ciottoli silicei dei depositi marini di età pleistocenica (campioni geologici e riproduzioni sperimentali)

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La provenienza di questi ciottoli, di età pleistocenica che affiorano lungo il margine padano dell’Appennino settentrionale (Classe E), riconosciuta nei depositi sabbiosi denominati Sabbie Gialle, è particolarmente interessante perché testimonia ben precisi spostamenti su lunghe distanze. Tali selci sono ottimi “traccianti” di questi itinerari pianura-montagna come evidenziato in precedenti lavori (Biagi et al., 1980 - Cipriani et

al., 2001).

Fig. 27 – Aree di provenienza delle selci circumlocali (min 20 – max 100 Km dal sito di ritrovamento)

Le rocce silicee adesso descritte affiorano entro un raggio di ca. 50/60 Km dai siti di Pian di Cerreto e Muraccio, posizionati nella Valle del Serchio, e potevano essere raccolte nel corso di spostamenti stagionali tra i due versanti dell’Appennino (Fig. 27). ————————————————————————————————————

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Materie prime extra-regionali

Di notevole interesse, infine, è la presenza di materie prime esogene che documentano l’esistenza di contatti tra gruppi diversi su distanze anche molto lunghe (>100 Km) (Fig. 30).

Da segnalare sono piccoli manufatti e frammenti in selce“alpina” (Fig. 28): questo termine indica il gruppo litologico appartenente alle formazioni carbonatiche giurassico-cretaciche della Piattaforma Veneta (Alpi calcaree meridionali), che risulta affiorare abbondantemente fra Monte Baldo e Lessini (presso Verona) e nei depositi morenici del Veneto orientale (Ferrari e Mazzieri, 1998).

All’interno di questa ampia categoria di selce, genericamente detta appunto “lessinica”, sono spesso riconoscibili le formazioni del Biancone, della Scaglia rossa e della Scaglia

variegata che permettono di dettagliare ulteriormente i luoghi di raccolta dei materiali

silicei. Nel caso specifico, trattandosi di supporti di dimensioni molto ridotte, non è stata operata tale differenziazione. Pertanto tale materia è stata definita semplicemente “alpina” (discreta qualità, color giallo miele).

Fig. 28 – La “selce lessinica” (giacimento e campione geologico)

Nel sito di Muraccio sono stati inoltre rinvenuti alcuni elementi in ossidiana, la più diretta evidenza delle operazioni di traffico e scambio a lungo raggio avvenute in epoca Neolitica.

L'ossidiana (Fig. 29) è un vetro vulcanico naturale la cui formazione è dovuta al rapido raffreddamento delle lave. All'interno dei vulcani le temperature e le pressioni sono così

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elevate da fondere i silicati dando origine alla lava. La lava a contatto con l’aria, si raffredda rapidamente dando origine all'ossidiana, non consentendo agli atomi di ordinarsi per formare un cristallo.

E’ uno dei pochi materiali usati nella preistoria che permette, attraverso analisi chimiche, la correlazione tra strumenti fatti dall’uomo e fonti naturali (Bigazzi e Radi, 1998; Radi 2000). I principali centri di estrazione delle ossidiane nel bacino del Mar Mediterraneo sono: Lipari, Pantelleria, Sardegna (Massiccio del Monte Arci).

L'ossidiana si presenta con grande varietà di colori dovuta alle impurezze presenti al suo interno e alle condizioni vulcaniche specifiche nelle quali si forma.

L'ossidiana recuperata all’interno dell’industria dei due siti in esame è di tipo riolitico, di color nero traslucido e proviene dal Monte Arci.

