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Disturbi coagulativi post traumatici

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Academic year: 2022

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Medicina Tattica Italia

Ente di formazione riconosciuto dal Committee of Tactical Emergency Casualty Care (C-TECC) + 39 351 – 88 33 279 info@medicinatattica.it www.medicinatattica.it

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Disturbi coagulativi post traumatici

Wenjun Martini.

Military Medical Research. 2016; 3: 35.

ABSTRACT

Gli eventi traumatici sono una tra le principali cause di morte e le emorragie non controllate da sottostante disturbo coagulativo sono una tra le potenziali cause di morte prevenibile. L’ipotermia, l’acidosi e l’emodiluizione da rianimazione volemica sono state già stigmatizzate come fattori favorenti i disturbi coagulativi a seguito di evento traumatico e, solitamente, vengono denominati “triade letale”. Nell’ultimo decennio gli studi clinici hanno dimostrato come la coagulopatia post traumatica, in caso di traumatismo severo, possa essere rilevata già all’ammissione in pronto soccorso. Una disfunzione dell’emostasi è associata ad una necessità trasfusionale maggiore, ad un tempo di ricovero maggiore e ad un tasso di mortalità maggiore. Il riconoscimento dell’esistenza di una disfunzione coagulativa precoce ha suscitato un profondo interesse nei gruppi di studio e questi si sono focalizzati soprattutto nell’andare ad identificare i processi fisiopatologici sottostanti in modo tale da poter andare a migliorare l’aspetto terapeutico. Questa review è stata scritta basandosi sulle più moderne conoscenze scientifiche riguardo ai disturbi coagulativi post traumatici.

Keywords: lesione traumatica, coagulazione, sepsi, triade letale e fisiopatologia

Background

Gli eventi traumatici continuano ad essere una tra le principali cause di morte, arrivando ad essere causa del 40% dei decessi in ambiente extraospedaliero.1,2 Una emorragia non controllabile per sottostanti disturbi di coagulazione continua ad essere la principale causa di morte prevenibile sia in caso di traumatismo civile sia in caso di traumatismo militare.3-7 L’ipotermia, l’acidosi e l’emodiluizione da rianimazione volemica sono state già stigmatizzate come fattori favorenti i disturbi coagulativi a seguito di evento traumatico. Nell’ultimo decennio differenti studi clinici in tutto il mondo hanno dimostrato come, la coagulopatia post traumatica, in caso di evento severo, possa essere rilevata già all’ammissione in pronto soccorso. Una disfunzione dell’emostasi è associata ad una necessità trasfusionale maggiore, ad un tempo di ricovero maggiore e ad un tasso di mortalità maggiore.7-11 Il riconoscimento di questa precoce patologia della coagulazione ha portato all’uso di una nuova terminologia e ha portato a proporre delle ipotesi fisiopatologiche da verificare mediante studi scientifici.8,12,13 In ogni caso, ad oggi, la nostra conoscenza dei meccanismi fisiopatologici sottostanti alla coagulopatia post traumatica rimane incompleta. Questa review è stata scritta basandosi sulle più moderne conoscenze scientifiche riguardo ai disturbi coagulativi post traumatici.

Processo coagulativo

La coagulazione è uno tra i più importanti processi fisiologici del corpo umano, include una serie di risposte fisiche, biochimiche e cellulari conseguenti a differenti stimoli esterni. L’obiettivo del processo coagulativo consiste nella produzione di coaguli di fibrina partendo dal fibrinogeno (fattore I), in questo processo la trombina riveste un ruolo fondamentale.14 Da un punto di vista biochimico, la coagulazione può essere avviata

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attraverso la via intrinseca o attraverso la via estrinseca. Le due vie convergono nella formazione di trombina nella via comune. La via intrinseca prevede l’attivazione dei fattori VIII, IX, X, XI e XII, il che comporta, alla fine, la generazione di trombina dal suo precursore, la protrombina (fattore II). La via estrinseca della coagulazione prevede l’attivazione del fattore tissutale (fattore III), questo fattore viene rilasciato in circolo dalle cellule endoteliali lesionate. Il fattore III permette l’attivazione del fattore VII in VIIa. Il complesso fattore tissutale/VIIa, permette l’attivazione di altro fattore VII, di protrombina, di fattore X e di piastrine ingenerando quello che viene definito come il burst trombinico che culmina con la rapida formazione di un coagulo stabile.15 Questo modello a cascata è in grado di fornire una descrizione biochimica di base dei processi coagulativi umani e può essere considerata la base di partenza da cui identificare le patologie della coagulazione; ad oggi, però, questo schema è considerato incompleto, perché non prende in considerazione i processi di controllo e di inibizione della coagulazione intrinsecamente presenti nel plasma. Gli esami clinici standard come il tempo di protrombina (PT) o il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) sono in grado di analizzare l’attività enzimatica dei fattori coinvolti nella via intrinseca ed estrinseca.

