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IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI SECONDO MEDICINA DEL LAVORO

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IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI SECONDO MEDICINA DEL LAVORO

Dr. Alessandro Berra

Ricordando il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e il più recente D.M. 12 novembre 1999 che ne ha modificato l’allegato XI, può essere utile una proiezione sui rischi professionali da agenti biologici conseguenti a quella che oggi chiamiamo la globalizzazione e che per noi medici del lavoro è l’esposizione dei lavoratori in trasferta in paesi a rischio endemico, senza peraltro trascurare i rischi di cui si è parlato recentemente a Torino, la Legionellosi negli ospedali e l’esposizione al virus aviario della malattia di Newcastle.

La VII Sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro, tenutasi a Ginevra nel 1925, impegnò gli Stati aderenti, tra cui l’Italia, ad introdurre una assicurazione obbligatoria nei confronti di un minimo comune corrispondente a tre tecnopatie, indotte, rispettivamente, due da tossici (piombo e mercurio) ed una da agenti biologici: l’infezione carbonchiosa.

Il nostro Paese non accolse l’indicazione ad assicurare il carbonchio, perché questa malattia era considerata un rischio specifico dei conciatori di pelle, che si concretava in un vero e proprio infortunio per causa violenta in occasione di lavoro.

Tuttavia, la prima legge per l’assicurazione contro le malattie professionali – il R.D. 13 maggio 1929, n. 928, derivato dl’applicazione della Convenzione di Ginevra del 1925 – comprendeva, su sei tecnopatie, una malattia dovuta ad agenti biologici: l’anchilostomiasi.

E’ dei nostri giorni un duplice vezzo contrapposto: taluni riconducono la nostra Disciplina esclusivamente alle recenti leggi d’origine comunitaria ignorando la sua lunga tradizione; altri riconducono ai primi maestri – e a Ramazzini in modo particolare – i molti aspetti, anche i più innovativi, di essa. Il Ramazzini, invero, nel suo De Morbis Artificum Diatriba, segnalava, tra le altre, le malattie di quelli che vuotano le fogne (tesi 14), dei becchini (18), di coloro che producono gli oli (16), delle levatrici (19), delle nutrici (20), di quelli che lavorano nei bagni pubblici (28), dei fabbricanti di sapone (12).

Ma già Ippocrate aveva descritto malattie come il tetano e l’anchilostomiasi, che sarà riconosciuta da Perroncito nell’800 come la causa dell’anemia che

Presidente dell’Associazione Piemontese di Medicina del Lavoro ed Igiene del Lavoro

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imperversava tra gli operai addetti ai lavori di scavo della galleria del San Gottardo.

Scorrendo la trattatistica italiana degli anni ’60 e ’70, si nota come il tema delle infezioni e infestazioni professionali sia stato all’attenzione degli Autori, sia come oggetto di specifici capitoli (ad esempio, di Caccuri, 1963 o di Melino, 1977), sia nell’ambito di capitoli più generali (come, ad esempio, nel Rubino- Pettinati del 1979). A quell’epoca, l’attenzione maggiore era rivolta agli ambienti rurali, alle attività di escavazione (nel cui ambito maggiormente si sviluppa la prima tecnopatia da agenti biologici considerata nel nostro Paese) e alle concerie (cui appartiene la malattia professionale considerata dalla Convenzione di Ginevra del 1925).

Il paragrafo intitolato “Rischi biologici nei luoghi di lavoro” dell’ultima edizione (IV ed., 1998) dell’Enciclopedia dell’ International Labour Office (ILO) [1] propone un elenco - Table 38.1 modificata da [1] - di 12 tipologie di attività nelle quali si possono configurare situazioni di esposizione dei lavoratori addetti ad agenti biologici: vengono elencati, nell’ordine, le attività agricole, la lavorazione dei prodotti agricoli, la cura degli stabulari di ricerca, le attività sanitarie, in centri estetici, in laboratori di ricerca, in centri di biotecnologia, la manutenzione di stabili, le attività in discariche civili ed industriali.

L’elenco corrisponde parzialmente all’allegato IX del D.Lgs. 626/94 - che non è stato modificato dal nuovo decreto - e che, in via esemplificativa, comprende sette voci.

