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Il particolato atmosferico

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Il particolato atmosferico

Introduzione

Con il termine materiale particolato (particulate matter, PM) si fa riferimento all’insieme di particelle presenti in atmosfera con un diametro compreso tra pochi nanometri (nm) e qualche decina di micrometri (µm). Il materiale particolato, considerato nel suo complesso, è un inquinante, ma ormai non viene più misurato come polvere sospesa totale; attualmente la normativa italiana prevede che sia rilevato il PM10, da essa stessa definito come “la frazione di

materiale particolato sospeso in aria ambiente che passa attraverso un sistema di separazione in grado di selezionare il materiale particolato di diametro aerodinamico di 10 µm con una efficienza di campionamento pari al 50%” (Decreto Ministeriale 2 aprile 2002, n. 60).

Tabella 1: Alcuni termini per indicare il PM (modificato da Seinfeld, 1999 e Manahan, 2000)

Termine Da (µm) Significato

Aerosol piccole particelle disperse in gas

Caligine Soot particelle di carbonio con "tar", formatesi in combustioni incomplete Foschia Haze < 1 aerosol di gocce d'acqua, inquinanti e polvere che riduce la visibilità. Fumi Fume < 1 formato da particelle solide generate per condensazione di vapori o gas prodotti da reazioni (Aerosol condensato) Fumo Smoke ≥ 0.01 piccole particelle derivanti da combustione incompleta. Componente prevalente: carbonio. Nebbia Fog termine generico per aerosol con fase dispersa liquida Nebbia Mist > 1 particelle liquide di acqua sospese, con gocce trasparenti che cadono Particella Particle costituita da una fase solida o liquida o da entrambi - si comporta come una singola unità. Polvere Dust > 1 sospensione di particelle solide prodotte per disintegraziondi materiale crostale (Aerosol disperso) Smog Smog "Smoke + Fog". Nella sua accezione primaria indicata elevata contaminazione da particolato

Alcuni termini che frequentemente vengono adoperati per definire il particolato sono aerosol, cioè gas nel quale sono sospese una fase liquida ed una solida,

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aerosol particles, cioè le particelle solide e liquide di un aerosol, anche indicate,

appunto, come airborne particulate matter (materiale particolato aerodisperso) o, semplicemente particulate matter. Importanti per un gran numero di motivi, sono quei termini che indicano solamente una parte del totale delle particelle aerodisperse; in generale, con PMx si indica quella particolare frazione di

materiale particolato con diametro aerodinamico medio inferiore a x µm.

Le particelle presenti in atmosfera non sono perfettamente sferiche, ma hanno in genere forme irregolari, e sono quindi descritte dal diametro aerodinamico (Da), che

è il diametro di una particella sferica avente lo stesso tempo di sedimentazione della particella considerata, ovvero la stessa velocità di caduta libera. Più avanti nel testo ci sono maggiori dettegli sul Da.

Il materiale particolato aerodisperso rappresenta una complessa miscela di sostanze organiche ed inorganiche. I dati di concentrazione e composizione vengono sempre più spesso riportati distinguendo tra due principali gruppi: particelle grossolane (coarse particles) e particelle fini (fine particles). Il diametro aerodinamico considerato come limite a dividere queste due frazioni di particelle è di 2,5 µm. Il PM2,5 è quindi inteso come la frazione fine del particolato, mentre

tutto il resto è la frazione grossolana.

Le particelle più piccole contengono anche aerosol di formazione secondaria (conversione gas-particella), particelle da combustione e vapori di metalli e organici ricondensati. Le particelle grossolane contengono solitamente materiale della crosta terrestre e polveri emesse da industrie e/o strade. La frazione fine è responsabile della maggior parte dell’acidità (ione idrogeno) e dell’attività mutagena del particolato, sebbene anche alcune gocce acide grossolane siano presenti nella nebbia (WHO, 2003).

Per quanto riguarda il PM2,5, mentre la maggior parte della massa è solitamente

rappresentata dalla porzione fine (particelle tra 100 nm e 2,5 µm), il più grande numero di particelle si trova per dimensioni molto piccole, minori di 100 nm. Accade così che queste ultime particelle, cosiddette ultrafini (ultrafine particles), spesso contribuiscano solo per pochi punti percentuali alla massa, ma allo stesso tempo spieghino più del 90% del numero.

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Il particolato, come inquinante dell’aria, è una miscela di particelle eterogenee sospese, solide, liquide o di entrambe le fasi. E’ conveniente classificarle per mezzo del loro diametro aerodinamico perché questa è una proprietà che:

a) governa il trasporto e la rimozione delle particelle dall’aria; b) governa anche la loro deposizione nel sistema respiratorio;

c) è associata con la loro composizione chimica e la loro possibile sorgente. Pertanto, le particelle sono campionate e descritte sulla base del loro diametro aerodinamico.

La dimensione delle particelle sospese in atmosfera varia su cinque ordini di grandezza, da pochi nanometri a decine di micrometri. Le più grandi, frazione grossolane (coarse), sono prodotte meccanicamente dalla rottura di particelle solide più grandi. Queste possono includere polveri sollevate dal vento durante lavorazioni agricole o operazioni in miniere, originatesi da suoli con scarsa vegetazione o da strade sterrate. Nelle aree vicine alla costa, può produrle l’evaporazione di spray marino. Anche grani di polline, spore di fungi e parti di piante o insetti possono ricadere in questo range di dimensioni. La quantità di energia richiesta per rompere queste particelle in altre più piccole è inversamente proporzionale alle nuove dimensioni raggiunte, e questo costituisce in effetti un limite inferiore alla produzione di queste particelle grossolane intorno ad 1 µm. Le particelle più piccole, frazione fine (fine), sono prodotte soprattutto da gas. Le particelle ancora più piccole, minori di 0,1 µm (100 nm), sono formate dalla nucleazione, ovvero dalla condensazione di sostanze con bassa pressione di vapore originatesi da vaporizzazione ad alta temperatura o da reazioni chimiche in atmosfera che danno vita a nuove particelle (nuclei). Quattro principali classi di sorgenti con pressioni di equilibrio abbastanza basse da formare la porzione

nuclei delle particelle possono produrre materiale particolato:

(a) metalli pesanti (vaporizzati durante la combustione);

(b) carbonio elementare (da corte molecole di C generate dalla combustione); (c) carbonio organico;

(d) solfati e nitrati.

Le particelle che appartengono a questo range di nucleazione crescono per coagulazione, ovvero per combinazione di due o più particelle a formarne una

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più grande, oppure per condensazione, intesa come condensazione di gas o vapori sulla superficie di un nucleo esistente. La coagulazione è estremamente efficiente per grandi numeri di particelle, mentre la condensazione lo è soprattutto per grandi aree superficiali. Pertanto, l’efficienza sia della coagulazione che della condensazione decresce quando aumenta la dimensione delle particelle, e questo costituisce in effetti un limite superiore tale che le particelle non crescano per questi processi al di là di circa 1 µm. Quindi, le particelle tendono ad accumularsi tra 0,1 µm e 1 µm, nel cosiddetto range di accumulazione (WHO, 2003).