La formazione di coaguli di fibrina è controbilanciata da processi inibitori e anti coagulativi. L’anti trombina III è in grado di inibire l’azione del fattore Xa e della trombina e il suo effetto è amplificato di 200 volte in caso di somministrazione di eparina.16 Il processo di inibizione del fattore tissutale blocca il fattore Xa andando a neutralizzare l’effetto della via estrinseca sul processo coagulativo. La proteina C attivata, ossia il prodotto attivato dal complesso trombomodulina/trombina, è in grado di inattivare la protrombinasi e, di conseguenza, la via intrinseca.17 Infine, i coaguli di fibrina sono il substrato di partenza della plasmina. La plasmina è attivata, a partire dal plasminogeno, grazie all’enzima tissutale attivante il plasminogeno (tPA).18 L’attività del tPA può essere inibita dall’inibitore dell’enzima tissutale attivante il plasminogeno (PAI).19,20 Il sistema fibrinolitico, quindi, regola la formazione di plasminogeno attraverso l’attività degli enzimi tPA, PAI e atrtaverso gli inibitori dell’antiplasmina. In caso di normalità, nel corpo umano, lo stato di attivazione dei processi coagulativi, anti coagulativi e fibrinolitici è dinamico.

Un altro modo di andare a descrivere il processo coagulativo consiste nel prendere in considerazione la parte cellulare coinvolta nel processo stesso.21 Questo modello prevede l’esistenza di tre fasi sovrapposte:

la fase di inizio, di amplificazione e di propagazione. Tutte e tre le fasi sono regolate dalle proprietà intrinseche delle superfici cellulari, dai recettori di membrana e dall’attività delle proteine della coagulazione. Questo modello fornisce le basi teoriche che i test viscoelastici come la tromboelastografia (TEG) e la tromboelastometria rotazionale (ROTEM) sfruttano per andare a studiare la dinamica del processo coagulativo e guidare le azioni terapeutiche conseguenti.22,23

Test coagulativi

La coagulopatia post traumatica precoce può essere definita grazie a più parametri laboratoristici come il PT, l’aPTT, il tempo di trombina, la conta piastrinica, il dosaggio del fibrinogeno ematico ma anche grazie a i test viscoelastici.8,22,24-28 Ad oggi, non è stata formulata una definizione globalmente accettata per diagnosticare coagulopatia post traumatica precoce, anche se un allungamento del PT è stato più volte preso in considerazione da molti ricercatori per valutare la presenza di questa patologia.

Il TEG e il ROTEM, se paragonati al PT e all’aPTT, sono in grado di fornire una descrizione più globale dello stato coagulativo in quanto sono in grado di quantificare il tempo di formazione di un coagulo, la velocità di coagulazione, la resistenza di un coagulo e il tempo di fibrinolisi. Sia il TEG che il ROTEM, grazie alle caratteristiche descritte, sono stati sempre più utilizzati per diagnosticare coagulopatia post traumatica, per predire la necessità di trasfusioni massive e per guidare la somministrazione di emoderivati.23,29 In ogni caso, questi esami hanno dimostrato una sensibilità limitata nel diagnosticare una disfunzione piastrinica e una fibrinolisi moderata.23,30,31 Sarebbe pertanto auspicabile organizzare uno studio randomizzato e controllato capace di stabilire il ruolo del TEG e del ROTEM come strumenti atti a guidare la somministrazione massiva di emoderivati nei pazienti traumatizzati.

Complicanze coagulative post traumatiche

Dopo un evento traumatico i processi coagulativi, i processi anticoagulativi e i processi fibrinolitici vengono attivati in maniera sproporzionata, il che comporta una modifica dell’equilibrio coagulativo. Le alterazioni sono dinamiche e multifattoriali. Per semplicità è opportuno descrivere le variazioni fisiopatologiche raggruppandole in tre fasi distinte: 1) fase acuta post traumatica, che può essere diagnosticata già ore dopo l’evento traumatico;

2) fase rianimatoria, che può essere riscontrata in un lasso di tempo compreso tra 24 e 48 ore dopo l’evento traumatico, in questa fase il paziente può essere trattato con differenti tipi di fluidi; 3) fase tardiva, che può instaurarsi anche a distanza di giorni dall’evento traumatico.

