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IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI SECONDO MEDICINA ASSICURATIVA

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IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI SECONDO MEDICINA ASSICURATIVA

Dr. Giancarlo Bruno

Il tema che mi è stato assegnato, riguarda il diritto soggettivo dell’uomo a vivere in un ambiente salubre, luogo naturale prima che giuridico, costituisce indubbiamente un momento di riflessione su un argomento relativamente nuovo, almeno per quanto attiene l’ambito di competenza del medico–legale.

Infatti il danno alla persona determinato da agenti biologici, che in quanto tale viene ad essere compreso in uno dei tanti capitoli del vasto tema riguardante il danno alla salute, evento questo che si può verificare sia nel contesto dell’ambiente di lavoro che nell’ambito della vita extralavorativa e sul quale ormai sono numerosi i riferimenti dottrinari, giurisprudenziali e medico–legali, sino ad ora non è stato oggetto di una specifica analisi, finalizzata alla ragionata ricerca sulle reali evidenze causali ed oggettive del pregiudizio alla salute.

La vastità dell’argomento, così come è dimostrato dai numerosi temi che verranno trattati nei prossimi giorni, i quali spaziano dalle varie tipologie del rischio, alle diverse tutele assicurative, per le quali devono essere applicati differenziati criteri interpretativi e valutativi, impone la necessità che questo intervento sia contenuto e quindi limitato solo ad alcune delle principali problematiche di prevalente interesse medico–legale. Occorre infatti ricordare che quando si concretizza un danno alla persona, sia per un addensamento del rischio conseguente ad un eventuale comportamento doloso o colposo per il non rispetto delle norme di prevenzione, sia in riferimento alla tutela nell’ambito delle assicurazioni sociali, così come per l’operatività delle garanzie contrattualmente previste dalle assicurazioni private, le competenze in materia inevitabilmente devono essere affidate a discipline medico-forensi.

Infatti è necessario che in primo luogo sia dimostrata la sussistenza del nesso di causa materiale tra l’evento patogeno e la malattia, ed in un secondo tempo sia formulato un giudizio interpretativo sulle caratteristiche del danno, per il quale devono essere applicati criteri parzialmente diversi in riferimento all’ambito in cui viene espresso: penale, civile, assicurativo sia pubblico che privato.

Il tema che riguarda gli agenti biologici si caratterizza come multidisciplinare, in quanto in rapporto alle varie problematiche

Medico Legale Consulente Centrale TORO Assicurazioni, Torino

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inevitabilmente vengono ad essere coinvolte numerose specialità mediche, tra le quali sempre la medicina del lavoro e l’infettivologia, mentre la medicina legale interviene solo successivamente, e cioè quando devono essere affrontati i problemi che fanno riferimento al piano giuridico o assicurativo.

Se da un lato non è realistico il voler affrontare l’argomento in modo esaustivo, a causa delle molteplici sfaccettature che lo caratterizzano, dall’altro il voler richiamare e discutere le conoscenze che sono peculiari delle varie specialità mediche, porterebbe a parlare senza alcuna utilità di nozioni che sono ampiamente note ai singoli specialisti. Di conseguenza l’intervento che mi è stato affidato verrà svolto, con la speranza che si ponga su un piano di sufficiente equilibrio, con lo scopo di evidenziare ai non specialisti in medicina legale alcune delle problematiche specifiche di questa dottrina ed ai medici legali alcune delle conoscenze della medicina clinica che devono essere tenute presenti nell’affrontare questo argomento.

La prima considerazione riguarda cosa debba intendersi con il termine di “rischio” che non è, come talvolta erroneamente viene interpretato, il pericolo determinato da un fattore nocivo (sia esso fisico o chimico o traumatico o biologico), ma è la probabilità che in determinate situazioni ed a certe condizioni si verifichi un evento sfavorevole. In riferimento all’argomento in discussione queste situazioni e condizioni sono individuabili in un particolare settore produttivo oppure in una determinata popolazione.

Prima di procedere all’analisi nell’ottica medico-legale, è indispensabile fare un breve riferimento ad alcuni dei principali punti presenti nella normativa attualmente vigente.