Le particelle di dimensioni sub-micrometriche possono essere prodotte per condensazione di metalli e composti organici che si sono vaporizzati in processi di combustione ad alta temperatura; possono anche essere prodotte per condensazione di gas che sono stati convertiti in reazioni atmosferiche a sostanze con bassa pressione di vapore. Ad esempio, il biossido di zolfo (SO2) è ossidato in

atmosfera a formare acido solforico (H2SO4), il quale può essere neutralizzato da

NH3 in solfato d’ammonio, (NH4)2SO4. Il biossido d’azoto è invece ossidato ad

acido nitrico (HNO3), il quale a sua volta reagisce con ammoniaca a formare

nitrato d’ammonio (NH4NO3). Le particelle prodotte per mezzo di reazioni

intermedie di gas in atmosfera sono chiamate particelle secondarie. Le particelle secondarie di solfato e nitrato sono in genere componenti predominanti del particolato fine. La combustione di combustibili fossili come carbone, petrolio e benzina può produrre particelle grossolane dal rilascio di materiali non combustibili (ad esempio fly ash), particelle fini dalla condensazione del materiale vaporizzato durante la combustione e particelle secondarie attraverso le reazioni atmosferiche degli ossidi di zolfo e azoto inizialmente rilasciati come gas.

E’ stato recentemente compilato un esauriente resoconto del fenomeno PM in Europa (Putaud J-P. et al., 2004). Solfati e materia organica sono i due maggiori contribuenti alle concentrazioni medie annue di PM10 e PM2,5 (in massa), eccetto

che in siti a bordo strada (kerbside sites), dove anche la polvere minerale (compresi elementi in tracce) è un contribuente principale al PM10. Nei giorni in

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principali di PM10 e PM2,5. Il carbonio nero (black carbon) contribuisce al 5% - 10%

al PM2,5 e piuttosto meno al PM10 ad ogni sito, compresi quelli di fondo naturale

(natural background); il suo contributo aumenta al 15% - 20% in alcuni siti a bordo strada.

A causa della sua complessità e dell’importanza della sua dimensione nella determinazione dell’esposizione e della dose umana, numerosi termini sono utilizzati per descrivere il materiale particolato. Alcuni sono derivati da e definiti in metodi di campionamento o analisi (materiale particolato sospeso, particolati totali sospesi, nero fumo). Altri si riferiscono più alla zona di deposizione nel tratto respiratorio: particelle inalabili (le quali passano nelle vie respiratorie superiori, ovvero naso e bocca), particelle toraciche (le quali si depositano nel tratto respiratorio più basso) e particelle respirabili (che penetrano nella regione di scambio dei gas all’interno dei polmoni). Un termine come PM10 a

connotazioni sia fisiologiche che tecniche (WHO, 2003).

Ai livelli tipici degli ambienti fortemente antropizzati, il particolato desta forte preoccupazione a causa dei suoi chiari effetti negativi sulla salute dell’uomo; l’Organizzazione Mondiale della Salute (World Health Organization, WHO) sottolinea come “…il materiale particolato ha influenza sulla popolazione in modo continuativo più di ogni altro inquinante…” (WHO, 2000). Molti studi mostrano una significativa connessione diretta fra tassi di mortalità e concentrazione giornaliera di PM10, tanto che la speranza di vita in comunità

esposte ad alti livelli di particolato è notevolmente ridotta.

Diversi studi epidemiologici hanno definitivamente provato la relazione tra la concentrazione di particelle fini aerodisperse ed importanti indici di salute (Boezen et al., 1999; Tiittanen et al., 1999; Pekkanen et al., 1997; Schwartz et al., 1996). Da queste indagini risulta certo che sia la natura fisica, sia quella chimica delle particelle inalate sono implicate negli effetti di tossicità, genotossicità e cancerogenità.

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Fisica e chimica del materiale particolato

Le particelle atmosferiche hanno origine da una grande varietà di sorgenti e posseggono proprietà morfologiche, chimiche, fisiche e termodinamiche ampiamente variabili. Alcuni esempi sono particelle generate dalla combustione, come fuliggine diesel e fly ash; particelle prodotte fotochimicamente, come quelle trovate nella foschia urbana; particelle di sali formate dallo spray marino; e particelle di suolo dovute alla risospensione di polvere. Alcune particelle sono liquide, alcune sono solide. Altre possono contenere un nucleo solido circondato da liquido. Le particelle atmosferiche contengono ioni inorganici, composti metallici, carbonio elementare, composti organici e materiale terrigeno. Alcune sono igroscopiche e contengono acqua di ritenzione (particle-bound water). La frazione organica è particolarmente complessa, dato che contiene centinaia di composti organici. Le particelle primarie sono emesse direttamente dalle sorgenti. Le particelle secondarie si formano in atmosfera da prodotti di reazioni chimiche tra gas emessi da sorgenti antropogeniche e naturali, come SO2, NOx e

certi composti organici. Il processo di formazione di particelle comprende la nucleazione di particelle da gas con bassa pressione di vapore emessi da sorgenti o formati in atmosfera da reazioni chimiche; condensazione di gas con bassa pressione di vapore su particelle esistenti; coagulazione di particelle. Pertanto, ogni singola particella può contenere materiale particolato proveniente da molte sorgenti.

Composizione e comportamento delle particelle aerodisperse sono collegate fondamentalmente con quelli del gas circostante. L’aerosol può essere definito come una sospensione di particelle liquide e solide in aria; il termine include quindi sia le particelle che tutti i vapori e i componenti in fase gas dell’aria. Comunque, aerosol è spesso usato in riferimento soltanto alle particelle sospese. Una completa descrizione dell’aerosol atmosferico dovrebbe tener di conto della composizione chimica, della morfologia e della dimensione di ogni particella, oltre all’abbondanza relativa per tipo di particella in funzione della dimensione (Friedlander, 1970).

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La distribuzione dimensionale per numero di particelle, da cui sono calcolate l’area superficiale e la distribuzione in volume, spesso sono determinate impiegando strumenti che sfruttano principi fisici, come mobilità elettrica o scattering della luce delle particelle sospese.

Anche la massa e la composizione chimica delle particelle raccolte, separate secondo il diametro aerodinamico da cicloni o impattatori, possono essere determinate. Comunque, i recenti sviluppi nelle tecniche di analisi della singola particella, con microscopio elettronico e analisi ai raggi X di singole particelle raccolte su un substrato o con spettrosopia di massa di particelle sospese passanti attraverso un certo volume, forniscono la composizione elementare di singole particelle per dimensione della particelle e, quindi, stanno portando verso il tipo di descrizione auspicata da Friendlander.