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Fase acuta post traumatica

Storicamente la coagulopatia post traumatica è sempre stata messa in correlazione con perdite ematiche conseguenti a lesioni vascolari, con l’emodiluizione da rianimazione volemica, con l’insorgenza di acidosi metabolica e con l’ipotermia.32,33 Nell’ultimo decennio molti studi clinici hanno dimostrato come fosse possibile diagnosticare, nei pazienti traumatizzati e già in pronto soccorso, un allungamento del PT e dell’aPTT.8-10 È stato anche stabilito come questa complicanza fosse associata in maniera indipendente con una maggiore necessità trasfusionale e con un tasso di mortalità superiore rispetto ai malati in cui non fosse possibile diagnosticare questa variazione. 8-10 Il riconoscimento di uno stato di coagulopatia post traumatica precoce (già presente prima della somministrazione di fluidi endovenosi) ha suscitato un vivo interesse nel mondo scientifico e molti studi sono stati avviati. I risultati di questi studi hanno portato alla creazione di nuovi termini capaci di identificare questa entità come: coagulopatia acuta da trauma (ACT), coagulopatia post traumatica (ATC), coagulopatia indotta dal trauma (TIC) e coagulopatia precoce post traumatica. Gli stessi studi hanno anche ipotizzato differenti meccanismi fisiopatologici sottostanti questa patologia.

Una tra le ipotesi proposte prevede l’esistenza un meccanismo di coagulopatia da consumo simile a quello diagnosticabile in caso di coagulazione intravascolare disseminata (DIC).34 Subito dopo l’evento traumatico i tessuti lesionati sarebbero in grado di produrre e riversare nel torrente circolatorio il fattore tissutale che, normalmente, è presente solo all’interno del parenchima tissutale, in modo tale da scatenare la formazione di trombina e, in ultima analisi, di coaguli. Le piastrine sarebbero attivate grazie a un sistema di recettori cellulari comprendenti, tra gli altri: il collagene della matrice sub endoteliale legato alla glicoproteina VI e il fattore di von Willebrand (vWF) legato alla glicoproteina Ib.15 L’attivazione delle piastrine amplificherebbe la formazione di trombina e il processo coagulativo in toto andando a consumare i fattori della coagulazione. I fattori maggiormente colpiti sarebbero il fibrinogeno e il fattore V.35 L’attivazione della via fibrinolitica sarebbe incentivato dall’aumento dell’enzima tissutale attivante il plasminogeno, capace di trasformare il plasminogeno in plasmina. In ultima analisi nel paziente traumatizzato si ingenererebbe uno stato di ipocoagulabilità e di iperfibrinolisi.

Un’altra tra le ipotesi proposte prevederebbe un ruolo centrale della proteina C attivata nello sviluppo di uno stato di ipocoaculabilità.8,24,36,37 Secondo questa ipotesi, a seguito di un evento traumatico maggiore con conseguente ipoperfusione tissutale, la trombina si legherebbe alla trombomodulina andando a formare la proteina C attivata. La proteina C attivata favorirebbe, quindi, sia il processo anticoagulativo, inibendo il fattore Va e il fattore VIIIa, sia il processo fibrinolitico, inibendo l’inibitore dell’enzima tissutale attivante il plasminogeno. Accettando questi presupposti fisiologici, è evidente perché, a seguito di traumatismo maggiore, la proteina C attivata sarebbe l’enzima chiamato in causa per lo sviluppo di uno stato ipocoagulativo e iperfibrinolitico.

La terza ipotesi prevederebbe l’esistenza di una risposta neuronale, ormonale ed endoteliale post traumatica.38,39 Secondo questa ipotesi, una lesione tissutale sarebbe in grado di stimolare una risposta adrenergica con conseguente rilascio di catecolamine. Le catecolamine circolanti danneggerebbero il glicocalice endoteliale andando a massimizzarne la risposta procoagulativa post traumatica vascolare.