Il rischio di contrarre malattie da agenti infettanti nell’ambito delle attività lavorative, è stato affrontato nel testo del Decreto Legislativo n. 626 del 19 settembre 1994 , in cui sono previste tutte le norme finalizzate alla tutela della salute ed alla sicurezza dei lavoratori, le quali devono trovare applicazione per quelle attività lavorative che possono comportare un rischio di esposizione ad agenti biologici, sia nel settore pubblico che in quello privato.

In particolare il rischio biologico è contenuto nel Titolo VIII (Art. 73–88) nonché nell’allegato l’XI, successivamente modificato dal Decreto Legislativo n. 242 del 19 marzo 1996 e recentemente sostituito dal Decreto Ministeriale del 12 novembre 1999.

Con le definizioni riportate (Art. 74) in riferimento a cosa debba intendersi per agente biologico (qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni) e per microorganismo (qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico), il legislatore ha voluto precisare che devono

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allergiche e le reazioni di tipo tossico, a condizione che esse siano conseguenti alla penetrazione nell’organismo umano di un qualsiasi microorganismo compresi i virus.

La caratterizzazione del rischio biologico, così come emerge dalla lettura dell’allegato XI, è stata basata sulla valutazione della pericolosità dei vari agenti biologici, in base ai seguenti parametri:

‰ l’infettività: intesa come la capacità di un microrganismo di penetrare e moltiplicarsi nell’ospite;

‰ la patogenicità: riferita alla possibilità del microrganismo di determinare l’insorgenza di una malattia a seguito di infezione;

‰ la trasmissibilità: corrispondente alla condizione che il microrganismo possa essere trasmesso da un soggetto infetto;

‰ la neutralizzabilità: interpretata come la disponibilità di utilizzare efficaci misure profilattiche per prevenire la malattia o di controllarla con trattamenti terapeutici.

In rapporto al rischio di infezione, basato su queste caratteristiche oltrechè sulle proprietà di determinare patologie allergiche o tossiche, i microrganismi sono stati suddivisi in 4 classi di pericolosità:

- con poche probabilità di causare malattie;

- con la possibilità di causare malattie che hanno una scarsa probabilità di propagarsi nella comunità e per le quali normalmente sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;

- con la possibilità di causare malattie gravi che hanno la possibilità di propagazione, per le quali sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;

- con possibilità di causare malattie non solo gravi ma anche con un elevato rischio di propagazione, per le quali non sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

L’insorgenza di una malattia, e quindi il verificarsi di una lesione all’integrità fisica della persona, nel caso in cui sia la conseguenza del non rispetto delle norme di prevenzione, viene a creare i presupposti per rientrare in ambito giuridico e di conseguenza interessare la competenza medico–legale.

Che cosa si debba intendere per malattia, la maggior parte della dottrina medico–legale condivide la definizione proposta dal Gerin: “quella modificazione peggiorativa della “stato anteriore, a carattere dinamico, estrinsecantesi in un “disordine funzionale apprezzabile, di parte o dell’intero

“organismo, che determina un’effettiva limitazione nella vita “organica e soprattutto nella vita di relazione e richiede un “intervento terapeutico, per quanto modesto”. In questa definizione sono presenti alcuni concetti fondamentali, che non sempre vengono ad essere tenuti nella doverosa

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considerazione quando viene ad essere interpretata una condizione definibile come malattia:

- che vi sia un’apprezzabile, e quindi documentata condizione peggiorativa della funzionalità dello stato anteriore del soggetto;

- che la stessa sia connotata da evolutività;

- che comporti la necessità di cure.

