• Non ci sono risultati.

Storia della logica dall’antichità a Boole

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Storia della logica dall’antichità a Boole"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

Storia della logica dall’antichità a Boole

S.I.S.S.I.S. I anno

Autore:

Antonio Monteleone

Indirizzo II Fisico-Matematico-Informatico Classe 49A

Prof. T.Marino

(2)

Pensatori

contemporanei o antecedenti a Platone (VI – V secolo a.C.)

E’ probabile che si siano posti problemi inerenti la natura della dimostrazione, sui nessi che legano premesse e conclusioni e sulle condizioni che determinano la validità di un argomento. Le loro opere sono andate perdute.

Platone (V – IV secolo a.C.)

Nei Dialoghi si ritrovano alcune discussioni su argomenti di carattere logico.

Aristotele (IV secolo a.C.)

Si ha una riflessione sistematica sulla logica. L’invenzione logica più importante è la teoria del sillogismo. Il suo lavoro è incentrato sulla logica dei termini.

Scuola Megarico- Stoica (IV – III secolo a.C.)

Viene sviluppato il pensiero logico di Aristotele e formulata una logica delle proposizioni. Si distingue tra argomenti e proposizioni al fine di mettere in evidenza la differenza tra validità e verità. C’è più consapevolezza rispetto ad Aristotele di costruire un vero e proprio sistema assiomatico.

Medioevo (XI – XIV secolo)

Vengono riprese e sviluppate le tradizioni logiche aristoteliche e megarico- stoiche, con la preoccupazione di chiarire i punti oscuri della logica antica.

Vengono prodotte due trattazioni originali relative rispettivamente ai termini (teoria della suppositivo) e alle proposizioni (teoria delle consequentiae)

Leibniz (XVII secolo) In seguito ad un decisivo sviluppo del calcolo algebrico, propone di stabilire uno stretto rapporto tra logica e matematica. E’ il primo a coniare il termine logica matematica. Costruisce la Characteristica universalis, ovvero un linguaggio artificiale nel quale si proponeva di esprimere i concetti, i principi e le dimostrazioni del calcolo. Non riesce a portare a termine il suo obiettivo, però formula un calcolo delle classi in grado di adattarsi anche alle proposizioni.

Boole (XIX secolo) Raggiunge i risultati auspicati da Leibniz. Influenzato dallo sviluppo del calcolo algebrico inglese (Hamilton), studia le proposizioni logiche principali (congiunzione e disgiunzione) riuscendo a costruire un algebra suscettibile di una doppia interpretazione: puramente logica (le variabili sono simboli per classi) o numerica (0 e 1), rendendo così conto sia della logica per classi che della logica delle proposizioni. La logica con Boole diventa matematica, non solo perché fa uso di un apparato simbolico e metodi tipici della matematica, ma anche perché si rivolge all’analisi di questioni e problemi interni alla matematica.

(3)

Storia della logica dall’antichità a Boole

Fino alla seconda metà del secolo XIX la logica, nell’ambito della cultura occidentale, ha fatto parte esclusivamente del corpo delle discipline filosofiche. Nonostante ciò all’interno di tali discipline, la logica ha occupato un posto peculiare, infatti si può dire che sia stata l’unica tramandata per mezzo di trattati sviluppati secondo tecniche e procedimenti considerati standard, al punto che anche quando sorgeva una disputa tra eminenti logici, questi si ritrovavano d’accordo su gran parte dei contenuti caratterizzanti la disciplina. Sotto questo aspetto si può dire che la logica abbia avuto più affinità con la geometria piuttosto che con la filosofia e tale caratteristica, si è ulteriormente accentuata dopo il XIX secolo, grazie ad un rapporto fittissimo con la matematica, anche se non è mai andato perduto il legame con le sue origini filosofiche.

E’ probabile che pensatori antecedenti o contemporanei a Platone si siano posti problemi sulla natura della dimostrazione, sul tipo di nesso che lega premesse e conclusioni in un ragionamento corretto e sulle condizioni che determinano la validità di un argo mento, ma tali opere sono andate perdute, solo nei Dialoghi di Platone (V-IV sec. a.C.) si è potuto riscontrare una discussione su argomenti di carattere logico.

