• Non ci sono risultati.

La sentenza “nata” due volte (in attesa della nuova decisione delle Sezioni Unite) - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "La sentenza “nata” due volte (in attesa della nuova decisione delle Sezioni Unite) - Judicium"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

www.judicium.it

GIUSEPPE RUFFINI

La sentenza “nata” due volte

(in attesa della nuova decisione delle Sezioni Unite)

Sommario: 1. Le questioni da risolvere e la nuova rimessione alle Sezioni Unite. – 2. Alcune necessarie chiarificazioni concettuali. – 3. Considerazioni finali e conclusioni.

1. – Nel tentativo di risolvere un annoso contrasto interpretativo originato dallo strano e per certi aspetti pirandelliano caso delle sentenze venute ad esistenza più di una volta1, le Sezioni Unite Civili della Corte di cassazione, con la sentenza n. 13794 del 1° agosto 20122, premettendo che «la sentenza del giudice esiste giuridicamente e tutti ne hanno scienza legale con la pubblicazione, a cura del cancelliere» e che ai sensi dell’art. 133, commi 1 e 2, c.p.c., «la pubblicazione è effetto le- gale della certificazione da parte del cancelliere della consegna ufficiale della sentenza», con la quale termina la fase endoprocedimentale disciplinata dall’art. 119 d.a. c.p.c., avevano affermato che «se sulla sentenza risultano apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento depositato contiene la minuta della sentenza, e l’altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposi- to», con conseguente decorrenza del termine stabilito dall’art. 327 c.p.c. per la proposizione delle impugnazioni ordinarie (c.d. termine lungo).

Aggiungevano le Sezioni Unite che, qualora «il giudice dell’impugnazione ravvisi, anche d’ufficio, grave difficoltà per l’esercizio del diritto di difesa determinato dall’aver il cancelliere non reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della pubblicazione della stessa, av- venuta a notevole distanza di tempo ed in prossimità del termine di decadenza per l’impugnazione, la parte potrà essere rimessa in termini ai sensi del vigente art. 153 c.p.c., comma 2».

A meno di quindici mesi dal predetto arresto, peraltro, la II Sezione civile della medesima Cor- te ha messo in luce le inique conseguenze derivanti dall’applicazione del combinato disposto degli artt. 133, commi 1 e 2, e 327, comma 1, c.p.c., nella parte in cui, secondo l’interpretazione offerta

1 Sul quale v. già il richiamo di N. Sotgiu, Osservatorio sulla cassazione civile, in Riv. dir. proc. 2011, 1057 ss., § 22 e le acute osservazioni di B. Capponi, Lo «strano» caso delle sentenze pubblicate più d’una volta, in Giusto proces- so civ. 2012, 479 ss. e in www.judicium.it.

2 Cass., sez. un., 1° agosto 2012, n. 13794, segnalata nell’Osservatorio sulla cassazione civile a cura di C. Lovise, in Riv. dir. proc. 2012, 1701 ss., § 14, e pubblicata in Giur. it. 2013, 4, con nota di A. Vanni, e in Corriere merito, 2012, 1018 (m), con nota di G. Travaglino, Pubblicazione della sentenza e attività certificativa del cancelliere.

(2)

www.judicium.it

dalle Sezioni Unite e recepita nel diritto vivente da successive decisioni di sezioni singole, impedi- rebbero di ritenere che, «in presenza di una doppia contraddittoria attestazione – tra deposito e pubblicazione della sentenza – la prima si riferisca al solo deposito della minuta, cioè a un’attività codificata, interna al procedimento di pubblicazione della sentenza e riconoscibile nella prassi giu- diziaria» ed imporrebbero quindi di ritenere che il termine di decadenza per la proposizione dell’impugnazione della sentenza possa iniziare a decorrere ancor prima che la sentenza sia resa pubblica e che quindi le parti possano averne conoscenza; e con una coraggiosa ordinanza interlo- cutoria3 ha conseguentemente sollevato questione incidentale di costituzionalità delle predette nor- me (nel testo anteriore alla modifica, ai nostri fini irrilevante, apportata dall’art. 46 comma 17 della legge 18 giugno 2009, n. 69), per contrasto con gli articoli 3, comma 2, e 24, commi 1 e 2, della Costituzione.

