Indice
1 Introduzione ... 8
2 La muratura ... 9
2.1.1 Caratteristiche generali e caratterizzazione normativa ... 9
2.1.1.1 Gli edifici in muratura ... 9
2.1.1.2 Caratterizzazione resistente del materiale muratura... 10
2.1.1.3 Resistenza di pannelli murari ... 12
2.1.2 Modellazione della muratura ... 15
2.1.3 Il problema sismico ... 17
2.1.4 Metodi di calcolo avanzati ... 19
2.1.4.1 Modelli semplificati a telaio equivalente ... 19
2.1.4.2 Modelli a plasticità concentrata ... 20
2.1.4.3 Modelli a macro‐elementi ... 23
2.1.4.4 Modellazione ad elementi piani o solidi ... 24
2.2 Stima della capacità sismica di strutture in muratura: approccio semplificato ... 25
2.2.1 Il metodo RigStripTS ... 26
2.2.2 Validazione ... 32
2.2.2.1 Parete D del progetto Catania ... 32
2.2.2.2 Caso studio tridimensionale ... 35
2.3 Modellazione ciclica della muratura... 37
2.3.1 Formulazione dell’elemento isteretico per murature ... 37
2.3.2 Calcolo delle rigidezze elastiche ... 40
2.3.3 Dominio resistente ... 41
2.3.4 Leggi isteretiche ... 41
2.3.4.1 Il legame ciclico per le molle a taglio ... 43
2.3.4.2 Legame ciclico per la molla rotazionale ... 44
2.3.4.3 Degrado di rigidezza ... 45
2.3.4.4 Degrado di resistenza ... 47
2.3.4.5 Valutazione dell’energia ... 47
2.3.5 Validazione del modello su singoli pannelli ... 48
2.3.5.1 Calibrazione dei parametri ... 48
2.3.5.2 Analisi di maschi e fasce ... 48
2.3.6 Analisi di pareti murarie ... 50
2.3.6.1 Progetto Catania: parete D ... 51
2.3.6.2 Analisi di pushover ... 51
2.3.6.3 Analisi incrementali dinamiche ... 52
2.3.6.4 Wall D dell’Università di Pavia ... 53
2.4 Modello a mesoscala ... 57
2.4.1 Meshatore per il modello a mesoscala ... 57
2.4.1.1 Generazione della mesh ... 58
2.4.1.2 Definizione del modello ... 59
2.4.2 Maschio murario... 61
2.4.3 Fascia di piano ... 62
2.4.3.1 Variazione dei parametri del modello ... 68
3 Il legno strutturale ... 72
3.1 Comportamento meccanico del legno ... 72
3.2 Le strutture in legno ... 75
3.2.1 Strutture in X‐lam ... 75
3.2.2 Strutture a telaio leggero ... 77
3.2.3 Strutture a telaio ... 78
3.3 Comportamento dell’unione chiodata ... 79
3.3.1 Comportamento del singolo chiodo ... 79
3.3.2 Comportamento del connettore ... 83
3.3.2.1 Modelli per telaio leggero ... 84
3.3.2.2 Modelli per X‐lam ... 84
3.4 Il modello non lineare del connettore ... 85
3.4.1.1 Modello costitutivo delle componenti ... 86
3.4.1.2 Legge isteretica a taglio ... 87
3.4.1.3 Legge isteretica assiale ... 89
3.4.1.4 Degrado di resistenza e rigidezza ... 89
3.4.1.5 Dominio di resistenza ... 90
3.4.1.6 Effetto dell’attrito statico ... 91
3.4.2 Calibrazione del modello ... 92
3.4.3 Calibrazione delle componenti ... 92
3.4.3.1 Calibrazione di angolari ... 93
3.4.3.2 Calibrazione di hold‐down ... 94
3.4.3.3 Calibrazione di viti ... 94
3.4.3.4 Parametri di degrado di energia ... 95
3.4.3.5 Parametri medi ... 95
3.5 Analisi numeriche su casi studio ... 96
3.5.1 Pannelli X‐lam ... 97
3.5.2 Edificio monopiano in X‐lam ... 100
3.5.3 Pareti a telaio leggero ... 103
3.5.4 Edificio a telaio leggero ... 112