Definizioni del diametro della particella

Il diametro di una particella sferica può essere determinato con un microscopio ottico o elettronico, determinando la riflessione della luce (teoria Mie), sfruttando la sua mobilità elettronica o del suo comportamento aerodinamico. Le particelle presenti in atmosfera, però, non sono quasi mai perfettamente sferiche. Pertanto il loro diametro viene descritto con un diametro equivalente (ad esempio, quello di una sfera di densità unitaria che avrebbe lo stesso comportamento fisico). Il diametro aerodinamico è una importante grandezza per il trasporto delle particelle, la raccolta, la deposizione. Il diametro aerodinamico (Da) dipende

dalla densità della particella; è definito come il diametro di una particella sferica con una velocità di deposizione a quella della particella in questione, ma con una densità di 1 g/cm3. Particelle con la stessa dimensione fisica e forma, ma

differente densità avranno differente diametro aerodinamico.

Sorgenti di particolato atmosferico

Il materiale particolato ha origine da sorgenti sia naturali che antropogeniche. Le particelle grossolane (coarse particles) sono in genere il prodotto di processi meccanici, prevalentemente naturali (solo particolato primario, direttamente immesso in atmosfera). Le particelle fini (fine particles) derivano principalmente

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da processi di combustione (particolato primario) o sono prodotti di reazioni di gas in aria (particolato secondario, formatosi in atmosfera).

Le principali fonti naturali di particolato primario sono le eruzioni vulcaniche, gli incendi boschivi, l’erosione e la disgregazione delle rocce, lo spray marino, i pollini e i residui vegetali o animali.

Il particolato secondario naturale è costituito da particelle fini che si originano in seguito all’ossidazione di sostanze quali il biossido di zolfo e l’acido solfidrico emessi dai vulcani e dagli incendi, gli ossidi di azoto liberati dai terreni, i terpeni (idrocarburi) emessi dalla vegetazione.

Il particolato primario di origine antropica è invece originato dall’utilizzo dei combustibili fossili (riscaldamento domestico, centrali termoelettriche, ecc.), dagli autoveicoli (emissioni di scarico, usura di pneumatici, freni e manto stradale), da vari processi industriali (fonderie, cementifici, cave, ecc.), dalle attività agricole. Il particolato secondario antropogenico si forma invece in atmosfera per ossidazione di idrocarburi, ossidi di zolfo e di azoto emessi dalle varie attività umane (anche di terpeni emessi da discariche).

Il particolato è quindi naturalmente presente in atmosfera, ma arriva ad essere un inquinante quando la sua concentrazione, o la concentrazione di alcune particolari frazioni o composti, diventa alta in modo consistente.

La tabella 2 riassume le sorgenti naturali ed antropogeniche per i maggiori costituenti dell’aerosol primario e secondario per particelle fini e grossolane. Le sorgenti antropogeniche possono essere ulteriormente divise in stazionarie e mobili. Le stazionarie includono:

(a) combustione per produrre l’energia elettrica, riscaldamento di abitazioni, processi industriali;

(b) costruzioni e demolizioni;

(c) attività metallurgiche, minerarie e petrolchimiche; (d) trattamento di prodotti del legno;

(e) mulini e magazzini per cereali usati in agricoltura; (f) erosione di terreni arati;

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Le sorgenti mobili, o comunque collegate al trasporto, comprendono l’emissione diretta di PM primario e di precursori di PM secondario da veicoli e da sorgenti non stradali, oltre a polveri risollevate da strade pavimentate e non pavimentate. In aggiunta ai combustibili fossili, viene bruciata anche la biomassa, sottoforma di legno. La vegetazione viene bruciata per liberare nuove terre per l’agricoltura o per la costruzione di edifici, per eliminare i rifiuti agricoli o domestici, per controllare la crescita di animali o piante nocivi, per gestire le risorse forestali (incendi programmati). Nella tabella 2 sono anche riportate le possibili sorgenti dei precursori gassosi, la cui ossidazione conduce alla formazione di PM.

In generale, le sorgenti di particolato fine sono molto diverse da quelle di particolato grossolano. Un po’ della massa della frazione fine si forma durante la combustione da materiali che si sono volatilizzati in camera di combustione e poi sono ricondensati prima dell’emissione. Un po’ del PM2,5 si forma in atmosfera

per reazioni fotochimiche che coinvolgono precursori gassosi. Il PM10-2,5 è

principalmente di origine primaria, prodotto dall’abrasione delle superfici o dalla sospensione di materiale biologico.

I precursori gassosi sono sottoposti a miscelamento durante il trasporto dalle loro sorgenti, pertanto è difficile identificare una singola sorgente di costituenti secondari del particolato. Il trasporto e la trasformazione dei precursori può avvenire su distanze di centinaia di chilometri. I costituenti grossolani del PM hanno breve tempo di vita in atmosfera; per questo i loro effetti tendono ad essere localizzati.

Le sorgenti naturali di PM primario comprendono polvere sollevata da aree indisturbate, spray marino, detriti di piante ed insetti. L’ossidazione di parte dei terpeni emessi dalla vegetazione e delle specie ridotte di zolfo sprigionate da ambienti anaerobici, porta alla formazione di PM secondario.

Lo ione ammonio (NH4+), che gioca un ruolo essenziale nella regolazione del pH

delle particelle, proviene dalle emissioni di ammoniaca (NH3) in fase gas. Le

emissioni di NH3 si possono dividere in quelle da suoli indisturbati (naturali) ed

in quelle che sono collegate con le attività umane (terreni fertilizzati, rifiuti domestici e di animali allevati).

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Tabella 2: Abbondanze medie di elementi maggiori in suoli e rocce della crosta (modificato da Warneck, 1988)

Suolo e polveri risollevate

Gli elementi maggiori nella composizione sia dei suoli, sia del materiale crostale, sono Si, Al e Fe, presenti sottoforma di vari minerali; la materia organica costituisce, in media, solo una piccola percentuale dei suoli. In linea generale, il profilo di un suolo è simile a quello del materiale crostale, ad eccezione del minor contributo in elementi solubili, come Ca2+, Mg2+, Na+ e K+. Si deve

sottolineare, però, che la composizione di un suolo in un determinato sito può variare considerevolmente rispetto a quelle medie, in modo particolare per gli elementi in questione.

Emissioni di polveri risollevate originano da strade pavimentate e sterrate, da cantieri di costruzione e demolizione, da operazioni minerarie, nel maneggiare cereali e nell’aratura dei campi insieme all’erosione del vento.

Ci sono sostanziali variazioni nelle dimensioni delle particelle emesse tra le diverse sorgenti di polveri risollevate (Chow et al., 1994).

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Sorgenti stazionarie

Per le centrali elettriche alimentate a carbone, Si e Al, seguiti dai solfati, sono i maggiori costituenti di particolato primario, mentre le abbondanze relative di carbonio elementare (elementar carbon, EC) sono molto più basse, e per il carbonio organico (organic carbon, OC) sono trascurabili. I solfati sono i maggiori costituenti del particolato originato da centrali elettriche alimentate a petrolio, ma, di nuovo, non EC e OC.

L’alta temperatura di combustione raggiunta nelle centrali si riflette in una quasi completa ossidazione del carbonio nel combustibile a CO2, ed in una quantità

molto piccola di CO. Le condizione di combustione in bruciatori e fornaci più piccoli causano l’emissione di carbonio incombusto e zolfo in forme più ridotte, come tiofeni e solfuri inorganici. Durante la combustione a temperature più basse, l’emissione di forme ridotte di zolfo avviene comunque. Un gran numero di elementi in tracce sono enormemente arricchiti nei combustibili, come Se nel carbone e V, Zn, Ni nel petrolio.

