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Proposte di legge n. 259 Fucci, n. 262 Fucci, n. 1324 Calabrò, n. 1312 Grillo e n. 1581 Vargiu:

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Proposte di legge n. 259 Fucci, n. 262 Fucci, n. 1324 Calabrò, n. 1312 Grillo e n.

1581 Vargiu:

TEMI GENERALI E SPUNTI PER UN’ANALISI DEI TESTI PROPOSTI.

La lettura delle proposte di legge n. 259, 262, 1324, 1312 e 1581 e delle relative relazioni di presentazione rivela profondità di analisi e consapevolezza dell’urgenza di un tema, quello della responsabilità medica e sanitaria, che pur reso oggetto di una recentissima e coraggiosa riforma (la c.d. legge Balduzzi), merita di essere nuovamente affrontato e sviluppato con migliore esaustività.

Si condividono, pienamente, le ragioni poste a base di tale rinnovato slancio legislativo, soprattutto per quel che attiene all’esigenza di arginare una conflittualità che, enfatizzatasi nel corso degli anni, si è tradotta in un esasperato aumento di contenziosi anche giudiziali, gravando il sistema sanitario di costi (diretti ed indiretti) difficilmente sopportabili a danno dell’intera collettività.

Tali ragioni, peraltro, richiedono, a nostro parere, di esser anche calate nei più ampi e generali contesti degli attuali scenari di crisi in sanità, onde comprendere i particolari rapporti di reciproca correlazione (e di possibile sinergia) tra responsabilità sanitaria e gestione della sanità, anche in considerazione delle nuove esigenze di “rinforzo” della così detta sanità integrativa.

Ci pare, dunque, che sotto un profilo finalistico, le relazioni introduttive delle proposte di legge esprimano con chiarezza, in modo sostanzialmente condiviso (e condivisibile) e convergente, la ratio del prospettato intervento normativo, da attuarsi intervenendo sui più rilevanti fattori critici tra i quali gli assetti della responsabilità sanitaria, la gestione del rischio clinico, le regole di liquidazione del danno ed il ricorso al sostegno dell’assicurazione privata.

Così mirabilmente suggellate le intenzioni, l’obiettivo a cui si tende dovrà esser, a nostro parere, perseguito licenziando un articolato di legge che - traendo spunto dalle difficoltà interpretative/operative/applicative introdotte dalla precedente esperienza normativa (la già citata Legge Balduzzi) - non ne ripeta le criticità, dando invece vita ad un testo che possa definire in termini il più possibile univoci il quadro legislativo di riferimento, senza dar eccessivo corso a nuovi, inopportuni, dibattiti tra gli interpreti.

In questo senso ci permettiamo di sottoporre all’attenzione della Ill.ma XII Commissione (Affari sociali) un contributo di analisi ripartito nei seguenti argomenti:

A) IL CONTESTO GENERALE DI RIFERIMENTO;

B) SPUNTI DI RIFLESSIONE SUI CONTENUTI DELLE PROPOSTE ESAMINATE;

C) IL RUOLO DELL’ASSICURAZIONE, TRA RESPONSABILITA’ E SANITA’.

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* * * A) IL CONTESTO GENERALE DI RIFERIMENTO

E’ di tutta evidenza che la necessità di provvedimenti legislativi in tema di responsabilità professionale del personale sanitario nasce dalla consapevolezza delle notevoli criticità (giudiziarie civili e penali, assicurative, di maggiori costi probabilmente legati anche alla medicina difensiva… e via elencando), che gravano oggi sulla sanità pubblica e privata, ed è nostra convinzione che l’individuazione di misure legislative volte a tentare quanto meno di limitare il fenomeno, non possano prescindere dall’analisi delle cause che hanno generato questa situazione. E, nel farlo, occorre evitare il più possibile di tener conto solo di alcune parti dell’intero sistema, avendo ben presente la necessità da un lato di garantire al cittadino un equo ristoro quando sia vittima di un trattamento sanitario errato, tale da configurare un fatto ingiusto, dall’altro di dare a chi eroga le prestazioni sanitarie (singoli professionisti, personale dipendente e strutture pubbliche e private) la tranquillità di svolgere il suo compito senza il timore di azioni penali o richieste di risarcimento nei suoi confronti per eventi avversi o anche semplici mancati risultati quando questi si verificano nonostante un corretto operare.

Purtroppo questo obiettivo, che a noi sembra una più che ragionevole rappresentazione di ciò che dovrebbe essere un equilibrato sistema di gestione dei danni da trattamento sanitario, non solo oggi è ben lontano dall’essere raggiunto, per quanto ciò che è avvenuto soprattutto negli ultimi 25 anni si è decisamente allontanato da esso fino, ripetiamo, a generare le criticità (peraltro crescenti negli anni) di cui sopra si diceva.

Fino alla fine del millennio scorso, l’intero fenomeno della responsabilità civile sanitaria, pur se in crescita tumultuosa come frequenza, era caratterizzato da un ricorso ai procedimenti penali ancora quantitativamente limitato, ma soprattutto dal fatto che esso era totalmente posto a carico delle compagnie di assicurazione, in un sistema di tutela con massimali per lo più adeguati, ma soprattutto con una copertura assicurativa totale.

Questo sistema, nonostante negli anni novanta le compagnie abbiano reagito al crescere esponenziale delle richieste e del valore economico dei danni attribuiti alla responsabilità sanitaria incrementando esponenzialmente i premi, è stato il primo a

“cedere”. Dapprima sono state ridotte in maniera drastica le garanzie (introduzione di franchigie aggregate, poi di franchigie per sinistro, con scoperti sempre maggiori, ma soprattutto passaggio dal sistema loss occurence al sistema claims made), poi le compagnie istituzionali italiane si sono progressivamente ritirate dal mercato, soprattutto da quello delle strutture sanitarie complesse, sia pubbliche, sia private.

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Attingendo dai dati che circolano oggi a noi sembra che fra i pochi ufficiali ed attendibili vi siano quelli forniti dall’ANIA (Associazione Nazionale delle Imprese di Assicurazione, assemblea annuale di luglio 2013), secondo i quali dal 1994 al 2011 le denunce sono aumentate del 300% (da 9.500/anno nel ‘94 a 34.000/anno nel 2009 e a 31.500/anno nel 2011). Questo dato peraltro va analizzato considerando che il numero complessivo contiene sia i sinistri denunciati su polizze individualmente stipulate dai medici, sia quelli che gravano su polizze stipulate da strutture sanitarie. E se si disaggregano gli andamenti, si scopre che sulle polizze individuali la frequenza continua a crescere, mentre cala quella delle strutture sanitarie. Il dato però, diversamente da quello che appare, non mostra affatto un calo delle denunce nei confronti di ospedali o case di cure, quanto piuttosto rappresenta una conferma di quanto sopra si diceva. Ossia l’ANIA, che registra la sinistrosità delle imprese ad essa afferenti, non rileva più né i sinistri che vengono gestiti da Imprese di assicurazioni che ad essa sono associate, né quelli di cui, vuoi per le franchigie, vuoi per l’essere entrati in un sistema di cosiddetta

“autoassicurazione”, si fanno carico direttamente le aziende sanitarie e le case di cura private. In sostanza, i dati che fornisce l’ANIA rappresentano a nostro avviso una sottostima di quanto realmente oggi accade.