L’ILO ci ricorda in più i rischi potenziali nella manutenzione degli edifici, nella produzione di presidi biotecnologici, nei rifiuti provenienti da industrie.

In un’altra tabella - Table 38.2 modificata da [1] - sono riassunti gli agenti biologici implicati nei rischi potenziali che, com’è noto, possono provocare vari effetti.

I microrganismi patogeni ai quali possono essere esposti i lavoratori originano principalmente da tre fonti ma la via inalatoria resta la principale:

1. dalla decomposizione microbica di vari substrati associati con particolari occupazioni;

2. da ambienti habitat di particolari agenti biologici;

3. dal contagio da parte di soggetti infettati o infestati da particolari agenti biologici.

In un’ulteriore tabella - Table 10.26 modificata da [1] - sono elencate le principali malattie contraibili attraverso la microaspirazione o l’inalazione di particelle infette, le fonti delle particelle infette e la popolazione a più alto rischio.

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Come si vede, patologie infettive possono diffondersi in ambiente di lavoro non solo a causa di un rischio specifico connesso con la mansione, ma anche a seguito del mancato rispetto di comuni norme igieniche negli ambienti di vita e di lavoro: è, ad esempio, il caso della trasmissione d’infezioni oculari tra ricercatori che utilizzano microscopi comuni.

Sappiamo che la natura dei rischi biologici può variare in funzione dell’area geografica. Questo è di particolare importanza per i lavoratori in trasferta aziendale oltre che per i lavoratori addetti ai trasporti internazionali.

Può essere questa l’occasione di proporre o almeno riflettere sull’opportunità di procedere ad una valutazione del rischio ambientale non rigidamente limitato alla struttura aziendale nello spirito se non nella lettera dell’art. 4, comma 2, del D.Lgs 626/94, in quanto i vettori d’infezione, per esempio, possono essere presenti sia in particolari ambienti di vita - paesi emergenti segnalati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) - sia nelle unità produttive insistenti su quel territorio.

In questo caso l’unico criterio di valutazione adottabile è quello epidemiologico derivante dall’osservazione della popolazione generale e le misure di prevenzione e protezione attuali di competenza aziendale non possono essere che l’informazione e formazione su questi rischi e sull’utilizzo dei presidi di protezione individuale raccomandati dall’OMS che si identificano con la buona pratica medica.

Su questo punto appare necessario un confronto con le opinioni dei magistrati e dei giuristi.

Vediamo allora quali sono questi rischi.

Tra quelli meno considerati, l’Enciclopedia dell’ILO sottolinea il rischio – anche letale – da morso di serpenti o scorpioni, soprattutto nelle lavorazioni rurali, in Africa, Sud America e Australia.

L’OMS ha stimato che nel 1995 il morso di serpenti abbia causato 30.000 decessi/anno in Asia e circa 1000 decessi/anno rispettivamente in Africa e in Sud America. Oltre 63.000 morsi di serpenti e punture di scorpioni causano ogni anno circa 300 decessi nel Messico. In Brasile circa 20.000 morsi di serpenti e 7.000-8.000 punture di scorpioni sono letali rispettivamente nel 1,5%

e nello 0,3-1% dei casi. Ma i morsi di serpenti rappresentano un grave problema anche nelle zone più sviluppate del mondo: ogni anno circa 45.000 morsi di serpenti sono denunciati negli USA dove la disponibilità di servizi medici ha ridotto il numero dei decessi di 9-15 unità/anno. In Australia, dove vivono alcune delle specie più velenose di serpenti, il numero annuo di morsi di serpenti è stimato tra 300 e 500, con una media di 2 decessi.

Non pare realistico istruire un documento di valutazione su questa tipologia di rischio.

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E’ pacifico che nel nostro Paese il rischio da morso di vertebrati è trascurabile.

