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1.1 Apprendimento e memoria 1. INTRODUZIONE

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Academic year: 2021

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1. INTRODUZIONE

1.1 Apprendimento e memoria

Gli esseri viventi sono in grado di reagire a variazioni dell’ambiente esterno che li circonda e a modificazioni del loro ambiente interno. Tali risposte possono essere classificate in due categorie: risposte innate o incondizionate e risposte apprese o condizionate e partecipano alla formazione della personalità di ogni singolo individuo.

Le risposte innate possono essere potenzialmente espresse sin dalla nascita e sono pertanto ereditarie. A questa categoria appartengono risposte evolutesi per far fronte efficacemente alle necessità primarie dell’individuo favorendone la sopravvivenza, come ad esempio le reazioni riflesse correlate all’alimentazione o indotte dalla presenza di un pericolo. Essendo geneticamente determinate queste risposte risultano poco flessibili, stereotipate e difficilmente modificabili e quindi sono necessarie ma non sufficienti agli esseri viventi per reagire in maniera ottimale alle condizioni ambientali, spesso imprevedibili, in cui ciascun organismo può ritrovarsi nel corso della propria vita. Questo limite è stato superato attraverso lo sviluppo di capacità funzionali, che consentono l’adattamento a diverse situazioni e la produzione di risposte flessibili e specifiche. Tali capacità si costruiscono attraverso processi di apprendimento e memoria e le risposte che si basano su di esse sono definite apprese o condizionate

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Moderni studi biologici e comportamentali hanno mostrato che l’apprendimento e la memoria, seppur intimamente connessi, non costituiscono un processo unitario, o una singola facoltà della mente ma sono processi distinti ciascuno con un proprio ruolo.

In senso generale l’apprendimento può essere considerato il processo attraverso cui sono acquisite e trattenute nuove informazioni dall’ambiente o nuovi comportamenti, mentre per memoria si può intendere la capacità di conservare le informazioni acquisite sotto forma di tracce mnemoniche e di utilizzarle ogni volta che ne nasce la necessità (ricordo).

I sistemi di memoria possono essere distinti in due grandi categorie: le memorie esplicite (o dichiarative) e le memorie implicite (non dichiarative o procedurali, vedere Fig.1 (Squire; 1991, 1992).

La memoria esplicita è il recupero conscio di eventi, esperienze, informazioni riguardanti luoghi , fatti e persone.

La memoria implicita riguarda le modalità di esecuzione delle azioni comportamentali e viene richiamata alla mente in modo automatico non conscio; questo tipo di memoria è, in generale, connessa all’addestramento o all’esecuzione di compiti, motori o percettivi. La memoria esplicita è molto duttile e richiede la capacità di associare numerosi e diversi elementi informativi. La memoria implicita, al contrario, è assai più rigida. Ciascun sistema di memoria è supportato da regioni del cervello distinte.

La memoria dichiarativa dipende dall’integrità dei lobi temporali e delle strutture diencefaliche quali ippocampo, subiculum e corteccia entorinale. Le nozioni conservate come memorie esplicite vengono inizialmente elaborate in una o più delle cortecce associative polimodali (cortecce prefrontale, limbica e parieto-temporo-occipitale)

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che sintetizzano le informazioni di natura visiva, uditiva e somatica. Da qui le informazioni vengono trasferite, in serie, alle cortecce paraippocampica e peririnale, e quindi alla corteccia entorinale, al giro dentato, all’ippocampo, al subiculum e infine di nuovo alla corteccia entorinale. Da quest’ultima le informazioni vengono rinviate alle cortecce paraippocampica e peririnale e infine ancora alle cortecce associative polimodali del neocortex.

Tuttavia più aree cerebrali prendono parte al consolidamento delle diverse forme di memoria.

Naturalmente i concetti di memoria dichiarativa e procedurale si riferiscono a studi condotti sull’uomo e difficilmente possono essere usati appropriatamente per gli animali. Nei vertebrati superiori si possono distinguere due forme di memoria correlate per certi aspetti alle memorie dichiarative e procedurali: una memoria detta relazionale o configurale che si basa sulla capacità di creare relazioni tra stimoli sensoriali, oggetti ed eventi, e una memoria definita non relazionale che riguarda la memorizzazione di singoli stimoli sensoriali o l’attribuzione ad essi di un significato emotivo (Squire; 1992; Young, Bohenek and Fanselow; 1994; Nadel & Moscovich; 1997; Burgess, Jeffery and O’Keefe; 1999). Le diverse forme di memoria sono state ampliamente studiate dagli psicologi esponendo gli animali ad esperienze sensoriali controllate. Da queste ricerche si sono sviluppati diversi paradigmi sperimentali che hanno permesso di distinguere due sottoclassi di memoria implicita: associativa e non associativa.

Nell’apprendimento non associativo il soggetto apprende quali siano le proprietà di un singolo stimolo e si manifesta quando il soggetto è esposto ripetutamente a tale stimolo. Nell’apprendimento associativo, invece, l’individuo impara quali sono le relazioni che intercorrono fra

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due stimoli o fra uno stimolo ed un comportamento. Nell’ambito dell’apprendimento associativo si possono distinguere due forme ulteriori di apprendimento in base alle procedure sperimentali impiegate per ottenere l’apprendimento stesso: il condizionamento classico, che comporta l’apprendimento dei rapporti che intercorrono fra due stimoli, ed il condizionamento operante, che comporta l’apprendimento della relazione esistente fra uno o più stimoli e le risposte che ne derivano.

Il condizionamento classico (CC) fu scoperto, verso l’inizio del secolo scorso dal fisiologo russo Ivan Pavlov (Pavlov; 1927). Egli osservò che se si presenta ripetutamente ad un soggetto sperimentale uno stimolo neutro che normalmente non produce risposte apprezzabili (ad esempio un suono), definito “stimolo condizionato” (CS), in stretta associazione temporale con uno stimolo (come la vista del cibo), definito “incondizionato” (US) in grado di indurre una certa risposta innata (come l’aumento della salivazione), la successiva presentazione del CS anche in assenza dell’US induce la risposta innata, che in questo caso, è definita risposta indotta o appresa o appunto “condizionata”.

L’essenza del condizionamento classico consiste nell’accoppiamento tra i due stimoli: CS e US. Pavlov dimostrò che esistono condizioni ben definite necessarie affinchè si possano instaurare le risposte apprese: i due stimoli CS e US devono essere presentati al soggetto sperimentale contemporaneamente oppure il CS deve precedere di poco l’US; durante la presentazione di CS ed US non devono essere forniti altri stimoli, che potrebbero ostacolare l’associazione CS-US; l’associazione CS-US deve essere ripetuta un numero sufficiente di volte. Durante il CC, è proprio il ripetuto accoppiamento di CS con

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US che trasforma CS in un segnale anticipatorio di US. Pertanto, dopo un certo numero di ripetizioni, l’animale risponderà a CS come se si apprestasse a ricevere US. In altri termini, il CC rappresenta un paradigma sperimentale attraverso il quale il soggetto impara a prevedere gli eventi che si verificheranno nell’ambiente che lo circonda. Per lungo tempo si è creduto che la contiguità temporali fosse il punto cardine per l’induzione del condizionamento classico. Osservazioni più recenti enfatizzano invece la relazione causale tra CS e US e sottolineano l’importanza dell’informazione che il CS fornisce rispetto al verificarsi dell’US (Rescorla; 1988).

Il condizionamento classico è in grado di associare una risposta riflessa inconscia ad uno stimolo neutro e perciò coinvolge soprattutto forme implicite di memoria.

Numerosi studi hanno dimostrato però che, anche queste forme elementari di apprendimento in alcuni casi possono interessare la memoria esplicita di modo che l’acquisizione delle risposte risulta essere mediata almeno in parte da processi di tipo cognitivo (Kandel, Schawartz & Jessell; 2003).

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1.2 La memoria come fenomeno di plasticità sinaptica

Tutte le forme di memoria sono collegate a fenomeni di plasticità neuronale. Infatti la costruzione della memoria è strettamente dipendente da modificazioni strutturali e biochimiche, che determinano un rafforzamento del modo in cui i neuroni interagiscono. Queste modificazioni plastiche e attività-dipendenti dell’efficacia sinaptica sono correlabili direttamente con l’apprendimento e necessarie per la conservazione delle informazioni di natura appresa.