Per comprendere i motivi del ritiro delle compagnie italiane, occorre ricordare che, come tutte le altre forme di assicurazione, anche quella che tutela la responsabilità medica è fondata sui concetti di “rischio” e di taratura del rischio stesso. L’impresa deve tentare di stimare quante volte l’evento produttivo di danni da risarcire si verificherà e quali costi medi questi eventi comporteranno per la riparazione dei danni cagionati a terzi. Questo, in ultima analisi, è l’unico metodo per poter calcolare un premio che consenta di risarcire i danni e di far funzionare il sistema e, eventualmente, produrre un utile. Essendo l’assicurazione un’entità economica che istituzionalmente persegue il profitto, la sua capacità imprenditoriale sarà tanto maggiore quanto più la stima di questi parametri (frequenza degli eventi e loro costo medio) risponderà alla realtà sperimentata.

L’evolvere della casistica, necessariamente condizionata dal variare in questi 20 anni del modo di intendere giuridico del concetto di colpa medica e di risarcibilità del danno da trattamento sanitario, a giudizio delle compagnie ha reso impossibile questo calcolo, al punto da indurle a rinunciare ad esercitare il loro mestiere in questo ambito. Ed è nostra convinzione che quando in una nazione industrializzata avviene una cosa del genere, quando l’intero sistema assicurativo della nazione rinuncia ad esercitare il suo mestiere, vuol dire che quel rischio è davvero inaffrontabile. Qualcuno ha sostenuto che questo atteggiamento è finalizzato ad ottenere premi maggiori, ma basta vedere come le gare d’asta per l’assegnazione dei contratti assicurativi vadano totalmente deserte, per comprendere come il sistema assicurativo italiano sia del tutto disinteressato, fino addirittura ad ufficializzare politiche aziendali che impediscono agli agenti di quotarsi in queste gare.

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Le successive criticità hanno interessato direttamente gli erogatori delle prestazioni sanitarie per il realizzarsi, a cascata, di situazioni fino ad allora solo episodiche: il fatto che, per coperture assicurative solo parziali, parte dei risarcimenti dovesse essere erogata direttamente dalle strutture sanitarie, ha fatto emergere un fenomeno che fino a 10-12 anni fa era di fatto sconosciuto, il fenomeno cioè dell’intervento della Corte dei Conti volto a recuperare, da dipendenti ritenuti responsabili del fatto che aveva generato il risarcimento, parte delle cifre spese dall’amministrazione per risarcire i sinistri.

Ancora, nello stesso periodo si è osservato un ricorso sempre più frequente all’azione penale, in molti casi attivata in maniera strumentale, nel presupposto che con essa si potesse agire come una sorta di grimaldello per giungere prima ed in maniera più efficace al risarcimento, cosa forse vera quando il sistema assicurativo funzionava con coperture “totali”, quando ancora prevaleva l’aspetto “etico” di salvaguardare il proprio cliente da condanne penali quando un risarcimento avrebbe potuto interrompere l’azione o farla virare verso archiviazione del procedimento o l’assoluzione, ma che oggi non si verifica più.

Nel cercare di comprendere quali sono state le cause di tutto ciò, un osservatore del tutto superficiale - ed è comunque questa probabilmente la sensazione che sembra prevalere nell’opinione pubblica - sarebbe portato a credere che le denunce aumentano perché peggiora la sanità, quella pubblica in modo particolare.

In realtà questo non è in alcun modo vero, essendovi addirittura numerosi indicatori che non solo dimostrano che lo standard medio della qualità dei servizi erogati dalle strutture sanitarie e la loro quantità è un po’ dappertutto in crescita, ma anche che il fenomeno in esame, quello cioè dell’esplosione delle denunce per presunti errori medici, risulta essere nato prima ed essersi sviluppato con maggiore vigore proprio in quelle città o regioni dove gli stessi indicatori documentano, negli ultimi anni, standard medi di qualità dell’assistenza sanitaria fra i più elevati nel nostro Paese ed in alcuni casi in Europa.

Altri - soprattutto la classe medica - sostengono che buona parte di quanto sta accadendo sia dovuta all’enfasi data dagli organi di informazione, che quasi quotidianamente pongono alla ribalta della cronaca, addirittura nelle prime pagine dei giornali, eventi che vengono etichettati con quel termine “malasanità”, che è ormai entrato a far parte del linguaggio comune.

É possibile che l’enfasi giornalistica abbia in qualche modo contribuito, ma è altrettanto vero che gli organi di informazione cavalcano l’onda di un fenomeno, la amplificano, ma quasi mai la generano.

L’origine di questo fenomeno va dunque ricercata in motivazioni diverse e più profonde e fra queste le due principali che sono state individuate sono:

una diversa percezione del cittadino del concetto di diritto alla salute e crescenti aspettative di risultati dalla Medicina;

il mutare, nel corso degli ultimi 20 anni, del modo di intendere giuridico del concetto di colpa professionale medica.

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Per quanto riguarda il primo di questi due punti, rileva anzitutto il fatto che, nell’ambito di una più generale e maggiore consapevolezza dei propri diritti, il cittadino pone senza dubbio al primo posto quello alla salute. Per questo motivo, è verosimile ritenere che una parte di eventi avversi da trattamento sanitario ascrivibili a errori veri, prima non denunciati per una sorta di “soggezione” nei confronti della classe medica, oggi sono sempre più oggetto di un reclamo, di una denuncia e/o di una richiesta di risarcimento.

Ma non sempre reclami, denunce e a volte querele nascono da un errore medico.

Intanto, esaminando la casistica quotidiana, si ha chiara l’evidenza che in un numero non trascurabile di casi il reclamo è dovuto a cattivi rapporti fra il paziente e/o i suoi familiari e il personale medico o non medico. In questi casi, per una gestione non mirata del reclamo stesso, si genera un sinistro e, quindi, un conflitto fra cittadino e Azienda Sanitaria.

Vi è poi quel fenomeno sociologico emerso negli ultimi anni, caratterizzato da una sempre minore accettazione della malattia e della menomazione come evento

“naturalistico”, sensazione questa che è alimentata dalla convinzione di una Scienza Medica ormai in grado di risolvere la maggior parte delle malattie, fino a ingenerare l’aspettativa di un risultato sempre positivo delle cure mediche. E in questo la stessa classe medica non può certo ritenersi esente da responsabilità, soprattutto quando enfatizza e propaganda le nuove acquisizioni scientifiche, la messa a punto di tecniche chirurgiche d’avanguardia, di nuove metodiche diagnostiche, ecc., dimenticando che proprio per questo va sempre più allargandosi la forbice fra quanto si potrebbe (in teoria) ottenere mettendo in atto ciò che ancora si trova alle frontiere delle ricerca scientifica e quanto invece caratterizza nelle singole realtà, comprese quelle periferiche, le reali possibilità della pratica medica. Per questi motivi, il paziente vive come fallimento il trattamento sanitario e tende a denunciare come errori eventi che, in realtà, o configurano semplici complicanze o, addirittura, si identificano soltanto in una mancata guarigione e questo solo per la incapacità di dare al paziente una corretta informazione su ciò che concretamente si può fare e sui rischi e limiti che la procedura comporta. E’ ragionevole ritenere che in molti casi di insuccesso della prestazione o anche di un evento avverso derivante da essa, una corretta informazione (al di là dei noti risvolti giurisprudenziali legati al consenso) sarebbe sufficiente per evitare reclami, denunce, querele e richieste di risarcimento.