Sappiamo invece che l’INAIL [2] ha indennizzato, a tutto il 31/12/99, 790 infortuni da agenti infettivi denunciati nel 1998: 589 (0,1% degli infortuni totali) nel settore industria e servizi, 201 (0,2% degli infortuni totali) nel settore agricoltura; ma al momento non sono disponibili dati relativi alla tipologia di queste infezioni professionali che comunque dovrebbero per la gran parte riferirsi all’epatite B. Infatti, dall’ILO veniamo a sapere che in Germania nel periodo 1980-93 si è passati da 857 casi di epatite B, che rappresentavano il 73% della casistica, nel 1980 a 149 nel 1993, pari al 46%.

A tale proposito si ricorda che l’OMS stima attorno ad un milione per anno i morti per patologie correlate al virus dell’epatite B, approssimativamente in 2 miliardi i soggetti che sono stati infettati ed in circa 350 milioni i portatori cronici del virus.

Come su accennato, il rischio biologico assume nella dottrina medica occupazionale dimensioni quanto mai diverse a seconda delle zone geografiche considerate che vanno quindi monitorate in relazione al rischio occupazionale dei lavoratori in trasferta e dei già citati lavoratori addetti al traffico internazionale.

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Table 38.1 • Occupational settings with potential exposure of workers to biological agents.

Sector Examples

Agriculture Cultivating and harvesting Breeding and tending animals Forestry

Fishing

Agricultural products Abattoirs, food packaging plants

Storage facilities: grain silos, tobacco and other processing

Processing animal hair and leather Textile plants

Wood processing: sawmills, papermills, cork factories

Laboratory animal care

Health care Patient care: medical, dental Pharmaceutical and herbal

products

Personal care Hairdressing, chiropody Clinical and research laboratories

Biotechnology Production facilities

Day-care centres

Building maintenance “Sick” buildings Sewage and compost facilities

Industrial waste disposal systems

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Table 38.2 • Viruses, bacteria, fungi and plants: Known biohazards in the workplace.

Infectio n

Infection zoonosis1

Allergic response

Respirable toxin

Toxi n

Carcinoge nic

Viruses x x

Bacteria

Rickettsiae x

Chlamydiae x

Spiral bacteria x Gram-negative

bacteria

x x x x(e)2

Gram-positive cocci

x x

Spore-forming bacilli

x x x

Non-sporing gram-positive

rod &

corynebacteria

x x

Mycobacteria x x

Actinomycetes x Fungi

Moulds x x x(m)3 x

Dermatophytes x x x Yeast-like

geophilic fungi

x x

Endogenous yeasts

x

Parasites of wheat

x

Mushrooms x

Other lower plants

Lichens x

Liverworts x

Ferns x

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Higher plants

Pollen x

Volatile oils x x

Dusts-processing x x x

1 Infection-zoonosis: Causes infection or invasion usually contracted from vertebrate animals (zoonosis)

2 (e) Endotoxin 3 (m) Mycotoxin

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Table 10.26 • Occupationally acquired infectious diseases contracted via microaspiration or inhalation of infectious particles

Disease (pathogen) Reservoir At-risk populations Bacteria, chlamydia,

mycoplasma and rickettsia

Brucellosis (Brucella spp.)

Liverstock (cattle, goats, pigs)

Veterinary care workers, agricultural workers, laboratory workers, abattoir workers

Inhalation anthrax (Bacillus anthracis)

Animal products (wools, hides)

Agricultural workers, tanners, abattoir workers,

textile workers, laboratory workers

Pneumonic plague (Yersinia pestis)

Wild rodents Veterinary care workers, hunters/trappers,

laboratory workers Pertussis (Bordatella

pertussis)

Humans Employees of nursing

homes, health care workers

Legionnaire’s disease (Legionella spp.)

Contaminated water sources (e.g., cooling towers, evaporator condensers)

Health care workers, laboratory workers, industrial laboratory workers, water well excavators

Melioidosis (Pseudomonas pseudomallei)

Soil, stagnant water, rice fields

Military personnel, agricultural workers

Streptococcus pneumoniae

Humans Health care workers,

agricultural workers, subterranean miners

Neisseria meningitidis Humans Health care workers,

laboratory workers, military personnel

Pasteurellosis

(Pasteurella multocida)

Variety of domesticated (cats, dogs) and wild animals

Agricultural workers, veterinary care workers

Respiratory tularaemia (Francisella tularensis)