La memoria esplicita è stata ampiamente studiata sui mammiferi, mentre vertebrati non mammiferi e invertebrati si sono dimostrati ottimi modelli sperimentali per lo studio delle memorie implicite.

Entrambe le forme di memoria sono graduali e la loro durata è correlata al numero di prove di addestramento

E stata generalmente accettata l’idea che il processo mnemonico si costruisca attraverso fasi sequenziali. Nella prima fase (detta codificazione) le nuove informazioni sono acquisite, analizzate e trasformate in tracce mnemoniche. Successivamente queste tracce labili vengono consolidate, conservate e recuperate quando sia necessario. La memoria associata alle forme di apprendimento può essere ulteriormente classificata in due componenti temporalmente distinte, che trovano una precisa corrispondenza con fenomeni di plasticità sinaptica : una memoria a breve termine che dura per minuti o al massimo ore e una memoria a lungo termine che perdura per giorni, settimane o addirittura per tutta la vita.

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La memoria a breve termine è data esclusivamente da modificazioni covalenti (fosforilazioni) di proteine preesistenti nei neuroni, mentre la memoria a lungo termine è accompagnata dalla crescita di nuove connessioni sinaptiche e richiede l’attivazione di un programma cellulare di espressione genica e sintesi di nuove proteine.

Fig.2:Meccanismi molecolari alla base delle forme di plasticità sinaptica a breve e a lungo termine a) negli Invertebrati b) nei Vertebrati (tratta da Barco et al. 2006).

Studi condotti a livello cellulare e molecolare su forme di apprendimento implicito ed esplicito hanno evidenziato la presenza di una cascata di eventi molecolari e trascrizionali che avvengono durante il periodo di consolidamento. Il consolidamento della

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memoria dipende dunque dalla trascrizione genica de novo e dalla sintesi di proteine (Matthies, 1989); e comprende quei processi che modificano le informazioni appena acquisite, ma ancora labili, in modo da renderle più stabili e di lunga durata, e danno origine a modificazioni strutturali capaci di conservare le tracce mnemoniche in maniera stabile nel tempo.

I primi importanti studi sui fenomeni di plasticità sinaptica furono condotti da Eric Kandel. Egli iniziò a correlare per la prima volta alcune semplici forme di apprendimento con determinate modificazioni del comportamento in modelli animali elementari di sistema nervoso. Kandel e i suoi collaboratori focalizzarono la loro attenzione sul riflesso di retrazione della branchia del gasteropode Aplysia californica e in particolare sui meccanismi sinaptici alla base di due forme semplici di apprendimento non associativo: abitudine e sensitizzazione e\o disabitudine. Kandel utilizzando come modello un animale con un sistema nervoso semplice e studiando un riflesso che sottende a un circuito neurale costituito da un numero esiguo e ben determinato di elementi (meccanocettori, interneuroni e motoneuroni), dimostrò che queste forme di apprendimento implicito determinano modificazioni dell’efficacia delle connessioni sinaptiche nelle vie che mediano il riflesso suddetto. L’abitudine è un fenomeno che permette all’organismo di apprendere le proprietà di uno stimolo che si rivela innocuo e ignorarlo in seguito a ripetute esposizioni. La sensitizzazione invece è un fenomeno più complesso: l’organismo in seguito all’esposizione di uno stimolo nocivo impara a rispondere in maniera più vigorosa non solo ad esso ma pure a stimoli di altra natura anche se innocui.

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Quando viene applicato un leggero tocco al sifone della lumaca essa risponde con una retrazione della branchia e del sifone, questa risposta è amplificata se all’animale viene applicato uno stimolo nocicettivo alla coda o alla testa. Un’unica stimolazione nocicettiva produce una sensitizzazione a breve termine che dura pochi minuti, mentre l’applicazione di più stimoli nocicettivi ad intervalli di tempo prestabiliti fa comparire una sensitizzazione a lungo termine che può durare giorni o settimane (Castellucci, Frost, Goelet, Montarolo, Schacher, Morgan , Blumenfeld and Kandel; 1986). A livello cellulare, la stimolazione della coda induce il rilascio transiente di un neuromodulatore specifico, la 5HT da parte di interneuroni che contraggono sinapsi asso-assoniche con le terminazioni presinaptiche dei neuroni sensitivi nel circuito del riflesso. Studi in vitro su colture cellulari hanno dimostrato che è possibile riprodurre ciò che si osserva durante l’addestramento comportamentale dando applicazioni di 5-HT (Montarolo, Goelet, Castellucci, Morgan, Kandel and Schacher; 1986). La 5-HT rilasciata in vivo o applicata in vitro si lega a specifici recettori posti sulla superficie cellulare del neurone presinaptico e promuove la produzione di un secondo messaggero diffusibile l’adenosin monofosfato ciclico (cAMP) attraverso la stimolazione dell’ enzima di membrana adenilato ciclasi (AC). L’aumento della concentrazione intracellulare di cAMP e la cascata di eventi molecolari che ne seguono producono un aumento a breve termine dell’efficacia funzionale delle connessioni sinaptiche tra neurone sensitivo e motoneurone. Ciò viene chiamata facilitazione presinaptica a breve termine (Brunelli, Castellucci and Kandel; 1976). La facilitazione è in parte dovuta ad un aumento del rilascio del neurotrasmettitore dal

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neurone sensoriale ed è accompagnata da un incremento dell’eccitabilità del neurone sensoriale attribuibile alla chiusura di specifici canali per lo ione potassio Ks (Klein, Camardo and Kandel; 1982; Dale, Schacher and Kandel; 1988).

Infatti l’aumento dei livelli di cAMP attiva un protein-chinasi cAMP-dipendente (PKA) responsabile di almeno tre eventi molecolari successivi: il primo è rappresentato dalla fosforilazione dei Ks con conseguente riduzione della ripolarizzazione che prolunga la durata del potenziale di azione e quindi aumenta l’ingresso di Ca2+ nel terminale presinaptico e la liberazione di neurotrasmettitore. Il secondo evento è rappresentato dalla mobilizzazione delle vescicole, il terzo dall’aumento dell’ingresso di Ca2+ in seguito a fosforilazione dei canali calcio di tipo L; su questi ultimi due fattori converge anche l’attività di una seconda chinasi (protein-chinasi C o PKC) attivata dalla stimolazione di un secondo recettore sensibile alla 5-HT.

In seguito a ripetute stimolazioni o applicazioni di 5-HT si assiste a un persistente aumento dei livelli intracellulari di cAMP. Tale variazione rappresenta il punto di transizione tra la facilitazione a breve termine e una forma più duratura detta facilitazione a lungo termine (LTF). Da un punto di vista molecolare ciò fa si che la subunità catalitica della PKA recluti una ulteriore chinasi: la protein-chinasi attivata dalla mitosi (MAPK). Queste due protein-chinasi traslocano assieme nel nucleo del neurone sensitivo dove fosforilano diversi bersagli nucleari incluse altre chinasi che a loro volta possono fosforilare fattori di trascrizione e modificare l’espressione genica. E’ un’ipotesi ormai comunemente accettata che le memorie a lungo termine nel SNC di tutti gli animali siano correlate a modificazioni durature della forza e della struttura delle connessioni sinaptiche che

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dipendono dall’attivazione di specifici patterns di espressione genica (Martin, Grimwood and Morris; 2000).

Gli studi in Aplysia per primi rilevarono il coinvolgimento della via di traduzione del segnale cAMP-dipendente nella LTF e nelle sensitizzazione (Brunelli, Castellucci and Kandel; 1976).

Numerosi studi successivi hanno messo in evidenza il ruolo diretto nella plasticità correlata alla memoria di elementi-guida della trascrizione che rispondono al cAMP (CRE) a valle della via del cAMP. In particolare, membri di una famiglia di fattori di trascrizione che legano l’elemento di risposta al cAMP, i cAMP responsive element binding factor (CREB) sono implicati nel passaggio molecolare che regola l’instaurarsi della LTF in Aplysia.