Oltre che da combustibili fossili, gli elementi in tracce sono emessi come risultato di vari processi industriali, come le lavorazioni del ferro, dell’acciaio e di altri metalli.

Le emissioni da inceneritori di rifiuti sono pesantemente arricchite in Cl, proveniente soprattutto dalla combustione della plastica e di metalli che formano cloruri volatili. I metalli possono provenire da lattine o da altri oggetti metallici, e alcuni, come Zn e Cd, sono anche usati come additivi per plastiche e gomma.

Veicoli a motore

Le emissioni di particolato dagli scarichi dei veicoli sia a benzina, sia diesel sono profondamente cambiate nel corso degli ultimi venticinque anni. (Sawyer e Johnson, 1995; Cadle et al., 1999); i principali componenti del PM emessi da questi veicoli sono OC e EC. In media, l’abbondanza di EC è maggiore per i veicoli diesel, mentre OC è la specie dominante nei fumi di scarico dei veicoli a benzina. Come carbonio totale (total carbon, TC), è più grande l’emissione da veicoli diesel di uno o due ordini di grandezza.

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La maggior parte del PM emesso dai veicoli a motore è nel range compreso al di sotto 2,5 µm.

Combustione della biomassa

A differenza delle sorgenti mobili e stazionarie, le emissioni per combustione della biomassa in stufe a legno ed in incendi di foreste sono strettamente stagionali e molto episodiche. Il consumo di legna è concentrato principalmente nei mesi invernali, ed è riconosciuto essere la maggior sorgente di PM in aria ambiente nel nord-ovest degli Stati Uniti durante la stagione fredda. Gli incendi alle foreste avvengono prevalentemente durante la stagione secca, specialmente nei periodi di prolungata siccità.

Le particelle fini sono dominanti nei fumi emessi per combustione del legno, ed in questa frazione fine (PM2,5), OC e EC sono i maggiori componenti. I diametri

delle particelle emesse per combustione del legno sono prevalentemente minori di 1 µm, pertanto la composizione del PM2,5 è rappresentativa del totale del

particolato derivante da queste sorgenti (Kleeman et al., 1999).

Una vasta gamma di composti organici è presente nelle particelle del fumo quando si brucia del legname; tra questi ci sono n-alcani, acidi n-alcanoici e acidi n-alchenoici, acidi dicarbossilici; resine acide, fitosteroli, idrocarburi policiclici aromatici (PAH), fenoli e altri composti aromatici (Rogge et al., 1998). Comunque, tutti i composti determinati non riescono a spiegare più del 15%, 25% del carbonio organico.

E’ stato osservato che le particelle nei pennacchi derivanti da combustione di biomassa sono distinguibili in tre modes: (a) nucleation mode, (b) accumulation

mode, (c) coarse mode. Il 70% circa della massa si spiega con le particelle più

piccole di 3,5 µm; queste hanno composizione dominata da idrocarburi condensati e sono generalmente di forma sferica.

Sorgenti naturali

Sebbene la produzione di aerosol di sale marino è confinata ai corpi d’acqua salata, è importante discuterla perché l’aerosol marino può esercitare una forte influenza sulla composizione del particolato in aree costiere. Volendo fare un

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paragone, la produzione di aerosol di sale marino e come quella della polvere sollevata in aria, in quanto entrambe sono originate dall’azione del vento sulla superficie. La differenza nasce in quanto le particelle di sale derivano dall’esplosione delle bolle d’aria che giungono alla superficie del mare. Queste bolle si formano per trattenimento dell’aria nell’acqua quando si rompono le onde. L’energia superficiale della bolla collassate viene convertita in energia cinetica sottoforma di un getto (jet) d’acqua che può liberare gocce sopra la superficie. Il diametro medio delle gocce del getto è circa il 15% del diametro della bolla (Wu, 1979). La dimensione delle bolle nelle onde spumeggianti varia da pochi µm fino ad alcuni mm in diametro. Una campagna di misurazioni (Johnson e Cooke, 1979) dello spettro dimensionale delle bolle mostrano un massimo per diametri di circa 100 µm.

Siccome le particelle di sale ricevono acqua dallo strato superficiale, che è arricchito in composti organici, le gocce di aerosol sono composte di questa materia organica in aggiunta al sale marino (circa il 3,5% in peso nell’acqua di mare). Le maggiori specie ioniche presenti nell’acqua di mare sono: Cl- (55,0%),

Na+ (30,7%), SO42- (7,7%), Mg2+ (3,6%), Ca2+ (1,2%), K+ (1,1%), HCO3- (0,4%) e Br

-(0,2%) (Wilson, 1975). La composizione dell’aerosol marino riflette anche il fatto che avvengono reazioni in atmosfera, le quali arricchiscono le particelle di sale in SO42- e NO3-, mentre le impoveriscono di Cl- e Br-.

Lo spray marino è concentrato nella frazione grossolana (coarse mode), con un diametro medio in massa intorno ai 7 µm (Savie e Prospero, 1982). La distribuzione dimensionale del solfato è chiaramente bimodale. L’SO42- nella

frazione grossolana deriva dall’acqua di mare, ma nella porzione sub-micronica nasce dall’ossidazione del dimetil-solfuro (CH3SCH3), il quale si origina durante

il processo di decomposizione dei microrganismi marini. Il dimetil-solfuro è ossidato a acido metan sulfonico, una gran parte del quale è ancora ossidato a solfato (Hertel et al., 1994).

Oltre allo spray marino, altre fonti naturali di materiale particolato comprendono la sospensione di detriti organici ed il vulcanismo. Alcuni ricercatori hanno ottenuto dei profili di composti organici in detriti vegetali (Rogge et al., 1993).Le particelle rilasciate dalle piante sottoforma di semi, polline, spore, foglie cerose e

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resine hanno dimensioni comprese tra circa 1 µm e 250 µm (Warneck, 1988). Anche spore di funghi e resti animali, come frammenti di insetti, sono stati trovati nell’aerosol in questo range dimensionale. Sebbene i materiali originatisi da tutte le suddette sorgenti possano esistere come singole particelle, su di esse si trovano di solito attaccati i batteri. Alcuni esempi di particelle di aerosol biologico ancora più piccole comprendono virus, singoli batteri, protozoi ed alghe (Matthias-Maser e Jeanicke, 1994). Oltre alle sorgenti naturali, altre fonti di

bioaerosols sono industrie (ad esempio fabbriche tessili), agricoltura e smaltimento

dei rifiuti (Spendlove, 1974). Le dimensioni del bioaerosol non sono state così ben caratterizzate come per altre categorie di aerosol.

I metalli in tracce sono emessi in atmosfera da numerose sorgenti come spray marino, polvere sollevata, vulcani, incendi e fonti biotiche (Nriagu, 1989). I processi di volatilizzazione mediati biologicamente (un esempio può essere la biometilazione) portano un contributo stimato tra il 30% ed il 50% al totale dell’emissione annuale globale di Hg, As e Se; altri metalli invece derivano principalmente da pollini, spore, cere, frammenti di piante, funghi ed alghe. Non è comunque chiaro quanto delle specie biometilate sono nuovamente mobilizzate per cause antropogeniche.

