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Funzioni vettoriali di variabile scalare

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Academic year: 2021

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Funzioni vettoriali di variabile scalare

11.1 Curve in Rn

Abbiamo visto (capitolo 2) come la posizione di un punto in uno spazio Rn sia individuata mediante le n coordinate di quel punto. Esse possono anche essere considerate come le componenti di un vettore, cio`e il segmento orientato che congiunge il punto in questione con l’origine del sistema di coordinate.

Consideriamo una funzione f : R → Rn, che al numero reale t ∈ R fa corrispondere il punto x ∈ Rn, con x = x1e1 + x2e2+ . . . + xnen. Per le coordinate di x si pu`o scrivere

x1 = f1(t), x2 = f2(t), . . . , xn = fn(t), (11.1) essendo le fk(t), k = 1, 2, . . . , n, le componenti della funzione (vettoriale) f(t), cio`e:

f(t) = f1(t)e1 + f2(t)e2 + . . . + fn(t)en. (11.2) Le fk(t), k = 1, 2, . . . , n, hanno lo stesso insieme di definizione della f(t). Se questo insieme `e un intervallo I ⊂ R, allora l’immagine di f(t), cio`e l’insieme

C ={x : x = f(t), t ∈ I} (11.3)

`e una curva orientata in Rne le (11.1) sono dette equazioni parametriche della curva C. Una curva `e un insieme di punti di Rnche pu`o essere messo in corrispondenza biunivoca con un intervallo dell’asse reale. Tale corrispondenza pu`o essere realizzata in infiniti modi, ciascuno dei quali definisce una diversa variabile sulla curva. Una curva orientata `e una curva dotata di un verso di percorrenza.

Diremo che C `e una curva regolare se sono verificate le tre seguenti condizioni:

1. le funzioni fk(t), k = 1, . . . , n, sono di classe C1 in I;

2. le derivate f0

k(t), k = 1, . . . , n, non sono mai simultaneamente nulle, cio`e:

Xn k=1

f0

k(t)2 > 0, ∀ t ∈ I;

3. non accade mai che per due diversi valori t1, t2 della variabile t si ottenga lo stesso punto della curva, cio`e:

t1 6= t2 ⇔ f(t1) 6= f(t2)

(2)

Capitolo 11. Funzioni vettoriali di variabile scalare

11.2 Limiti e continuit`a

Consideriamo la funzione f : R → Rn, con

f(t) = Xn k=1

fk(t)ek,

e ricordiamo che la distanza tra due punti x, y ∈ Rn`e data da

kx − yk =

 Xn k=1

(xk− yk)2

1/2

(11.4)

in cui xk e yk sono le coordinate dei punti (componenti dei vettori) x e y. Inoltre, il modulo del vettore x — distanza del punto x ∈ Rn dall’origine 0 — `e dato da

kxk =

 Xn k=1

x2

k

1/2

.

Definiamo ora il limite di f(t) per t → t0. Si scrive:

lim

t→t0 f(t) = l, (11.5)

dove l ∈ Rn ha componenti lk, con k = 1, . . . , n. La (11.5) significa che, fissato un numero ε > 0, esiste un numero δε > 0, dipendente da ε, tale che per ogni t che verifichi|t − t0| < δε

risulta

kf(t) − lk < ε

con la definizione (11.4) di distanza in Rn. Si dice che il limite (11.5) `e finito quando il vettore l ha tutte le componenti finite.

La funzione f(t) si dice continua in t = t0 quando `e verificata la relazione lim

t→t0 f(t) = f(t0). (11.6)

La continuit`a di f in t = t0 equivale alla continuit`a in t = t0 di tutte le sue componenti:

lim

t→t0

fk(t) = fk(t0), k = 1, . . . , n.

(3)

11.3 Derivata. Vettore tangente. Ascissa curvilinea

La funzione f(t) si dice derivabile in t = t0 quando esiste finito il limite lim

∆t→0

f(t0+ ∆t) − f(t0)

∆t . (11.7)

Anche in questo caso, la condizione sulla f(t) `e equivalente alla condizione su tutte le singole componenti fk(t), k = 1, . . . , n.

Il limite (11.7) si chiama derivata della funzione f(t) in t = t0, e si indica con f0(t0). Se la derivata (11.7) esiste in tutti i punti t di un dato intervallo di R, essa definisce una nuova funzione vettoriale sullo stesso intervallo:

f0(t) = Xn k=1

f0

k(t)ek. (11.8)

Analogamente a quanto avviene per le funzioni scalari di una variabile scalare, si pu`o facilmente mostrare che se una funzione f(t) `e derivabile in un punto t0, allora essa `e continua in t0.