E’ però con Aristotele che si ebbe una riflessione sistematica circa la logica, intesa come disciplina autonoma. Il pensiero logico di Aristotele è stato sviluppato in un gruppo di opere che presero il nome di Organon e comprendente sei trattati:

1. Categorie;

2. De Interpretazione;

3. Analitici primi;

4. Analitici secondi;

5. Topici;

6. Elenchi sofistici.

Le Categorie contengono una discussione concernente i concetti più generali ai quali vengono ricondotti tutti gli altri; il De Interpretazione presenta un’analisi delle varie parti del discorso e dei rapporti tra segni linguistici, concetti e significati; gli Analitici primi e secondi contengono gran parte della teoria del sillogismo; i Topici comprendono un’analisi dei procedimenti argomentativi mossi da premesse generalmente accettate, ma non proprie del discorso scientifico; gli Elenchi sofistici prendono in esame i paradossi, dandone criteri generali per risolverli.

L’invenzione logica più originale di Aristotele fu la teoria del sillogismo, la quale, in seguito alla ripresa della logica nel Medioevo, assunse una sorta di forma standard che rimase tale fino al XIX secolo e che venne chiamata concezione tradizionale del sillogismo. Si dà una esposizione sintetica di tale teoria al fine di metterne in risalto le differenze con quella originaria di Aristotele.

(4)

1. Tutti gli uomini sono mortali.

2. Tutti i Greci sono uomini.

Dunque:

3. Tutti i Greci sono mortali.

Le proposizioni 1 e 2 sono chiamate premesse, la terza è chiamata conclusione. I termini che compaiono nelle tre proposizioni sono “uomini”, “Greci” e “mortali”, tra questi “uomini”

compare in entrambe le premesse e non nella conclusine, per cui lo chiamiamo termine medio.

Sostituiamo “uomini” con la lettera M, “Greci” con S, “mortali” con P e l’espressione “dunque”

con un tratto orizzontale. Otteniamo così:

1. Tutti gli M sono P.

2. Tutti gli S sono M.

—————————

3. Tutti gli S sono P.

In tal modo si ottiene uno schema di sillogismo, nel quale al posto di S, M e P si possono sostituire termini qualunque.

Combinando i termini S, M, P e tenendo conto che M deve comparire almeno una volta in ciascuna premessa e che la conclusione deve essere della forma “S P”, si ottengono 4 configurazioni.

I II III IV M P P M M P P M S M S M M S M S ———— ———— ———— ————

S P S P S P S P Tab.1.1. Le figure del sillogismo.

Tali configurazioni vengono chiamate le figure del sillogismo. Le figure, comunque, non danno alcuna informazione sulla forma che possono assumere le proposizioni che compongono un sillogismo. Esistono infatti, altre forme oltre a quella già vista del tipo “Tutti gli A sono B” e precisamente:

tab. 1.2

PROPOSIZIONI FORMA DELLE PROPOSIZIONI Universali Affermative (A) “Tutti gli A sono B”

Particolari affermative ( I ) “Qualche A è B”

Universali negative (E) “Nessun A è B”

Particolari negative (O) “Qualche A non è B”

(5)

Le vocali maiuscole tra parentesi permetteranno di riferirci alle proposizioni citate con più semplicità.

Ai tipi di proposizione presentati vengono aggiunte le proposizioni singolari, cioè quelle che hanno per soggetto un nome proprio (es. Socrate è un uomo). Le 4 proposizioni della tab. 1.2.

possono essere distinte secondo la quantità e secondo la qualità.

AFFERMATIVE NEGATIVE

UNIVERSALI Tutti gli A sono B Nessun A è B

PARTICOLARI Qualche A è B Qualche A non è B

Tab. 1.3

I rapporti, dal punto di vista logico, tra tali proposizioni possono essere messi in evidenza facendo riferimento al cosiddetto “quadrato logico”, mostrato nella tab. 1.4.

A—————Contrarie—————E

Subalterne Subalterne

I—————Subcontrarie————O contraddittorietà

Tab. 1.4. Il quadrato logico delle proposizioni.

Le proposizioni di tipo A e E sono tra loro contrarie, cioè non possono essere entrambe vere, ma possono essere entrambe false (es. “Tutti i mammiferi vivono sulla terraferma” e “Nessun mammifero vive sulla terraferma”).