Sempre nell’allegato XI è stato precisato, che la classificazione del rischio biologico, non tiene conto dei particolari effetti su quei lavoratori la cui sensibilità potrebbe essere modificata da altre cause quali: una preesistente malattia, l’uso di medicinali, una immunità compromessa, la gravidanza, l’allattamento. Si tratta di una indicazione in base alla quale viene puntualizzato che le norme previste fanno riferimento solo alle persone che rientrano nell’ambito di una normalità biologica, nella quale di conseguenza non sono compresi i soggetti i quali presentano una predisposizione individuale. Inoltre è da evidenziare che la condizione di modificata sensibilità deve essere intesa , non nel senso che tutti i soggetti i quali presentano tale situazione automaticamente devono essere considerati inidonei, ma che il giudizio del medico competente deve tenere conto sia del tipo di predisposizione che dello specifico rischio. E’ noto come numerosi siano i fattori correlati all’ospite, che possano influenzare il tropismo di un virus tra i quali: l’età del soggetto, il suo stato immunitario (soggetto immunocompetente o immunocompromesso).

L ‘accertamento dell’esistenza o meno di un rapporto di causalità materiale, è uno dei momenti essenziali dell’analisi medico–legale, sia nel caso di reati dolosi o colposi che abbiano comportato un danno alla persona, sia negli illeciti civili e negli altri eventi normativamente o contrattualmente previsti quali gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, così come per le cause di servizio e per quanto riguarda l’assicurazione privata per gli infortuni o le malattie.

Il primo livello del percorso metodologico che deve affrontare il medico legale, si connota con la verifica del rispetto delle norme di prevenzione, con l’esatta individuazione dell’agente infettante, con l’accertamento che il contagio sia realmente avvenuto nel contesto dell’ambiente lavorativo e non in altri momenti della vita del soggetto. Appare di tutta evidenza come questa fase operativa possa comportare per la sua soluzione difficoltà talora anche non trascurabili, che per essere correttamente affrontate e risolte richiedono il contributo di validi esperti in singole discipline, tra i quali i più frequentemente interessati, per quanto riguarda il rischio biologico, sono gli specialisti in medicina del lavoro ed in malattie infettive.

A questa prima fase segue quella che verifica se in concreto si sia

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corrisponde all’esistenza di una condizione di malattia, che permanente nel caso in cui la malattia non si sia risolta con la completa guarigione ma che abbia comportato una obiettivabile e permanente condizione peggiorativa dello stato anteriore del soggetto. Si tratta di un compito che talvolta risulta essere estremamente complesso, in quanto può richiedere particolari conoscenze in rapporto ai problemi diagnostici e prognostici, per la soluzione dei quali si rende indispensabile un contributo specialistico e/o la necessità di eseguire indagini talora anche con un certo grado di pericolosità e quindi connotate con la necessità di acquisire dalla persona interessata un consenso libero, cosciente ed informato.

Non a caso sono stati utilizzati i termini di “effettivo danno alla salute”

e di “obiettivabile condizione peggiorativa dello stato anteriore”, poiché per poter affermare la sussistenza in ambito penalistico di un indebolimento permanente o di una malattia insanabile, oppure in ambito civilistico e nel contesto dell’assicurazione pubblica o privata di una invalidità o di un danno biologico permanente, è assolutamente indispensabile che sia inequivocabilmente provata l’esistenza di un danno anatomico e/o funzionale.

E’ di tutta evidenza quindi, che la sola presenza di un complesso sintomatologico riferito dal soggetto, anche nel caso in cui esso sia ritenuto attendibile, non può né deve avere alcuna rilevanza se non è confortato da un oggettivo riscontro di un danno anatomo-funzionale.

Il terzo momento, che riguarda l’interpretazione sulla sussistenza del rapporto di causalità materiale tra l’agente biologico ed il danno alla persona, è tipicamente di pertinenza della metodologia medico–legale, la quale in questi ultimi anni ha percorso una strada evolutiva affinando la sua criteriologia con l’individuazione e la definizione di nuovi indicatori della causalità materiale.