3.5.4.1 Confronto con modello di Du (2003) ... 115
3.5.5 Edificio multipiano a telaio ... 117
3.5.5.1 Riproduzione di test sperimentali ... 117
3.5.5.2 Il caso studio ... 118
3.5.5.3 Estrapolazione del comportamento di giunti con connettori di 35mm di diametro ... 119
3.5.5.4 Modellazione numerica del telaio ... 121
4 Validazione di metodi di verifica non lineari proposti attualmente dalle norme ... 125
4.1 Risposta dei sistemi SDOF... 125
4.1.1 Set di accelerogrammi utilizzato ... 125
4.1.2 Modelli isteretici ... 126
4.1.2.1 Legge “full dissipative” ... 126
4.1.2.2 Legge “flag‐shape” ... 127
4.1.2.3 Legge “slip‐type” ... 127
4.1.3 Software di analisi ... 128
4.1.3.1 Calcolo delle energie ... 129
4.1.4 Risultati per i sistemi SDOF ... 130
4.1.4.1 Metodo N2 ... 130
4.1.4.2 Metodo dello spettro sovra‐smorzato ... 130
4.1.4.3 Risultati in formato Sa ‐ T ... 132
4.1.4.4 Risultati in formato ADRS ... 136
4.1.4.5 Risultati in termini di energia ... 139
4.1.5 Risultati per i sistemi MDOF ... 141
4.1.5.1 Energie nei sistemi MDOF ... 145
5 Conclusioni ... 147
6 Bibliografia ... 149
6.1 Capitolo 2 ... 149
6.2 Capitolo 3 ... 151
6.3 Capitolo 4 ... 155
Indice delle figure
Figura 2.1 – Elementi del sistema resistente “scatolare” (sinistra) e comportamento dell’insieme di pareti nel caso di perfetto
ammorsamento fra loro (destra). ...9
Figura 2.2 – (a) Legami costitutivi uniassiale tipici della malta (pedice M) e di mattoni in laterizio (pedice L) (trazione positiva), (b) Legame costitutivo uniassiale della muratura (compressione positiva) ...10
Figura 2.3 – Superfici di rottura di Capurso‐Sacchi al variare dell’angolo nello spazio delle tensioni principali ...11
Figura 2.4 – Estratto di normativa italiana sulle caratteristiche delle murature esistenti (da NTC2008, tabella C8.A.2.1) ...12
Figura 2.5 – Schema di calcolo per la rottura a pressoflessione ...13
Figura 2.6 – Schema di calcolo per la rottura a taglio‐scorrimento (A.) e per la fessurazione diagonale (B.) ...14
Figura 2.7 – Domini resistenti adimensionali per i maschi murari secondo i tre meccanismi esposti ...15
Figura 2.8 – Rappresentazione schematica del metodo del telaio equivalente ...16
Figura 2.9 – Modellazione di una parete muraria con elementi plate (a.) e stato tensionale dopo l’applicazione di carichi verticali e laterali (b.) ...17
Figura 2.10 – Modellazione di una parete muraria con elementi solidi (a.) e stato tensionale dopo l’applicazione di carichi verticali e laterali (b.) ...17
Figura 2.11 – Fattori di struttura da adottarsi per le nuove costruzioni in muratura (estratto NTC2008) ...18
Figura 2.12 – Piano tipo dell’edificio analizzato (misure in cm)...20
Figura 2.13 – Modello dell’edificio a tre piani in vista estrusa (a) e a telaio equivalente (b) ...21
Figura 2.14 – Backbone tipica delle cerniere (a) e caratteristiche meccaniche della muratura (b) ...21
Figura 2.15 – Posizionamento delle cerniere plastiche all’interno di elementi maschio (a) e fascia (b) ...22
Figura 2.16 – Legame tipico per le cerniere assiali (a) e taglianti e flessionali (b) ...22
