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CAPITOLO 3: GLI INDICATORI DI SINTESI ECONOMICO- FINANZIARIA

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3:

GLI INDICATORI DI SINTESI ECONOMICO- FINANZIARIA

L’utilizzo degli indicatori è parte integrante dell’analisi di bilancio, si accompagna alla lettura degli schemi, con lo scopo di:

- Creare relazioni tra valori appartenenti alla stessa sezione di un prospetto (analisi di liquidità);

- Creare relazioni tra valori appartenenti alla stessa sezione di un prospetto ( indici di incidenza percentuale, costruiti sia sullo stato patrimoniale che sul conto economico);

- Creare relazioni tra valori appartenenti a prospetti diversi (indici di redditività, rotazione, durata);

- Creare relazioni tra valori di bilancio e valori esterni al bilancio (indicatori di efficienza del personale);

- Creare relazioni tra bilanci di esercizi diversi (indicatori di trend).

Per fare una diagnosi completa dello stato di crisi di un’azienda si integrano gli indicatori già presentati con indici di:

- Redditività; - Rotazione/ durata; - Efficienza del personale. 3.1. INDICI DI REDDITIVITÁ

Gli indici di bilancio investigano diversi aspetti della gestione, quelli di redditività si occupano di valutare la capacità dell’impresa di produrre risultati economici soddisfacenti. Si andrà a valutare il reddito d’esercizio di un’impresa non solo nella sua dimensione assoluta, ma anche in quella relativa, cioè in rapporto al capitale che lo ha generato o a quella parte del capitale che è stato apportato dai proprietari.

Gli indicatori di redditività sono costruiti ponendo al numeratore un flusso di reddito e al denominatore un valore stock, espressione di capitale utilizzato per generazione del reddito. I due maggiori indicatori sono il ROE e il ROI.

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Il ROE (Return on Equity) esprime la redditività del capitale netto:

ROE = Reddito Netto Patrimonio Netto

Si tratta di un indicatore utilizzato prevalentemente da investitori di capitale di rischio attuali o potenziali, per valutare la convenienza dell’investimento in azienda rispetto a ipotesi di investimento alternative. Il ROE fornisce una prima indicazione del tasso di sviluppo sostenibile, cioè dell’incremento degli investimenti che si ottiene, se non si distribuiscono utili, senza aumentare il saggio d’indebitamento.

Per la determinazione del reddito netto non ci sono particolari difficoltà, è quello che risulta dal conto economico. Per quanto riguarda il patrimonio netto, posto al denominatore, sono possibili due opzioni: utilizzare il dato di fine esercizio, come compare nello stato patrimoniale finanziario, oppure utilizzare un valore medio del patrimonio netto, calcolato come media tra il patrimonio netto iniziale e il patrimonio netto di fine esercizio. La seconda opzione dà risultati più significativi, in quanto il reddito netto è frutto della variazione del patrimonio netto durante l’esercizio. La prima opzione è più semplicistica ma generalmente accettabile.

Il termine di riferimento per la valutazione della redditività del patrimonio netto può essere determinato, dal punto di vista di un generico investitore, ponendo in esame:

− Il rendimento degli investimenti alternativi a grado di rischio nullo;

− Il compenso per i rischi economici e finanziari dell’investimento aziendale;

− Il compenso per le difficoltà di smobilizzo.

Il rendimento degli investimenti alternativi a grado di rischio nullo serve per capire quanto avrebbe reso il capitale che costituisce il patrimonio netto se fosse stato investito in un’attività priva di rischio. Di solito si utilizza il rendimento dei titoli di stato. Se la redditività del patrimonio netto uguagliasse o fosse addirittura inferiore a quella degli investimenti privi di rischio, il risultato non potrebbe essere soddisfacente, dato che l’investimento in azienda comporta sicuramente rischi maggiori.

I rischi che corre chi partecipa al capitale aziendale sono di due ordini: il rischio di non ricevere alcuna remunerazione, o di riceverne una insoddisfacente.

Ci sono infine da considerare le maggiori difficoltà di smobilizzo di una partecipazione al capitale di un’azienda, rispetto all’investimento in titoli di stato: partecipando al

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capitale di un’azienda non quotata in borsa si effettua un investimento dalla scadenza indefinita che non dà diritto ad alcun rimborso, se non nell’ipotesi di liquidazione, dopo aver soddisfatto tutti gli altri creditori sociali.