Investita della predetta questione, la Corte Costituzionale ha dapprima affermato, con sentenza interpretativa di rigetto4, che «la sentenza delle Sezioni unite civili n. 13794 del 1° agosto 2012 è espressione di apprezzabile rigore, anche esegetico, e dello sforzo di ricondurre a legalità l’azione e insieme l’organizzazione degli uffici competenti», ravvisando anche il fondamento dogmatico dell’identificazione del deposito della sentenza con la consegna al cancelliere dell’originale della stessa, da parte del giudice, nell’esaurimento del rapporto giuridico processuale e quindi nella im- modificabilità della stessa; ma ha, dopo tale non convincente premessa, immediatamente precisato che un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 133, commi 1 e 2, e 327, comma 1, c.p.c. porta a ritenere che «per costituire dies a quo del termine per l’impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misu- re volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data deve ritenersi di regola realizzata solo in corri- spondenza di quest’ultima»; ed ha interpretato il “diritto vivente” espresso nella parte ricostruttiva della citata sentenza delle Sezioni Unite nel senso che il riferimento all’istituto della rimessione in termini per causa non imputabile operato dalle stesse «va inteso come doveroso riconoscimento d’ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giu-

3 Cass., sez. II, ord. interloc. 22 novembre 2013, n. 26251, segnalata nell’Osservatorio sulla cassazione civile a cu- ra di L. Iannelli, in Riv. dir. proc. 2014, 527 ss., § 7, e pubblicata in Corriere giuridico 2014, 988 ss., con nota adesiva di F. Auletta, La «scissione temporale» tra deposito e pubblicazione della sentenza: la parola alla Corte costituzionale.

4 Corte cost, ord. 22 gennaio 2015, n. 3, in Giur. it. 2015, 1605, con nota di C. Consolo, La doppia (data di) nasci- ta della sentenza civile fra S.C. e consulta nomofilattica.

(3)

www.judicium.it

diziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all’impugnazione, riducendone, talvolta anche in misura significativa, i relativi termini».

La scelta di optare per una non vincolante sentenza interpretativa di rigetto, anziché di acco- glimento, e l’evidente forzatura interpretativa operata dalla Consulta per cercare di rendere compa- tibile con i parametri costituzionali il riferimento effettuato dalle Sezioni Unite al rimedio della ri- messione in termini, che nell’ottica della sentenza n. 13794/2012 sembra elargibile, ancorché d’ufficio, soltanto in presenza «di una grave difficoltà per l’esercizio del diritto di difesa», determi- nato «dall’avere il cancelliere reso non conoscibile la data di deposito della sentenza prima della data di pubblicazione della stessa avvenuta a notevole distanza di tempo e in prossimità del termine di decadenza per l’impugnazione», hanno peraltro fatto sorgere un ulteriore contrasto interpretativo, riguardante l’effettiva portata della citata sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituziona- le.

Di tale sentenza, infatti, come si legge nelle due gemelle ordinanze di rimessione della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, n. 18775 del 23 settembre 20155 e n. 19140 del 28 settem- bre 2015, sono state offerte in seno alla stessa Corte di cassazione due differenti letture.

Secondo una prima lettura, l’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale avrebbe «reso di fatto vincolante quel provvedimento che le Sezioni Unite avevano subordinato al ricorrere di particolari circostanze»6, con l’ulteriore precisazione che si potrebbe prescindere dalla rimessione in termini della parte e dalla conseguente rinnovazione della notifica quante volte le stesse appaiano superflue «in considerazione dell’avvenuta notifica del ricorso e della regolare co- stituzione del contraddittorio»7.

In senso contrario, Cass., sez. II, 4 settembre 2015 n. 17612, nel ribadire il principio ricavabile da Cass., sez. un., 1° agosto 2012, n. 13794, secondo la quale «la pubblicazione della sentenza si realizza semplicemente con la consegna dell’originale della stessa sottoscritta dal giudice, mentre la certificazione del compimento di tale attività che deve essere eseguita dal cancelliere a norma dell’art. 133 c.p.c. “è formalità estrinseca all’atto stesso” (Cass. n. 24178 del 17/11/2011)», ha ri-

5 Cfr. Cass., sez. II, ord. 23 settembre 2015, n. 18775, segnalata nell’Osservatorio sulla cassazione civile a cura di G. Marmiroli, in Riv. dir. proc. 2015, 1624 ss., § 7, e pubblicata in Corriere giur. 2015, 1393 ss., con note di A. Carra- to, Doppia data di deposito e pubblicazione della sentenza: la cassazione completa il ragionamento della Corte costitu- zionale e C. Consolo, Doppia data della sentenza e doppia Corte di legittimità.