Dalla definizione (11.7) segue che f0(t0) risulta tangente alla curva x = f(t) nel suo punto x0 = f(t0). Se la derivata f0(t0) esiste in tutti i punti della curva, allora essa definisce un vettore tangente alla curva in ogni suo punto.

La stessa curva f(t) pu`o essere ottenuta per diverse scelte della variabile. Se, mediante una trasformazione di coordinate, si passa da t a r = ϕ(t), con l’inversa t = ψ(r), la funzione che rappresenta la curva diventa:

g(r) = f[ψ(r)]

mentre, evidentemente

f(t) = g[ϕ(t)].

Se la funzione ϕ `e crescente, si ha cio`e dr

dt > 0 ∀ t, (11.9)

il vettore tangente alla curva conserva il verso (poich´e la curva mantiene lo stesso orienta- mento) mentre il suo modulo cambia. Infatti:

df

dt(t) = d

dt{g[ϕ(t)]} = dg dr(r)

r=ϕ(t)

dr

dt(t) (11.10)

da cui si vede che, mentre la direzione ed il verso del vettore tangente restano invariati nel passare da t a r, il suo modulo dipende dalla scelta della variabile.

(4)

Capitolo 11. Funzioni vettoriali di variabile scalare

Dalla (11.10), ricordando la (11.9), si vede che tra i moduli dei vettori tangenti sussiste la:

kf0(t)k = kg0(r)kdr

dt. (11.11)

La (11.11) consente di definire una particolare rappresentazione parametrica della curva nella quale il vettore tangente alla curva ha sempre modulo unitario. Se poniamo, infatti, kg0(r)k = 1 dalla (11.11) risulta la condizione

dr

dt = kf0(t)k

che rappresenta il legame tra i due parametri. Integrando, e scegliendo r(0) = 0 — richieden- do, cio`e, che l’origine di t e quella di r coincidano — si trova:

r(t) = Z t

0

kf0(σ)kdσ =Z t 0

df

dσ(σ)

dσ. (11.12)

Questa condizione assicura che df dt

≡ 1

vale a dire che il vettore tangente ottenuto con quella particolare scelta della variabile ha modulo unitario lungo tutta la curva e si chiama perci`o versore tangente. La variabile individuata in tal modo si chiama ascissa curvilinea e si indica usualmente con s. Essa `e legata ad una qualunque altra variabile t dalla relazione (11.12).

11.4 Differenziale. Lunghezza di un arco di curva

Una curva si dice differenziabile in t0, se esiste un vettore v(t0) tale che l’incremento

∆f(t0) = f(t0 + ∆t) − f(t0) pu`o essere scritto come

∆f(t0) = v(t0) ∆t + o(∆t) (11.13)

in cui, al solito, il secondo termine nel secondo membro indica un infinitesimo di ordine superiore a ∆t per ∆t → 0.

Il primo termine nel secondo membro della (11.13) si chiama differenziale di f nel punto t e si indica con df: esso rappresenta la parte principale (proporzionale a ∆t) dell’incremento

∆f di f dovuto all’incremento della variabile da t a t + ∆t.

Come nelle funzioni scalari di una variabile scalare, l’incremento ∆t della variabile indipendente t pu`o essere sostituito dal relativo differenziale dt.

Il differenziale esiste in ogni punto in cui la curva `e dotata di vettore tangente, ed `e dato da

df(t) = v(t) dt = f0(t) dt (11.14)

(5)

risultando anch’esso tangente alla curva.

L’uguaglianza tra v e f0 rappresentata nella (11.14) si dimostra immediatamente divi- dendo entrambi i membri della (11.13) per ∆t e passando al limite per ∆t → 0. Dalla (11.14)

segue anche Z t2

t1

df =Z t2 t1

df

dt dt = f(t2) − f(t1)

ovvero l’integrale del differenziale di f non `e altro che la differenza tra i valori di f negli estremi di integrazione.

Il modulo di ∆f approssima, a meno di infinitesimi dell’ordine di ∆t o superiore, la lunghezza del tratto di curva tra t e t + ∆t. Considerata la (11.13), la lunghezza dello stesso tratto di curva `e data anche da |df| e, quindi, in virt`u della (11.14) e per incrementi positivi di t, anche da |f0|dt.

Poich´e nella costruzione dell’integrale definito nella variabile t i termini o(∆t) non danno contributo, si deduce che la lunghezza del tratto di curva corrispondente all’intervallo (0, t)

`e data da: Z t

0

kf0(σ)kdσ =Z t

0

df

dσ(σ)

dσ = s(t)

cio`e `e proprio pari all’ascissa curvilinea corrispondente al valore t della variabile originaria.