E’ da evidenziare che la individuazione delle cause e dei fattori che si ritengono determinanti per l’insorgenza di una malattia, può essere basata su criteri interpretativi diversi se il problema viene affrontato nell’ambito della medicina diagnostico-terapeutica oppure nel contesto medico-legale. Infatti nell’ambito della medicina clinica in presenza di una malattia, la premessa per instaurare un trattamento terapeutico è l’individuazione, anche se connotata non dalla certezza ma dalla sola possibilità, della sua dipendenza da una determinata causa purchè sia compresa tra quelle previste dall’eziopatogenesi, la quale di conseguenza viene ad assumere un ruolo determinante e condizionante. Per contro, in presenza di una sequenza eziopatogenetica non del tutto convincente, per la quale il giudizio espresso sulla base di criteri esclusivamente clinici può anche essere considerato ragionevole, il medico legale proprio per le finalità giuridiche che sono alla base della sua attività, non può assumere acriticamente e quindi fare propria la conclusione clinica, in

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quanto la sua funzione gli impone di individuare, nell’ambito delle varie possibilità, il fattore che assume una rilevanza giuridica.

A tal fine si rende necessaria l’applicazione di una specifica metodologia, che è appunto quella medico-legale, la quale pur utilizzando le conoscenze eziopatogenetiche le integra con altri criteri oltre a quelli clinici.

Questo modo di procedere trova la sua motivazione non solo nel fatto che diverse sono le finalità operative, ma anche per una duplice esigenza: di non far assumere la dignità di verità a delle semplici ipotesi ancorchè suggestive, di fornire per quanto possibile una prova di certezza o quantomeno di probabilità sull’effettivo ruolo causale del fattore individuato e ritenuto essere la causa dell’evento dannoso.

In passato la risposta affermativa sulla esistenza del nesso di causalità materiale era possibile solo se l’analisi medico-legale si concludeva nel senso che erano rispettati tutti i classici criteri: topografico, cronologico, di adeguatezza o idoneità lesiva, di continuità fenomenologica, di sindrome a ponte, di esclusione di altre cause. Per molti anni questa metodologia estremamente rigida, in quanto limitata alla sola possibilità di una risposta affermativa o negativa, non è stata sottoposta ad una revisione critica né ad alcun approfondimento che tenesse conto anche dell’evoluzione della scienza medico-biologica, per cui con il trascorrere del tempo progressivamente si è resa evidente la sua inadeguatezza per rispondere in modo compiutamente esaustivo alle esigenze della giustizia.

Anche se da parte di taluno sono state avanzate serie critiche con argomentazioni tali da rendere suggestivo un suo possibile superamento, in realtà la criteriologia medico–legale per lo studio del nesso causale non può essere accantonata, perché se ciò avvenisse si realizzerebbero i presupposti per una assoluta aleatorietà e discrezionalità di giudizio che non sarebbe più di nesso causale ma di roulette causale.

Invece è da considerare rispondente alle reali esigenze, la strada recentemente indicata dal FIORI in base alla quale, nei casi in cui non sia possibile formulare una risposta di sostanziale ed umana certezza affermativa sull’esistenza del nesso causale, i classici criteri che mantengono inalterata la loro importanza, devono essere integrati e coordinarsi con il criterio della possibilità scientifica ed il criterio della probabilità scientifica.

Il criterio della possibilità scientifica del rapporto causale, è basato sulla domanda se scientificamente sia possibile che l'azione o il fatto omissivo presi in considerazione, abbiano prodotto quel determinato evento.

Nel caso in cui sia possibile affermare con certezza che non sussiste una possibilità scientifica, l’analisi sul rapporto causale automaticamente si esaurisce perché viene ad essere escluso che il fattore preso in considerazione,

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si sia caratterizzato come condizione necessaria ed indispensabile a produrre l’evento.

Invece nel caso in cui la risposta sia affermativa per l’esistenza di una possibilità scientifica, in riferimento al fatto che quasi mai una possibilità corrisponde ad una certezza, l’analisi necessariamente deve proseguire ricorrendo all’utilizzo di altri indicatori, con lo scopo di definire una quantificazione della probabilità statistica che, valutata unitamente agli altri dati acquisiti, permette di esprimere un giudizio sull’esistenza di una probabilità che in quanto tale deve essere aggettivata come semplice, elevata, notevole, altissima.