Il ROI (Return on Investiments) si concentra sulla redditività caratteristica:

ROI = Risultato Operativo Caratteristico Capitale Investito Caratteristico

Il ROI è un indice di quanto l’azienda è in grado di mettere a frutto il capitale investito per produrre reddito operativo, fornisce una misura dell’economicità della gestione indipendentemente dalle modalità di finanziamento utilizzate, dal momento che il risultato operativo prescinde dagli oneri finanziari e dal contributo delle altre aree di gestione. In linea di principio, non dovrebbe essere inferiore al costo medio del denaro, in caso contrario la redditività non riuscirebbe a coprire neanche gli interessi passivi a fronte di eventuali affidamenti.

L’interpretazione dei ROI è legata a comparazioni spaziali, con benchmark di mercato (per misurare il differenziale di redditività rispetto ai concorrenti), e temporali, per individuare il trend della redditività caratteristica.

Il ROI può essere scomposto in altri due indicatori che permettono di evidenziare delle leve di manovra da utilizzare per migliorare o consolidare la redditività caratteristica:

- Il ROS (Return on Sales): Risultato Operativo / Ricavi di vendita; - Il turnover degli investimenti: Ricavi di vendita / Capitale investito.

ROI = Risultato Operativo x Ricavi di Vendita Ricavi di Vendita Capitale Investito

Il ROS sintetizza le condizioni di efficienza sia interna che di mercato, essendo influenzato sia dalla struttura dei costi aziendali, sia dai prezzi di mercato. Un’alta redditività delle vendite evidenzia la capacità di praticare prezzi molto più elevati dei costi sostenuti; ciò può dipendere dal potere di mercato dell’impresa (capacità di imporre elevati prezzi di vendita) e/o dalla capacità di contenere la struttura dei costi, grazie ad una gestione efficiente delle risorse. Il ROS è influenzato dalla politica degli investimenti e dalla politica contabile degli ammortamenti. È un indice particolarmente utilizzato nelle analisi interne, dal momento che consente di comparare la redditività

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delle diverse linee di prodotto, al fine di individuare eventuali misure correttive capaci di migliorare la redditività complessiva, maggiore è il rapporto, migliore è la situazione in termini di redditività. Eventuali valori guida dipendono fortemente dal settore, in linea di massima vengono utilizzati i seguenti valori di riferimento.

Valori guida: < 8 % Prodotto con scarso valore aggiunto, elevata concorrenza

8 % - 12 % Risultato soddisfacente

12 % - 15 % Risultato Positivo

> 15% Azienda con formula imprenditoriale vincente Il turnover degli investimenti consente di valutare l’efficienza del capitale investito, dal momento che esprime la capacità del capitale investito di produrre ricavi (indica il numero di volte che il capitale investito si rinnova per effetto delle vendite). Questo è uno dei principali indici per valutare il grado di solvibilità e la rischiosità finanziaria di un’azienda. Infatti, a parità di fatturato, più elevato è il capitale investito, maggiore sarà il livello di indebitamento. Il suo miglioramento si collega quindi con aumenti del volume di attività (crescita dei ricavi) da realizzare tenendo sotto controllo la crescita del capitale investito, soprattutto nella parte corrente di crediti e magazzino.

Valori ottimali: > 1,2 Per le imprese industriali

> 2,0 Per le imprese commerciali Si è visto come il ROI metta a confronto il reddito operativo con il capitale investito. Ma quale capitale? Se il reddito operativo viene rapportato al totale delle attività a bilancio, avremo una particolare figura di ROI che viene denominata ROA (Return on Assets):

ROA = Risultato Operativo Totale Attivo

L’indice di redditività dell’attivo netto esprime il rendimento di tutte le attività impiegate nella gestione caratteristica e nella gestione accessoria patrimoniale, prescindendo dalle modalità e dai costi del finanziamento, nonché dai fattori straordinari e dall’imposizione fiscale.

Il reddito operativo posto al numeratore viene determinato attraverso la riclassificazione del conto economico a ricavi e costo del venduto. Esso costituisce il risultato economico

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che deriva dalle diverse forme d’impiego del capitale, sia nella gestione caratteristica che in gestioni complementari, al lordo delle componenti reddituali extra- operative (interessi passivi, proventi e oneri straordinari,imposte).

L’attivo netto, posto al denominatore, viene determinato attraverso la riclassificazione finanziaria dello Stato Patrimoniale e rappresenta il totale delle risorse finanziarie impiegate nella gestione.