Questo spiega il nome di ascissa curvilinea dato alla variabile s(t): `e la lunghezza del segmento che si otterrebbe rettificando il tratto di curva corrispondente all’intervallo (0, t) dei valori della variabile originaria.

11.5 Curve in R2 ed in R3

Ci occupiamo ora dei casi in cui la curva descritta dalla funzione x = f(t) appartiene al piano (x1, x2) oppure all’ordinario spazio tridimensionale (x1, x2, x3). L’introduzione del- la variabile naturale s consente di ottenere il versore tangente τ (s) alla curva x = g(s) semplicemente calcolando la derivata

τ = dg

ds. (11.15)

Per calcolare il versore tangente alla curva x = f(t) non `e, comunque, necessario disporre dell’ascissa curvilinea s = s(t), poich´e `e sempre possibile utilizzare la regola di derivazione delle funzioni composte, a partire dalle definizioni (11.15) del versore tangente τ e (11.12) dell’ascissa curvilinea s:

τ = df dt

dt ds = f0

|f0|, in cui f0 = df dt.

Peraltro, la relazione precedente conferma che, quando la variabile con cui si rappresenta la curva `e l’ascissa curvilinea s, il vettore tangente df/ds ha modulo unitario.

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Capitolo 11. Funzioni vettoriali di variabile scalare

Se la curva possiede una derivata seconda continua, si pu`o studiare in che modo τ (s) varia lungo la curva x = g(s). A tale scopo, ricordando che il modulo di τ `e unitario e quindi τ · τ = 1, si pu`o scrivere la seguente identit`a:

0 = d

ds(τ · τ) = 2τ ·dτ ds,

da cui segue che la derivata di τ `e ortogonale a τ , come accade per qualunque versore. In generale, tale derivata non ha modulo unitario, ovvero la derivata di un versore non `e un versore. Il versore normale n alla curva nel suo punto x = g(s) viene definito, utilizzando l’ortogonalit`a tra τ e la sua derivata, mediante la seguente relazione:

ds = κ n (11.16)

in cui il coefficiente di proporzionalit`a κ viene scelto sempre positivo e prende il nome di curvatura assoluta: esso fornisce una misura di quanto varia localmente la direzione del vettore tangente. Poich´e τ `e adimensionale e s ha le dimensioni di una lunghezza, κ ha le dimensioni dell’inverso di una lunghezza: la quantit`a ρ = 1/κ prende il nome di raggio di curvatura, ed `e il raggio di un cerchio che appartiene ad un particolare piano tangente (detto piano osculatore), ed `e tale che il contatto tra cerchio (detto anch’esso osculatore) e curva sia di ordine 2, cio`e di tangenza.

Per completare la costruzione di un sistema di riferimento intrinseco alla curva, occorre specificare un terzo versore. Si sceglie il versore binormale, definito dalla:

b= τ ∧ n (11.17)

il quale `e, per definizione, ortogonale a τ ed a n, ed `e tale che (τ , n, b) forma una terna cartesiana destra ortonormale.

Ovviamente, quando la curva `e piana, il versore tangente ed il versore normale sono paralleli allo stesso piano della curva, e quindi il versore binormale b risulta ortogonale al piano su cui giace la curva.

Se la curva possiede una derivata terza continua, ha senso calcolare la derivata rispetto a s del versore binormale:

db ds = dτ

ds ∧n+ τ ∧dn

ds (11.18)

in cui il primo addendo d`a un contributo nullo in base alla (11.16) mentre, essendo dn/ds ortogonale a n, esisteranno due scalari µ e χ tali che:

dn

ds = −µτ − χb (11.19)

che, sostituita nella (11.18), fornisce:

db

ds = τ ∧ (−µτ − χb) = χn (11.20)

(7)

Lo scalare χ prende il nome di torsione, poich´e fornisce una misura di quanto la curva si discosta localmente da una curva piana, per la quale si ha, evidentemente, χ = 0. Anche la torsione ha le dimensioni dell’inverso di una lunghezza. Il valore assoluto del suo reciproco si chiama raggio di torsione.

Infine, moltiplicando scalarmente per τ i due membri dell’equazione (11.19), utilizzando il fatto che

τ·dn

ds = −n ·dτ ds e la relazione (11.16) si ottiene µ = κ.

Riassumendo, nell’ipotesi che la curva ammetta derivata terza continua, abbiamo scrit- to le equazioni per le derivate, rispetto all’ascissa curvilinea, di tutti i versori della terna intrinseca:

ds = κn, dn

ds = −κτ − χb, db

ds = χn. (11.21)

Le relazioni (11.21) prendono il nome di equazioni di Frenet.

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