Parallelamente si svilupperebbero processi anticoagulanti e fibrinolitici capaci di limitare la coagulazione e compartimentalizzarla nel solo sito traumatizzato. Questi processi, sregolati a seguito di traumatismo, prenderebbero il sopravvento rispetto alla risposta transitoria delle catecolamine e ingenererebbero uno stato di ipocoagulabilità e di fibrinolisi generalizzata.

Ad oggi, il dibattito scientifico riguardo a queste ipotesi è ancora aperto.7,13,40 Nonostante tutto, però, sia la presenza di una lesione tissutale sia l’ipoperfusione conseguente a shock ipovolemico sono state dichiarate essere fattori favorenti lo sviluppo di coagulopatia post traumatica.24,32,41 La gravità del traumatismo e la durata dello stato di shock sono state messe in correlazione con la gravità della disfunzione coagulativa.

Fase rianimatoria

La fase rianimatoria comprende i primi giorni (24-48 ore) dopo l’evento traumatico. Durante questa fase, data l’abbondante fluidoterapia che solitamente viene somministrata al paziente traumatizzato, possono insorgere sia acidosi metabolica che emodiluizione. Entrambe possono amplificare e peggiorare la coagulopatia sottostante e conseguente all’evento traumatico.42-44

Acidosi metabolica

L’acidosi è una alterazione dell’equilibrio acido-base facilmente riscontrabile nei pazienti traumatizzati, il meccanismo fisiopatologico sottostante comprende una ipoperfusione causata da una o più lesioni vascolari con emorragia. La disfunzione degli enzimi coagulativi riscontrata durante un evento traumatico è segno di quanto l’acidosi possa interferire con il setting coagulativo. I pazienti traumatizzati e in acidosi solitamente dimostrano un allungamento del PT, un allungamento dell’aPTT e una diminuzione della quantità dei fattori

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circolanti. In vitro, facendo scendere il pH da 7.4 a 7.0 si può osservare una diminuzione dell’attività del fattore VIIa e del complesso fattore tissutale/VIIa del 90% e del 60% rispettivamente.45 Nei maiali, facendo scendere il pH da 7.4 a 7.1 si può osservare una diminuzione della produzione di trombina pari al 47% rispetto ai controlli.46 Andando ad analizzare specificamente la curva di generazione della trombina, l’acidosi è in grado di alterare moderatamente la fase iniziale ma di inibire drammaticamente la fase di propagazione.46 Questi dati dimostrano che l’acidosi sia in grado di inibire a cascata, di conseguenza, l’attivazione dei fattori V, VIII, IX, X, la formazione del dimero Xa/protrombina (durante la fase di propagazione della generazione di trombina) e, in misura minore, la formazione del dimero fattore tissutale/VIIa (nella fase iniziale della generazione di trombina).46

L’effetto dell’acidosi sulla disponibilità e sul metabolismo del fibrinogeno è stata studiata su modelli suini grazie a infusione di fibrinogeno marcato.47 Nei modelli animali, la presenza di acidosi con pH pari a 7.1 è in grado di far aumentare di 1.8 volte il consumo di fibrinogeno ma non è in grado di farne diminuire la sintesi.47 L’aumento del consumo senza un concomitante aumento nella produzione comporta inevitabilmente una diminuzione della disponibilità di fibrinogeno a livello ematico e, allo stesso modo, suggerisce come la somministrazione di fibrinogeno esogeno possa essere una terapia razionale.

In uno studio effettuato su modelli suini, al fine di risolvere lo stato di ipocoagulabilità connesso con l’acidosi, si è provato, per normalizzare il pH, a somministrare fluidi ricchi in bicarbonato per via endovenosa.48 Nei modelli animali, una acidosi con pH pari a 7.1 è in grado di far diminuire il fibrinogeno ematico e la conta piastrinica. Una acidosi con pH pari a 7.1 è anche in grado di far diminuire la generazione di trombina, la velocità di coagulazione e la resistenza finale dei coaguli. Nell’esperimento indicato, dopo la somministrazione di bicarbonato, il pH è stato riportato a 7.4. Questo intervento terapeutico però non è stato in grado di correggere il deficit di enzimi della coagulazione precedentemente depleti dall’acidosi. Si è giunti a risultati sovrapponibili anche utilizzando un altro agente alcalinizzante.49 Questi risultati hanno dimostrato come la coagulopatia indotta da acidosi, una volta sviluppata, non possa essere corretta immediatamente andando a normalizzare il pH. Perciò l’attenzione dei clinici dovrebbe essere riposta su azioni terapeutiche utili a prevenire piuttosto che a trattare la coagulopatia indotta da acidosi.