La subunità catalitica della PKA fosforila e attiva un fattore di trascrizione attivatore detto CREB-1 che si lega all’elemento promotore CRE e per mezzo della MAPK agisce anche indirettamente reprimendo l’attività inibitoria di un repressore della trascrizione CREB-2. Entrambi i passaggi sono necessari per indurre il processo di facilitazione a lungo termine. Iniezioni di anticorpi specifici per CREB-2 nei neuroni sensoriali di Aplysia fanno si che singole somministrazioni di 5-HT, che normalmente determinano solo una facilitazione a breve termine, producano una facilitazione a lungo termine che dura parecchi giorni. (Bartsch, Ghirardi, Skehel, Karl, Herder, Chen, Bailey and Kandel; 1995).

Nei neuroni sensoriali di Aplysia l’attivazione di CREB-1 e la repressione di CREB-2 conduce all’espressione di prodotti di geni precoci come l’enzima idrolasi dell’ubiquitina (che attiva i proteosomi proteolitici che determinano la degradazione della subunità regolatrice della PKA rendendola persistentemente attiva), e il fattore di

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trascrizione C/EBP che si lega all’elemento di risposta del DNA CCAAT e stimola la trascrizione di geni che codificano per proteine necessarie per la crescita di nuove connessioni sinaptiche.

Anche ricerche genetiche hanno dimostrato l’importanza della via cAMP-PKA-CREB nella conservazione a lungo termine delle tracce mnemoniche implicite. Le prime evidenze si sono ottenute dallo studio di mutanti di Drosophyla melanogaster con difetti specifici nella formazione delle memorie (Duday, Jan, Byers, Quinn and Benzer; 1976), attribuiti in seguito a mutazioni di geni coinvolti nella cascata del cAMP (Byes, Davis and Kiger; 1981). Esperimenti su moscerini transgenici hanno confermato che l’equilibrio tra le 2 isoforme di CREB ( attivatore e repressore) è particolarmente critico per l’apprendimento associativo e la memoria a lungo termine in Drosophyla (Yin, Wallach, Del Vecchio , Wilder, Zhou , Quinn and Tully; 1994, 1995).

Molti dei segnali a monte della cascata molecolare che conduce all’attivazione di CREB appaiono conservati durante l’evoluzione e molti aspetti del ruolo di CREB nella plasticità sinaptica descritti negli invertebrati sono stati riscontrati anche nel cervello dei mammiferi, anche se il ruolo di CREB nelle forme esplicite di memoria appare molto più complesso (Barco, Bailey and Kandel; 2006).

La conservazione delle memorie esplicite sia nell’uomo che negli animali sperimentali dipende criticamente dall’integrità di alcune strutture cerebrali localizzate a livello dei lobi temporali come l’ippocampo. L’ippocampo possiede tre vie nervose eccitatorie principali: la via perforante che decorre dalla corteccia entorinale alle cellule granulari del giro dentato, la via delle fibre muscoidi

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costituita dagli assoni delle cellule dei granuli che si connettono con i neuroni piramidali del campo CA3 dell’ippocampo, la via delle collaterali di Schaffer costituita dalle proiezioni dei neuroni del campo CA3 che terminano nel campo CA1. Nel 1973 Bliss e Lomo dimostrarono che i neuroni dell’ippocampo possedevano capacità plastiche durevoli simili a quelle richieste per la conservazione delle tracce mnemoniche. L’applicazione di una breve scarica di stimoli ad alta frequenza in una qualunque delle tre vie determina un aumento dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori nei neuroni bersaglio. Questo aumento dell’efficacia sinaptica che può durare giorni o settimane viene definito LTP (long term potentiation).

a) b)

Fig. 3: Veduta dell’ippocampo e delle tre principali vie afferenti a) nel ratto b) nell’uomo (tratte da “Memory from mind to molecules”, Kandel & Squire, Scientific American Library).

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Tale fenomeno nell’ippocampo dei mammiferi condivide solo in parte gli stessi meccanismi molecolari usati per la facilitazione sinaptica in Aplysia. L’LTP nella via delle fibre muscoidi, che avviene a livello delle sinapsi tra le cellule granulose del giro dentato e i neuroni piramidali del campo CA3, è dovuto essenzialmente ad un aumento del rilascio del neurotrasmettitore dal terminale presinaptico mediato dall’ingresso di Ca2+ in seguito alla stimolazione tetanica e all’attivazione della via del cAMP. In questa via l’induzione e l’espressione dell’LTP sono dovuti a fenomeni di facilitazione presinaptica simili a quelli ritrovati in Aplysia. In contrasto, l’LTP che avviene tra le collaterali di Schaffer e i neuroni in CA1 è più complesso, infatti la fase di induzione dell’LTP è un evento di natura postsinaptica che coinvolge un ingresso massiccio di Ca2+ nel terminale postsinaptico attraverso l’apertura di recettori-canali NMDA (N-methy-D-aspartate receptor) e il reclutamento di vie di traduzione del segnale che attivano differenti chinasi quali: la chinasi Ca2+/calmodulina dipendente (CaM K), la PKC, la PKA e la tirosina protein-chinasi fyn (Kandel, Schawartz & Jessell; 2003). La chinasi Ca2+/calmodulina dipendente fosforila i recettori-canale non-NMDA (AMPA) aumentando la loro sensibilità al glutammato e attiva altri recettori normalmente inattivi. Queste modificazioni forniscono un valido contributo postsinaptico al mantenimento dell’LTP. In queste sinapsi è stato inoltre notato che l’espressione e il mantenimento dell’LTP, al contrario dell’induzione, non sono legate solo a fattori postsinaptici ma richiedono altresì un aumento della liberazione del neurotrasmettitore dal terminale presinaptico. Questo ultimo aspetto

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sembra essere indotto dal rilascio di messaggeri retrogradi dalle spine dendridiche delle cellule postsinaptiche che raggiungerebbero il terminale presinaptico attivando una o più vie di secondi messaggeri che porterebbero ad un aumento del rilascio del neurotrasmettitore. Analogamente a quanto visto nella facilitazione sinaptica in Aplysia anche per l’LTP possono essere individuate due fasi temporalmente distinte ciascuna caratterizzata da meccanismi cellulari e molecolari di base specifici. La fase precoce (early LTP o E-LTP) è indotta da una singola stimolazione tetanica, dura poche ore ed è legata esclusivamente a modificazioni a livello di proteine preesistenti. La ripetizione della stimolazione tetanica determina invece la comparsa di una fase duratura dell’LTP mantenuta per almeno 24 ore che viene definita LTP tardivo (late LTP o L-LTP) e richiede la sintesi di nuove proteine e RNA. Mentre il meccanismo di induzione dell’LTP precoce è differente nelle diverse vie ippocampali, il meccanismo dell’L-LTP appare del tutto simile. Infatti in tutte le sinapsi la fase tardiva necessita di proteine e RNA di nuova sintesi che dipendono da una cascata di segnali cellulari stimolata dall’incremento della concentrazione intracellulare di cAMP. L’ingresso di Ca2+ andrebbe ad attivare una AC sensibile con conseguente aumento della concentrazione intracellulare di cAMP e attivazione della via PKA-MAPK-CREB. Numerosi studi hanno messo in evidenza il ruolo della PKA come induttore della sintesi proteica nella fase tardiva dell’LTP, la quale può essere bloccata utilizzando inibitori della PKA o inibitori della sintesi proteica che hanno effetti temporalmente coincidenti (Abel, Nguyen, Barad , Deuel , Kandel and Bourtchouladze; 1997; Schafe, Nadel, Sullivan, Harris, LeDoux; 1999). Topi transgenici che posseggono una attività della PKA alterata presentano un danno nell’

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L-LTP ed esibiscono anche deficit nella memoria spaziale a lungo termine, questo suggerisce che questa chinasi gioca un ruolo fondamentale nel consolidamento, almeno in alcune forme di memoria (Abel, Martin, Bartsch and Kandel; 1998). Ulteriori prove del coinvolgimento della via cAMP-PKA nei fenomeni di plasticità e nel consolidamento della memoria a lungo termine, derivano da studi su topi transgenici sottoposti a contextual fear conditioning. Infatti in questi topi è stato riscontrato un danno a lungo termine ma non a breve termine nella memoria alla paura contestuale. Da questi e da altri studi si evince che la via del cAMP , che culmina con l’attivazione dei fattori di trascrizione nucleari CREB rappresenta un meccanismo altamente conservato e necessario per l’instaurarsi della fase tardiva dell’LTP. Inoltre l’espressione di geni CREB-dipendente è implicata nel consolidamento di molti altri tipi di memoria, come la memoria emotiva legata all’amigdala e altre forme di plasticità correlate all’apprendimento nel cervelletto e in diverse regioni della corteccia.