6 Cass., sez. VI-2, ord. 22 maggio 2015, n. 10675, in Corriere giur. 2015, 1391 ss., con note di A. Carrato, Doppia data di deposito e C. Consolo, Doppia data della sentenza, citt.; e in Foro it., 2015, I, 3208, con nota di M. Adorno, Lo

«sdoppiamento» della data di pubblicazione della sentenza e gli effetti sulla decorrenza del termine per l’impugnazione; Cass., sez. VI-2, 28 maggio 2015 n. 11129.

7 Cass., sez. lav., 14 aprile 2015, n. 7487.

(4)

www.judicium.it

condotto l’istituto «della rimessione in termini nell’alveo tradizionale, come provvedimento da as- sumere, sia pure officiosamente», nel caso di ritardo del cancelliere negli adempimenti di cui all’art.

133 c.p.c., «solo all’esito della verifica in concreto della sussistenza della lesione del diritto di dife- sa, tenuto conto del tempo di cui la parte ha potuto disporre per impugnare»8.

Ciò premesso, le due ordinanze di rimessione, richiamato il valore vincolante del principio di diritto enunciato nella più volte ricordata sentenza delle Sezioni Unite, sollecitano un nuovo inter- vento delle stesse, non prima però di avere opportunamente sottolineato, da un lato, che se, in pre- senza di due date apposte sulla sentenza, l’una riferita al deposito e l’altra alla pubblicazione, il dies a quo per la decorrenza del termine di impugnazione incomincia a decorrere soltanto dalla seconda, a rigore non vi sarebbe nemmeno bisogno di una rimessione in termini; e, dall’altro, che se si su- bordina ad un apposito provvedimento di rimessione in termini, previa verifica del comportamento della parte, l’ammissibilità dell’impugnazione proposta dopo la scadenza del termine di impugna- zione decorrente dalla prima data, si «finisce per negare il diritto della parte ad utilizzare nella loro interezza i termini di decadenza previsti per la proposizione dell’impugnazione, facendo ricadere su di essa le conseguenze di un comportamento addebitabile all’amministrazione giudiziaria».

2. – Ai fini di una corretta impostazione del problema sul quale saranno nuovamente chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite, occorre a mio avviso fare chiarezza su alcuni punti preliminari, sgombrando il campo da alcuni equivoci che rischiano di condizionarne la soluzione.

Non è vero, innanzitutto, che l’art. 327 c.p.c., nel disciplinare il termine di decadenza per le impugnazioni, faccia riferimento al «deposito»9. La norma infatti, fin dall’entrata in vigore del co- dice, ha sempre fatto decorrere il termine lungo per la proposizione delle impugnazioni ordinarie non dal deposito, ma, letteralmente, dalla pubblicazione della sentenza.

Fatta questa necessaria precisazione, e ponendosi dal punto di vista degli utenti della giustizia, il problema non è solo quello di consentire alla parte diligente, il cui difensore verifichi giornalmen- te anche attraverso gli strumenti informatici l’avvenuta pubblicazione delle sentenze pronunciate nei giudizi dallo stesso patrocinati, l’utilizzazione per intero del termine lungo di impugnazione del- le stesse, termine che sarebbe ingiustamente ed irragionevolmente eroso, nonostante questa diligen- te opera di quotidiano controllo, laddove solo a distanza di tempo, a seguito del completamento del-

8 Così Cass. n. 18775 del 23 settembre 2015 e n. 19140 del 28 settembre 2015, citt.

9 Si presuppone invece il contrario in tutti i citati scritti di C. Consolo, il cui discorso, peraltro, si snoda attraverso passaggi argomentativi di ordine sistematico e di respiro ben più ampio.

(5)

www.judicium.it

le formalità relative alla pubblicazione, si scoprisse che una sentenza era stata in realtà depositata molto tempo prima; ma è anche e soprattutto quello di assicurare la certezza in ordine al termine di decadenza per l’impugnazione, posto che, a seguito della attestazione da parte del cancelliere della data di pubblicazione della sentenza (dalla quale soltanto l’art. 327 c.p.c. fa decorrere il termine di impugnazione), attestazione alla quale l’ordinamento attribuisce pubblica fede, è irragionevole e contrario alla logica del giusto processo immaginare che la parte debba avere cura di verificare se per caso la stessa sentenza non fosse precedentemente pervenuta in cancelleria e che comunque il termine di impugnazione possa essere iniziato a decorrere in data antecedente alla data di pubblica- zione attestata dal cancelliere.

Né appare risolutivo affermare in senso contrario che, poiché l’attestazione effettuata dal can- celliere fa piena prova fino a querela di falso, il cancelliere non potrebbe attestare una data di pub- blicazione dopo avere attestato una diversa data di deposito.