Chimica del particolato secondario

I precursori del PM secondario hanno sorgenti naturali ed antropogeniche, proprio come per il PM primario. Le principali trasformazioni chimiche atmosferiche che conducono alla formazione di nitrati e solfati sono relativamente ben conosciute; invece, quelle coinvolte nella formazione di aerosol organico secondario lo sono meno e sono ancora oggetto di indagine. Un gran numero di precursori organici sono coinvolti in questi processi, e molte cinetiche devono ancora essere determinate.

Inoltre, molti degli effettivi prodotti dell’ossidazione degli idrocarburi deve ancora essere identificato.

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Formazione di solfati e nitrati

Una ragguardevole frazione della massa del particolato fine, specialmente durante i mesi caldi dell’anno, è costituita da solfati e nitrati formatisi come risultato di reazioni atmosferiche. Queste reazioni coinvolgono la conversione in fase gas di SO2 ad H2SO4 (il quale forma particelle liquide), innescata per via del

radicale OH, e reazioni in fase acquosa di SO2 con H2O2, O3, o O2 (catalizzata da

Fe e Mn). Queste reazioni eterogenee possono avvenire nelle gocce di nubi o di nebbia, oppure in films che rivestono le particelle. NO2 può essere convertito a

HNO3 gassoso per reazione con il radicale OH durante il giorno. Di notte, NO2 è

ancora ossidato ad acido nitrico tramite una sequenza di reazioni innescata da O3

che produce radicali nitrato (NO3) e dinitrogeno pentossido (N2O5) come

intermedi. Sia H2SO4 che HNO3 reagiscono con l’ammoniaca (NH3) presente in

atmosfera. NH3 in fase gas reagisce con HNO3, anch’esso in fase gas, a formare

NH4NO3 particolato. NH3 in fase gas reagisce anche con H2SO4 a formare l’acido

HSO4- (in NH4HSO4), altre a SO42- come (NH4)2SO4. Inoltre, acidi gassosi come

SO2 e HNO3 possono reagire con particelle grossolane alcaline a formare PM

grossolano secondario contenente solfati e nitrati. Alcuni esempi includono reazioni di neutralizzazioni con composti basici (un esempio potrebbe essere CaCO3 + 2HNO3 → Ca(NO3)2 + H2CO3↑) o con sali di acidi volatili rilasciando

l’acido volatile (ad esempio SO2 + 2NaCl + H2O → Na2SO3 + 2HCl↑).

Se NH4NO3 particolato coagula con una particella di solfato acido (H2SO4 o

HSO4-), sarà liberato HNO3 gassoso, e l’NH3 aumenterà la neutralizzazione dei

solfati acidi. Pertanto, nelle aree dove il PM tende ad essere acido, i solfati costituiscono un grossa porzione della massa del particolato rispetto ai nitrati; mentre invece in aree dove emissioni maggiori di NH3 e minori di SO2

permettono la completa neutralizzazione dei solfati, la concentrazione di nitrati può essere alta tanto quanto quella dei solfati. Quindi una riduzione nelle emissioni di SO2, specialmente se accompagnata da una mancata riduzione di

quelle di NOx, potrebbe portare ad un incremento di NH4NO3 (West et al. 1999;

Ansari e Pandis, 1998); ne consegue che le sorgenti, i trend ed i possibili effetti ambientali di questo sale diventano di interesse.

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Le reazioni chimiche di SO2 e NOx nei pennacchi sono una notevole sorgente di

di H+, SO42- e NO3-. Queste reazioni possono avvenire per meccanismi in fase gas

e in fase acquosa.

Nei pennacchi di centrali elettriche e fonderie che contengono SO2 e NOx, la

chimica in fase gas dipende dalla diluizione del plume, dalla luce solare e dai VOCs (sia del plume che dell’aria ambiente che mescolandosi lo diluisce). I tassi di conversione in fase gas di SO2 a H2SO4 e di NOx a HNO3 sono grossomodo un

ordine di grandezza più grandi in estate rispetto all’inverno.

Il contributo della chimica in fase acquosa alla formazione di particelle in pennacchi di sorgenti puntuali è altamente variabile, dipendendo dalla disponibilità di acqua (aerosol umido, nubi, nebbia, pioggia leggera) e di agenti ossidanti generati fotochimicamente in fase gas, in particolare H2O2 per la

chimica di SO2. I tassi di conversioni nelle nubi di SO2 a H2SO4 possono essere

alcune volte più grandi di quelli in fase gas. In generale, sembra che i tassi di ossidazione di SO2 con i due diversi meccanismi siano confrontabili in estate,

mentre in inverno la chimica in fase acquosa sia dominante.

Formazione di materiale particolato organico secondario

Le reazioni in atmosfera che coinvolgono VOCs come alcani, alcheni, olefine cicliche e terpeni (o qualsiasi gas organico reattivo che contiene almeno sette atomi di carbonio) producono composti organici con bassa pressione di vapore saturo a temperatura ambiente. Queste reazioni possono avvenire in fase gas, in gocce di nebbia o nubi (Graedel e Goldberg, 1983; Faust, 1994), in aerosol acquosi (Aumont, 2000). I prodotti di reazione dall’ossidazione dei gas organici reattivi possono anche nucleare dando vita a nuove particelle, o condensare su particelle esistenti formando secondary organic particulate matter, SOPM. I composti organici con due doppi legami o le olefine cicliche possono reagire a formare acidi dicarbossilici, i quali possono a loro volta condensare (se con quattro o più atomi di carbonio). Sorgenti sia biogeniche che antropogeniche contribuiscono al PM organico primario e secondario (Grosjean, 1992;.Hildemann et al., 1996; Mazurek et al., 1997; Schauer et al., 1996). L’acido ossalico è stato trovato essere il più abbondante acido organico nel PM2,5 in California (Poore, 2000).

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I meccanismi ed i percorsi di formazione di SOPM non sono ben compresi. Si pensa che l’ozono ed i radicali OH possano essere i maggiori reagenti innescanti, ma anche i radicali HO2 e NO3 possono farlo; i radicali organici possono venir

nitrificati da HNO2, HNO3 o NO2.

La comprensione dei meccanismi di formazione di SOPM è importante perché questo particolato secondario può contribuire in modo significativo ai livelli di PM, specialmente durante episodi di smog fotochimico.

Sono stati identificati tre meccanismi per la formazione di SOPM: (1) condensazione dei prodotti finali delle reazioni fotochimiche (es. chetoni, aldeidi, acidi organici, idroperossidi); (2) assorbimento di composti organici semivolatili (semivolatile organic compounds, SVOCs) su particelle solide esistenti (es. idrocarburi policiclici aromatici); (3) dissoluzione di gas solubili che possono poi essere sottoposti a reazioni nelle particelle (es. aldeidi) (Pandis et al., 1992).