L’altro dato che ha caratterizzato l’evoluzione del fenomeno responsabilità professionale medica è rappresentato, come si è detto, dal mutare, negli ultimi 20 anni, del concetto giuridico di “colpa” nell’esercizio della pratica medica. In ambito civilistico sono ormai lontani i tempi in cui di fatto era ritenuto censurabile solo l’errore commesso per gravi ed evidenti inadempienze (il cosiddetto “errore inescusabile”) ed è nota la posizione assunta dalla Corte di Cassazione, soprattutto a partire dal 1994, che ha esteso il concetto di danno risarcibile da trattamento sanitario, fino a ritenere “presunta” la colpa in tutti quei casi in cui, a fronte di una prestazione sanitaria che non rivesta il carattere della speciale difficoltà (casi che di fatto rappresentano la stragrande

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maggioranza), si verifichi un evento avverso che determini un “... peggioramento delle condizioni del paziente”.

A completamento di questo percorso della Cassazione Civile verso un sistema di tutela risarcitoria che, seppur in maniera non dichiarata, si avvicina molto alla responsabilità oggettiva, nel 2008 le Sezioni Unite hanno redatto una sentenza (la n. 577 del’11 gennaio 2008) che rappresenta ancora oggi una sorta di declaratoria di come deve essere gestita, in sede di giudizio civile, la responsabilità sanitaria:

ribadendo il principio che tutto l’onere probatorio ricade sulle spalle del medico e/o della struttura sanitaria;

stabilendo che la regola per affermare l’esistenza di un nesso causale è diversa da quella che vige in ambito penalistico (si passa in pratica da un riconoscimento del nesso solo nei casi in cui vi sia la quasi certezza che il porre in essere il comportamento dovuto avrebbe evitato la conseguenza ad un sistema che ritiene sufficiente il criterio del più probabile che non…, criterio che nella vulgata è stato definito il criterio del 51%);

affermando che il concetto di prestazione medica vincolata alla sola obbligazione di mezzi e non anche a quella di risultati è una affermazione puramente teorica mentre in concreto, quando si realizza un esito diverso da quello atteso, il medico ne risponde sempre se non è in grado di “dimostrare” che questo esito non favorevole non è dipeso dal suo comportamento;

affermando che al paziente non compete nemmeno provare il danno subito, essendo sufficiente che egli “alleghi” un pregiudizio che sia genericamente compatibile con il trattamento ricevuto.

Nel motivare questa sua posizione, la Corte di Cassazione Civile si è basata sul principio che la struttura sanitaria ed il medico hanno una maggiore “vicinanza” con la prova, molto spesso essendo loro stessi a crearla attraverso la compilazione delle cartelle cliniche e dei referti. Partendo da questa osservazione e valutando il bilancio di

“forze” nel rapporto paziente/medico-struttura, hanno affermato che compete appunto a loro “provare” che la richiesta avanzata nei loro confronti non è fondata (cosa evidentemente impossibile nei casi in cui, significativamente frequenti nella casistica, in una ricostruzione a posteriori dell’accaduto è di fatto impossibile accertare il motivo reale per il quale si è realizzato l’evento avverso o anche il solo mancato risultato).

L’evidente conseguenza di tutto ciò, quella che sta alla base di molte delle attuali criticità, quella che, a parere degli scriventi, deve essere ben chiara a tutti affinché si possa davvero agire sul fenomeno, è che il concetto di errore medico che si è radicato nella opinione pubblica, il concetto di errore medico che (cosa ancor più grave) scaturisce dal vaglio della magistratura, ha un significato ed una dimensione notevolmente diversi da quelli che hanno per il mondo clinico.

Altro fenomeno che, sempre per il modo di concepire la RC sanitaria da parte della Cassazione Civile, ha determinato delle importanti criticità, tali da contribuire al ritiro della Compagnie di Assicurazione da questo settore, è quello delle cosiddette “denunce

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tardive”. Avendo la Corte affermato che il rapporto paziente-medico e/o struttura sanitaria rientra nel novero della responsabilità contrattuale che prevede un termine di prescrizione di 10 anni, ma avendo anche stabilito che tale termine non decorre dal momento in cui è stata erogata la prestazione sanitaria, bensì dal momento in cui il paziente danneggiato (o presunto tale) ha avuto la consapevolezza che quel che gli è accaduto potrebbe essere la conseguenza di un errore medico, ecco che, di fatto, oggi il soggetto che si presume danneggiato ha un tempo lunghissimo, quasi infinito, per richiedere danni. Ed è facile intuire che una richiesta del genere, che giunga anche 10 o 15 anni dopo i fatti (evenienza questa molto meno infrequente di quanto si creda) rende intanto decisamente più difficoltoso l’accertamento di ciò che è accaduto, ma determina anche un incremento del valore di un danno che, se denunciato anni prima, sarebbe stato stimato economicamente molto meno.

Risultando dunque questa, in sintesi, l’analisi quantitativa del fenomeno

“responsabilità professionale medica” e quella qualitativa delle principali motivazioni che ne stanno alla base, emergendo altresì che i vari indicatori lasciano presupporre che tutto ciò sia destinato, almeno nel medio-breve periodo, ad acuirsi ulteriormente, si impone evidentemente una riflessione su cosa sia possibile fare per riportare il tutto verso un equilibrio che consenta di proseguire certamente nell’opera della maggior tutela del cittadino, nel rispetto del suo diritto alla salute (cosa che però evidentemente non può e non deve significare soltanto garantirgli l’accesso a un ristoro risarcitorio ogni volta che si registra un “fallimento” di un’attività sanitaria) ma di consentire anche alla classe medica e ai professionisti della salute di operare con serenità, mettendo in campo ogni volta tutte le loro risorse, senza il timore (quando non addirittura il freno ovvero impiegando indebitamente risorse al solo scopo di cautelarsi preventivamente) che eventuali insuccessi si trasformino automaticamente in un’azione civile o penale nei loro confronti.