Anche la seconda attestazione, infatti, fa piena prova fino a querela di falso e quindi, laddove davvero le attestazioni non possano essere interpretate in modo da conciliarne il contenuto (nel sen- so che il primo deposito si riferisca ad una semplice minuta, ovvero che sia effettuato a fini mera- mente interni, per escludere la responsabilità disciplinare del magistrato) non vi è davvero alcun motivo per ritenere prevalente la prima attestazione.

A questo proposito, può anche essere posta in discussione l’affermazione secondo la quale, nel- la consegna al cancelliere da parte del giudice di un documento avente il contenuto di cui all’art.

132 c.p.c. e da lui sottoscritto, non potrebbe in alcun modo essere ravvisata la consegna della minu- ta di cui all’art. 119 d.a. c.p.c. (come afferma, da ultimo, Cass. 4 settembre 2015, n. 17612).

Nulla infatti impedisce al giudice di predisporre una minuta perfettamente corrispondente a quanto dispone l’art. 132 c.p.c., mentre l’art. 119 d.a. c.p.c., che impone al giudice di sottoscrivere anche la minuta, prima della consegna al cancelliere, impedisce di ravvisare nella presenza della sottoscrizione il segno distintivo dell’originale.

Non sarebbe quindi affatto irragionevole ritenere che al cancelliere spetti comunque di verifica- re, dal punto di vista formale, il rispetto dei requisiti di cui all’art. 132 c.p.c. per poi sottoporre eventualmente al giudice stesso un documento formalmente diverso da quello consegnatogli ai fini della sottoscrizione e del successivo deposito; e che, per ragioni di economia processuale, in osse- quio al canone costituzionale della durata ragionevole del processo, laddove non sia invece necessa- rio apportare alcuna modifica formale al documento consegnato dal giudice, il cancelliere stesso

(6)

www.judicium.it

possa provvedere alla pubblicazione, mediante deposito, del medesimo documento consegnatogli dal giudice, alla cui formazione ha comunque partecipato, rendendolo in tal modo irretrattabile.

Da questo punto di vista, l’attestazione del cancelliere di avvenuta consegna da parte del giudi- ce di un documento corrispondente a quello che verrà poi pubblicato mediante deposito nella can- celleria può essere concettualmente distinto dal deposito stesso e servire soltanto a verificare il ri- spetto dei termini la cui violazione potrebbe comportare la responsabilità disciplinare del giudice;

mentre il richiamo alla tralatizia nozione di rapporto giuridico processuale, più che risultare utile al- la soluzione del problema che ci occupa, rischia soltanto di appesantirlo.

L’immodificabilità della sentenza da parte del giudice che l’ha emessa, infatti, ben può essere ricollegata alla pubblicazione della sentenza e cioè, come vedremo, al compimento delle formalità necessarie a garantirne la conoscibilità alle parti e ai terzi, senza bisogno di scomodare l’ingombrante e, dal nostro punto di vista, poco utile nozione di rapporto giuridico processuale.

E d’altra parte, anche a volere ragionare in termini di rapporto giuridico processuale, l’idea che detto rapporto si chiuda con la pronuncia di una sentenza impugnabile appare di per sé stessa im- precisa, visto che con tale sentenza – non importa qui stabilire se con la sua pronuncia, il suo depo- sito o la sua pubblicazione – ciò che a tutto concedersi potrebbe chiudersi è soltanto, come è stato opportunamente precisato10, il rapporto processuale del grado di giudizio a conclusione del quale la sentenza è stata resa e cioè soltanto una fase del rapporto giuridico processuale, la sopravvivenza del quale non impedisce peraltro di predicare l’esaurimento del potere decisorio del giudice sulle questioni decise.

Il punto è, peraltro, che la chiusura del rapporto processuale, pur limitata al grado di giudizio nel quale la sentenza è stata resa, conseguirebbe soltanto alla pronuncia di una sentenza definitiva, laddove invece l’irretrattabilità della sentenza da parte del giudice che l’ha emessa, derivante dall’esercizio del potere decisorio, è fenomeno che riguarda anche le sentenze non definitive e per- tanto nulla può evidentemente avere a che fare con la chiusura del rapporto giuridico processuale, ammesso e non concesso che tale concetto possa continuare ad avere, ai giorni nostri, una qualche utilità.

10 Cfr. C. Consolo, La doppia (data di) nascita della sentenza civile fra S.C. e Consulta nomofilattica, cit., 1609, il quale parla di «conclusione del rapporto processuale nel grado considerato».