Nella valutazione della redditività dell’attivo netto possono essere impiegate due diverse chiavi di lettura:

- Per indagare gli aspetti di ordine economico si utilizzano come termini di riferimento i valori che lo stesso indice assume con riferimento alla concorrenza più significativa;

- Per indagare gli aspetti di carattere finanziario si utilizza come termine di riferimento il costo medio dei mezzi di terzi.

Il confronto con il valore assunto dallo stesso indice della concorrenza più significativa serve a confrontare il successo delle politiche gestionali dell’impresa per ciò che concerne l’area operativa. Il confronto a livello di redditività dell’attivo netto risulta più rilevante di quanto non lo sarebbe in termini di redditività del patrimonio netto, dato che la redditività dell’attivo netto risente solo della capacità di far fruttare le risorse impiegate nella gestione operativa, e prescinde dalla diversa natura delle fonti di finanziamento, dall’esistenza di componenti di reddito di natura straordinaria e dal diverso peso dell’imposizione fiscale che ne consegue.

Nel caso in cui il capitale investito venga intesto come “il totale delle fonti finanziarie che si aspettano di essere remunerate dalle gestione caratteristica”, si ottiene una particolare figura di ROI denominata RONA (Return On Net Assets):

RONA = Risultato Operativo

Debiti finanziari netti + Mezzi propri

Più correttamente il RONA può essere calcolato utilizzando il modello si Stato Patrimoniale riclassificato secondo il criterio funzionale, utilizzando al denominatore il capitale investito operativo netto:

RONA = Risultato Operativo

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Oltre ai due indici sopra esposti, ne esistono altri:

− Il Costo medio delle fonti di Finanziamento (ROD);

− Il Margine Operativo Lordo (MOL, EBITDA).

Il ROD (Return on Debts) rappresenta il costo medio delle fonti di finanziamento, calcolato in base al rapporto tra gli oneri finanziari ed i mezzi di terzi (onerosi e non onerosi):

ROD = Oneri finanziari Mezzi di terzi

Per quanto riguarda i mezzi di terzi la formula prende in considerazione:

− I mezzi a titolo oneroso (debiti finanziari): aperture di credito, obbligazioni, mutui ecc.

− I mezzi non onerosi (es. debiti verso fornitori)

− I mezzi implicitamente onerosi (es. rivalutazione TFR)

Nel caso in cui vengano considerati i soli debiti finanziari (debiti a titolo oneroso) la formula diventa:

Onerosità dei debiti finanziari = Oneri finanziari Debiti Finanziari Medi

Il Margine Operativo Lordo è sicuramente l’indice di redditività più significativo1. In questa prospettiva risulta particolarmente interessante l’indice:

Margine Operativo Lordo Vendite

In linea di principio si hanno dei valori di riferimento:

Valori guida: < 10 % Prodotto a scarso valore aggiunto, tecnologie mature, elevata concorrenza 10 % - 15 % Risultato soddisfacente

15 % - 20 % Risultato positivo

1

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> 20 % Azienda con formula imprenditoriale vincente (per tecnologia, qualità, servizi) 3.2. INDICI DI ROTAZIONE/ DURATA

Gli indici di rotazione servono per valutare il grado di efficienza di un investimento (o di una fonte di finanziamento) coinvolto nell’attività caratteristica: si costruiscono ponendo al numeratore i ricavi di vendita e al denominatore il valore stock dell’investimento: tanto più elevato è il valore dell’indice di rotazione, tanto maggiore è la velocità con cui l’investimento si tramuta in denaro passando attraverso i ricavi di vendita.

I più utilizzati sono: l’indice di rotazione dell’attivo corrente e l’indice di rotazione del magazzino. Il primo consente di mettere a fuoco la capacità dell’azienda di far girare quegli investimenti che sono destinati a rimanere nell’attivo per un breve periodo, mentre il secondo dà informazioni sulla capacità dell’azienda di trasformare velocemente i fattori produttivi e vendere i prodotti finiti.