Alla fine del 2012 è stata promulgata la legge 189, la cosiddetta legge Balduzzi, che ha convertito il precedente decreto 158/2012. Per la prima volta nel nostro ordinamento è stata introdotto una norma (l’art. 3 di questa legge), che si è occupata specificamente della responsabilità sanitaria, nei suoi risvolti concreti. L’articolo fa parte di un provvedimento più generale che va sotto il titolo “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, ed è consequenziale ritenere che fra gli intenti del legislatore vi fosse anche quello di ridurre il contenzioso derivante dai conflitti medico-struttura/paziente, al fine di consentire una attività sanitaria più serena, evitare sprechi di spesa legati alla cosiddetta medicina difensiva e, allo stesso tempo, garantire al cittadino danneggiato da comportamenti professionali errati, un giusto e tempestivo risarcimento.

La nostra opinione – che riteniamo essere condivisa dalla maggior parte degli operatori del settore, è che questo provvedimento non ha risolto in maniera efficace nessuno dei problemi evidenziati attraverso l’adozione di

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- norme che in qualche modo limitano l’estensione del concetto di colpa medica in ambito civile e penale;

- norme che regolamentano il sistema assicurativo della responsabilità professionale medica;

- norme che calmierano i risarcimenti connessi a questo tipo di danni;

- norme finalizzate alla prevenzione delle richieste di risarcimento.

Il testo della Legge purtroppo non raggiunge nessuno di questi scopi ed in particolare non affronta uno dei temi nodali della situazione odierna così problematica, quello cioè della attuale crisi assicurativa che vede le Compagnie Istituzionali ritirarsi dal mercato e le altre operare con garanzie sempre più limitate, con il risultato di apportare crescenti difficoltà per i medici e le strutture sanitarie nel reperire coperture assicurative realmente adeguate allo scopo a costi accessibili.

Sul primo punto, come ormai concordemente affermano gli autori che già in queste settimane hanno avuto modo di commentare la Legge, la norma contenuta nel comma 1 dell’articolo 3 di fatto non modifica in nessun modo lo stato delle cose e, anzi, introduce un ulteriore motivo di confusione: si occupa della rilevanza penale della colpa lieve, da ritenere non sussistente se il professionista dimostra di aver agito coerentemente con le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, ignorando però che, nella casistica generale mai (almeno questa è la nostra esperienza personale) si è vista una condanna penale giustificata dal ricorrere di una “colpa lieve” o semplicemente si è discusso di qualcosa di simile nel corso del procedimento.

Del resto, quella del testo normativo è una formulazione che non apporta alcun cambiamento all’attuale metodologia del magistrato; inoltre, questo intervento legislativo non modifica l’aspetto chiave del problema, ovvero quanto vige attualmente rispetto al concetto di colpa: la Cassazione ha sancito il principio dell’inversione dell’onere della prova, spetta cioè al medico dimostrare che quanto è accaduto a seguito di un intervento “non è colpa sua”. Ma in molti casi è molto difficile per la Medicina stessa stabilire quale sia stata la causa per cui si è verificato un problema: in molti casi non è possibile provare che esista una colpa del medico, ma se si inserisce il criterio di presunzione di colpa, tutti i danni possono diventare risarcibili.

Peraltro, sempre il primo comma dell’articolo 3 mostra una sostanziale incoerenza con le parti successive dell’articolo, laddove afferma che dell’aver agito coerentemente con le linee guida e le buone pratiche cliniche si dovrà tenere conto anche nella determinazione del risarcimento. E poiché questo, per effetto di un successivo comma, è vincolato dalla Legge alle tabelle previste dagli articoli 138 e 139 del Codice delle assicurazioni, si potrebbe pensare che, in caso di colpa lieve del medico, il quale però dimostra di aver correttamente operato, il risarcimento va comunque corrisposto, ma con un valore economico inferiore a quello previsto dalle tabelle di legge.

L’obiettivo del riferimento alle tabelle previste nel Codice delle Assicurazioni Private sembra essere quello di porre un tetto a interpretazioni gravose rispetto alla fiducia tra paziente e medico. Il problema è che se le tabelle, sia quella medico-legale, sia quella dei valori economici, previste dal 139, relative quindi ai danni micropermanenti, sono state

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approvate rispettivamente dal 2003 e dal 2001, le stesse tabelle per i danni di non lieve entità, regolamentati dal 138 inerente ai danni dal 10 al 100% di invalidità, sono ancora in attesa di approvazione. L’introduzione per legge di un criterio economico unico nazionale per il risarcimento danni è oggi necessario, atteso che un’altra delle particolarità delle vertenze di RC sanitaria è che spesso le richieste di risarcimento e non raramente anche le sentenze si fondano quasi su un principio “punitivo”, giungendo a cifre a volte particolarmente elevate rispetto a quelle cui invece si giungerebbe applicando i comuni criteri di quantificazione del risarcimento del danno alla persona.

Su cosa può basarsi allora il risarcimento?

Il secondo comma dell’articolo 3, rispetto alla versione iniziale ed alle modifiche che sono state proposte prima della approvazione definitiva della Legge, è stato quasi del tutto svuotato di significato, risolvendosi il tutto in una norma che in qualche modo propone la costituzione di un fondo per garantire coperture assicurative alle categorie professionali più esposte al rischio di richieste di risarcimento, norme che impongono alle Compagnie di modificare il premio previa verifica del comportamento del medico, dimenticando però che in assenza di un obbligo a contrarre per le Imprese di assicurazione, appare davvero difficile “garantire” la copertura che pure, per il rispetto di quanto previsto dal precedente decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, tutti i professionisti dovrebbero obbligatoriamente avere.

Anche in questo caso, l’intento è lodevole, ma si inserisce in un contesto critico che vede le Compagnie, come esplicitato in precedenza, ritirarsi dal mercato. Creare norme che si centrino sulle assicurazioni dei medici in assenza delle Compagnie è la premessa per renderle irrealizzabili: si sancisce l’obbligo per i professionisti di assicurarsi ma non per le Compagnie di assicurare. Inoltre, la maggior parte dei contratti di assicurazione ha clausole di disdetta da parte delle Imprese che possono essere attivate anche prima del termine del contratto: il testo normativo subordina la disdetta alla reiterazione di una condotta colposa da parte del medico che venga accertata con sentenza definitiva.

E’ da aggiungersi inoltre che il testo finale sorvola sul problema dei limiti della prescrizione. Tale limite oggi è posto a 10 anni, ma a partire dal momento in cui il paziente comincia a ritenere di aver subito il danno. In teoria quindi si va all’infinito.

Alle condizioni attuali è una situazione apparentemente senza via d’uscita.

Il quadro potrebbe migliorare soltanto se si definissero i punti che consentono all’assicuratore di affrontare i rischi con strumenti mirati: una precisa definizione di colpa, un intervento sul termine di prescrizione dei sinistri -come avviene nel RC auto con norme proprie-, una promulgazione di leggi specifiche per regolamentare i risarcimenti. Infine, non si deve trascurare di ricordare che soltanto consentendo all’assicuratore la disponibilità di tutti i dati per la quantificazione del rischio, si potranno garantire strumenti assicurativi adeguati e –soprattutto- sostenibili.

* * *

B) SPUNTI DI RIFLESSIONE SUI CONTENUTI DELLE PROPOSTE ESAMINATE.