L’importazione dell’ossidiana sarda nel territorio in esame seguiva probabilmente rotte commerciali prestabilite. Un modello di distribuzione/scambio di questa materia prima è quello che dal Monte Arci portava l’ossidiana inizialmente nella Sardegna settentrionale, poi dall’arcipelago della Maddalena in Corsica, da qui con navigazione in mare aperto veniva introdotta nelle isole di Pianosa e dell’Elba, per poi “approdare” sulla costa toscana. Una volta giunta sulla terraferma seguiva le naturali vie di comunicazione verso il nord ed una di queste era sicuramente il corso del paleo-Serchio che collegava i siti tosco-laziali appartenenti alla Cultura della Ceramica Lineare a quelli della Pianura Padana (Dini e Tozzi, 2006).

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Fig. 30 – Aree di provenienza delle selci extra-regionali (oltre 100 Km dal sito di ritrovamento)

Il Cristallo di Rocca

Nel sito di Pian di Cerreto è stata recuperata una singolare lamella non ritoccata in Cristallo di Rocca (Fig. 31). La provenienza di tale materiale risulta indeterminabile; si tratta di un vero e proprio unicum che lascia ipotizzare un ulteriore commercio di materie prime di particolare valore provenienti da aree esterne, che probabilmente circolavano sottoforma di blocchi ben selezionati di medie/piccole dimensioni (in seguito ad un alleggerimento dal volume esterno).

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Particolare attenzione al Cristallo di Rocca è stata data per la prima volta da Barfield (Thorpe et al., 1979) in relazione al ruolo ricoperto con l’ossidiana nel panorama del commercio-scambio di materie prime scheggiabili.

Questi due materiali, infatti, hanno avuto grande fortuna nell’antichità: vere e proprie materie prime nei pressi delle fonti di approvvigionamento, allontanandosi dalle sorgenti divennero materiali ricercati e oggetto di vasto scambio (Pessina e Radi, 2006).

Il Cristallo di Rocca è la varietà più trasparente ed incolore del Quarzo, il minerale più abbondante nella crosta terrestre (circa il 12% del suo volume).

Il termine quarzo ha origini germaniche non ancora del tutto chiarite. Gli antichi greci credevano che fosse una compattazione del ghiaccio - in effetti crystrallos significa " ghiacciato" (da crio = freddo) - e ritenevano che si trattasse di ghiaccio così freddo da non poter più essere scongelato.

Fig. 31 – Campione geologico e lamella in Cristallo di Rocca proveniente dal sito di Pian di Cerreto

Una roccia morbida: la steatite

Si segnala, infine, sia a Pian di Cerreto che al Muraccio, una certa abbondanza di pezzi di steatite, non lavorati o appena sbozzati, provenienti dai vicini affioramenti di tale roccia localizzati nei pressi di Sasso Cinturino e Piazza al Serchio. Si tratta di una roccia tenera, facilmente lavorabile e ampiamente impiegata nell’antichità per la fabbricazione di oggetti d’arte mobiliare e ornamenti. Per la trattazione specifica di questo argomento ————————————————————————————————————

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4.5 L’ANALISI DELLA MATERIA PRIMA

4.5.1 Pian di Cerreto

Lo studio delle materie prime (Fig. 32) impiegate per la produzione di manufatti e strumenti ha evidenziato il prevalente utilizzo di litotipi silicei affioranti nel raggio di pochi chilometri dal sito (materie prime locali: Classi A e C) con una percentuale del 99,18%; sono tuttavia presenti, seppur in modestissime proporzioni, altre classi litologiche: tra le materie prime circumlocali (0,13%) la “selce nera” proveniente dalle Arenarie di Monte Cervarola (D) e quella appartenente alla formazione pleistocenica pedeappenninica delle “Sabbie Gialle” (E), mentre tra le materie prime extra-regionali (0,13%) si trova la “selce alpina” appartenente alle formazioni carbonatiche giurassico-cretaciche della Piattaforma Veneta (F).

Lo sfruttamento di materie prime non locali è estremamente limitata e dimostrata dalle scarse percentuali.

Infine è da segnalare il ritrovamento di 9 manufatti in materia prima indeterminabile, uno dei quali in Cristallo di Rocca, la cui provenienza è ancora sconosciuta.