Wild rodents and rabbits Manual labourers,

military personnel, laboratory workers, hunters/trappers,

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agricultural workers Ornithosis (Chlamydia

psittaci)

Birds Pet shop workers,

poultry production workers, veterinary care

workers, laboratory workers

TWAR pneumonia (Chlamydia peumoniae)

Humans Health care workers,

military personnel Q Fever (Coxiella

burnetii)

Domesticated animals (cattle, sheep, goats)

Laboratory workers, textile workers, abattoir workers, dairy cattle workers, veterinary care workers

Atypical pneumonia (Mycoplasma

pneumoniae)

Humans Military personnel,

health care workers, institutional workers

Fungi/Mycobacteria Histoplasmosis

(Histoplasma capsulatum)

Soil; bird or bat excrement (endemic to eastern North America)

Agricultural workers, laboratory workers, manual labourers

Coccidioidomycosis (Coccidioides immitis)

Soil (endemic to western North America)

Military personnel, agricultural workers, manual labourers, textile workers, laboratory workers

Blastomycosis (Blastomyces dermatitidis)

Soil (endemic to eastern North America)

Laboratory workers, agricultural workers, manual labourers, forestry workers

Paracoccidioidomycosis (Paracoccidioides brasiliensis)

Soil (endemic to Venezuela, Colombia, Brazil)

Agricultural workers

Sporotrichosis

(Sporothrix schenkii)

Plants debris, tree and garden plant bark

Gardeners, florists, miners

Tuberculosis (Mycobacterium

tuberculosis, M. bovis, M. africanum)

Human and non-human primates, cattle

Hard rock miners, foundry workers, health care and laboratory workers, abattoir workers, veterinary care

workers, military personnel, tavern

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workers Mycobacteriosis other

than tuberculosis (Mycobacterium spp.)

Soil Silica-exposed workers,

including sandblasters Viruses

Hantavirus Rodents Agricultural workers,

herders, rodent control workers

Measles Humans Health care and

laboratory workers

Rubella Humans Health care and

laboratory workers

Influenza Humans Health care and

laboratory workers

Varicella zoster Humans Health care and

laboratory workers, military personnel

Respiratory syncytial virus

Humans Health care and

laboratory workers

Adenovirus Humans Health care and

laboratory workers, military personnel

Parainfluenza virus Humans Health care and

laboratory workers Lymphocytic

choriomeningitis virus (arenavirus)

Rodents Laboratory workers,

veterinary care workers Lassa Fever (arenavirus) Rodents Health care workers Marburg and Ebola

Viruses (filovirus)

Human and non-human primates, possibly bats

Laboratory workers, veterinary care workers, health care workers, cotton factory workers In questa popolazione di lavoratori dobbiamo ricordare il rischio da punture da artropodi. Questo rischio assume dimensioni diverse perché la malaria, per esempio, colpisce disomogeneamente circa 250 milioni di persone ogni anno.

Nella tabella 1, elaborata da [3], sono ricordate le principali malattie, gli insetti vettori e i paesi nei quali più frequentemente si riscontrano tali malattie. Come si vede non vi è alcun riferimento al virus responsabile dell’AIDS perché l’OMS non ha raccolto prove della trasmissione della malattia attraverso questi insetti.

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Tabella 1 – Principali malattie trasmesse da vettori artropodi

Malattie Insetto vettore Distribuzione geografica Malaria Zanzara Anopheles Vedi fig. 2 e 3

Febbre gialla Dengue

Dengue emorragica

Zanzara Aedes,

Haemagogus e Sabethes

Vedi fig. 1

Encefaliti virali Zanzara Culex e Anopheles, zecche

America centrale, Asia, Europa

Filariosi Zanzara Aedes, Anopheles, Culex e Mansonia

Africa del Nord e subsahariana, America centrale e del Sud tropicale, Sud-Est asiatico