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Ciò posto in termini generali, ci si permette di allegare alcune considerazioni più specifiche sui contenuti delle singole proposte di legge; considerazioni che, per comodità di lettura, vengono svolte in calce a ciascuna norma di riferimento, qui ritrascritta integralmente.

Proposta di legge n. 259 (FUCCI – “Delega al Governo per la modifica della

disciplina in materia di responsabilità professionale del personale sanitario e per la riduzione del relativo contenzioso”)

Art. 1.

(Delega al Governo e sue finalità).

1. Al fine di riportare a dimensioni fisiologiche il fenomeno del contenzioso giudiziario relativo alle prestazioni professionali dei medici, il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo.


2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è adottato su proposta del Ministro della salute e del Ministro dello sviluppo economico, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e si conforma ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) estensione dell'obbligo assicurativo relativo al primo grave rischio e alla colpa grave a ogni struttura che esercita attività chirurgica, per danno causato ai pazienti da parte del chirurgo o per fatto autonomo della struttura;

b) identificazione di soglie di punibilità per la rilevanza penale attraverso una più precisa definizione a livello normativo del concetto di «colpa grave» in ambito sanitario;

c) introduzione obbligatoria di un sistema di valutazione del rischio clinico, composto da un osservatorio nazionale, da agenzie regionali e da unità di gestione istituite nelle aziende sanitarie locali e nelle aziende ospedaliere;

d) previsione di forme di copertura assicurativa da parte delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere per il personale sanitario in caso di eventuale rivalsa da parte delle sezioni regionali della Corte dei conti per il danno d'immagine;

e) introduzione di forme di conciliazione obbligatoria e previsione della possibilità di avviare un'azione diretta per il risarcimento dei danni nei confronti dell'assicuratore.

Osservazioni:

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a) L’ambito della delega di legge pare eccessivamente lasco e non interviene sul tema della responsabilità civile del medico e della struttura, se non in termini del tutto indiretti, trattando della relativa assicurazione;

b) Proprio con riferimento ai temi assicurativi non si comprende a quale (previgente?) contesto obbligatorio sia riferita “l’estensione” dell’obbligo assicurativo che si vorrebbe porre in capo alla struttura (oggi non assoggettata ad alcun dovere di assicurarsi). Il concetto di “primo grave rischio” risulta comunque difficilmente afferrabile in concreto.

c) L’obbligo assicurativo è previsto per i casi di <<colpa grave>>: se è la struttura che assicura se stessa, non si pongono problemi; qualora invece la struttura dovesse stipulare un contratto a favore del medico chirurgo, ai sensi dell’art. 1891 c.c., ciò sembrerebbe in contrasto con le vigenti disposizioni di legge e potrebbe dar vita a fenomeni di coassicurazione (posto che il medico sarebbe già tenuto ad assicurarsi in proprio, nell’interesse anche del paziente.

d) La limitazione dell’ambito oggettivo dell’obbligo all’attività chirurgica non sembra del tutto chiara, sul piano della ratio.

e) La ”più precisa definizione a livello normativo di colpa grave”, quale principio guida della delega, risulta quasi utopistica, essendo la colpa, nella sua gradazione, un concetto elastico non codificabile a priori.

f) La “copertura assicurativa da parte dell’ente per il personale sanitario in caso di rivalsa della Corte dei Conti per danno all’immagine”, se concepita ancora una volta nella forma dell’art. 1891 cc. per coprire la responsabilità amministrativa del dipendente, sembra contraddittoria e non conforme ai principi che sanciscono il divieto dell’Ente pubblico di assicurare i propri dipendenti, con risorse pubbliche, dal rischio erariale.

***

Proposta di legge 262 (FUCCI , “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”).

Art. 1.

(Finalità della legge e natura del rapporto tra medico e paziente).

1. La presente legge è finalizzata a:

a) riconoscere la delicatezza e la particolare natura della professione medica;

b) tutelare la professionalità dei medici;

c) limitare il fenomeno della cosiddetta «medicina difensiva»

che consiste nel prescrivere farmaci, esami diagnostici e ricoveri anche quando il ricorso a essi non è necessario;

d) garantire il diritto dei pazienti a ricevere le migliori cure possibili e a richiedere, ove ciò sia scientificamente e giuridicamente giustificato, un adeguato risarcimento per gli eventuali danni subìti

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per dolo da parte del medico.

2. Il rapporto tra medico e paziente è di natura contrattuale. A tale fine, prima del ricovero, i medesimi soggetti stipulano un contratto che espressamente non comporta per il medico l'obbligo di guarire il paziente, bensì di prestargli le cure appropriate e necessarie, in conformità con le conoscenze scientifiche acquisite.

Osservazioni:

a) il Comma 1 lettera d), nel “garantire il diritto dei pazienti a richiedere un adeguato risarcimento per gli eventuali danni subiti per dolo da parte del medico”, seleziona, tra le condotte ascrivibili al medico, ipotesi davvero residuali. Il che induce a dubbi circa l’introduzione di un singolare regime di sostanziale deresponsabilizzazione integrale in tutte le aree della responsabilità per colpa. La previsione inoltre non si concilia con il disposto dell’art. 2 ove si parla di “imperizia”.

b) Il Comma 2 introduce la figura del “contratto” stipulato tra medico e paziente prima del ricovero. Non si tratta di contratto di “fatto” ma di un singolare obbligo di stipula bilaterale, con contenuto parzialmente predeterminato ex lege. Ma su quale medico (tra i tanti che intervengono nel corso di un ricovero - es. cambio turno…) ricadrebbe , in concreto, tale obbligo a contrarre?? Può forse ipotizzarsi la necessità di un contratto con ciascuno di essi, con tutti quelli del reparto? E per il paziente in coma od in stato di incoscienza?

c) Il fatto che il “contratto che non comporta l’obbligo di guarire ma di prestare le cure necessarie…” richiama una distinzione, quella tra obbligazioni di mezzi e di risultato, ritenuta oggi poco efficace ed abbandonata da tempo dalla Suprema Corte.

Art. 2.

(Obbligo di assicurazione per le aziende sanitarie locali e per le strutture ospedaliere).

1. È fatto obbligo alle aziende sanitarie locali (ASL) e alle strutture ospedaliere, pubbliche o private, di stipulare un'adeguata copertura assicurativa per responsabilità civile per danni causati da errori in campo medico

2. La responsabilità civile per eventuali danni subìti dai pazienti a causa di imperizia da parte del personale sanitario è posta a esclusivo carico delle strutture in cui è avvenuto l'intervento medico.

3. Il danneggiato a seguito di prestazioni sanitarie ricevute in strutture per le quali vi è l'obbligo dell'assicurazione obbligatoria, ove ritenga che il contratto di cui al comma 2 dell'articolo 1 sia stato violato dal medico, promuove un'azione diretta per il risarcimento nei confronti dell'assicuratore entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione.