(7)

www.judicium.it

Il vero è, o almeno a me sembra, che il concetto stesso di rapporto giuridico processuale non aiuta a comprendere il ruolo che nel processo – e non già solo nel procedimento11 – svolge il can- celliere, il cui ruolo nel deposito della sentenza non appare affatto, contrariamente a quanto potreb- be apparire ad una lettura affrettata delle norme, meramente passivo12.

Anche su questo punto occorre essere chiari, perché tra i più gravi equivoci che hanno contri- buito al sorgere di questa assai strana querelle vi è quello secondo il quale il deposito della sentenza sarebbe atto di competenza esclusiva del giudice, identificandosi lo stesso con la consegna o tra- smissione al cancelliere dell’originale del documento, dovendosi il cancelliere limitare all’attestazione dell’avvenuto deposito – con la quale si concluderebbe il procedimento di pubblica- zione della sentenza – mentre le successive attività (di iscrizione della sentenza nel registro crono- logico delle sentenze, con attribuzione del numero identificativo, nonché di inserzione nel fascicolo informatico dell’atto redatto in formato elettronico o della sua copia digitale) che il cancelliere è te- nuto a compiere al fine di consentire non soltanto l’estraibilità delle copie dell’atto, ma finanche la materiale conoscibilità dello stesso da parte dei soggetti interessati, sarebbero di per sé estranee tan- to al deposito quanto alla pubblicazione.

A voler guardare le cose come sono, infatti, il rapporto tra deposito e pubblicazione è più com- plesso di quello che si suppone quando si pensa che il primo sia un atto di competenza esclusiva del giudice, posto in essere solo in funzione della seconda e/o che la seconda possa essere soltanto l’effetto legale del primo.

Va preliminarmente ricordato a questo proposito che, sebbene l’art. 133 c.p.c. incontestabil- mente affermi che «la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria» (con ciò po- stulando l’unitarietà del procedimento di pubblicazione mediante deposito), ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., dinanzi al tribunale in composizione monocratica, quando la sentenza è pronunciata a seguito di trattazione orale, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giu- dice del verbale in cui si dà atto della sua lettura in udienza (pubblica ai sensi dell’art. 128 c.p.c.), e quindi prima ancora del suo deposito in cancelleria, che pure deve avvenire immediatamente do- po13.

11 Diversamente orientato appare C. Consolo, op. ult. cit., 1603, che sottolinea l’estraneità del cancelliere «rispetto al rapporto processuale ma non rispetto al procedimento».

12 Cfr. B. Capponi, Lo «strano» caso delle sentenze pubblicate più d’una volta, cit., § 2; F. Auletta, La «scissione temporale» tra deposito e pubblicazione della sentenza: la parola alla Corte costituzionale, cit., 1000.

13 Cfr. Cass., sez. III, 29 maggio 2015, n. 11176, nell’Osservatorio sulla cassazione civile a cura di D. Micali, in Riv. dir. proc. 2016, 262 ss., §§ 6 e 11.

(8)

www.judicium.it

Ed è appena il caso di rilevare che analoga soluzione è preferita dai più anche con riferimento alle sentenze pronunciate nell’udienza di discussione del rito del lavoro mediante lettura in udienza del dispositivo e delle ragioni della decisione14, sebbene manchi nell’art. 429 c.p.c. una espressa di- sposizione che, analogamente a quanto espressamente previsto nell’art. 281 sexies c.p.c., imponga di considerare pubblicata la sentenza «con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene» e sebbene la (almeno apparente) sopravvivenza del successivo art. 430 c.p.c. consenta in astratto di accedere ad altra soluzione, più aderente alla lettera della legge, secondo la quale la lettu- ra in udienza del testo integrale della sentenza non esclude la necessità, anche ai fini della pubblica- zione, del deposito della stessa, da effettuarsi qui non «immediatamente», ma «entro quindici giorni dalla pronuncia»15.

Accantonando il discorso sulla possibile sopravvivenza dell’art. 430 c.p.c., che ci porterebbe troppo lontano, è chiaro comunque che ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., con la sottoscrizione del verbale, il giudice certifica l’avvenuta lettura della sentenza in pubblica udienza, e tanto basta per consentire di ritenere pubblicata la sentenza, con conseguente decorrenza del termine lungo per im- pugnarla, prima ancora del suo deposito in cancelleria e quindi della materiale estraibilità di copie della stessa16.