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1.3 Fear conditioning (condizionamento alla paura)

Tutti gli animali in grado di sviluppare un condizionamento associativo, dai gasteropodi all’Uomo, riescono a mettere in relazione gli eventi che si verificano nell’ambiente circostante in base alla loro contingenza e non semplicemente in base alla loro contiguità temporale. Questa capacità nasce dall’esigenza di dover superare problemi di sopravvivenza e adattamento. In questo senso è plausibile pensare che a livello del cervello si siano evoluti meccanismi neurali in grado di fungere da rilevatori dei rapporti di causalità che si instaurano tra gli eventi che si verificano nell’ambiente. Nell’ambito delle risposte condizionate si ritrovano non solo quelle risposte innate relative agli stimoli alimentari studiate da Pavlov, ma anche quelle relative a stimoli di altra natura. Tra queste, quelle indotte dalla presenza di un pericolo sono state e sono tuttora correntemente studiate in molti modelli animali e sono definite “risposte condizionate di paura”. Come le altre risposte apprese, esse si basano sui meccanismi neurali di apprendimento e memoria, e consentono a ogni singolo individuo di rispondere nella maniera tendenzialmente più efficace a stimoli, i quali senza l’apprendimento, non indurrebbero le risposte spontanee di paura. Questa possibilità è essenziale per la sopravvivenza, in quanto consente di apprendere quali siano gli stimoli (o informazioni) che indicano la presenza di un pericolo e di associarli ad esso. Essendo intimamente legato alla sopravvivenza il condizionamento classico alla paura viene rapidamente appreso ( può bastare anche una sola associazione) e mantenuto a lungo nel tempo.

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Le risposte condizionate alla paura possono essere facilmente indotte anche sperimentalmente. Infatti, se ad un soggetto sperimentale ( ad esempio, un ratto) si presenta uno stimolo sensoriale (che può essere rappresentato da un suono o una luce) neutro (agente quindi da CS) in stretta associazione temporale con uno stimolo avversivo (rappresentato ad esempio da una scossa elettrica alle zampe), la successiva presentazione del CS indurrà nell’animale le risposte di paura, anche senza la presenza dell’US. Queste risposte possono instaurarsi in seguito a pochi o un solo accoppiamento CS-US (Fanselow; 1980, 1990; Muller, Corodimas, Fridel , LeDoux; 1997 ), e possono essere ritenute per lungo tempo (Kim & Fanselow; 1992; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, and Bucherelli; 1999a). Si è osservato che questo tipo di condizionamento dipende strettamente dall’attivazione dell’amigdala (LeDoux; 2000; Maren; 2001). Il complesso amigdaloideo è costituito da quattro regioni distinte: Amigdala Laterale, Basolaterale, Centrale e Mediale. Ciascuna regione mostra caratteristiche funzionali e fisiologiche simili nel ratto e nei primati. L’amigdala nel suo complesso rappresenta un punto di connessione tra le aree sensoriali corticali e sottocorticali e le strutture sottocorticali connesse con risposte endocrine e comportamentali. Molti dei risultati che definiscono il ruolo dell’amigdala nei fenomeni di apprendimento e memoria derivano da studi su soggetti sperimentali sottoposti a condizionamento alla paura. Lesioni bilaterali dell’amigdala sono accompagnate da amnesia anterograda e retrograda per le risposte di paura condizionata e rendono inoltre i soggetti incapaci di apprendere nuove risposte di paura in seguito al condizionamento (LeDoux, Cicchetti, Xagoraris, Romanski; 1990; Phillips & LeDoux; 1992,

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LeDoux; 1995; Maren, Aharonow and Fanselow; 1996; Roozendaal, Sapolsky, Macgaugh; 1998). Inoltre è stato dimostrato che l’amigdala svolge un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nella memorizzazione delle risposte condizionate alla paura indipendentemente dalla modalità sensoriale utilizzata per CS. Altri studi hanno dimostrato che le informazioni sensoriali riguardanti sia gli stimoli condizionati sia quelli incondizionati convergono a livello dei neuroni dell’amigdala (LeDoux; 1995; Shi & Davis; 1999) e che i neuroni dell’amigdala mostrano modificazioni plastiche dell’efficacia sinaptica durante il condizionamento avversivo (Maren; 2000).

Esiste anche un’altra forma di condizionamento alla paura non legata ad una singola modalità sensoriale usata come CS, che si instaura quando a un soggetto viene somministrato uno stimolo nocicettivo (US) associato a uno stimolo discreto (CS). In questo caso il soggetto sperimentale impara ad associare non solo il CS all’US, ma successivamente anche l’ambiente o contesto (inteso come l’intero panorama sensoriale in cui avviene l’addestramento) viene associato all’US. Quindi in questa forma di condizionamento, che viene definita condizionamento contestuale alla paura o contextual fear conditioning (CFC), l’ambiente assume le caratteristiche di CS e di conseguenza, successivamente la sola presentazione dell’ambiente (senza US) sarà in grado di determinare risposte di paura. Numerosi studi hanno dimostrato che questo tipo di condizionamento è legato all’attivazione sia dell’amigdala che dell’ippocampo (Phillips & LeDoux; 1992; Rodrigues, Schafe, LeDoux; 2001).

Recenti studi suggeriscono che i substrati neurali necessari per l’acquisizione delle risposte condizionate alla paura verso il contesto o verso un CS discreto possono essere parzialmente dissociabili e

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quindi tali risposte possono essere apprese contemporaneamente ma posseggono rappresentazioni mnemoniche distinte (Corodimas & LeDoux; 1995; Kim & Fanselow; 1992; LeDoux; 1995; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, and Bucherelli; 1999b; Shumyatsky, Malleret, Shin, Takizawa, Tully, Tsvetkov, ,Zakharenko, Joseph, Vronskaya, Yin, Schubart, Kandel and Bolshakov; 2005).

Fig.4: Protocollo per i due tipi di fear conditioning (tratta da “Memory from mind to molecules”, Kandel & Squire, Scientific American Library).

Il ruolo dell’ippocampo nel condizionamento alla paura contestuale è stato oggetto di numerosi studi dai quali è emerso che questa struttura cerebrale gioca un ruolo fondamentale nella formazione e nel consolidamento delle relazioni tra diversi stimoli o eventi (Rudy, Huff , Matus-Amat; 2004; Anagnostaras, Gale and Fanselow; 2001).

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Secondo questo modello l’ippocampo sarebbe necessario quando più stimoli debbano essere associati, cioè durante la seduta di addestramento o subito dopo. Una volta compiuta l’associazione e quindi la costruzione di una rappresentazione unificata del contesto, l’ippocampo non sarebbe più necessario, se non quando le associazioni vengano richiamate. Questa ipotesi è in linea con i risultati ottenuti da studi su animali lesionati che hanno messo in evidenza il ruolo temporalmente determinato di questa struttura nella formazione di alcuni aspetti della memoria alla paura contestuale. Lesioni all’ippocampo prima o subito dopo il condizionamento comportano perdita delle risposte di freezing, mentre lesioni eseguite parecchi giorni dopo l’addestramento non compromettono l’acquisizione delle risposte condizionate (O’Keefe & Nadel; 1978; Morris, Anderson, Lynch, Baudry; 1986; Squire; 1992; Young, Bohenek, and Fanselow; 1994; Mc Nisch, Gewirtz, Davis; 1997; Burgess, Jeffery, O’keefe; 1999). Secondo questa ipotesi l’ippocampo sarebbe coinvolto nell’acquisizione e nel mantenimento temporaneo della rappresentazione del contesto (CS), mentre l’amigdala sarebbe coinvolta nell’associazione US-CS, nell’elaborazione delle singole entrate sensoriali, nell’attribuzione ad esse di un significato emotivo e nella produzione delle risposte di paura (Maren and Fanselow; 1996; Lee, Walker, Davis; 1996).