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Osservazioni:

a) quanto al Comma 2, il concetto di “imperizia” è molto vago e dai confini labili nella prassi concreta; sul piano sostanziale la responsabilità del medico è azzerata per ricadere sulla sola struttura. La norma vorrebbe abrogare l’art. 1218 cc. nei confronti del medico, che pure avrebbe stipulato un contratto, ai sensi dell’art. 1, con il paziente? CI troveremmo innanzi ad un contratto da cui NON nascono obblighi e responsabilità in capo al medico oppure di un contratto il cui inadempimento non darebbe al paziente possibilità di azione, se non verso un soggetto (la struttura) estraneo al rapporto negoziale.

b) Comma 3. La norma prevede che il paziente che ritenga sia stato violato il contratto (tra medico e paziente) possa promuovere una azione diretta contro l’assicuratore”…

Quindi la responsabilità che viene in considerazione è quella ex contractu tra medico e paziente… Ma se il comma 2 afferma che la responsabilità è ad esclusivo carico della struttura, non può entrare in gioco l’assicurazione del medico (non c’è responsabilità del medico..). Si crea un complesso ed intricato gioco di corresponsabilità, potendosi tutt’al più ritenere che il presupposto di esperibilità dell’azione diretta sia una responsabilità della struttura per il fatto del medico, essendo questi inserito nella sua organizzazione ex art. 1228 cc. (e la fonte di tale responsabilità sarebbe dunque un contratto diverso, stipulato cioè tra l’ente stesso e il paziente).

***

Proposta di legge n. 1312 (GRILLO ed altri - "Disposizioni in materia di

responsabilità professionale del personale sanitario nonché di controllo della qualità delle prestazioni e delle cause di decesso nelle strutture sanitarie pubbliche e private")

Art. 1.

(Responsabilità per danni occorsi in strutture sanitarie).

1. La responsabilità civile per danni a persone causati dal personale sanitario medico e non medico, compresa la dirigenza, occorsi in aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie, aziende sanitarie locali, policlinici universitari a gestione diretta, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico o in strutture sanitarie private accreditate è posta a carico della struttura stessa, conformemente alla disciplina della responsabilità civile.

2. La responsabilità civile di cui al comma 1 sussiste per i danni conseguenti a tutte le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie pubbliche, incluse le prestazioni ambulatoriali e diagnostiche e le prestazioni rese nello svolgimento di attività libero-professionale intramuraria. Non sono compresi nella responsabilità ai sensi del

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comma 1 i danni conseguenti alle prestazioni escluse totalmente dai livelli essenziali di assistenza di cui all'allegato 2A annesso al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, e successive modificazioni. La responsabilità ai sensi del comma 1 sussiste inoltre per tutte le prestazioni fornite dalle strutture sanitarie private.

3. La struttura sanitaria esercita l'azione disciplinare contro i dipendenti responsabili del danno qualora il fatto sia stato commesso con dolo riconosciuto con sentenza passata in giudicato.

Solo in caso di dolo, qualora abbia risarcito il danno, la struttura sanitaria esercita azione di rivalsa nei confronti dei sanitari responsabili nei modi e nei limiti previsti dal comma 4. L'azione disciplinare e di rivalsa può essere altresì esercitata in caso di colpa grave indotta da assunzione di sostanze stupefacenti, accertata con sentenza passata in giudicato.

4. In caso di colpa grave per imperizia o negligenza accertata con sentenza passata in giudicato, il direttore generale, sentito il collegio di direzione, dispone nei confronti del dipendente il parziale recupero delle somme corrisposte per il risarcimento del danno riconosciuto; l'ammontare, fissato in modo equitativo, è recuperato attraverso trattenute sullo stipendio, nella misura massima di un quinto, per un periodo comunque non superiore a cinque anni.

Osservazioni:

a) Comma 1: “La responsabilità per danni causati dal personale è posta a carico della struttura.

Il fatto, però, che la responsabilità sia a carico della struttura potrebbe non aggiungere molto a quanto già potrebbe sostenersi ai sensi degli artt. 1228 c.c. e 2049 c.c., “affiancando“ alla responsabilità dell’ente a quella del medico o dell’ausiliario a cui fosse in concreto riconducibile la condotta illecita. A fugare ogni dubbio occorrerebbe, sempre se ritenuto opportuno, specificare che si tratti di una responsabilità effettivamente esclusiva (basterebbe l’aggiunta dell’avverbio

“esclusivamente”), residuando una responsabilità civilistica soltanto “interna” del medico o dell’ausiliario, nell’ambito dei rapporti di rivalsa di cui ai commi 3 e 4.

In tal caso verrebbe meno la responsabilità individuale da contatto sociale, al di là della sua natura (aquiliana o contrattuale). Il che potrebbe rispondere ad una scelta di integrale deresponsabilizzazione (verso terzi) che andrebbe, come già altrove evidenziato, ponderata con estrema cautela, date tutte le possibili conseguenze anche sul piano delle relazioni tra esercenti sanitari e pazienti.

b) Comma 2: Insidiosa appare l’esimente prevista a favore delle strutture pubbliche con riferimento alle prestazioni “escluse totalmente dai livelli essenziali di assistenza”.

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Prestazioni rispetto alle quali non è chiaro se viga un (pericoloso) principio di assoluta ed integrale deresponsabilizzazione o se possa affermarsi la responsabilità del medico.

c) Ed invero, il fatto la responsabilità del medico non venga del tutto meno sembrerebbe confermato dal successivo art. 3, secondo il quale (comma 5) la polizza che l’ospedale deve stipulare comprende anche “la responsabilità personale del singolo operatore”… Inoltre: il comma 3 dell’art. 1 dispone che “in caso di dolo, qualora abbia risarcito il danno, la struttura sanitaria esercita azione di rivalsa nei confronti dei sanitari responsabili (idem per la colpa grave “indotta da assunzione di sostanze stupefacenti” … - o per colpa grave per imperizia o negligenza, dove però il recupero è parziale). Ed ancora vi è da chiedersi se questa “rivalsa della struttura sanitaria” coincida con l’azione per responsabilità erariale (in realtà non esercitabile dalla struttura sanitaria ma dal PM contabile) ovvero sottenda un ordinario regresso tra condebitori solidali (regresso piuttosto atipico, se il medico non risponde in proprio verso il paziente….).

d) Il regime complessivo che si ricava risulta, in ultima analisi , complesso e difficile a ricostruirsi in termini armonici e coerenti.

Art. 2.

(Assicurazione obbligatoria delle strutture sanitarie).

1. Le strutture sanitarie pubbliche o private non possono esercitare l'attività se non sono provviste di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi per i danni cagionati dal rispettivo personale sanitario medico e non medico.

2. Il contratto di assicurazione è stipulato con qualsiasi impresa autorizzata all'esercizio dell'assicurazione della responsabilità civile verso terzi, con massimali adeguati a garantire la copertura assicurativa della responsabilità civile del personale di cui al comma 1.

3. Il Ministro della salute, con proprio decreto, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, stabilisce i criteri per la determinazione dei limiti dei massimali di cui al comma 2, con riferimento alle tipologie delle strutture sanitarie.