D’altra parte, la sentenza, ancorché pubblicata mediante lettura integrale in udienza, necessita di essere comunque depositata in cancelleria, il che significa che il deposito non ha né può avere come unici effetti la pubblicazione della sentenza, intesa come conoscibilità della stessa da parte di tutti gli interessati, e la conseguente decorrenza del termine lungo di impugnazione per le parti:

giacché per la sentenza pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c. i predetti effetti si sono prodotti, incon- testabilmente, a seguito della sottoscrizione, da parte del giudice, del verbale in cui si dà atto della sua lettura in pubblica udienza ed è quindi ragionevole pensare che il deposito della sentenza, quale atto pubblico, sia qui imposto e debba essere effettuato allo scopo di consentire alle parti e a qua- lunque altro interessato di chiederne ed ottenerne copia, anche autentica; e che quindi allo stesso non può affatto ritenersi estraneo il compimento da parte del cancelliere delle formalità inerenti l’iscrizione delle sentenze nel registro cronologico e l’inserzione nel fascicolo informatico.

14 G. Costantino, Rassegna di legislazione (1° maggio - 30 giugno 2008), in Riv. dir. proc. 2008, 1169 ss., 1174;

M. Miscione, Il diritto del lavoro dopo il D.L. n. 112 del 2008 su sviluppo economico e semplificazione, in Lav giur.

2008, 975 ss., 976; E. Vullo, in Codice di procedura civile diretto da Claudio Consolo, V ed., Milano 2013, II, sub art.

429, 1589 s.

15 C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, XXIII ed., Torino 2014, III, 261 ss.

16 Cfr. Cass., sez. II, 8 novembre 2010, n. 22659; Cass., sez. III, 29 maggio 2015, n. 11176, cit.

(9)

www.judicium.it

Si consideri, inoltre, che il verbale, sottoscritto dal giudice e contenente la sentenza pronunciata in udienza mediante lettura del dispositivo e delle ragioni della decisione, è già nella disponibilità del cancelliere, cui spetta custodire i fascicoli d’ufficio, sicché davvero non si comprenderebbe l’utilità e il senso di un successivo deposito in cancelleria che non implichi attività alcuna da parte del cancelliere.

Non può quindi essere omologata l’idea secondo la quale l’iscrizione nel registro cronologico delle sentenze, con attribuzione del numero identificativo, e l’inserzione nel fascicolo informatico dell’atto redatto in formato elettronico o della sua copia digitale costituiscano attività estranee e successive al deposito in cancelleria della sentenza contemplato dall’art. 281 sexies c.p.c.; e non vi sono ragioni, né di carattere esegetico né di ordine sistematico, per pervenire ad una soluzione di- versa con riferimento agli artt. 133, 281 quinquies, 429 e 430 c.p.c.

Delle predette norme, comunque, l’unica che contempli il giudice come autore del deposito del- la sentenza è l’art. 281 quinquies c.p.c. («Il giudice […] deposita la sentenza in cancelleria entro trenta giorni […]»), laddove invece gli artt. 133, 429 e 430 c.p.c. si limitano a discorrere di deposi- to della sentenza «nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata», o più semplicemente di de- posito in cancelleria; il che è davvero troppo poco per ritenere che il procedimento di deposito ri- chiesto dalla legge perché la sentenza possa considerarsi pubblicata possa esaurirsi nella materiale consegna o trasmissione dell’atto dal giudice al cancelliere, della quale tra l’altro l’art. 119 d.a.

c.p.c. nemmeno parla17.

Tutto ciò non esclude, ovviamente, che laddove il deposito abbia ad oggetto una sentenza non ancora resa pubblica mediante lettura in udienza, esso abbia come effetto legale la pubblicazione della sentenza; ma deve essere chiaro che, a tali fini, il deposito deve avvenire in forme che garanti- scano agli interessati una conoscibilità della sentenza non inferiore a quella derivante dalla sua let- tura in pubblica udienza, quale certamente non può essere la materiale consegna dell’originale del documento dal giudice al cancelliere, anche se certificato dall’apposizione di un timbro.

Mi sia consentito in proposito di sollevare le più serie perplessità sull’affermazione, contenuta in una sentenza della Suprema Corte18, secondo la quale l’attestazione del cancelliere dell’avvenuta consegna dell’originale della sentenza da parte del giudice, anche se non accompagnata dal compi- mento di alcuna ulteriore formalità, sarebbe idonea al raggiungimento dello scopo dell’atto, «che è

17 In argomento cfr. B. Capponi, Lo «strano» caso delle sentenze pubblicate più d’una volta, cit.

18 Cass., sez. III, 30 marzo 2011, n. 7240, segnalata nell’Osservatorio sulla cassazione civile a cura di N. Sotgiu, cit., 1068.

(10)

www.judicium.it

quello di dare pubblicità», dovendosi soltanto «assicurare un notum facere convenzionale, alla sen- tenza, ritenuto idoneo a far decorrere il c.d. termine lungo per la sua impugnazione».