Nel CFC lo stimolo condizionato (CS) è rappresentato dall’apparato sperimentale di condizionamento, mentre lo stimolo (US), come per il condizionamento classico alla paura, è rappresentato da una scossa elettrica alle zampe (LeDoux; 1995). E’ noto che, dopo essere stati sottoposti al paradigma comportamentale del CFC, i soggetti addestrati apprendono con maggior facilità e mostrano di associare

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l’ambiente in cui si trovano agli stimoli avversivi (US) forniti loro durante l’esplorazione dell’apparato di condizionamento. I ratti addestrati mostrano freezing o immobilità ogni volta che sono inseriti nell’apparato di condizionamento (retrieval test) (Fanselow; 1990; Kim and Fanselow; 1993; LeDoux; 1995; Milanovich, Radulovic, Laban, Stiedl, Henn, Spiess; 1998; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, Bucherelli; 1999a,b).

La risposta di freezing è definita come la completa assenza di mobilità del corpo ad eccezione dei movimenti respiratori (Fanselow; 1990; Kim and Fanselow; 1992; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, Bucherelli; 1999a,b). Tale reazione non è rilevabile quando gli stessi soggetti, precedentemente sottoposti alla sessione di condizionamento, sono inseriti in un ambiente diverso da quello in cui sono stati forniti gli stimoli avversivi (Fanselow; 1990; Kim, Fanselow; 1992; Milanovich, Radulovic, Laban, Stiedl, Henn, Spiess; 1998; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, Bucherelli; 1999a,b). Pertanto il freezing espresso nel retrieval test rappresenta una risposta condizionata dovuta all’associazione tra quello specifico ambiente e gli stimoli avversivi (Fanselow; 1990; Milanovich, Radulovic, Laban, Stiedl, Henn, Spiess; 1998). Inoltre il freezing non è rilevabile quando i soggetti esplorano l’apparato di condizionamento senza che siano forniti loro stimoli avversi (exploration procedure) (Fanselow; 1990) oppure quando gli animali vengono inseriti nell’apparato di condizionamento e sono loro forniti stimoli avversivi di pari intensità ma in un intervallo di tempo minore, rispetto al protocollo del CFC, così da impedire l’associazione fra questi stimoli e il nuovo ambiente (shock-only procedure ) (Fanselow; 1990;

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Taubenfeld, Wiig, Bear, Alberini; 1999; Rodrigues, Schafe, LeDoux; 2001).

Altri studi sottolineano il coinvolgimento nell’apprendimento alla paura di aree corticali (Sacchetti, Baldi, Ambrogi Lorenzini and Bucherelli; 2002). Queste aree non solo sono coinvolte nel consolidamento delle tracce mnemoniche, ma giocano ruoli diversi a seconda del tipo di apprendimento preso in esame e a seconda della fase di elaborazione della traccia mnemonica. In particolare la corteccia pre-frontale sembra avere un ruolo modulatorio sulle risposte a stimoli avversivi quando tali stimoli sono utilizzati per indurre il condizionamento. La corteccia frontale e parietale, in linea con il loro ruolo durante la fase di acquisizione dell’apprendimento, giocano, invece, un importante ruolo nel freezing indotto sia dal condizionamento alla paura acustico che contestuale. L’integrità funzionale della corteccia peririnale sembra essere necessaria sia per la fase di acquisizione che per la fase di consolidamento della traccia mnemonica in seguito a condizionamento alla paura, sia acustico che contestuale (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, and Bucherelli; 1999b). L’inattivazione dell’amigdala durante la fase di acquisizione determina amnesia sia durante il paradigma alla paura acustico che contestuale (Phillips and LeDoux; 1992; Rosen, Hitchcock, Miserendino, Falls, Campeau, Davis; 1992; Maren, Aharonow and Fanselow; 1996; Perani; 1998). E’ stato suggerito che durante la fase di acquisizione l’informazione acustica giunge all’amigdala tramite la via talamica diretta o la via neocorticale (tramite la corteccia frontale e parietale) (LeDoux; 2000). In condizioni normali la corteccia prefrontale tramite le sue connessioni con l’amigdala inibisce lo stato di paura (Morgan & LeDoux; 1995).

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L’inibizione sperimentale della funzionalità dell’ippocampo induce amnesia solo nel caso della ritenzione della memoria della paura contestuale (Phillips & LeDoux; 1992; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, and Bucherelli; 1999).

Poco è ancora noto circa le vie che trasferiscono le informazioni riguardanti il contesto all’ippocampo. Tuttavia i risultati ottenuti dall’inattivazione dell’attività della corteccia peririnale indotta da lidocaina (LIDO) suggeriscono l’ipotesi che le informazioni contestuali possono raggiungere l’ippocampo tramite questa area corticale (Morgan & LeDoux; 1995; LeDoux; 2000).

I risultati di tutte queste ricerche sia sui primati che su altri mammiferi sottolineano il ruolo primario svolto dall’amigdala, dall’ippocampo e delle aree neocorticali adiacenti nei processi di apprendimento e memoria legati al condizionamento alla paura.

1.4 Fear conditioning come paradigma sperimentale per

lo studio dei processi mnemonici

Il condizionamento alla paura rappresenta oggi uno dei più interessanti paradigmi comportamentali per lo studio delle basi neurobiologiche dell’apprendimento e della memoria,in quanto risulta essere facilmente inducibile in condizioni sperimentali e viene mantenuto per lungo tempo. Inoltre questa forma di apprendimento è

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largamente diffusa nel mondo animale e coinvolge circuiti neurali simili nelle diverse specie di vertebrati, uomo compreso.

Questa procedura sperimentale quindi è stata estesamente studiata per determinare gli eventi molecolari che sono alla base dell’acquisizione e del consolidamento delle tracce mnemoniche. Al contrario di altri paradigmi comportamentali che richiedono più sedute di addestramento per essere apprese il condizionamento alla paura determina un apprendimento duraturo dopo una singola sessione di addestramento. Questo permette di circoscrivere temporalmente un unico evento e di seguire lo sviluppo temporale della traccia mnemonica corrispondente, in più offre la possibilità di evidenziare e distinguere le differenti fasi della costruzione del processo mnemonico. Sebbene le vie neuroanatomiche e gli eventi sinaptici alla base del condizionamento alla paura siano stati ben caratterizzati (Davis; 1992; Le Doux; 1992,1995), le conoscenze dei meccanismi molecolari su cui si fonda la memoria alla paura sono ancora scarse e frammentarie. Tuttavia negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nell’interpretazione dei fenomeni molecolari alla base dell’LTP, che rappresenta il più importante modello cellulare per il consolidamento delle memorie nel cervello dei mammiferi (Kandel; 1997; Milner, Squire, Kandel; 1998).

Ormai da tempo si sa che la memoria può essere distinta in due forme temporalmente determinate: memoria breve e a lungo termine, e che è necessaria una fase di consolidamento strettamente associata a sintesi di nuove proteine per trasferire le informazioni acquisite in una forma di memoria stabile e duratura.

Cosi come nella memoria anche nell’LTP si ritrovano due fasi temporalmente distinte: una fase precoce (E-LTP) correlata a

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cambiamenti dell’efficacia sinaptica che non richiede espressione genica e una fase tardiva (L-LTP) che coinvolge modificazioni a livello delle strutture sinaptiche e la sintesi de novo di mRNA e proteine.

Questo suggerisce che il processo di consolidamento possa essere rappresentato a livello cellulare e compreso attraverso lo studio dell’LTP.

Numerosi studi hanno dimostrato che l’ LTP avviene nelle vie neurali coinvolte nel condizionamento alla paura e che questa forma di apprendimento associativo dà origine a modificazioni dell’attività neurale in modo simile all’induzione dell’LTP. Infatti fenomeni di potenziamento dell’efficacia sinaptica si sono ritrovati nelle vie che trasferiscono input sensoriali all’amigdala, le stesse che sono essenziali per il condizionamento alla paura.