Le proposizioni I e O sono, rispettivamente, la subalterna di A e la subalterna di E, cioè se l’universale è vera risulterà vera anche la particolare della stessa qualità, naturalmente non vale il viceversa.

Le proposizioni O e A sono contraddittorie, cioè non possono essere entrambe vere o entrambe false. Lo stesso vale per le proposizioni I e E.

Infine, le proposizioni I e O possono essere entrambe vere, ma non entrambe false (es.

“Qualche vertebrato è uomo” e “Qualche vertebrato non è uomo”).

Le proposizioni A, E, I, O, poiché si limitano a indicare se un certo soggetto ha o non ha un detto predicato, sono chiamate categoriche. Poiché ciascuna proposizione che compone un sillogismo può essere categorica, in ogni figura il numero delle combinazioni che si ottengono considerando il numero delle proposizioni del sillogismo (3) e il numero delle forme (4) che

(6)

che un sillogismo assume dopo averne specificato la quantità e la qualità delle premesse e della conclusione, si ottiene che, poiché le figure sono 4, la totalità dei modi sarà 64×4=256. Dei 256 modi, non tutti rispettano le regole del sillogismo e solo 19 possono essere considerati validi.

Al fine di esporre tali regole, bisogna precisare una definizione. Un termine di una proposizione categorica si dice che è preso universalmente o quando, essendo soggetto, gli è applicata l’espressione “tutti” o l’espressione “nessuno”; oppure quando, essendo predicato, si fa riferimento alla totalità degli individui compresi nella classe che esso designa (es. “Nessun A è B”: sia il soggetto che il predicato sono presi universalmente; “Tutti gli A sono B”: solo il soggetto è preso universalmente).

Regole sui termini

1 (a). Il termine medio deve essere preso universalmente in almeno una premessa.

2 (a). Nessun termine può essere preso universalmente nella conclusione, senza che sia stato preso universalmente in una delle premesse.

Regole sulle proposizioni

1 (b). Da premesse negative non segue alcuna conclusione.

2 (b). Se una premessa è negativa, la conclusione deve essere negativa; se una premessa è particolare, la conclusione deve essere particolare.

Le regole del sillogismo sopra riportate tendono a garantire certi nessi di dipendenza tra i termini e quindi tra le premesse e la conclusione, in modo che quest’ultima derivi in modo naturale dalle premesse; è importante, però, sottolineare che la verità della conclusione deve essere mantenuta distinta dalla validità di quello stesso sillogismo.

Individuati quindi, i modi validi, la tradizione sillogistica, sulla base di indicazioni fornite da Aristotele, elaborò un meccanismo di riduzione di certi sillogismi ad altri allo scopo di dimostrarne la validità. Tale meccanismo consisteva nel considerare nell’insieme dei 19 modi validi, 4 come autoevidenti o perfetti, e mediante certe regole di trasformazione riuscire a trasformare un dato sillogismo in uno autoevidente, dimostrandone così la validità. Le regole di trasformazione principali sono: la conversione semplice e la conversione per limitazione.

La conversione semplice permette di passare da una proposizione p in forma soggetto- predicato ad una proposizione p' avente per soggetto il predicato di p e per predicato il soggetto di p (tale passaggio è possibile solo nel caso delle proposizioni I e E, infatti da “Qualche A è B”

è lecito inferire “Qualche B è A e da “Nessun A è B” è lecito inferire “Nessun B è A”).

La conversione per limitazione consente di passare da una proposizione p categorica di tipo A ad una proposizione p' categorica di tipo I avente per soggetto il predicato di p e per predicato il soggetto di p (es. da “Tutti gli uomini sono mammiferi” si può inferire “Qualche mammifero è uomo”).

(7)

Altre regole necessarie per la riduzione sono lo scambio di premesse e in alcuni casi un procedimento dimostrativo per assurdo che quando viene applicato porta ad una riduzione indiretta.