Oncocercosi Simulidi Africa subsahariana,

America centrale e del Sud tropicale, Asia sud- occidentale

Leishmaniosi Flebotomi Africa, America, Asia Tripanosomiasi

umana

Mosca tsetse Africa subsahariana e australe

Tripanosomiasi

americana o malattia di Chagas

Cimice alata America centrale, del Sud tropicale e del Sud temperata

Peste e tungosi Pulci penetranti Africa subsahariana, australe, Asia

Tifo Pulci, pidocchi, acari e zecche

Africa, America del Sud, Asia, Europa

Febbre ricorrente Pidocchi e zecche Africa, Asia del centro sud e sud-occidentale

Borreliosi di Lyme Zecche Europa Settentrionale, America del Nord

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Nelle figure 1 e 2, riprodotte da [4], vediamo invece l’area di diffusione della febbre gialla, il cui virus responsabile è classificato come agente biologico di gruppo 3 ex art. 75 del D.Lgs. 626/94, localizzata al centro Africa e alla parte nord occidentale dell’America Latina.

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Nella figura 3, riprodotta da [4], vediamo le aree dove si verifica la trasmissione della malaria in relazione alle due specie principali patogene per l’uomo del genere Plasmodio (Vivax e

Falciparum) - classificati rispettivamente come agenti biologici di gruppo 2 e 3 (**), comportanti cioè rischio di infezione limitata perché normalmente non sono veicolati dall’aria, ex art. 75 del D.Lgs.

626/94 - all’intensità del rischio e quindi alla resistenza alla clorochina; questo è un limite della classificazione in quanto il legislatore italiano considera la trasmissibilità delle malattie infettive per via aerea diretta e non quella mediata da vettori.

Ancora, per i soggetti trasferiti nell’Asia Orientale e nell’America Latina non

(14)

dobbiamo dimenticare il Dengue nelle due forme di febbre emorragica o di shock syndrome; il virus responsabile è classificato come agente biologico di gruppo 3 ex art. 75 del D.Lgs. 626/94 e il vettore è l’Aedes aegypti che, a differenza dell’anofele, colpisce l’uomo durante il giorno e può moltiplicarsi anche nelle case in piccole raccolte d’acqua mantenute a scopo ornamentale.

Per fortuna l’Aedes aegypti, come l’anofele, non si sviluppa nelle acque inquinate; questo è il motivo per cui in grandi città caratterizzate da scarse condizioni igieniche e con acque stagnanti variamente inquinate queste patologie presentano un andamento irregolare, comunque inferiore a quanto ci si attenderebbe, ma dipendente dalla stagione delle piogge.

In quanto non esiste un vaccino contro il Dengue e la Malaria, non resta che il noto trattamento profilattico accompagnato da una strategia di protezione contro le punture basata sostanzialmente sull’uso di repellenti da applicarsi sulla cute, sul vestiario, sulle schermature delle finestre, sulle zanzariere impregnate in genere con piretroidi.

Per queste patologie trasmesse da vettori le misure di contenimento raccomandate e ragionevolmente applicabili, elencate all’allegato XII del D.Lgs. 626/94, risultano essere specifiche procedure di disinfezione (punto 5) e il controllo efficace dei vettori mediante campagne di disinfestazione (punto 7), anche nell’ambiente lavorativo, mentre, a parer mio, non sono applicabili le specifiche per processi industriali elencate all’allegato XIII del D.Lgs. 626/94.

Un altro rischio da agenti biologici cui sono particolarmente esposti gli espatriati è rappresentato dai cibi e dalle bevande. Nella tabella successiva, riprodotta da [3], sono riportati gli agenti che più frequentemente possono contaminare i cibi nonché i cibi più facilmente contaminati. In breve dovremmo ricordare l’attualità di una vecchia norma “o cuoci o peli o butti via”.

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La figura successiva, riprodotta da [3], ci mostra, a consuntivo, quali sono i rischi di infezione per i viaggiatori o i lavoratori che si recano nei paesi emergenti.

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Un aspetto particolare che riguarda soprattutto i lavoratori in trasferta prolungata con famiglia è quello sia della protezione di gruppi speciali, rappresentati dalle donne in gravidanza e dai bambini, sia del trattamento antimalarico prolungato. In genere dopo uno-tre mesi di residenza è bene rivolgersi ai medici locali per valutare l’opportunità di prolungare il trattamento. Nel caso in cui un trattamento con clorochina sia comunque prolungato è consigliata la ricerca dei segni precoci di danno retinico.