Indice di rotazione dell’attivo corrente = Ricavi netti di vendita Attivo corrente

Indice di rotazione del magazzino = Costo del venduto Rimanenze medie

In generale, l’inverso degli indici di rotazione fornisce una stima, espressa in giorni, della durata degli investimenti. Di seguito riportiamo alcuni esempi di indici di durata:

Indice di durata dei crediti commerciali = Crediti commerciali × 360 Ricavi di vendita + IVA

Indice di durata del magazzino materie prime = Rimanenze materie prime × 360 Consumo Materie

Indice di durata del magazzino prodotti finiti = Rimanenze prodotti finiti × 360 Costo del venduto

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Indice di durata dei debiti commerciali = Debiti commerciali × 360 Acquisti + IVA

Questi indici si correlano positivamente alla velocità nell’impiego delle attività, quindi direttamente alla rotazione ed inversamente alla durata perché si desidera velocizzare il ritorno degli investimenti in forma liquida. Esistono, tuttavia, limiti alla rotazione che sono fisiologici rispetto alla specifica impresa: sono i limiti legati alla dotazione ottimale delle diverse condizioni produttive, per cui la riduzione della dotazione al di sotto di tali valori (ad esempio le scorte funzionali), riduce l’economicità della gestione (a causa di: sottoassortimento del magazzino, vendite a prezzi ridotti, perdite di clienti ecc.)

Gli indicatori di durata possono essere opportunamente combinati per ottenere una stima della durata del ciclo monetario, questo indica il periodo di tempo che intercorre tra il pagamento dei fornitori e l’incasso del corrispettivo per la vendita dei prodotti finiti (Tavola 1).

TAVOLA 1: LA DURATA DEL CICLO MONETARIO E I FATTORI CHE LA INFLUENZANO

Acquisto delle materie Pagamento a fornitori Inizio processo produttivo

Fine processo produttivo Vendita prodotti finiti

Incasso da clienti

Tempo

La durata del ciclo monetario può essere stimata con la seguente formula: Durata magazzino materie

+ Durata ciclo produttivo + Durata magazzino prodotti + Durata crediti commerciali

- Durata debiti commerciali

Durata delle scorte di materie

Durata del processo produttivo Durata delle scorte

di prodotti finiti Durata dei crediti

Durata dei debiti

Durata del ciclo monetario

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Durata ciclo monetario

3.3. INDICATORI DI EFFICIENZA DEL PERSONALE

Il quadro degli indicatori di efficienza del fattore lavoro permette di correlare l’andamento del volume di attività aziendale, espresso dai ricavi di vendita, con l’utilizzo del fattore umano. I quozienti presi in considerazione sono due: i ricavi pro- capite ed il costo pro- capite.

Ricavi pro- capite = Ricavi di vendita Unità lavorative annue

Costo pro- capite = Costo del personale Unità lavorative annue

Il primo indicatore esprime il volume di attività creato da ogni unità lavorativa presente in azienda, la crescita del quoziente è da interpretare come un guadagno in termini di efficienza e produttività.

Il costo pro- capite, invece, indica il costo mediamente sostenuto dall’azienda per ogni unità lavorativa, quindi l’efficienza aziendale va ricercata nella riduzione del quoziente. Il numero di unità lavorative annue dovrebbe esprimere il numero medio di lavoratori a qualunque titolo impiegati in azienda, mentre il costo del lavoro dovrebbe rappresentare l’onere complessivamente sostenuto dall’azienda per l’approvvigionamento di risorse umane.

3.4. PARAMETRI DI BENCHMARK PER L’ANALISI DI BILANCIO

L’interpretazione dei prospetti e degli indicatori presuppone un confronto diretto a capire se, rispetto ad un dato fenomeno gestionale, sono in atto dei trend di miglioramento, o se al contrario la situazione tende a peggiorare. Per alcuni indicatori, come ad esempio quelli di redditività, non esiste una relazione matematica che lega l’interpretazione positiva o negativa al valore assoluto dell’indicatore, l’unica possibilità per l’analista di definire un giudizio si ricollega al confronto dei valori nel tempo e nello spazio.

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La comparazione temporale è quella più semplice da realizzare, si basa sul confronto dei valori di un bilancio con i bilanci di esercizi precedenti della stessa azienda. Questa analisi riesce bene ad evidenziare i trend di miglioramento o peggioramento, ma ovviamente non riesce a cogliere la bontà della performance aziendale in relazione alla situazione del contesto competitivo in cui opera.

L’analisi spaziale invece dovrebbe consentire di valutare il trend aziendale alla luce dei movimenti in atto nell’arena competitiva o, più in generale, nel contesto macro-economico nazionale o internazionale. L’analisi di bilancio, in questo caso, acquisisce una significatività relativa: una situazione apparentemente positiva potrebbe essere valutata come negativa se il settore, o più in generale il benchmark, ha registrato risultati significativamente migliori o viceversa.