Se infatti gli unici casi in cui il deposito in cancelleria della sentenza non è ritenuto necessario ai fini della sua pubblicazione e conseguente esistenza sono quelli in cui la sentenza è stata letta in pubblica udienza, e deve per ciò stesso ritenersi conosciuta dalle parti, non appare ragionevole, oltre che conforme ai principi del giusto processo, pensare che, ai fini della pubblicazione, il deposito possa consistere nella consegna o trasmissione al cancelliere di un documento che alle parti rimanga inaccessibile a causa della mancata iscrizione della sentenza nel registro cronologico delle sentenze, con attribuzione del numero identificativo, e della mancata inserzione nel fascicolo informatico.

3. – Ciò chiarito, la domanda da porsi è se, prima ancora che compatibile con i valori costitu- zionali, sia veramente ragionevole pensare che nella semplice trasmissione o consegna dal giudice al cancelliere dell’originale della sentenza, sol perché attestata con l’apposizione di un timbro da parte del cancelliere, che peraltro rinvii il compimento delle attività necessarie a renderla pubblica, possa davvero ravvisarsi quel deposito in cancelleria cui l’ordinamento ricollega la conoscenza le- gale della sentenza non precedentemente letta in pubblica udienza, con conseguente decorrenza dei termini di impugnazione, e comunque, per tutte le sentenze, l’estraibilità delle copie.

La verità, a me, sembra un’altra e mi appare assai più semplice.

La sentenza, anche se pronunciata mediante lettura in pubblica udienza e contenuta nel verbale di causa sottoscritto dal giudice, necessita del deposito in cancelleria, che non può ragionevolmente essere identificato nella mera consegna al cancelliere dell’originale dell’atto ed ha la funzione di consentire a tutti gli interessati l’estrazione di copie, anche autentiche, della sentenza munita di nu- mero identificativo, ed alle parti anche la spedizione in forma esecutiva, posto che nel caso in esa- me la sentenza già esiste ed è già presente nel fascicolo d’ufficio.

Quante volte il deposito abbia ad oggetto una sentenza non precedentemente pubblicata, esso ha anche la funzione di rendere pubblica la sentenza, con conseguente decorrenza del termine lungo di impugnazione.

Il deposito della sentenza in cancelleria è, comunque, un procedimento nel quale il cancelliere svolge un ruolo tutt’altro che passivo e al quale non sono affatto estranee l’iscrizione della sentenza nel registro cronologico delle sentenze, con attribuzione del numero identificativo, nonché l’inserzione nel fascicolo informatico dell’atto redatto in formato elettronico o della sua copia digi- tale.

(11)

www.judicium.it

Se quanto sopra appare condivisibile, a me sembra che ai fini della soluzione dei quesiti posti oggi all’esame delle Sezioni Unite si debba necessariamente muovere dalle seguenti considerazioni.

Il cancelliere ha il dovere di provvedere immediatamente al deposito in cancelleria della sen- tenza che gli sia consegnata dal giudice, anche nel caso in cui si tratti di sentenza già pubblicata mediante lettura in pubblica udienza e contenuta nel verbale di causa sottoscritto dal giudice stesso.

Il cancelliere che abbia effettivamente provveduto al deposito di una sentenza consegnatagli dal giudice e che ai sensi della normativa vigente non possa considerarsi già pubblicata, compiendo immediatamente, come è suo dovere, tutte le formalità necessarie per renderla pubblica e quindi ef- fettivamente conoscibile alle parti e a i terzi, non può impedire, nemmeno attraverso la utilizzazione di fantasiose varianti lessicali e timbri diversificati (si va dal “PERVENUTO IN CANCELLERIA”

al “DEPOSITATO AI FINI DELLA PUBBLICAZIONE”) che dal momento dell’avvenuto deposito si producano tutti gli effetti processuali del deposito stesso, ivi compresa la decorrenza del termine lungo di impugnazione. Com’è noto, infatti, gli atti processuali producono gli effetti per essi previ- sti dall’ordinamento, a nulla rilevando l’eventuale diversa volontà dell’autore.

Laddove peraltro il cancelliere abbia arbitrariamente scisso l’unitario procedimento di pubbli- cazione della sentenza, segmentandolo in fasi successive in modo da impedire che alla consegna dell’originale della sentenza da parte del giudice, pur se attestata con l’apposizione di un timbro di avvenuto deposito (evidentemente apposto a soli fini interni), consegua la concreta conoscibilità della sentenza da parte di tutti ed addirittura per le stesse parti potenzialmente interessate all’impugnazione, il deposito in cancelleria, richiesto dalla legge ai fini della pubblicazione della sentenza e della conseguente decorrenza del termine lungo di impugnazione, non può in alcun modo dirsi perfezionato.