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L’esperienza maturata sinora non indicherebbe invece un aumento di rischio tossicologico per trattamenti a lungo termine con meflochina.

Concludendo, è compito del medico del lavoro diffondere le prescrizioni dell’OMS e raccomandare la pratica della vaccinazione non solo dove questa è obbligatoria ed efficace ma anche dove questa è opportuna a seguito del monitoraggio periodico e puntuale delle zone di destinazione.

Le informazioni aggiornate sulla epidemiologia e sulla prevenzione delle malattie infettive segnalate nel mondo sono disponibili sul sito Internet del Ministero della Sanità www.sanita.it/malinf.

Ma torniamo in Italia. Qui non possiamo dimenticare le problematiche scaturite dopo il riscontro di casi di legionellosi e di presenza della Legionella nelle condutture idriche.

A questo proposito dobbiamo fare riferimento alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano che ha emanato delle Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 5/5/2000 [5]. La stesura del documento è stata motivata dall’osservazione di recenti casi di legionellosi in pazienti ricoverati in ospedali italiani e in turisti che avevano soggiornato in alberghi e villaggi italiani e, quindi, dalla conseguente necessità della sanità pubblica di far fronte al problema della prevenzione comunitaria e nosocomiale delle infezioni da batteri del genere Legionella, classificata come agente biologico di gruppo 2 ex art. 75 del D.Lgs. 626/94. Il documento osserva, tuttavia, che nel 1998 il tasso medio di incidenza italiano è stato di 1,8 casi per milione di abitanti, ben al di sotto del tasso medio europeo che corrisponde a 4,3 casi.

Vengono segnalati diversi fattori predisponenti la malattia, come l’età avanzata, il fumo di sigaretta, la presenza di malattie croniche, l’immunodeficienza (la tabella 2 mostra l’elenco completo dei fattori di rischio indicati nelle Linee guida).

Tabella 2 – Fattori di rischio e malattie di base favorenti la polmonite da Legionella secondo le Linee Guida

Fattori di rischio Malattie di base Età avanzata

Sesso maschile Alcoolismo Tabagismo

Sonda nasogastrica, alimentazione con sondino Inalazione di acqua non sterile

Presenza di Legionella in più del 30% dei campioni di acqua analizzati o di concentrazioni di Legionella > 103/L in una determinata struttura Presenza di torri di raffreddamento degli impianti

Broncopneumopatia cronica ostruttiva

Immunosoppressione (trapianto d’organo; terapia corticosteroidea)

Neoplasie e interventi chirurgici ORL Insufficienza renale terminale

Insufficienza cardiaca Diabete

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di condizionamento nell’area circostante

Tradizionalmente si è considerato che i casi di legionellosi fossero da ascriversi a batteri provenienti da torri di raffreddamento, condensatori evaporativi o sezioni di umidificazione delle unità di trattamento dell’aria, mentre, più recentemente, si è riconosciuto che le infezioni possono essere causate da contaminazione di impianti di acqua potabile, apparecchi sanitari, fontane e umidificatori ultrasonici (la tabella 3 mostra l’elenco delle principali modalità e sorgenti di trasmissione indicato nelle Linee guida).

Tabella 3 – Principali modalità e sorgenti di trasmissione secondo le Linee Guida

Modalità Fonte

Inalazione di aerosol Contaminazione dell’impianto idrico

Torri di raffreddamento degli impianti di condizionamento

Umidificazione centralizzata degli impianti Apparecchi di aerosol e ossigenoterapia Aspirazione Sonda nasogastrica

Colonizzazione dell’orofaringe

Respirazione assistita Contaminazione delle apparecchiature per la respirazione assistita

La lettura di queste tabelle indica che i soggetti a rischio e le fonti di contagio non attengono primariamente all’ambito medico occupazionale, ma riguardano principalmente realtà comunitarie, sia relativamente alla popolazione generale, sia riguardo ai pazienti ospedalizzati.