Ipotermia

Gli effetti dell’ipotermia sulla cascata coagulativa sono stati studiati svolgendo i normali test clinici a temperature differenti. I tempi di PT e di aPTT sono risultati maggiori rispetto ai controlli in caso il paziente (o l’animale da esperimento o il plasma testato in vitro) risulti ipotermico.50-53 L’effetto dell’ipotermia sulla cinetica di formazione della trombina in vivo è stata studiata in modelli suini.46 Una ipotermia a 32°C è in grado, in primo luogo, di inibire la fase iniziale del processo di generazione di trombina andando a coinvolgere anche il processo di formazione del complesso fattore tissutale/VIIa.46 La fase di propagazione del processo di generazione della trombina, però, non risulta esserne modificata. Perciò è evidente come l’ipotermia sia in grado di modificare il processo di formazione della trombina in maniera differente rispetto a quanto osservato in caso di acidosi.

La capacità della temperatura di modificare il metabolismo e la disponibilità ematica del fibrinogeno è stata studiata in modelli animali grazie a infusione di isotopi radioattivi.54 Una ipotermia a 32°C è stata in grado di far diminuire la sintesi del fibrinogeno del 50% rispetto ai controlli ma di lasciarne invariato il consumo.54 Se si paragona l’aumento del consumo con sintesi invariata riscontrata in caso di acidosi è evidente come l’ipotermia vada a influenzare il metabolismo del fibrinogeno attraverso un meccanismo differente rispetto a quello evidenziato in caso di acidosi. In ogni caso la diminuzione di produzione di fibrinogeno con consumo invariato comporta un risultato finale sovrapponibile a quello evidenziato in caso di acidosi: una diminuzione della disponibilità di fibrinogeno ematico.

Terapia rianimatoria

La rianimazione volemica è una terapia normalmente utilizzata per garantire perfusione tissutale a seguito di perdite ematiche consistenti. Nel mondo sono stati utilizzati e testati differenti tipologie di fluidi a seconda della disponibilità, dei costi e dell’esperienza clinica maturata. Le soluzioni cristalloidi come la soluzione fisiologica o il ringer lattato (RL) sono fluidi poco costosi e utilizzati in tutto il mondo.55-57 La soluzione fisiologica è una soluzione salina arricchita con NaCl con un pH medio di 5.0. Il RL ha un pH medio di 6.5 e una composizione elettrolitica simile a quella del plasma umano e, per questo, è considerato più compatibile rispetto alla soluzione fisiologica. Negli studi comparativi effettuati su pazienti selezionati per essere sottoposti a trapianto renale o a riparazione di un aneurisma aortico in cui venivano paragonati gli effetti connessi alla somministrazione di soluzione fisiologica o di RL, sono stati registrati risultati sovrapponibili in entrambi i gruppi sia per quanto riguarda sia il tempo di permanenza in terapia intensiva, sia per quanto riguarda il tempo di ventilazione meccanica sia per quanto riguarda il tasso di complicazioni post operatorie. I pazienti trattati con soluzione fisiologica, però, hanno riportato un pH medio più acidotico. In un modello animale (ratto colpito da

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emorragia con perdita del 36% del volume ematico circolante) trattato con rianimazione volemica, l’utilizzo di soluzione fisiologica o di RL non è stato in grado di modificare il tasso di sopravvivenza.58 In ogni caso, l’utilizzo di RL è stato messo in correlazione con un miglior tasso di sopravvivenza in caso di emorragia massiva (perdita del 218% del volume ematico circolante).58 In un grande studio svolto su animali da laboratorio è stato possibile evidenziare che, in caso di frattura di femore con perdita ematica pari al 60% del volume ematico circolante, l’utilizzo di soluzione fisiologica o di RL non è stato in grado di influenzare il setting emodinamico, il metabolismo dell’ossigeno o la coagulazione.59 L’utilizzo di soluzione fisiologica è stato messo in correlazione con la necessità di somministrazione di un volume fluidico maggiore, con un peggior equilibrio acido-base e con valori ematici di potassio più elevati.59

Le soluzioni colloidi, se paragonate ai cristalloidi, sono molto efficaci nell’aumentare il volume intravascolare facendo aumentare solo in minima parte il volume interstiziale. Questa capacità di espansione volemica può essere molto utile in ambiente pre ospedaliero o in caso di soccorso militare in ambiente ostile.