Il modo di concepire il sillogismo sopra riportato, cioè di considerare tre proposizioni distinte non è l’unico ammissibile, infatti le tre proposizioni che possiamo indicare con p, q, r possono costituire un’unica proposizione nella forma “Se p e q, allora r”. In quest’ultimo caso p, q, r non vengono considerate come proposizioni isolate a cui bisogna dare un assenso, bensì come parti integranti di un’unica proposizione. Questa differenza era netta nel sillogismo tradizionale, ma non per Aristotele, il quale passava da una forma all’altra senza alcuna attenzione. Aristotele inoltre privilegiava un modulo espressivo che spesso portava a complicazioni riguardo all’ordine delle premesse e nel suo sillogismo non erano ammessi i termini singolari, trattati invece nel sillogismo tradizionale.

Non tutte le nostre argomentazioni quotidiane o i nostri ragionamenti in ambito scientifico, pur mantenendo la loro correttezza, si rifanno all’uso sistematico di sillogismi. Fu la scuola megarico-stoica a mettere in evidenza altri tipi di ragionamento, sviluppando una logica attenta, più che ai rapporti tra termini ai rapporti tra proposizioni.

I principali esponenti di tale scuola furono: Euclide di Megara, Diodoro Crono; Filone di Megara; Zenone di Cizio, fondatore della scuola stoica; Crisippo di Soli, grande logico che sollevò la scuola stoica da una grave crisi. I megarico-stoici distinsero tra proposizioni categoriche e proposizioni ipotetiche. Le categoriche erano del tipo A, I, E, O e potevano ulteriormente essere analizzate nei termini che le componevano e non in altre proposizioni. Le ipotetiche invece, erano le proposizioni che si ottenevano unendo tra loro due o più categoriche e quindi potevano essere scomposte in ulteriori proposizioni. Le ipotetiche fondamentali venivano classificate in base al modo in cui erano unite le categoriche che le componevano e cioè se p e q erano due proposizioni categoriche:

“p e q” era chiamata ipotetica congiuntiva.

“p o q” era chiamata ipotetica disgiuntiva.

“se p, allora q” era chiamata ipotetica condizionale.

I medioevali in seguito introdussero altre ipotetiche come la causale:“ q, poiché p”; ma quelle prima menzionate erano le più importanti, in quanto si poteva risalire alla loro falsità o verità tenendo conto esclusivamente della verità o falsità delle proposizioni componenti.

I megarico-stoici furono i primi a dedicarsi allo studio dei connettivi logici. Essi proposero che una proposizione nella forma “p e q” fosse vera solamente nel caso in cui p e q fossero entrambe vere, falsa altrimenti; considerarono una proposizione “p o q” vera soltanto se almeno una tra p e q fosse stata vera, falsa altrimenti. Questo uso del connettivo “o” è chiamato inclusivo, ma gli esponenti di tale scuola formularono anche l’uso esclusivo di “o”, considerando “p o q” vera soltanto se una tra p e q fosse stata vera. Per quanto riguarda la

(8)

che tale proposizione fosse falsa esclusivamente nel caso di p vera e q falsa, cioè la definizione di quella che in seguito sarà chiamata l’implicazione materiale. Diodoro Crono diede un’interpretazione legata al tempo, infatti propose che “se p, allora q” fosse falsa esclusivamente nel caso in cui nel tempo in cui l’antecedente era vero, il conseguente era falso. Infine Crisippo propose che tale proposizione fosse falsa solamente nel caso in cui l’antecedente p era compatibile con la negazione del conseguente q, dando così la prima caratterizzazione dell’implicazione stretta.

I megarico-stoici studiarono a fondo anche il connettivo non, distinguendo tra quando esso veniva usato davanti ad un termine e quando veniva usato davanti ad una proposizione. In quest’ultimo caso ritennero che la proposizione non p fosse vera se p era falsa e falsa se p era vera e stabilirono che non non p equivaleva a p. Essi distinsero tra argomento e proposizione.

Definirono un argomento come un sistema di proposizioni composto da premesse e da una conclusione e su tale distinzione basarono la differenza tra validità e verità. Un argomento valido era un argomento dove la negazione della conclusione era incompatibile con la congiunzione delle premesse; un argomento valido vero era un argomento valido con premesse vere; un argomento falso era un argomento che o non era valido o che aveva almeno una premessa falsa; un argomento valido falso era un argomento valido per la sua forma, ma falso in relazione alla falsità di una o più premesse.