Il primo ed il terzo meccanismo dovrebbero avere maggior importanza in estate, quando la fotochimica è al massimo, mentre il secondo percorso guidato dalle variazioni diurne e stagionali di temperatura ed umidità in ogni periodo dell’anno.

Diffusione del particolato atmosferico

Alcune stime riferiscono che ogni giorno vengano immesse in atmosfera milioni di tonnellate di particolato, una predominante percentuale delle quali di origine naturale.

La concentrazione nell’aria di queste particelle viene comunque limitata dalla naturale tendenza alla deposizione per effetto della gravità e dall’azione delle nubi o delle piogge (la cosiddetta rimozione umida). Nell’aria pulita in genere la concentrazione di questo inquinante è dell’ordine di 1,5 µg/m3.

Oltre che dalla natura dei venti e dalle precipitazioni la permanenza in atmosfera è fortemente condizionata dalle dimensioni delle particelle. Quelle che hanno un diametro superiore a 50 µm sono visibili nell’aria e sedimentano piuttosto velocemente causando fenomeni di inquinamento su scala molto ristretta.

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Le più piccole possono rimanere in sospensione per molto tempo; alla fine gli urti casuali e la reciproca attrazione le fanno collidere e riunire assieme, in questo modo raggiungono delle dimensioni tali da acquistare una velocità di caduta sufficiente a farle depositare al suolo. Le polveri PM10 possono rimanere in

sospensione per decine di ore, mentre le particelle con un diametro aerodinamico inferiore ad 1 µm fluttuano nell’aria anche per 1 mese.

Il particolato emesso dai camini di altezza elevata può essere trasportato dagli agenti atmosferici anche a grandi distanze. Per questo motivo parte dell’inquinamento di fondo riscontrato in un determinato sito può provenire da un’industria situata a diversi km dal centro urbano. Nei centri urbani l’inquinamento da polveri fini (che sono le più pericolose per la salute) è essenzialmente dovuto al traffico veicolare ed al riscaldamento domestico. Per questo motivo, quando la concentrazione di particolato nell’aria diventa troppo alta, vengono attuate delle limitazioni al traffico; in varie nazioni può anche essere imposto un limite alla temperatura del riscaldamento negli ambienti chiusi.

Distribuzioni dimensionali dell’aerosol

La dimensione, intesa come diametro equivalente, è un importante parametro nella determinazione delle proprietà, degli effetti e del destino delle particelle. I tassi di deposizione atmosferica delle particelle, e quindi i loro tempi di residenza nell’atmosfera, sono fortemente funzione dei loro diametri di Stokes e aerodinamico, i quali influenzano anche i loro modi di deposizione all’interno dei polmoni. Siccome la riflessione diffusa della luce (light scattering) dipende fortemente dalla dimensione ottica delle particelle, la frazione di luce diffusa per unità di massa di PM dipenderà dalla distribuzione dimensionale del particolato. Pertanto, gli effetti sulla visibilità, sul bilancio radiativo e sul clima saranno influenzati da tale distribuzione.

La distribuzione delle particelle rispetto alla dimensione è un parametro fisico importante che governa il comportamento del particolato atmosferico, e siccome

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quest’ultimo comprende alcuni ordini di grandezza in dimensione, spesso si usa il logaritmo del diametro sull’asse X e la concentrazione differenziale misurata sull’asse Y.

∆N/∆(logDp) indica il numero di particelle per cm3 d’aria che anno il diametro

nel range tra logDp e log(Dp+∆Dp). I logaritmi sono adimensionali, percui è

necessario pensare alla distribuzione come una funzione di log(Dp/Dp0), dove il

diametro di riferimento Dp0 è di 1 µm. Se ∆N/∆(logDp) è riportata su una scala

lineare, il numero di particelle tra Dp e Dp+∆Dp è proporzionale all’area sotto la

curva di ∆N/∆(logDp) contro logDp. Considerazioni simili si possono fare per le

distribuzioni di superficie, volume e massa.

In figura 1 sono mostrate le distribuzioni di numero, area superficiale e volume per l’aerosol continentale (Whitby, 1978). Si osserva come la maggior parte delle particelle siano abbastanza piccole, sotto 0,1 µm, mentre la maggior parte del volume (e quindi della massa) si trova sopra 0,1 µm. La figure 2 descrive invece il volume delle particelle come funzione del diametro per aerosol rurale, rurale influenzato da urbano, urbano e urbano influenzato da autostrada (Whitby, 1978; Whitby and Sverdrup, 1980). Si può osservare anche che questa distribuzione possiede tipicamente tre picchi (o tre modes), e come potrebbe essere ben descritta con una trimodale, costituita da tre distribuzioni log-normali sovrapposte. La curva con un picco tra 5 µm e 30 µm, coarse particle mode, descrive l’origine per processi meccanici; la curva con un picco tra 0,15 µm e 0,5 µm, accumulation mode, descrive la formazione per condensazione e coagulazione; infine, la curva con un picco tra 0,015 µm e 0,04 µm, Aitken nuclei range (nuclei mode), descrive particelle la cui dimensione è influenzata dalla nucleazione, oltre che dalla condensazione e dalla coagulazione. Si può vedere la nuclei mode nelle distribuzioni per numero e per superficie, ma solo in casi speciale è rilevabile nelle distribuzioni per massa o volume. Accumulation mode e nuclei mode prese insieme sono chiamate particelle fini. In figura 3 è riportata una distribuzione sperimentale che mostra le modes e i meccanismi di formazione; questa distribuzione è stata riscontrata in misure dell’aerosol da traffico. Pertanto, la nuclei mode è chiaramente separata dalla

accumulation mode più grande di quanto dovrebbe essere in distribuzioni

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Figura 1: Distribuzioni di numero, area superficiale e volume relative all’aerosol continentale (Whitby, 1978).

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Figura 3: Distribuzione che mostra le modes insieme ai meccanismi di formazione

Le idee riguardo al range sotto 0,1 µm sono cambiate con i nuovi strumenti in grado di fornire misure di particelle più piccole e con maggiore risoluzione in dimensione e tempo (McMurry et al., 2000).

A seconda che si consideri la sorgente, la temperatura, la pressione di vapore saturo dei componenti, e con dipendenza dall’età dell’aerosol, sono state osservate delle distribuzioni dimensionali con picchi (anche multipli) per tutto il range inferiore a 0,1 µm di diametro in aree rurali (O’Dowd, 2002), oltre che, per brevi periodi (nucleation bursts), in aree urbane (Woo et al., 2001).

Sulla base di queste ed altre osservazioni, i ricercatori classificano ora l’aerosol nel range sub-0,1-micrometrico come particelle ultrafini (ultrafine particles), dividendolo in regione di nucleazione (<10 nm) ed in regione di Aitken (che va da 10 nm a 100 nm).

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Figura 4: Distribuzione che mostra le modes insieme ai meccanismi di formazione

Gli effetti del particolato sull’ambiente

Il materiale particolato disperso in aria ha effetti negativi sull’ambiente, che comprendono: (a) effetti diretti ed indiretti sulla vegetazione e sull’integrità dei sistemi naturali; (b) effetti sulla visibilità; (c) effetti sui manufatti; (d) relazioni tra PM atmosferico e processi di cambiamento climatico.