Nel mondo sono stati utilizzati differenti soluzioni colloidali come l’albumina, le gelatine e l’amido idrossietilico.60-63 Nonostante siano stati riportati risultati positivi in alcuni studi clinici umani e su animali da laboratorio, la rianimazione volemica con colloidi è stata associata a una riduzione dei fattori della coagulazione, disfunzione piastrinica e complicanze emorragiche.64-66 In un modello animale suino colpito da emorragia traumatica, l’utilizzo di amido idrossietilico ha causato una brusca diminuzione dei fattori della coagulazione, diminuzione della conta piastrinica, diminuzione dei livelli di fibrinogeno e coagulopatia (analisi effettuata con TEG). Questi effetti sono perdurati per tutte le 6 ore dell’esperimento mentre in caso di somministrazione di RL la coagulazione è tornata ad avere una funzionalità normale dopo solo 3 ore dall’infusione.59

Sottolineando l’importanza di cercare di limitare l’utilizzo di cristalloidi e aumentare l’utilizzo di emoderivati, nell’ultima decade è stato possibile far notare e far acquisire importanza alla fase rianimatoria eseguita secondo i principi della damage control resuscitation.67-69 Gli emoderivati come il plasma fresco congelato (FFP), i globuli rossi concentrati (PRBC) e le piastrine hanno iniziato a trovare spazio nella fase di rianimazione volemica e di stabilizzazione emodinamica. Un approccio proattivo della rianimazione volemica secondo i principi della damage control resuscitation consiste nel fornire un importante supporto trasfusionale al malato traumatizzato ed attivamente sanguinante.70 La selezione e l’ordine di trasfusione degli emocomponenti in caso di paziente attivamente sanguinante può variare a seconda dei protocolli dei singoli centri.71,72 Sia in ambito civile che in ambito militare, in ogni caso, un rapporto paritario tra plasma, piastrine e globuli rossi concentrati sembrerebbe essere benefico e migliorare il tasso di sopravvivenza.73,74 In ogni caso, l’utilizzo di emocomponenti è anche stato associato a un aumento del rischio di infezioni e di insufficienza d’organo.75-77 In ambito scientifico non è stato ancora possibile identificare il rapporto migliore tra i singoli emocomponenti e il dibattito è ancora aperto.

Gli agenti emostatici prodotti dalle aziende farmaceutiche, come il fibrinogeno concentrato, sono stati utilizzati per favorire il ripristino dei normali valori di fibrinogeno ematico in caso di traumatismo maggiore.

Infatti, dopo un evento traumatico, il fibrinogeno è il fattore che diminuisce più precocemente rispetto a tutti gli atri.47,54,78 Questi risultati supportano il principio terapeutico di somministrare fibrinogeno per facilitare il ritorno della coagulazione a livelli normali. L’utilizzo del fibrinogeno nei pazienti sottoposti a chirurgia maggiore è stato dimostrato essere clinicamente efficace, capace di migliorare la coagulazione e capace di ridurre la necessità trasfusionale.79-83 Attualmente sono in corso molti studi clinici prospettici che hanno lo scopo di quantificare l’efficacia della somministrazione di fibrinogeno somministrato sui pazienti traumatizzati sia in ambiente preospedaliero che in ambiente ospedaliero.

Fase tardiva post traumatica

Durante la fase tardiva post traumatica è possibile registrare un aumento sistemico dei livelli di citochine e di ormoni il che comporta un’attivazione delle cellule endoteliali. Le cellule endoteliali attivate, le citochine circolanti e la trombina portano a una lenta modifica del fenotipo delle cellule endoteliali stesse che passano da uno stato favorente la scoagulazione ad uno stato favorente la trombosi. L’attivazione delle cellule endoteliali, inoltre, è in grado di rallentare sia la produzione di trombomodulina sia il processo fibrinolitico. Da ultimo è possibile riscontrare un aumento esponenziale del fibrinogeno circolante. Durante questa fase lo stato coagulativo propende, quindi, verso la trombosi, favorendo lo sviluppo di trombi e, successivamente, emboli tali da richiedere la somministrazione di eparina o altri farmaci anticoagulanti.