4. Le singole strutture sanitarie pubbliche o private possono comunque stipulare il contratto di assicurazione per il risarcimento dei danni minori anche secondo massimali diversi da quelli stabiliti dal decreto di cui al comma 3, fermo restando, comunque, il rispetto dei limiti dei massimali fissati dal medesimo decreto.

5. Le strutture sanitarie pubbliche o private, per garantire maggiore tutela ai reparti ad elevato rischio di responsabilità civile, possono

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stipulare contratti di assicurazione integrativi.

6. L'impresa di assicurazione ha l'obbligo del rinnovo del contratto di cui al presente articolo e l'incremento annuo del relativo premio, anche in caso di pregressa sinistrosità, non può superare il 5 per cento del premio dell'anno precedente. In caso di riduzione della sinistrosità il premio è ridotto di una percentuale non inferiore al 10 per cento.

Osservazioni:

Quanto al Comma 1: la copertura è obbligatoria per le strutture in relazione ai danni

“cagionati dal rispettivo personale sanitario medico e non medico”. E per il danni che dipendono da disfunzioni organizzative della struttura stessa? (responsabilità “propria”

e non ex 1228 cc.).: non sono coperti da alcuna garanzia obbligatoria?

Art. 3.

(Contenuto della garanzia assicurativa).

1. Oggetto della garanzia assicurativa di cui all'articolo 2 è il risarcimento del danno che, per effetto di inadempimento o di altro comportamento, di natura anche colposa, è derivato al terzo per fatto comunque riconducibile alla responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata che ha erogato la prestazione.


2. La garanzia assicurativa comprende, altresì, il risarcimento del danno o l'indennizzo che spetta allo Stato, all'ente territoriale di riferimento e alla struttura sanitaria, limitatamente al rapporto di accreditamento o di convenzione, per fatto colposo del dipendente che determina un pregiudizio di natura patrimoniale o non patrimoniale.


3. La garanzia assicurativa è efficace in favore di tutti i soggetti che, a qualunque titolo, svolgono attività lavorativa presso la struttura sanitaria pubblica o privata, e per i quali è prevista l'iscrizione obbligatoria all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), indipendentemente dal fatto che la stessa attività sia stata effettivamente svolta. Sono espressamente compresi nella medesima garanzia i soggetti che, a titolo precario e senza corrispettivo, frequentano, anche occasionalmente, le citate strutture sanitarie a meri fini di apprendimento.

4. Ai fini della presente legge, i beneficiari della garanzia assicurativa sono terzi tra loro e verso il soggetto giuridico di appartenenza.

5. La garanzia assicurativa è estesa alla responsabilità personale del singolo operatore della struttura sanitaria.

6. Ai fini della stipulazione del contratto di assicurazione, le

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strutture sanitarie pubbliche o private devono dimostrare di possedere la certificazione, rilasciata dai servizi di ingegneria clinica e di fisica sanitaria, che attesta la conformità delle apparecchiature tecnologiche alle disposizioni vigenti in materia di installazione, uso e manutenzione di tali apparecchiature.

Osservazioni:

a) la garanzia assicurativa obbligatoria di cui al Comma 1 copre l’“inadempimento o altro comportamento di natura anche colposa”. L’accostamento risulta di difficile comprensione ed induce numerosi dubbi ermeneutici: l’inadempimento è solo quello della struttura (perché ha un contratto col paziente) mentre “altro comportamento”

è quello del medico (perchè risponde ex 2043)?

b) Comma 2: da chiarire i rapporti tra i commi 2, 3 e 5. Il comma 2 dice che “garanzia comprende altresì il risarcimento del danno o l’indennizzo che spetta allo stato e alla struttura sanitaria per fatto colposo del dipendente che determina un pregiudizio di natura patrimoniale o non patrimoniale”: ciò sembra evocare il fatto che l’assicurazione stipulata dall’ospedale copra anche la responsabilità erariale del medico. Al di là dei problemi etici, occorre rilevare che se la colpa “non è grave”

manca la responsabilità erariale L’ente pubblico avrebbe rivalsa, contrariamente a quanto oggi previsto dalla legge, anche per colpa non grave ?

c) Il comma 3 dispone che la “garanzia assicurativa è efficace in favore di tutti i soggetti che svolgono attività lavorativa presso la struttura…”: si tratta, quindi, di una assicurazione stipulata dall’ospedale anche a copertura della responsabilità del medico (ex art. 1891 cc.)? Ed in caso affermativo, quale sarebbe la differenza con la previsione del comma 4, a mente del quale la “garanzia assicurativa è estesa alla responsabilità personale del singolo operatore”…

Art. 5.

(Responsabilità del medico).

1. Il medico che viola le disposizioni in materia di consenso informato è soggetto a sanzioni disciplinari.


2. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni di cui al comma 1, il medico non è comunque responsabile se ha agito nell'interesse della vita e della salute del paziente e nel rispetto dei criteri elaborati dalla scienza medica.

Osservazioni:

Nonostante l’ampia rubrica, che evoca la responsabilità del medico in generale, la norma fa espresso riferimento alla sola violazione del consenso informato. Stiamo parlando solo di una responsabilità disciplinare? Pare di no, posto che l’esenzione di cui al comma 2 sembra, a contrario, lasciare residui spazi per una responsabilità civile. Ma non si

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comprende perché, al ricorrere di esimenti a matrice etica, la sanzione debba comunque essere applicata.

***

Proposta di legge n. 1324 (CALABRO' ed altri - "Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario")

Art. 1.

(Finalità e definizione di atto medico).

1. La presente legge reca disposizioni per garantire e valorizzare l'alleanza terapeutica al fine di assicurare una maggiore tutela della salute del paziente e di consentire al medico di agire in scienza e in coscienza, attraverso il riconoscimento di un nuovo rapporto tra paziente, medico e struttura sanitaria, disciplinando la responsabilità professionale del personale sanitario.

2. Per atti medici si intendono i trattamenti medico-chirurgici adeguati alle finalità terapeutiche ed eseguiti secondo le regole dell'arte da un esercente una professione medico-chirurgica o un'altra professione sanitaria legalmente autorizzata, allo scopo di prevenire, diagnosticare, curare o alleviare una malattia fisica o psichica.

Osservazioni:

Quanto al Comma 2, la nozione di “atti medici” pone qualche dubbio: se NON sono eseguiti a regola d’arte non sono più “atti medici”? E comunque resta da comprendere il senso di questa definizione, che non viene più ripetuta nel testo (ad es. non viene indicata come presupposto per il sorgere della responsabilità…)

Art. 2.

(Responsabilità per danni occorsi in strutture sanitarie).

1. La responsabilità civile per danni a persone causati dal personale sanitario medico o non medico occorsi in una struttura sanitaria è sempre a carico della struttura stessa.


2. La responsabilità di cui al comma 1 riguarda tutte le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, di seguito denominate «strutture sanitarie», incluse le attività ambulatoriali, diagnostiche e intramoenia. Fanno eccezione quelle escluse totalmente dai livelli essenziali di assistenza di cui all'allegato 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta

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Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, e successive modificazioni.