Come aveva fatto Aristotele per la sillogistica, anche i megarico-stoici, tra l’insieme di tutti i possibili argomenti, ne isolarono alcuni che considerarono indimostrabili e cercarono di provare la validità degli altri, riducendoli mediante uso di regole ai primi. Tuttavia esistono delle differenze, i megarico-stoici rispetto ad Aristotele erano più consapevoli di costruire un vero e proprio sistema assiomatico, la loro è una logica delle proposizioni, più che una logica dei termini, ciò non vuol dire che Aristotele non avesse conosciuto o fatto uso della logica delle proposizioni, ma che egli non produsse alcuna teoria esplicita di questo tipo, per cui tale invenzione rimase il contributo maggiore fornito alla logica dalla tradizione megarico-stoica.

Nel passaggio dall’antichità al Medioevo, come per tutte le altre discipline filosofiche e scientifiche, la logica subì un periodo di oscurità. Una certa ripresa si ebbe a partire dal XI secolo, e da lì una notevole accelerazione che portò allo straordinario sviluppo del XIII e XIV secolo. Gli autori più importanti di questo periodo furono: Pietro Ispano (circa 1230), autore delle Summulae logicales molto diffuse grazie all’invenzione della stampa; Boezio di Dacia (seconda metà del XIII secolo), noto per aver collegato temi di riflessione logica a tematiche di filosofia del linguaggio; Guglielmo di Ockham (XIV secolo), autore di una Summa logicae che ebbe grande influenza nel formare la mentalità scientifica dei secoli successivi; Walter Burleigh, contemporaneo e avverso a Ockham; Giovanni Buridano (seconda metà del XIV secolo); Paolo Veneto (morto nel 1429), autore di una Logica che racchiudeva tutto il sapere logico medioevale.

I logici medioevali distinguono tra due classi di termini: quelli che hanno un significato di per sé (es. “tavolo”, “mare”, etc.) e quelli che hanno significato solo quando sono applicati ai primi

(9)

(es. “non”, “tutti”, “qualche”, “se…allora”, etc.). I primi vennero chiamati termini categorematici e i secondi termini sincategorematici. Questa distinzione veniva usata dai medioevali per separare l’aspetto materiale da quello formale in qualsiasi argomento o proposizione. Infatti la forma logica era determinata dai termini sincategorematici e l’aspetto materiale da quelli categorematici. Sulla base di questa distinzione i medioevali differenziavano le proposizioni vere per la forma, cioè indipendentemente dal significato dei termini categorematici in esse presenti, e quelle vere per la materia, per la cui falsità o verità era necessario conoscere il significato dei termini categorematici. Rispetto alla tradizione antica, i medioevali produssero due trattazioni originali relative rispettivamente ai termini e alle proposizioni: la teoria della suppositio, dove erano studiate le condizioni di verità delle proposizioni categoriche A, E, I, O e di quelle singolari, e la teoria delle consequentiae che trattava gli argomenti e le proposizioni logicamente valide.

Nel XVII secolo compare per la prima volta l’idea di stabilire uno stretto rapporto tra la logica e la matematica, fino ad allora considerate due discipline che studiavano ambiti della conoscenza aventi fini e oggetti diversi. Ciò fu dovuto ad un decisivo sviluppo della matematica, in particolare del calcolo algebrico introdotto da François Viète (1540-1603) e all’opera di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). Leibniz fu il primo ad introdurre il termine “logica matematica” e a concepire un programma di matematizzazione della logica consistente nella costruzione di un linguaggio artificiale nel quale esprimere i concetti, i principi e le dimostrazioni del calcolo. Costruito tale linguaggio, chiamato characteristica universalis, si sarebbero dovuti individuare i concetti fondamentali da cui tutti gli altri dipendono, adattare a tali concetti dei segni ed esprimere le regole per passare da stringhe di segni alle corrispondenti proposizioni. La logica in tal modo, sarebbe stata costituita dall’insieme dei principi e delle regole che avrebbero dovuto garantire il corretto svolgersi delle dimostrazioni, e la sua matematizzazione sarebbe consistita nell’avere le caratteristiche di un calcolo algebrico.