Effetti sulla vegetazione e sugli ecosistemi naturali

Il particolato aerodisperso induce risposte sia chimiche che fisiche a livello della singola pianta, ma non bisogna dimenticare che le piante sono membri chiave degli ecosistemi, cioè delle complesse comunità strutturate che comprendono popolazioni di piante, animali, insetti, microrganismi che interagiscono l’una con l’altra e con l’ambiente abiotico nel quale esistono (Odum, 1989).

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Gli ecosistemi rispondono agli stress attraverso gli organismi che li costituiscono. In generale, la risposta delle piante, individuale o di popolazione, ad una perturbazione ambientale (come il particolato) dipende dalla costituzione genetica (genotipo), dal ciclo vitale e dal microhabitats.

Il particolato ed i suoi precursori sono rimossi dall’atmosfera da processi di deposizione sia umida che secca; questi processi di pulizia dell’aria abbassano, sul lungo periodo, le concentrazioni di questo inquinante, impedendo che raggiungano livelli letali per l’uomo. Se guardata da un altro punto di vista, però, la deposizione non è altro che un trasferimento di particolato ad una nuova matrice ambientale, dove esso può alterare la struttura, la funzione, la diversità e la sostenibilità di un complesso ecosistema.

I potenziali effetti della deposizione di PM sulla vegetazione e sugli ecosistemi in generale possono essere molto variabili; l’esposizione ad un dato livello di PM aerodisperso può condurre a reazioni ampiamente differenti, dipendenti dalla composizione del particolato. Infatti il PM non può essere considerato un singolo inquinante, ma una miscela eterogenea di particelle diverse per dimensione, origine e composizione chimica.

Sia il particolato fine che quello più grossolano possono danneggiare le piante; solfati, nitrati, sali d’ammonio e ioni idrogeno si trovano sia disciolti in gocce di nebbia che su particelle solide, per questo la loro influenza è variabile (una nebbia acida è molto più aggressiva di una deposizione secca). Un’altra questione importante riguarda i metalli pesanti, spesso presenti sulle particelle disperse in aria ambiente.

La maggior parte degli effetti diretti, oltre a quelli associati con cambiamenti globali, interessano aree seriamente inquinante circostanti sorgenti puntuali industriali, cave di calce, fornaci per cemento e strutture per fusione di metalli; è chiaro che le particelle fini sono più ampiamente distribuite intorno alla loro sorgente rispetto alle coarse. Le diverse caratteristiche chimiche e dimensionali, insieme alla mancanza di una chiara distinzione tra gli effetti attribuiti a particelle fitotossiche e quelli degli altri inquinanti dell’aria rendono difficile comprendere gli effetti diretti sulla superficie fogliare del particolato.

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Il PM può influenzare direttamente la vegetazione depositandosi sulle foglie delle piante, o indirettamente cambiando la chimica del terreno o diminuendo la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie della Terra. Gli effetti indiretti sono i più significativi perché capaci di alterare il ciclo dei nutrienti e di inibire la capacità delle piante di assimilare nutrienti.

Effetti del particolato sulla visibilità

Il particolato provoca una diminuzione della visibilità, oltre che della luminosità, perché assorbe e riflette la luce solare. Negli ultimi cinquanta anni è stato notato un progressivo incremento della diminuzione della visibilità ed il fenomeno risulta essere tanto più grave quanto più ci si avvicina alle grandi aree abitate ed industriali.

Le particelle sospese favoriscono la formazione di nebbie e nuvole, costituendo nuclei di condensazione attorno ai quali, appunto, condensano gocce d’acqua. Come conseguenza, maggiori concentrazioni di particelle in aria agevolano i fenomeni delle nebbie e delle piogge acide, le quali producono gravi effetti di corrosione dei materiali e dei metalli, oltre a enormi diminuzioni di visibilità (la nebbia).

E’ ormai ben noto come la riduzione della visibilità e la distorsione delle immagini siano causate dal particolato aerodisperso; le particelle un po’ più grandi (con Da>1 µm) intercettano la luce riflettendola o schermandola, mentre

quelle più piccole, con Da simili alla lunghezza d’onda della radiazione visibile

(da 0,4 µm a 0,7 µm), sono responsabili di fenomeni ottici diffusivi come lo scattering Rayleigh. Particelle ancora più fini possono interagire con la luce come un mezzo continuo, causando rifrazione e riflessione (Dobbins, 1979).

Questo effetto sulla visibilità dipende inoltre dalla composizione del particolato: il carbonio elementare, soprattutto nella forma di grafite, è un ottimo assorbente della luce. Si ricorda come nelle città industriali del diciannovesimo secolo, come Londra, l’uso estensivo del carbone come combustibile causò fenomeni di oscuramento del cielo molto gravi.

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Effetti del particolato sui materiali

Per quanto riguarda i materiali, i danni possibili sono la corrosione di metalli, il deterioramento dei circuiti elettronici, il vistoso invecchiamento ed annerimento dei monumenti, oltre alla ridotta durata dei tessuti.

Effetti del particolato sul clima

Il particolato può avere effetto sul clima,influenzando il bilancio radiativo con il cosiddetto effetto “frigorifero”, che prevede un abbassamento della temperatura dovuto ad una diminuzione dell’energia che raggiunge il suolo. Infatti, le particelle possono agire direttamente riflettendo e disperdendo la radiazione solare incidente, ma anche indirettamente favorendo la formazione delle nubi, che a loro volta “filtrano” la radiazione solare. L’effetto dei corpi nuvolosi è comunque complesso perché sono anche in grado di trattenere la radiazione terrestre infrarossa, contribuendo all’effetto “serra”.

Gli effetti del particolato sull’uomo

A prescindere dalla loro tossicità, le particelle che possono produrre degli effetti indesiderati sull’uomo sono sostanzialmente quelle di dimensioni più ridotte; infatti durante la respirazione le particelle con dimensioni maggiori di 15 µm vengono generalmente rimosse dal naso. Il particolato che si deposita nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (le cavità nasali, la faringe e la laringe) può generare vari effetti irritativi come l’infiammazione e la secchezza del naso e della gola; tutti questi fenomeni sono molto più gravi se le particelle hanno assorbito sostanze acide (come il biossido di zolfo, gli ossidi di azoto, ecc.).

Per la particolare struttura della superficie, le particelle possono anche adsorbire dall’aria sostanze chimiche cancerogene, trascinandole nei tratti respiratori e prolungandone i tempi di residenza, ne accentuano così gli effetti (in sostanza il particolato agisce anche da vettore).

Le particelle più piccole penetrano nel sistema respiratorio a varie profondità e possono trascorrere lunghi periodi di tempo prima che vengano rimosse, per

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questo sono le più pericolose. Queste polveri aggravano le malattie respiratorie croniche come l’asma, la bronchite e l’enfisema.

Le persone più vulnerabili sono gli anziani, gli asmatici, i bambini e chi svolge un’intensa attività fisica all’aperto, sia di tipo lavorativo che sportivo.