Ne consegue che, laddove sulla sentenza appaiano due date, una riferita al deposito della sen- tenza da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione, indicata come tale dal cancelliere all’evidente fine di attestare l’avvenuto espletamento delle attività ad esso demandate, è solo a quest’ultima data che occorre riferirsi ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c., termine che quindi la parte può sfruttare per intero senza bisogno di alcun provvedimento di rimes- sione in termini subordinato ad una valutazione di incolpevolezza di una decadenza di fatto non ve- rificatasi.

In questo senso può accogliersi la proposta interpretativa offerta dalla Corte Costituzionale, la quale ha esattamente osservato che «per costituire dies a quo del termine per l’impugnazione, la da- ta apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione

(12)

www.judicium.it

delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest’ultima»; ed ha aggiunto che il ritardato adempimento, attestato dalla diver- sa data di pubblicazione, «rende di fatto inoperante», agli effetti della decorrenza del termine di impugnazione, la dichiarazione dell’intervenuto deposito.

Anche in questo quadro interpretativo, la rimessione in termini può effettivamente costituire, per usare le parole della Corte costituzionale, un utile strumento di chiusura equitativa del sistema, ma non già per rendere ammissibile l’impugnazione proposta dalla parte che abbia utilizzato per in- tero il termine di impugnazione decorrente dalla seconda data – termine che la parte può utilizzare per intero senza bisogno di alcun provvedimento restitutorio, ancorché officioso – bensì nel caso di sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.19, da considerarsi pubblicata a seguito della sottoscrizione da parte del giudice del verbale in cui si dà atto della sua integrale lettura in pubblica udienza.

In questo specifico caso, infatti, dal momento che il termine di impugnazione decorre anche se il cancelliere non abbia provveduto al compimento degli adempimenti inerenti al deposito, finaliz- zati a consentire alle parti di chiedere il rilascio di copia autentica della sentenza completa del nu- mero identificativo20, la rimessione in termini servirà ad impedire che il più o meno colpevole ritar- do del cancelliere possa determinare un pregiudizio per la parte decaduta dal potere di depositare copia autentica del provvedimento impugnato completa del suo numero identificativo; e più rara- mente della parte alla quale, a causa dei ritardi della cancelleria, non sia stato nemmeno consentito di estrarre copia della sentenza in tempo utile per assumere le proprie determinazioni in ordine alla proposizione dell’impugnazione, determinazioni che, anche nel caso di lettura in udienza del testo della sentenza, richiedono innanzitutto la possibilità di lettura ed eventualmente rilettura integrale del decisum anche ad opera del difensore incaricato della eventuale impugnazione, a nulla rilevando il fatto che esso potrebbe coincidere con quello che ha difeso la parte nel grado di giudizio nel quale la sentenza è stata pronunciata21.

19 Analogo discorso dovrebbe ripetersi per la sentenza pronunciata in udienza al termine del processo del lavoro di primo grado, laddove si condividesse l’opinione degli autori citati nella nota n. 14.

20 Cfr. Cass., sez. III, 29 maggio 2015, n. 11176, cit.

21 Nota esattamente C. Consolo, La doppia (data di) nascita della sentenza civile fra S.C. e consulta nomofilattica cit., 1608, che l’interposizione di un gravame «postula innanzitutto leggere e avere contezza ufficiale del decisum».

Riferimenti

Documenti correlati

1 Relazione, riveduta e integrata, tenuta a Firenze il 27 settembre 2018, in occasione di un convegno organizzato dall’AIAF Toscana e dalla Fondazione dell’Ordine degli Avvocati

Va rimessa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta di massima importanza, riguardante gli effetti della

La  previsione,sul  punto,  del  processo  tributario,  invece,  è  stata  in  parte  preceduta  dall'art.  21  della 

("Se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall'art. 1) e 5), la Corte in camera di consiglio rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice") ed

SOCCI, Le sezioni unite sulla produzione dei documenti (in appello e in primo grado) e sui poteri istruttori d'ufficio del giudice nel rito ordinario e del lavoro, tra stop and go;

36 Cass., Sez. 38 P OLIDORO , Istruttoria dibattimentale nel processo di appello e rinnovazione delle dichiarazioni pro- venienti dalle fonti di prova tecnicamente

Nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione, attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il

La prima regula iuris rinvenibile nella massima sopra riportata («il comportamento processuale dell’imputato che comunque si difende dall’accusa […] può valere