Altri studi hanno evidenziato la correlazione esistente tra memoria a lungo termine e L-LTP. Come è ben noto la conservazione della memoria a lungo termine è un processo sensibile e può essere facilmente distrutto da inibitori della sintesi proteica. Infattii applicazioni di inibitori della trascrizione o della sintesi proteica in slices di ippocampo prima della stimolazione tetanica prevengono l’induzione della fase tardiva dell’LTP senza aver alcun effetto su quella precoce. Studi farmacologici hanno suggerito che la PKA svolge un ruolo critico nell’induzione della fase tardiva dell’LTP. Infatti uno dei bersagli nucleari di questa chinasi è il fattore di trascrizione CREB che si lega agli elementi di risposta all’AMPc (CRE) e l’espressione genica CRE-mediata è indotta da stimoli che generano L-LTP.

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L’utilizzo di topi transgenici si è dimostrato molto importante per lo studio di specifiche vie di trasduzione del segnale nella fase tardiva dell’LTP e nel consolidamento delle forme esplicite della memoria. Particolarmente interessante si è rivelato un’ esperimento condotto da Abel e collaboratori (Abel, Nguyen, Barad, Deuel, Kandel and Bourtchouladze; 1997) in cui sono stati creati topi tansgenici nei quali l’attività della PKA veniva drasticamente ridotta nell’ippocampo attraverso l’espressione di una forma dominante negativa della subunità regolatoria R(AB). In questi topi si assiste a decremento dell’L-LTP nell’area CA1 mentre la trasmissione sinaptica basale o la fase precoce dell’LTP non risultano essere danneggiati. Da un punto di vista comportamentale questi topi mostrano una memoria a breve termine normale mentre la memoria a lungo termine risulta essere notevolmente compromessa. Il deficit a livello dell’L-LTP può essere paragonato a deficit comportamentali nella memoria spaziale e nella memoria a lungo termine correlata all’apprendimento alla paura contestuale e risulta essere speculare a quelli indotti sperimentalmente da inibitori della sintesi proteica come l’anisomicina, (Abel, Nguyen, Barad, Deuel, Kandel and Bourtchouladze; 1997). Da questi risultati si evince che la PKA gioca un ruolo fondamentale nel consolidamento delle memorie a breve termine in memorie a lungo termine dipendenti dalla sintesi proteica, in quanto induce la trascrizione di geni che codificano per proteine richieste nel potenziamento sinaptico di lunga durata.

Ulteriori studi hanno dimostrato come meccanismi biochimici che sono alla base dell’LTP sono anche necessari per il consolidamento della memoria alla paura nell’amigdala. Infusioni intraamigdaloidee di inibitori della sintesi di mRNA distruggono la memoria a lungo

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termine per la paura uditiva e contestuale (Bailey, Kim, Helmstetter, Sun and Thompson; 1999).Analogamente infusioni intra-amigdaloidee di inibitori della sintesi proteica o della PKA danneggiano il consolidamento della memoria alla paura uditiva compromettendo la memoria a lungo termine e risparmiando quella a breve termine.

In altri esperimenti è stato osservato che l’iniezione di inibitori delle protein-chinasi A come Rp-cAMPS (che determina anche blocco dell’LTP ippocampale), a livello del nucleo laterale dell’amigdala (intra-LA) di ratti subito dopo il paradigma del FC, determina dopo 24 h il danneggiamento della memoria a lungo termine innescata dal FC; se le infusioni sono effettuate 6 h dopo il condizionamento non determinano alcun effetto. Il consolidamento della memoria emozionale, in particolare della paura, richiede dunque espressione genica PKA-dipendente e sintesi proteica nell’amigdala.

Un interessante studio di Schafe e collaboratori (Schafe, Atkins, Swank, Bauer, Sweatt and LeDoux; 2000) è stato svolto per definire il ruolo dei segnali di trasduzione intracellulari nell’acquisizione e nel mantenimento del condizionamento alla paura da stimoli uditivo e contestuale. Ai ratti venivano iniettati intraventricolarmente anisomicina, Rp-cAMPS o pd098059 (inibitore delle MAPK) prima del condizionamento e poi venivano saggiati per la ritenzione della memoria 1 h o 24 h dopo. Ciascuno di questi composti è in grado di bloccare l’L-LTP, mentre hanno effetti irrilevanti sull’E-LTP. In accordo con questi dati i risultati dimostrano che la somministrazione dose-dipendente dei tre inibitori distrugge la memoria a lungo termine correlate alla paura ma non ha alcun effetto sulla memoria a breve termine. Infatti i ratti testati dopo un’ora mostrano freezing associato al suono o all’ambiente in cui è avvenuto il condizionamento, quindi

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hanno capacità di percepire il suono, creano una rappresentazione del contesto e ciò dimostra che queste sostanze non determinano distruzione delle sedi cerebrali implicate nell’apprendimento. Da questi risultati si evince che la via delle MAPK e dell’cAMP sono necessarie per le modificazioni a lungo termine dipendenti dalla sintesi proteica, che si trovano alla base del consolidamento della memoria alla paura.

Questi risultati suggeriscono che l’ L- LTP e il consolidamento della memoria alla paura possano condividere meccanismi molecolari comuni.

Ulteriori studi sono stati fatti su topi transgenici CREB-deficienti. Tali soggetti sperimentali mostrano forti deficit nella memoria a lungo termine, ma non in quella a breve termine per il condizionamento alla paura uditivo e contestuale. Ciò favorisce l’ipotesi che CREB sia l’interruttore molecolare che si trova alla base del consolidamento della memoria, inclusa la memoria alla paura.

Anche da studi elettrofisiologici è emerso il ruolo centrale dell’ippocampo nell’acquisizione e nel consolidamento delle risposte condizionate alla paura da contesto.

Infatti è stata dimostrata una chiara correlazione tra l’aumento dell’eccitabilità a livello delle sinapsi tra collaterali di Schaffer e i dendriti dei neuroni del campo CA1 e il consolidamento della risposta di freezing (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli; 2001).

In questo studio, condotto sui ratti, gli animali sono stati divisi in 4 gruppi: condizionati (animali soggetti a CFC), exploration ( animali che avevano esplorato liberamente l’apparato), naïve (mai entrati nell’apparato di condizionamento) o shock-only ( animali che avevano

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ricevuto lo stesso numero di scosse di intensità pari a quella dei condizionati, ma compresse temporalmente così da non poter associare US al contesto). I ratti condizionati esibivano freezing duraturo quando posti nuovamente nello stesso apparato di condizionamento (retrieval test) 10 minuti, 1, 7 e 28 giorni dopo il condizionamento. Agli stessi intervalli di tempo, gli altri soggetti sperimentali non esibivano la risposta condizionata di freezing.

Le modificazioni dell’eccitabilità ippocampale sono state misurate applicando un singolo stimolo di bassa intensità su fettine di cervello (slices) preparate a diversi intervalli di tempo dal condizionamento. Subito dopo la seduta di addestramento (all’inizio del periodo di post-acquisizione ) si è osservato un aumento dell’eccitabilità sinaptica, questo fenomeno è stato riscontato anche un giorno e 7 giorni più tardi. Invece a distanza di 28 giorni dal condizionamento non si osservava alcuna modificazione dell’eccitabilità sinaptica.

Questo time-course era riscontrabile solo nei cervelli dei condizionati e non in quelli dei naïve o degli shock-only.

Modificazioni nell’attività sinaptica erano presenti anche nei cervelli di animali che avevano esplorato l’ambiente, tuttavia esse erano misurabili soltanto subito dopo l’esplorazione.

Questo fa supporre che gli stimoli contestuali siano sufficienti a indurre l’attivazione di meccanismi che controllano l’eccitabilità sinaptica, mentre quando stimoli avversivi sono associati al contesto la grande quantità di informazioni può essere processata solamente attraverso un aumento della durata dell’eccitabilità stessa.