Nei luoghi di lavoro più soggetti all’inquinamento da particolato, l’inalazione prolungata di queste particelle può provocare reazioni fibrose croniche e necrosi dei tessuti che comportano una broncopolmonite cronica accompagnata spesso da enfisema polmonare.

Il particolato è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Salute l’inquinante che “ha influenza sulla popolazione in modo continuativo più di ogni altro” (WHO, 2000); ha quindi effetti sull’uomo dipendenti dalle sue caratteristiche chimico-fisiche, e agisce direttamente per l’accumulo di sostanze nell’apparato respiratorio e indirettamente come vettore di sostanze. Gli effetti dell’esposizione dell’uomo al particolato dipendono da numerosi fattori, quali: • la concentrazione in massa, che è responsabile del carico corporeo;

• la taglia e la distribuzione dimensionale, che determinano la penetrabilità delle particelle negli apparati respiratori;

• la concentrazione numerica, altro parametro influenzante il carico; • l’area superficiale, che interessa il contatto particella tessuto;

• la composizione chimica, che determina gli effetti, la tossicità e la eventuale cancerogenicità.

Figura 5: Penetrazione delle particelle nel sistema respiratorio in funzione del loro diametro aerodinamico (Mazzini, 2000)

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Figura 6: Efficienza di deposizione delle particelle in diverse parti dell’apparato respiratorio in funzione del loro diametro (Hinds, 1982)

Le varie parti del sistema respiratorio si comportano come un impattatore multistadio, in quanto sono in grado di intercettare e rimuovere particelle con diametri sempre più piccoli. Le ciglia e le cavità nasali intercettano le particelle più grandi, ma non riescono a bloccare la polvere con Da< 10 µm; una volta

catturate le particelle sono rimosse tramite tosse o starnuti. Nella trachea e nei bronchi primari la polvere di dimensione superiore ai 5 µm viene intercettata dal muco, che tramite un movimento ciliare viene trasportato fino alla faringe ed eliminato per espettorazione o deglutizione. Particelle con Da> 2µm si depositano

nei bronchi terminali, mentre quelle con Da> 0,65 µm negli alveoli polmonari. Il

particolato di dimensione inferiori non viene efficacemente intercettato, quindi tende in parte ad essere espirato. La sedimentazione all’interno dell’apparato respiratorio è generalmente più efficace nel range dimensionale tra 2 µm e 4 µm (Masters, 1991). In base alla capacità di penetrazione nell’apparato respiratorio, il particolato viene classificato in (IAR, 2002):

• frazione inalabile, quella che entra nelle vie respiratorie superiori (Inalable PM, IPM);

• frazione toracica, che raggiunge i polmoni (Toracic PM, TPM);

• frazione respirabile, quella che va più in profondità, raggiungendo gli alveoli (Respirable PM, RPM).

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La figura che segue confronta il PM10 e il PM2,5 con le curve teoriche di

penetrazione delle tre frazioni sopra citate, così come definite dall’American Conference of Governmental Industrial Hygenist (ACGIH): emerge chiaramente la somiglianza tra il TPM e il PM10, che viene quindi assimilato alla frazione

toracica.

Figura 7: Curve di taglio di cinque diversi criteri di campionamento delle polveri. IPM, TPM e RPM significano rispettivamente particolato inalabile, toracico e respirabile. [EPA, 2002]

Un’ampia rassegna degli studi sugli effetti per la salute dell’inquinamento da polveri, il cui contenuto è sommariamente riportato in seguito, è stata realizzata nel 2002 dall’Organizzazione Mondiale della Salute in collaborazione con il Centro Ricerca della Commissione Europea (EC, 2002).

Per quanto riguarda gli effetti acuti, 60 studi condotti in 35 città di tutto il mondo hanno dimostrato che un aumento della concentrazione di particolato porta ad un incremento della mortalità giornaliera (Pope, 2000).

Gli effetti maggiori dell’inquinamento acuto da particolato si ha nella cosiddetta popolazione sensibile (es. anziani, bambini, asmatici, etc.) il cui aumento di morbosità è dovuto a: sintomi respiratori, come la diminuzione della funzionalità polmonare, un aumento di tosse, attacchi d’asma, senso di affannamento; sintomi cardiaci, come l’aumento del battito cardiaco, aritmie.

Per quanto riguarda gli effetti cronici la diminuzione della speranza di vita è dovuta essenzialmente all’aumento della morbilità /morbosità (incidenza di malattie) che porta a morti premature. Uno studio su una coorte di 8000 individui per 15 anni ha evidenziato come l’associazione più forte fra mortalità e

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inquinanti dell’aria fosse quella del PM2,5. Infatti, aumenti annuali da 10 µg/m3 a

30 µg/m3 erano associati ad un aumento della mortalità del 26% e di malattie

cardio-respiratorie del 37% (Dockery, 1993).

Figura 8: Effetto sulla mortalità giornaliera dell'aumento della concentrazione di PM10 di

10 µg/m3 nelle principali città italiane (modificato da MISA, 2001)

Come già accennato, il particolato può essere composto o fungere da vettore per

sostanze pericolose per la salute umana, come i metalli pesanti o gli IPA. In questo

caso poiché questi tendono ad accumularsi sulla superficie delle particelle, i lori effetti dipendono da processi chimico-fisici superficiali tra particella e tessuto biologico; in particolare è stato riscontrato che gli effetti più significativi sono dovuti alle particelle ultrafini (Da< 0.1 µm), che hanno un alto rapporto

superficie-volume e che riescono a penetrare negli alveoli polmonari.

Eventuali effetti irritanti, tossici, mutageni e cancerogeni dipendono dalla qualità e dalla dose delle sostanze a cui un individuo è esposto. Oltre ai metalli pesanti, ci sono gli IPA, come il Benzo(a)pirene (BaP), che una volta entrato nel corpo umano viene metabolizzato producendo una specie altamente cancerogena. Questo fenomeno, definito in tossicologia “attivazione metabolica”, riguarda anche altri IPA.

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Nonostante i risultati degli studi più recenti, non è ancora chiaro il meccanismo con cui il particolato riesce a causare una così vasta tipologia di effetti. E’ stata indagata l’esposizione a PM10 e PM2,5, mentre poco si sa dell’effetto delle frazioni

più fini, del numero delle particelle inalate, della loro area superficiale e della massa di componenti in tracce. C’è comunque l’evidenza che gli effetti sulla salute siano lineari al livello di particolato per concentrazioni inferiori a valori di 100 µg/m3 e che non esista una soglia al di sotto della quale non siano riscontrati

Figura

Tabella 1: Alcuni termini per indicare il PM (modificato da Seinfeld, 1999 e Manahan, 2000)
Tabella 2: Abbondanze medie di elementi maggiori in suoli e rocce della crosta (modificato da  Warneck, 1988)
Figura 1: Distribuzioni di numero, area superficiale e volume relative all’aerosol continentale  (Whitby, 1978)
Figura 3: Distribuzione che mostra le modes insieme ai meccanismi di formazione
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