Partendo da queste premesse è stata quindi proposta una ristrutturazione sistematica e logicamente articolata, in base alla quale per il giudizio sul rapporto causale il medico legale deve dare una risposta di:

- esclusione del rapporto causale;

- esclusione del rapporto causale per insufficienza di dati a favore dell’ipotesi prospettata;

- rapporto causale incerto;

- rapporto causale probabile;

- rapporto causale sostanzialmente certo.

In riferimento allo specifico argomento del rischio da agenti biologici, è opportuno richiamare l’attenzione dei medici clinici, il cui apporto culturale è di fondamentale importanza per l’interpretazione e la soluzione di particolari problemi, almeno su alcuni dei numerosi argomenti che devono essere presi in considerazione nell’analisi del nesso causale e ciò al fine di evidenziare alcuni peculiari aspetti della metodologia che il medico–legale deve seguire.

Per quanto attiene il criterio cronologico, esso riguarda l’intervallo di tempo intercorrente tra il momento in cui si sarebbe verificata l’esposizione e la prima manifestazione della malattia diagnosticata, e quindi corrisponde al concetto clinico del periodo di incubazione.

Prendendo ad esempio il caso dell’epatite HCV, esso è mediamente di 7–8 settimane ma con un’ampia gamma di oscillazione che varia tra le 2 e le 26 settimane e con la possibilità di ridursi addirittura a 2 giorni. Di conseguenza, se il caso in esame rientra nella media delle 7–8 settimane sussiste il presupposto per affermare che il criterio cronologico è rispettato, invece nel caso in cui si ponga oltre 26esima settimana la risposta non può che essere negativa, mentre se colloca al di sotto della 2 settimana si dovrà concludere per un rapporto causale poco probabile o incerto. Ad integrazione di questo dato può essere utilizzato, nel caso in cui sia disponibile, il risultato dei test sierologici, avendo come riferimento il dato che la sieroconversione avviene solitamente dopo 4-8 settimane dall’infezione, che vi può essere anche una

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sieroconversione precoce e cioè al limite delle due settimane e che la viremia può essere evidenziata addirittura dopo un settimana dall’infezione.

Il criterio di adeguatezza o idoneità lesiva nel caso di rischio biologico, corrisponde alla soglia di infettività, intesa come la condizione dell’esistenza di una dose soglia al di sotto della quale il contagio non produce infezione e quindi la comparsa di una malattia. Per i virus così come per molti microrganismi e per gli elminti la dose minima infettante è indicata attorno all’unità, per cui in pratica sarebbe sufficiente la contaminazione da parte di una sola unità per portare all’affermazione che il criterio dell’adeguatezza lesiva è rispettato.

Su questo argomento occorre da ricordare che nel testo del Decreto Legislativo n. 626, le norme previste non tengono conto della reattività individuale, per cui in ambito del problema attinente il nesso causale, si può verificare il caso in cui esso sia affermabile senza che sussista alcuna responsabilità poiché il danno si è verificato non per colpa e non osservanza di norme, ma per una anomala reattività individuale. Invece la reattività o predisposizione individuale, che caratterizza lo stato anteriore del soggetto, è una condizione assolutamente ininfluente nell’ambito della assicurazioni sociali, mentre può essere rilevante nel contesto dell’assicurazione privata.

Infatti per quanto attiene il rischio garantito dalla polizza infortuni, nel contratto assicurativo è previsto che la garanzia è operante solo per le conseguenze dell’evento violento, fortuito ed esterno, indipendentemente dallo stato anteriore del soggetto. Pertanto nel caso in cui l’assicurato abbia contratto una malattia, a causa di un accidentale contatto con un agente biologico, condizione questa che si caratterizza come un infortunio, se è dimostrato che la dose infettante in quanto tale non era sufficiente per determinare l’insorgenza della malattia e che la stessa si è verificata per una preesistente condizione di alterata reattività, il sinistro non rientra nella copertura assicurativa. Invece per quanto riguarda la polizza che copre il rischio dell’invalidità permanente conseguente a malattia, nei più recenti prodotti assicurativi tale limitazione contrattuale non è prevista.