Il fatto che l’aumento dell’eccitabilità sinaptica sia registrato solamente fino a sette giorni e che la risposta di freezing in seguito al condizionamento perduri per circa un mese indicano che l’ippocampo

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non sia direttamente coinvolto nella conservazione a lungo termine di queste risposte. I cambiamenti nell’attività elettrofisiologica registrati a livello dell’ippocampo possono essere correlati al consolidamento delle tracce mnemoniche del CFC. La riduzione dell’incremento dell’attività sinaptica a distanza di sette giorni dall’addestramento può essere dovuta alla trasformazione delle tracce mnemoniche appena consolidate in altre forme di memoria. Quindi questo potenziamento dell’attività sinaptica ippocampale è temporalmente correlato sia al consolidamento a breve che a lungo termine, perché è presente durante le fasi in cui questi eventi hanno luogo (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli; 2001). Gli effetti dell’apprendimento contestuale alla paura sull’eccitabilità sinaptica a livello dell’ippocampo sono stati studiati anche per mezzo di stimolazioni tetaniche ad alta frequenza (HFS), su slices della regione CA1 dell’ippocampo di ratto preparate immediatamente, 1 e 7 giorni dopo il condizionamento (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli; 2002).

Normalmente dopo questo tipo di stimolazione si osserva un precoce e transiente potenziamento dell’attività sinaptica conosciuto come short-term potentiation (STP) (Malenka; 1991; Bliss & Collingridge; 1993; Schulz, Cook, Johnston; 1994), seguito da un secondo potenziamento più duraturo (LTP) .

Il CFC influenza la risposta sinaptica ippocampale: infatti HFS produce un decremento nell’ampiezza dell’STP e dell’ LTP nei condizionati e non nei naïve. La riduzione di STP è presente solo nelle slices preparate immediatamente dopo CFC e fino a poche ore dopo. La diminuzione di LTP è ancora presente trascorse 24 h, mentre 7 giorni dopo non è misurabile alcun decremento. Entrambe le

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modificazioni appaiono essere chiaramente correlate al processo di apprendimento (associazione contesto-US), poiché tali variazioni non sono osservate nei soggetti shock-only. Nei soggetti exploration sono presenti diminuzioni dell’LTP, ma solo immediatamente dopo il condizionamento, e l’STP non risulta mai essere modificata (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli; 2002). Questi dati sono in linea con risultati ottenuti in altri lavori (Foster, Gagne and Massicotte; 1996; Waters, Klintsova and Foster; 1997). L’assenza di modificazioni nelle preparazioni ottenute da animali shock-only, conferma i dati precedenti, che hanno evidenziato che l’emozionalità, l’attività muscolare e gli stimoli nocicettivi non sono sufficienti ad innescare il processo di apprendimento e le variazioni nell’eccitabilità ippocampale connesse ad esso (Fanselow; 1990; Milanovich, Radulovic, Laban, Stiedl, Henn, Spiess; 1998; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli; 2001 ).

Il decremento dell’STP è misurabile nei soggetti condizionati, ma solo subito dopo il condizionamento. Ciò suggerisce che le modificazioni dell’STP sono chiaramente correlate alla fase di acquisizione dell’associazione CS-US (che si verifica immediatamente in seguito all’addestramento negli animali condizionati) e non a eventi successivi quali il consolidamento dell’associazione CS-US.

La differenza tra STP e LTP, già nota nei meccanismi biochimici ed elettrofisiologici, è ulteriormente sottolineata dal fatto di essere differentemente influenzate da processi associativi (Malenka; 1991; Bliss & Collingridge; 1993).

L’affermazione che il processo associativo mnemonico è la causa principale del decremento nell’induzione di STP e LTP, poggia

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sull’ipotesi che l’STP e l’LTP condividono meccanismi comuni i quali portano all’elaborazione specifica dell’apprendimento (Foster, Gagne and Massicotte; 1996; Jeffery; 1997; Rioult-Pedotti, Friedmann, Donoghue; 2000).

Questi risultati, nel complesso, mostrano che il processo di apprendimento delle risposte condizionate di paura al contesto influenza in maniera diversa l’eccitabilità sinaptica e l’induzione di STP e LTP nella regione CA1.

Inoltre questi risultati sono in linea con studi che hanno dimostrato una riduzione dell’induzione dell’LTP prima e dopo un aumento dell’attività sinaptica (Huang, Colino, Selig, Malenka; 1992) e un incremento dell’eccitabilità sinaptica associato a un calo dell’induzione dell’LTP nella corteccia motrice di ratti in seguito ad apprendimento di compiti motori (Rioult-Pedotti, Friedmann, Donoghue; 2000).

In accordo con questi dati e con la recente letteratura (Martin, Grimwood and Morris; 2000) è stato supposto che il rafforzamento dell’attività sinaptica durante i processi di consolidamento ingaggi un meccanismo LTP-simile.

I risultati, inoltre, mostrano che il processo mnemonico influenza STP e LTP a tempi diversi in relazione a fasi mnemoniche differenti. Immediatamente dopo la sessione di addestramento, quando sia STP che LTP sono basse, entrambe sottendono i meccanismi neuronali della memoria a breve termine (Kim & Fanselow; 1992; Abel, Martin, Bartsch and Kandel; 1998). Durante la successiva fase di consolidamento, invece, solo l’induzione dell’LTP viene ad essere aumentata. I meccanismi biochimici e molecolari di consolidamento, che hanno luogo nell’ippocampo, avvengono entro le 24 h seguenti la

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sessione di acquisizione (Matthies; 1989; Olds, Anderson, McPhie, Staten and Alkon; 1989; Bernabeu, Bevilaqua, Ardenghi, Bromberg, Schmitz, Bianchin, Izquierdo, Medina; 1997) perciò, i processi di induzione dell’LTP potrebbero essere correlati alle modificazioni dell’eccitabilità dovute a questo fenomeno. Sette giorni dopo l’acquisizione, l’LTP non mostra più modificazioni, tuttavia si può affermare con sicurezza che l’ippocampo sia ancora coinvolto in processi associativi a lungo termine anche sette giorni dopo (Kim & Fanselow 1992; Thompson, Moyer, Disterhoft; 1996; Riedl, Micheau, Lam, Roloff, Martin, Bridge, De Hoz, Poeschel, Mcculloch, Morris; 1999; Shimizu, Tang, Rampon, Tsien; 2000).

Questi processi tardivi sembrano essere distinti da quelli correlati alle fasi precoci della memorizzazione, infatti risultano essere meno facilmente eliminabili e solo inattivazioni reversibili ripetute o lesioni irreversibili possono essere seguite da amnesia.

L’induzione dell’LTP non sembra essere influenzata da questi processi, i quali comunque sono ancora sostenuti da modificazioni dell’eccitabilità sinaptica (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli; 2001).

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1.5 Modificazione dell’espressione genica legata al fear

conditioning

Studi di lesioni di zone cerebrali specifiche hanno mostrato che l’amigdala e l’ippocampo sono richiesti per il consolidamento della memoria alla paura contestuale (Anagnostaras, Gale and Fanselow; 2001). Cambiamenti trascrizionali si possono osservare nell’amigdala e nell’ippocampo in seguito al CFC (Hall, Thomas, Everitt; 2001); inoltre, l’inibizione della sintesi di mRNA o delle proteine nell’ippocampo subito dopo l’addestramento, comporta deficit nella memoria a lungo termine, ma non influenza la prestazione comportamentale durante l’acquisizione e la memoria a breve termine (Davis & Squire; 1984).

L’espressione genica e la sintesi di nuove proteine rappresentano, quindi, un evento fondamentale e necessario per il trasferimento delle informazioni acquisite dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. E’ stato dimostrato anche che nei neuroni dell’amigdala, durante l’acquisizione del condizionamento alla paura, avvengono cambiamenti funzionali a lungo termine attività-dipendenti (Bailey, Kim, Helmstetter, Sun and Thompson; 1999). Ratti sottoposti a microinfusioni bilaterali di actinomicina-D (act-D) nell’amigdala baso-laterale prima di essere condizionati alla paura, presentano una riduzione delle risposte apprese a partire dalle 24 h fino alle 48 h dopo le infusioni (Bailey, Kim, Helmstetter, Sun and Thompson; 1999). Questi risultati supportano l’ipotesi che la ritenzione a lungo termine di associazioni apprese durante il FC richiede la trascrizione di nuovo

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mRNA e la conseguente sintesi di proteine all’interno dell’amigdala (Bailey, Kim, Helmstetter, Sun and Thompson; 1999).