Complicanze coagulative in caso di sepsi

La coagulopatia in caso di sepsi sembrerebbe essere simile a quella osservabile nella fase tardiva post traumatica, anche se, è bene sottolinearlo, esistono molti meno studi scientifici a riguardo. In caso di sepsi, la cascata coagulativa è attivata da citochine pro infiammatorie rilasciate in circolo e dal fattore tissutale.84-86

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Nonostante non si sia ancora capito chi produca il fattore tissutale in caso di spesi, la sua funzione è stata stabilita essere senza dubbio di primaria importanza nell’attivare la cascata della coagulazione attraverso il legame con il fattore VII e, successivamente, nella produzione di fattore Xa utile a stimolare la produzione di trombina.86 Lo stato infiammatorio tipico della sepsi prevede la produzione di fattori di attivazione piastrinica e, conseguentemente, l’attivazione piastrinica. Le piastrine attivate forniscono la superficie sulla quale catalizzare la formazione di trombina. Inoltre, la stimolazione della produzione di citochine pro infiammatorie e la loro cospicua presenza in circolo riveste un ruolo fondamentale nell’inibizione dei processi anticoagulativi.

Lo stato protrombotico così ingenerato assieme al blocco dei processi anticoagulativi favorirebbe lo sviluppo di DIC.87 Con il peggioramento dello stato settico la coagulopatia può evolvere in formazione di microtrombi e disfunzione multi organo.85,87

La diffusione dell’attivazione della cascata coagulativa è il segno patognomonico di DIC, la DIC può essere provocata da più fattori scatenanti tra cui la sepsi è solo uno tra molti. Esistono alcune similitudini tra la DIC e la coagulopatia post traumatica precoce tra cui è bene sottolineare la diminuzione dei fattori della coagulazione circolanti e un aumento della fibrinolisi.27,34 In ogni caso non è mai stato possibile riscontrare coagulazione intravascolare disseminata nei pazienti traumatizzati.88 I meccanismi che contribuiscono alla genesi di DIC in caso di sepsi e di coagulopatia post traumatica rimangono, pertanto, ancora poco chiari.

Conclusione

Le complicanze post traumatiche inerenti la cascata coagulativa sono da sempre state attribuite alla concomitante presenza di ipotermia, di acidosi e di emodiluizione conseguente a perdita ematica e successiva rianimazione volemica. I riscontri clinici degli ultimi decenni hanno ampliato la nostra conoscenza a riguardo, fino ad arrivare a indagare la fisiologia dei momenti immediatamente successivi al trauma. Nei pazienti colpiti da traumatismo maggiore le alterazioni della coagulazione possono essere già riscontrate all’ingresso in ospedale, questi malati hanno riportato un tasso di mortalità 3-4 volte maggiore rispetto ai malati colpiti da uno stesso tipo di traumatismo ma senza alterazioni di sorta. Il riconoscimento di queste alterazioni ha portato ad introdurre nuovi termini per identificare queste patologie e alla generazioni di ipotesi, a tutt’oggi da verificare, nel mondo scientifico. I meccanismi coinvolti nello sviluppo di complicanze inerenti la cascata coagulativa rimangono ancora sconosciuti. Ad oggi, al mondo scientifico sono ancora richiesti continui sforzi e nuovi studi coinvolgenti un numero sufficientemente largo di malati in modo tale da migliorare le nostre conoscenze e permettere di ideare nuovi protocolli terapeutici.

Sezione amministrativa

Ringraziamenti

Quanto riportato in questo articolo rispecchia quanto ritenuto scientificamente corretto dall’autore ma non deve essere ritenuto una presa di posizione ufficiale da parte del Ministero della Difesa Americano o da parte del Dipartimento della Difesa Americano.

Fondi

Questo articolo non è stato finanziato in alcun modo.

Disponibilità dei dati e del materiale pubblicato

Non rilevante.

Contributo dei singoli autori

L’autore ha personalmente redatto il manoscritto.

Conflitto di interessi

Secondo quanto riportato nelle linee guida dell’ International Committee of Medical Journal Editors, l’autore dichiara assenza di conflitto di interessi.

Consenso alla pubblicazione

Tutti gli studi citati nel presente articolo sono stati approvati dall’Institutional Animal Care and Use Committee dell’US Army Institute of Surgical Research e sono stati condotti secondo l’Animal Welfare Act and the Animal Welfare Regulations in accordo con i principi riportati nella Guidefor the Care and Use of Laboratory Animals.

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Approvazione del comitato etico

Non rilevante.

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