Il criterio di esclusione di altre cause, che autonomamente o con maggiori probabilità possano avere agito nel determinismo della condizione patologica o del danno, per quanto riguarda il rischio biologico, fa prevalentemente riferimento al problema che la malattia possa essere stata contratta non nel corso ed in conseguenza dell’esposizione lavorativa, ma in altri momenti della vita extralavorativa, situazione questa che se accertata porta all’esclusione di un nesso causale tra l’evento e la causa di rilevanza giuridica presa in considerazione. Si tratta di un problema di non trascurabile rilevanza, come ad esempio si verifica nel caso dell’epatite HCV per la quale è

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chirurgici, accertamenti diagnostici endoscopici, trasfusioni di sangue o emoderivati, iniezioni endovenose, terapie odontoiatriche, trattamenti estetici, rapporti sessuali. Analogamente è da ricordare come sia più frequente il contagio extralavorativo per l’epatite B, per l’HIV, per le malattie a diffusione orofecale, rispetto all’ambiente di lavoro anche se ospedaliero, compresi i reparti di malattie infettive.

Da queste brevi notazioni sin qui evidenziate, emerge chiaramente come la metodologia propria della medicina legale, che deve caratterizzare l’attività del consulente tecnico, non sempre consente di fornire delle sostanziali certezze negative o positive ma non infrequentemente può offrire solo dei pareri probabilistici che devono essere opportunamente graduati. Questa puntualizzazione è necessaria in riferimento a quanto si osserva nella pratica quotidiana, e cioè che non è infrequente la nomina a unico consulente tecnico del magistrato, di un medico clinico il quale, per la sua formazione culturale e talora anche per una travisata interpretazione del ruolo assunto che trasforma il consulente tecnico in un giudice, fornisce una risposta basata sul criterio che il non potersi escludere equivale al poter essere affermato, il quale ha in sé i presupposti per portare a conclusioni non rispondenti alla realtà, e che è stato definito “il nulla concettuale e giuridico”.

Da ultimo è opportuno soffermare brevemente l’attenzione sulla figura del medico competente , al quale è affidato un ruolo di fondamentale importanza per l’organizzazione della sorveglianza sanitaria, con l‘accertamento dello stato di salute dei lavoratori sia nel momento dell’assunzione che successivamente con i controlli periodici.

L’insorgenza di una malattia da agenti biologici, così come da qualsiasi altra causa ricollegabile all’ambiente lavorativo, oppure l’aggravarsi in conseguenza dell’attività lavorativa di una condizione patologica preesistente, possono essere causalmente dipendenti da una insufficiente attività preventiva attribuita al medico competente, al quale è stato affidato il ruolo principale per la salvaguardia della salute dei lavoratori. E’ quindi necessario richiamare l’attenzione sul problema che riguarda quei soggetti che, senza presentare delle manifeste malattie, si trovano nella condizione di essere portatori di una alterata sensibilità e di conseguenza presentano una maggiore vulnerabilità. Nel caso in cui il medico competente non abbia appurato l’esistenza di tale condizione, sia nel momento dell’accertamento iniziale che nei successivi periodici controlli , qualora il lavoratore sviluppi una malattia per la quale la causa prevalente sia individuabile nella alterata sensibilità, vi sono i presupposti per ritenere che il comportamento del sanitario non sia stato adeguato alle codificate norme di prevenzione. Ovviamente diversa sarà la situazione nel caso in cui il medico competente abbia appurato la suscettibilità del lavoratore ed abbia prescritto le opportune cautele, oppure abbia espresso

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un motivato giudizio di inidoneità sia temporanea che permanente, ad una o più esposizioni, e tali indicazioni non siano state recepite dai responsabili dell’organizzazione del lavoro.

In base a quanto sinteticamente evidenziato, si può concludere come non sia aleatoria la possibilità che il medico competente venga ad essere chiamato a rispondere del proprio operato, sia in ambito penale che civile, per il danno conseguente a comportamenti colposi sia commissivi che omissivi, in base al principio che il mancato impedimento al verificarsi di un evento equivale al suo cagionarlo.

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