Anche se da tempo è noto che il consolidamento delle memorie comporta espressione genica e sintesi de novo di proteine, ancora oggi vi sono pochi studi di biologia molecolare tesi ad analizzare i patterns di espressione genica coinvolti nei fenomeni dell’apprendimento e capaci di specificare l’identità e il ruolo funzionale delle proteine prodotte. Il risultato di una recente ricerca ha messo in evidenza una rapida e selettiva induzione dell’ espressione di BDNF nell’ippocampo durante l’apprendimento alla paura contestuale (Hall, Thomas and Everitt; 2001). Questo fenomeno è ristretto all’area CA1 in quanto non è stato ritrovato nelle altre regioni ippocampali e nell’amigdala. Tale incremento mette in risalto il coinvolgimento di questo fattore trofico nella plasticità sinaptica nel SNC adulto e suggerisce che la regolazione dell’attività di BDNF a livello del campo CA1 sia un correlato dell’apprendimento ippocampale in vivo. Uno studio molto recente ha iniziato a mettere in evidenza le risposte trascrizionali che avvengono nell’ippocampo e nell’amigdala coinvolte nell’instaurarsi del fear conditionig tramite la tecnica del microarray. Questa tecnica ha reso possibile monitorare su larga scala modificazioni dell’espressione genica legate al consolidamento di questa forma di apprendimento (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu; 2005). In questo lavoro sperimentale sono stati individuati cambiamenti dinamici nel livello di espressione di 222 geni nell’amigdala e di 145 geni nell’ippocampo a partire da 0.5, 6 e 24 h dopo il CF. Sorprendentemente si è visto che il pattern di espressione genica in queste due regioni cerebrali risulta essere differente. Nell’ippocampo la maggior parte dei geni regolati appartengono alla classe delle proteine segnale e dei fattori di

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trascrizione. Ad esempio, la chinasi regolatoria 14-3-3, che sembra interagire con la regione C-terminale del recettore GABAB, subisce un

decremento nell’espressione 6 h dopo il condizionamento. Inoltre è emerso anche un decremento nell’espressione della subunità α-1 del recettore GABAA dopo 6 h. Questi risultati fanno ipotizzare che la

formazione delle memorie alla paura contestuale implica modificazioni dell’inibizione gabaergica sull’eccitabilità dei circuiti ippocampali. Nell’ippocampo si è anche evidenziata una regolazione negativa di proteine catalitiche come chinasi e fosfatasi e di proteine coinvolte nel trafficking delle vescicole sinaptiche e nel rilascio del neurotrasmettitore. Molte delle proteine che mostrano modificazione della loro espressione in seguito a FC nell’ippocampo, sono coinvolte anche nell’apprendimento e nelle malattie della memoria nell’Uomo. Ad esempio mostrano un decremento dell’espressione dopo il fear conditioning la proteina precursore dell’amiloide (APP), correlata alla malattia di Alzheimer e altre due proteine che interagiscono con essa come la catena leggera 1 della chinesina (KLC1) e il fattore di splicing U2AF65. Un altro gene coinvolto nei disturbi dell’apprendimento è il gene per la neurofibromatosi di tipo I (NF1). Studi condotti sia sul topo (Silva, Frankland, Marowitz, Friedman, Laszlo, Cioffi, Jacks, Bourtchuladze and Laszlo; 1997) che su Drosophila (Guo, Tong, Hannan, Luo and Zhong; 2000), hanno evidenziato che la perdita funzione di tale gene può portare a deficit mnemonici. L’espressione di NF1 risulta essere aumentata già 6 h dopo il condizionamento, suggerendo quindi che questo sia un gene la cui espressione è finemente regolata durante i processi di memoria e apprendimento. A livello ippocampale è stata ritrovata anche una modificazione dell’espressione di geni che solitamente sono espressi in cellule non neurali. Un esempio

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è l’enzima glutamina-sintetasi gliale, la cui espressione risulta aumentare a 24 h di distanza dal trattamento di FC. Nei malati di Alzheimer, tale proteina risulta diminuire a livello degli astrociti (Robinson; 2000). Un altro gene espresso solitamente a livello gliale è la vimentina, che mostra avere una sovraespressione dopo il FC a livello dell’ippocampo (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu; 2005). La vimentina è una proteina strutturale dei filamenti intermedi che costituiscono la componente principale del citoscheletro degli astrociti (Menet, Gimenez Y Ribotta, Chauvet, Drian, Lannoy and Colucci-Guyon; 2001), di conseguenza, un aumento della sua espressione, suggerisce che il FC determini cambiamenti strutturali a livello di queste cellule. (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu; 2005)

Nell’amigdala la maggior parte dei geni che vengono sovraespressi in seguito al FC codifica per proteine strutturali e per proteine di adesione cellulare, peculiari delle strutture sinaptiche, dendritiche e assonali come: l’actina, la spectrina cerebrale, la tubulina e le proteine associate ai microtubuli (Van Rossum & Hanisch; 1999). Altri geni individuati sono coinvolti nel turn-over e nella regolazione dei recettori ionotropici, tra i quali figura la proteina associata al recettore GABAA

(GABARAP). Tale proteina modula la cinetica del canale promuovendo il clustering dei recettori GABAA sui microtubuli (Chen, Wang, Vicini

and Olsen; 2000) e risulta essere modulata negativamente in seguito ad FC. Questo risultato suggerisce che nell’amigdala cosi come nell’ippocampo in questa forma di apprendimento si assiste ad un aumento dell’eccitabilità sinaptica che deriva da una riduzione degli effetti inibitori dei recettori gabaergici. Un altro meccanismo potenzialmente in grado di modificare l’efficacia sinaptica è il trafficking dei recettori AMPA. Infatti nell’amigdala si osserva un

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aumento dell’ espressione della subunità GLUR1 di tale recettore e di proteine implicate nel suo inserimento all’interno della membrana e nella sua rimozione. Altri geni, invece, in seguito al condizionamento risultano essere sottoespressi come l’inibitore della proteina fosfatasi 2 (PP2A). La PP2A defosforila i recettori AMPA e la CaMKII (Lisman & Zhabotinsky; 2001). La modulazione negativa dell’ inibitore di questa proteina indica quindi una possibile alterazione della via di trasduzione del segnale (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu; 2005). Un risultato interessante è l’aumento dell’espressione anche di altri geni, noti per essere correlati con malattie mentali umane come la chinasi-5-fosfato-4-fosfatidilinositolo (PIP5K), proteina notevolmente ridotta a livello della corteccia frontale dei malati di Alzheimer (Jolles, Bothmer, Markerink, Ravid; 1992).

Cosi come nell’ippocampo anche nell’amigdala si osserva una modificazione dell’espressione di geni specifici delle cellule gliali in seguito a FC (Mei, Li, Dong, Jiang, Wangand Hu; 2005). Questo dato è conforme con la recente osservazione che la glia sia coinvolta nei processi che controllano il numero di sinapsi in vitro e con la possibilità che la glia possa giocare un ruolo importante nei cambiamenti che sono alla base della plasticità sinaptica (Ullian, Sapperstein, Christopherson and Barres; 2001).

Il risultato più interessante emerso da questo studio è rappresentato dal cospicuo numero di geni che subiscono una riduzione nell’espressione, soprattutto a livello dell’ippocampo, dopo il FC.

Questi dati inducono a pensare che una coordinata regolazione negativa nell’espressione genica costituisca una parte importante del programma genomico e che sia una componente integrale del processo

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trascrizionale che avviene in risposta agli stimoli esterni (Mei, Li, Dong, Jiang, Wangand Hu; 2005).

Figura

Fig. 3: Veduta dell’ippocampo e delle tre principali vie afferenti a) nel ratto  b) nell’uomo  (tratte da “Memory from mind to molecules”, Kandel & Squire, Scientific American  Library)

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