La comparazione spaziale presenta una serie di problemi legati a: - Reperimento dei dati per il confronto;

- Attendibilità dei dati e delle informazioni raccolte; - Scarsa flessibilità di utilizzo;

- Omogeneità;

- Metodologie matematico- statistiche di manipolazione dei dati esterni.

I problemi di attendibilità si riferiscono al rischio che i dati esterni siano influenzati da politiche di bilancio allo scopo di presentare una situazione migliore di quella che è. La scarsa flessibilità è collegata all’impossibilità di riclassificare i dati esterni con criteri alternativi rispetto a quelli con cui sono originariamente presentati. La disomogeneità tra dati interni ed esterni può riferirsi: o a scelte differenti nell’applicazione dei principi contabili, o a norme di legge o principi contabili o valute di riferimento diverse, o ancora a modalità diverse di presentazione delle informazioni.

Le metodologie matematico- statistiche di elaborazione dei dati esterni possono rappresentare un problema nei casi in cui i dati aziendali siano comparati con valori medi di settore o con dati aggregati. In questi casi è opportuno omogeneizzare i dati interni con quelli esterni, e interpretare le informazioni in maniera corretta rispetto ai procedimenti matematici utilizzati.

La comparazione spaziale può essere realizzata utilizzando differenti tipologie di parametri di riferimento:

- Aziende concorrenti o best practices; - Valori medi;

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Confronto con concorrenti diretti o best practices

Per fare il confronto con aziende concorrenti occorre recuperarne i bilanci di almeno tre esercizi gestionali e rielaborarli per renderli omogenei con quelli aziendali. A questo punto si può procedere con la comparazione che di solito viene effettuata utilizzando valori percentuali, perché le aziende, pur operando nello stesso settore potrebbero gestire volumi di attività completamente diversi, di conseguenza i valori assoluti delle due aziende non sarebbero significativi.

La finalità conoscitiva di quest’analisi è principalmente orientata alla ricerca di fattori che consentono al nostro benchmark di ottenere eventuali efficienze sconosciute alla nostra azienda, quindi il confronto si concentra sul peso dei costi operativi e finanziari in rapporto ai ricavi, e alle strutture di impieghi e fonti, pertanto i valori relativi sono più idonei a rappresentare la composizione del bilancio rispetto ai valori assoluti.

I bilanci delle aziende benchmark, nel caso in cui queste siano quotate, sono reperibili utilizzando il canale internet, se, invece, non sono quotate sarà possibile trovarli presso le camere di commercio.

La principale difficoltà riguarda la scelta del benchmark. Le aziende confrontate dovrebbero essere il più possibile simili: dovrebbero operare principalmente nello stesso settore, dovrebbero avere il medesimo livello di integrazione verticale e strutture produttive paragonabili.

Confronto con valori medi di settore

I valori medi di settore permettono di delineare il profilo di una determinata arena competitiva, il confronto può essere realizzato sia con i bilanci che con i indicatori medi di settore.

Il metodo utilizzato è determinante per evitare problemi di attendibilità e per una corretta interpretazione dei valori: i valori medi possono essere condizionati dal peso delle aziende di maggiori dimensioni, in questo caso senza indicazioni sulla variabilità dei dati rispetto ai valori medi non è possibile tracciare il profilo dell’azienda- tipo del settore.

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Per quanto riguarda i canali di reperimento delle informazioni bisogna tener presente che i valori medi richiedono un processi più o meno complessi di raccolta, classificazione ed elaborazione dei dati, quindi in genere questo tipo di rapporti viene offerto a pagamento.

Confronto con dati aggregati

Un’ ulteriore tipologia di dati esterni è rappresentata dai bilanci aggregati. Si tratta di prospetti di bilancio costruiti sommando le poste di bilancio di una serie di aziende selezionate secondo un criterio di appartenenza ad un settore piuttosto che ad una nazione.

Possono essere individuate delle informazioni utili per valutare lo sviluppo degli investimenti e delle attività di ricerca nei diversi settori, cosi come indicatori di redditività e di liquidità/indebitamento, ad esempio: tasso medio di investimento tecnico, valore aggiunto e costo del lavoro per dipendente, spese di ricerca e sviluppo in % sul fatturato, indicatori di redditività, indicatori di indebitamento.

Rispetto ai dati medi, i dati aggregati possono essere molto utili per calcolare il grado di “occupazione degli spazi” all’interno del segmento di aziende selezionate: per esempio il rapporto tra il fatturato di un’azienda ed il fatturato aggregato di settore indicherà la quota di mercato posseduta.

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