0,13% 0,13% 0,57% 99,17% Locali Circumlocali Extra-regionali Indeterminabili

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Su 1584 reperti, quelli in selce locale sono 1571 (Fig. 33): tra questi la maggior parte appartiene al tipo A3 (896 pezzi – 57,03%); 234 sono riferibili al tipo A1 (14,89%); 313 al tipo A2 (19,92%); 94 al tipo A4 (5,98%); mentre 34 pezzi sono riferibili alla Classe C (2,16%), 29 dei quali sono calcari silicizzati e 5 sono Diaspri.

19,92% 57,04% 2,16% 5,98% 14,89% A1 A2 A3 A4 C

Fig. 33 - Presenza delle materie prime locali a Pian di Cerreto suddivise per tipi

Analizzando l’industria dal punto di vista tecnologico, si può inoltre affermare che non è stata fatta alcuna scelta particolare nel modificare la materia prima locale per la produzione di strumenti ma è evidente una maggior selezione del litotipo A3 al momento della raccolta (Fig. 34).

2,06% 6,03% 56,75% 20,52% 14,65% 2,69% 5,77% 58,46% 16,92% 16,15% C A4 A3 A2 A1 Ritoccati

Prodotti della scheggiatura

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4.5.2 Muraccio

Anche lo studio dei materiali utilizzati nell’industria di Muraccio ha evidenziato il prevalente utilizzo di materie prime locali (Classi A e C) con una percentuale del 94,89%; sono tuttavia presenti, seppur in modestissime proporzioni, tra le materie prime circumlocali (1,25%), la “selce nera” proveniente dalle Arenarie di Monte Cervarola (D) e quella appartenente alla formazione pleistocenica pedeappenninica delle “Sabbie Gialle”(E), mentre tra le materie prime extra-regionali (2,5%) si trova l’ossidiana proveniente dai giacimenti del Monte Arci in Sardegna (O). Solo 2 pezzi risultano indeterminabili (0,23%).

Anche in questo caso lo sfruttamento di materie prime non locali risulta occasionale ma non irrilevante, poiché consente di ipotizzare trasferimenti a lunga distanza dei gruppi umani neolitici che vivevano nella zona (Fig. 35).

1,25% 2,50% 0,23% 94,89% Locali Circumlocali Extra-regionali Indeterminabili

Fig. 35 - Presenza delle materie prime a Muraccio

Su 881 reperti, quelli in selce locale sono 846 (Fig. 36): tra questi la maggior parte appartiene al tipo A1 (443 pezzi – 52,36%); 123 sono riferibili al tipo A2 (14,54%); 253 al tipo A3 (29,91%); 11 al tipo A4 (1,30%); mentre 16 pezzi sono riferibili alla Classe C (1,89%), 11 dei quali sono calcari silicizzati e 5 sono Diaspri.

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14,54% 29,91% 1,30% 1,89% 52,36% A1 A2 A3 A4 C

Fig. 36 - Presenza delle materie prime locali a Muraccio suddivise per tipi

Anche per quanto riguarda questo sito si può notare come non sia stata fatta alcuna selezione particolare, tra della materia prima locale a disposizione, per la produzione degli strumenti o dei manufatti non ritoccati (Fig. 37).

1,96% 1,40% 30,86% 15,29% 50,49% 1,50% 0,75% 24,81% 10,53% 62,41% C A4 A3 A2 A1 Ritoccati

Prodotti della scheggiatura

Fig. 37 - Presenza delle materie prime in ritoccati e prodotti di scheggiatura

Figura

Fig 24 - Successioni stratigrafiche dei nuclei apuano e toscano dalla carta geologica IGM 1:100.000,        foglio 96 Massa
Fig. 26 – I ciottoli silicei dei depositi marini di età pleistocenica (campioni geologici e riproduzioni      sperimentali)
Fig. 27 – Aree di provenienza delle selci circumlocali (min 20 – max 100 Km dal sito di ritrovamento)
Fig. 28 – La “selce lessinica” (giacimento e campione geologico)
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Riferimenti

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