Leibniz si era prefisso un compito arduo che non sarà capace di portare a termine, comunque riuscirà a costruire un vero e proprio calcolo delle classi, in grado di adattarsi anche alle proposizioni. Con Leibniz, quindi, si ha l’unificazione dei due tipi di calcolo che avevano caratterizzato la logica fino ad allora.

Nonostante la ricchezza e l’originalità degli scritti leibniziani, alla morte dell’autore questi vennero dimenticati. Altri studiosi, dopo Leibniz, si proposero di assimilare la logica ad un calcolo cercando di far corrispondere la congiunzione e la disgiunzione logica alle operazioni di somma e prodotto, considerando la copula come una uguaglianza e facendo riferimento all’algebra, incappando spesso, però, in errori per aver inteso l’analogia con la matematica in modo eccessivamente meccanico. A raggiungere i risultati auspicati da Leibniz sarà George Boole (1815-1864), il quale poté far riferimento sullo sviluppo dell’algebra inglese dell’Ottocento e sui risultati ottenuti da W. Rowan Hamilton (1805-1865), il quale aveva dimostrato la possibilità di un’algebra in cui non valeva la proprietà commutativa del prodotto.

(10)

Boole s’interessò allo studio delle proposizioni logiche principali (congiunzione e disgiunzione), influenzato dalla concezione (inglese) dell’algebra come una sorta di gioco, in cui partendo da un insieme di simboli e definendo alcune operazioni si arrivava per via puramente combinatoria ad un altro insieme di simboli coerente con quello di partenza. Boole si accorse che le proprietà rilevate dallo studio della congiunzione e della disgiunzione erano le medesime di quelle godute dalle operazioni di somma e prodotto in un algebra in cui le variabili potevano assumere solo i valori numerici 0 e 1. Costruì quindi, un sistema algebrico comprendente le operazioni di somma, prodotto, complementazione e sottrazione, suscettibili di una duplice interpretazione: puramente logica (le variabili erano simboli per classi) o numerica (0 e 1). Il calcolo booleano rendeva, così, conto della logica delle classi e della logica delle proposizioni (in questo caso i valori 0 e 1 equivalevano rispettivamente ai valori falso e vero).

Boole espose le sue concezioni logiche in L’analisi matematica della logica (1847), dove considerò la logica come una branca della matematica e come una disciplina che era diventata scientifica nel momento in cui era stata matematizzata. Il modo booleano di intendere la logica sarà mantenuto fino ai nostri giorni, esso, come si è potuto riscontrare, non ha legami né con l’antichità né con la tradizione medioevale. La nuova logica è “matematica” non solo perché fa uso di un apparato simbolico e di metodi matematici, ma anche perché si rivolge all’analisi di questioni e problemi interni alla matematica. Dopo Boole, con Gottlob Frege (1848-1925) ancor di più la logica si vedrà conferito l’aspetto che oggi le è proprio, portando anche le più pure speculazioni filosofiche intorno ad essa a svolgersi all’interno di competenze tecniche specifiche di logica matematica.

Riferimenti

Documenti correlati

Per "attuare" quanto è stato determinato dall'elaborazione del programma, alle uscite del PLC sono collegate tutte quelle apparecchiature atte a realizzare

Derivazioni nel sistema formale K della logica

Questo `e possibile perch´e, per ogni regola di deduzione usata da Alfredo su → e che abbia come conclusione A → B vera, supponendo di avere una prova (nel suo senso) delle

Frege al termine del secolo XIX, la logica ha imparato a simbolizzare con lettere o altri segni non solo le variabili, gli argomenti dei predicati, ma i predicati stessi (terminali e

Sono stati, è vero, indivi- duati i rischi di un'analisi puramente formale delle teorie logi- che, rischi dei quali, a proposito di Aristotele, ci fa ad esempio

Ora se è corretta l’analisi che respinge l’interpretazione realistica della posizione di Anselmo, dobbiamo postulare la corrispondenza tra queste diverse forme di discorso e i

 Infatti, sia il formalismo che la regola di inferenza che viene qui applicata (il Principio di Risoluzione) sono molto più simili ai convenzionali linguaggi di programmazione che

 se ∆ATTD>0, il primo sistema è peggiore del secondo, per quanto riguarda l’indicatore ATTD.. Tabella 100 – Differenza tra le misure di prestazione del California#7 con