3. La struttura sanitaria avvia azione disciplinare contro i dipendenti responsabili del danno qualora il fatto sia stato commesso mediante dolo riconosciuto con sentenza passata in giudicato. In caso di dolo, qualora abbia risarcito il danno, la struttura sanitaria avvia azione di rivalsa nei confronti dei sanitari responsabili nei modi e nei limiti previsti dal comma 4.

4. In caso di colpa grave per imperizia o per negligenza riconosciuta con sentenza passata in giudicato, ovvero nei casi di risoluzione stragiudiziale, il direttore generale della struttura sanitaria, sentito il collegio di direzione, dispone nei confronti del dipendente il parziale recupero del risarcimento del danno riconosciuto;

l'ammontare, fissato in modo equitativo, è recuperato attraverso trattenute sullo stipendio, nella misura massima di un quinto, per un periodo comunque non superiore a cinque anni.

Osservazioni:

La responsabilità è sempre a carico della struttura sanitaria, il che ripropone il tema, già affrontato, del bilanciamento degli assetti di responsabilità, senza eccessivamente deresponsabilizzare il medico.

Sempre che si tratti di responsabilità esclusiva e non per “affiancamento” a quella del medico (che, come detto, già poteva ritenersi esistente in applicazione agli ordinari regimi civilistici, ai sensi degli artt. 1228 e/o 2049 c.c.). Si prevede però che l’ente possa recuperare le somme pagate dal medico in caso di “colpa grave .. ovvero nei casi di risoluzione stragiudiziale”: cioè tutte le volte in cui la struttura (perché lo ritiene opportuno e conveniente, magari pur in assenza di una chiara responsabilità del professionista) ritiene di dover definire bonariamente la vertenza: tale regola si presta ad evidenti distorsioni ed abusi applicativi.

***

Proposta di legge n. 1581 (VARGIU ed altri - "Norme in materia di responsabilità professionale del personale sanitario")

Art. 1.

(Responsabilità civile della struttura sanitaria).

1. La responsabilità civile per danni a persone causati dal personale sanitario medico e non medico, occorsi in una struttura sanitaria pubblica o privata, è a carico della struttura stessa.


2. La responsabilità ai sensi del comma 1 sussiste per i danni

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conseguenti a tutte le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie, ivi incluse le prestazioni ambulatoriali e diagnostiche nonché le prestazioni rese in regime di attività libero-professionale intramuraria.


3. La struttura sanitaria può esercitare l'azione integrale di rivalsa nei confronti dei propri prestatori d'opera, dipendenti e no, soltanto qualora il fatto sia stato commesso con dolo o con dolo eventuale.


4. In caso di danno derivante da colpa, accertata con sentenza passata in giudicato, la direzione della struttura sanitaria può esercitare azione di rivalsa nei confronti dei propri dipendenti nella misura massima del quinto della retribuzione, per un tempo non superiore a cinque anni.

Osservazioni:

a) Comma 1 : “La responsabilità è a carico della struttura sanitaria”. Si veda quanto osservato in relazione ai disegni di legge precedenti, anche in relazione all’opportunità di specificare l’esclusività del nuovo regime di legge – se effettivamente tale - e fugare il dubbio che si tratti invece di “una mera responsabilità in affiancamento”. Trattasi, in ogni caso, di responsabilità “a tutto tondo” che, forse correttamente, supera le distinzioni altrove individuate tra prestazioni rientranti od escluse dai LEA.

b) La rivalsa di cui al comma 3, di stampo apparentemente civilistico e non amministrativo (in quanto proponibile dalla struttura e non dal PM contabile) si fonda sull’accertamento di un grado di responsabilità (per dolo eventuale) che potrebbe dar luogo a qualche complicazione applicativa, evocando una nozione sfuggente e difficilmente apprezzabile in concreto; più generalmente il fatto che si possa definire come rivalsa civilistica potrebbe indurre a ritenere – in assenza di altri coordinamenti – che quella erariale rimanga separatamente proponibile, almeno per le differenze non recuperate, anche ai sensi del successivo comma 4 Il problema della surroga dell’assicuratore della struttura sanitaria nei suo diritti verso i responsabili – di difficile soluzione rispetto alle fattispecie erariali – sarebbe oggi possibile, negli stessi termini di cui al comma 4.

c) Il Comma 4 introduce il concetto di rivalsa per semplice “colpa” (non necessariamente grave…): occorre comprendere il rapporto tra questa rivalsa e quella erariale. Laddove anche tale azione rivestisse carattere amministrativo e non civilistico ci troveremmo innanzi ad un significativo allargamento dell’ambito di imputabilità erariale (sia pur in termini quantitativamente limitati)

Art. 2.

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(Responsabilità civile del singolo professionista sanitario).

1. In caso di danni a persone, conseguenti a prestazioni sanitarie, cagionati da un professionista operante al di fuori delle strutture sanitarie di cui all'articolo 1, si applica la normativa vigente in materia di responsabilità civile.

2. Nei casi in cui la copertura assicurativa del singolo professionista, sebbene realizzata nell'ambito di contratti di assicurazione conformi ai parametri definiti ai sensi dell'articolo 4, comma 3, non sia sufficiente a coprire interamente l'importo del risarcimento, per l'integrazione interviene il Fondo di mutualità forzata a carico del mercato assicurativo, di cui al primo periodo del comma 4 dell'articolo 4 della presente legge.

Osservazioni.

Comma 1: per il libero professionista non vale, come comprensibile, la regola della

“responsabilità esclusiva della struttura” di cui all’art. 1, ma si applica la normativa vigente in materia di responsabilità civile Può ritenersi davvero giustificata questa disparità di trattamento, tale da disegnare un arco che va da zero (medico inserito nella struttura) al cento per cento di responsabilità (libero professionista)? La presenza dell’organizzazione può giustificare un diverso regime, ma se tra gli obiettivi di sistema vi è quello di contrastare la medicina difensiva (come tale generalizzato e trasversale) varrebbe la pena attenuare questa differenza rendendo “meno oggettivo” il regime di responsabilità contrattuale dei medici (onere della prova ecc.). Se si volesse recuperare, con qualche forza educativa, l’antico significato dell’artt. 2236 c.c., potrebbe essere opportuno ribadirne l’importanza ed intervenire anche, se del caso, sul regime probatorio.

Art. 3.

(Interpretazione autentica degli articoli 2935 e 2947 del codice civile, in materia di prescrizione per danni conseguenti a prestazioni

sanitarie).

1. Gli articoli 2935 e 2947 del codice civile si interpretano nel senso che l'azione di risarcimento per i danni conseguenti a prestazioni sanitarie si prescrive in cinque anni, decorrenti dal giorno in cui il soggetto leso è venuto a conoscenza del danno.

2. In deroga all'articolo 2952 del codice civile, i diritti derivanti dal contratto di assicurazione di cui all'articolo 4 della presente legge si prescrivono nel termine stabilito dal comma 1 del presente articolo.

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