Per quanto riguarda la valutazione dei rischi lavorativi, le Linee guida suggeriscono – pur in presenza di insufficienti evidenze di letteratura – l’esistenza di un “alto rischio di esposizione per la Legionella” nel caso dei lavoratori addetti alla manutenzione o alla pulizia di sistemi di smaltimento del calore di tipo umido o di altri dispositivi produttori di aerosol. Viene, pertanto, indicata come “la più valida misura di prevenzione” l’impiego di una maschera dotata di filtro HEPA o “tipo H” ad alta efficienza. In particolare, le Linee guida specificano che “i filtri in grado di trattenere aerosol, nebbie, particolati, particelle di amianto, ecc. dovrebbero essere in grado di assicurare una adeguata protezione nei confronti della Legionella”. L’uso della maschera è particolarmente raccomandato nelle operazioni di pulizia basate sull’impiego di vapore, acqua o aria ad alta pressione o su altri mezzi che possono generare aerosol. Per gli addetti alla decontaminazione, inoltre, si raccomandano come misure di protezione aggiuntive l’impiego di guanti di gomma, occhiali e tute protettive.

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Non è attualmente definita la dose infettante per l’uomo: tuttavia, le Linee guida ritengono di valutare come segue le diverse concentrazioni di Legionella, da rilevare applicando le metodiche specificate nell’Allegato 2 delle stesse Linee guida:

a) tra 102 e 104 UFC/L: idonee a provocare un caso di infezione l’anno;

b) tra 104 e 106 UFC/L: idonee a provocare casi sporadici.

Per tale motivo, nel caso degli ospedali, delle case di cura e delle comunità, vengono proposti i seguenti criteri di intervento preventivo:

a) fino a 102 UFC/L: nessun intervento;

b) nell’intervallo 103-104 UFC/L: controlli batteriologici periodici. Interventi di bonifica, prevenzione e controllo sono indicati solo in presenza di un caso;

c) oltre 104 UFC/L: immediate misure di contaminazione (shock termico o iperclorazione) con successiva verifica dei risultati.

Le Linee guida non indicano la necessità di attivare procedure di sorveglianza sanitaria preventiva o periodica dei lavoratori, ma pongono indicazioni riguardo all’iter diagnostico, che si presenta particolarmente difficoltoso.

Infatti, trattandosi di una patologia a bassa prevalenza è necessario disporre di test di laboratorio con specificità prossima al 99,9% per permettere una diagnosi attendibile dei casi sporadici: pertanto, viene proposta una strategia diagnostica basata su test differenti eseguiti secondo una successione prestabilita, da attuarsi di fronte al caso sospetto.

Infine, del tutto recentemente, nel mese di agosto 2000, si è verificata in alcuni allevamenti avicoli una epidemia prodotta dal virus della malattia di Newcastle, classificato come agente biologico di gruppo 2 ex art. 75 del D.Lgs.

626/94. La letteratura segnala che gli addetti agli allevamenti avicoli possono presentare una congiuntivite follicolare acuta che inizia monolateralmente, che di solito risparmia la cornea, afebbrile, con reazione linfonodale preauricolare, della durata di 3-4 giorni, caratterizzata da guarigione spontanea, quindi richiedente terapia esclusivamente sintomatica, provocata da questo paramixovirus.

Ovviamente prima di parlare di congiuntivite da virus Newcastle, si deve ricorrere alla diagnosi differenziale con tutte le congiuntiviti batteriche, chimiche e allergiche.

Al momento della stesura di questa nota, questa congiuntivite resta una pura ipotesi e quindi anche l’utilizzo di occhiali di protezione non appare legittimato.

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Bibliografia

1. Encyclopaedia of Occupational Health and Safety – 4th Edition – International Labour Office, Geneva, 1998

2. INAIL - 1° Rapporto Annuale sulla Sicurezza sul Lavoro - Appendice Statistica 1999

3. Viaggi Internazionali e Salute – Vaccinazioni richieste e Consigli sanitari – Situazione al 1° gennaio 2000 – Versione Italiana curata dal Centro Collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Medicina del Turismo

4. International Travel and Health – Vaccination Requirements and Health Advice – World Health Organization – Geneva 2000

5. Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano – Documento 4 aprile 2000 – Linee-guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi – G.U. 5-5-2000 n. 103

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