Figura 2.17 – Curve di capacità per i vari casi analizzati (a) e stato di plasticizzazione delle cerniere (blu elastico, rosso rottura) (b) .22 Figura 2.18 – Confronto dei risultati di un’analisi di spinta su una parete muraria (tratto da Magenes, 2000) e confronto dei risultati in campo non lineare con una modellazione mediante elementi bidimensionali e a telaio equivalente ...23
Figura 2.19 – Rappresentazione schematica del modello a macro‐elementi di Brencich e Lagormarsino (1997) ...24
Figura 2.20 – Curva scheletro a taglio per un maschio murario implementata nel codice RAN (da Augenti et al., 2010) ...24
Figura 2.21 – Modellazione del mattono e dei letti di malta (a) e rispettivi elementi finiti (b) (tratto da Macorini e Izzuddin, 2011) .25 Figura 2.22 – Modellazione della parete con il metodo RigStripTS ...26
Figura 2.23 – Schemi statici del maschio durante l’analisi: caso a) fasce di piano integre; caso b) fasce di piano a collasso ...27
Figura 2.24 – Legame costitutivo per un generico maschio ...27
Figura 2.25 – Sforzo normale sul maschio i‐esimo e trasmissione degli sforzi taglianti dalle fasce adiacenti al maschio prima della loro rottura ...28
Figura 2.26 – Andamento delle sollecitazioni flessionali assunto nel modello ...29
Figura 2.27 – Diagramma di flusso di funzionamento del programma RigStripTS ...30
Figura 2.28 – Pianta dell’edificio (a) e prospetto della parete D (b) ...33
Figura 2.29 – Dati geometrici e modello a telaio equivalente della parete D ...33
Figura 2.30 – Confronto del risultato ottenuto con il codice SAM e il programma RigStripTS ...34
Figura 2.31 – Sequenza di plasticizzazione per la parete D nel programma RigStripTS ...34
Figura 2.32 – Tipo di rottura colto dal metodo SAM (a sinistra) e da RigStripTS (a destra) ...34
Figura 2.33 – Curva di capacità della parete analizzata al variare di HP ...35
Figura 2.34 – Piano tipo dell’edificio analizzato (misure in cm)...35
Figura 2.35 – Confronto delle curve di pushover ottenute per l’edificio ad un piano ...36
Figura 2.36 – Confronto delle curve di pushover ottenute per l’edificio a due piani ...36
Figura 2.37 – Confronto delle curve di pushover ottenute per l’edificio a tre piani ...36
Figura 2.38 – Molle nei pannelli murari e meccanismi di rottura associati ...37
Figura 2.39 – Approccio di modellazione M1 (a.) e M2 (b.) ...38
Figura 2.40 – Elemento molla utilizzato con 3 gradi di libertà ...39
Figura 2.41 – Modifica della curva scheletro sulla base del dominio N‐V ...41
Figura 2.42 – Legame taglio‐spostamento tipico dei un maschi tozzi e delle fasce di piano ...42
Figura 2.43 – Legame forza (momento)‐spostamento (rotazione) tipico di maschi murari snelli ...42
Figura 2.44 – Curva scheletro proposta da Tomazevic (a) e numerazione dei rami adottata (b) ...43
Figura 2.45 – Legge isteretica proposta da Tomazevic (1996) ...44
Figura 2.46 – Legge ciclica per le molle rotazionali ...45
Figura 2.47 – Legge di degrado della rigidezza di scarico (a) e rappresentazione scalata delle rigidezze del modello (b) ...46
Figura 2.48 – Definizione grafica del parametro ...47
Figura 2.49 – Confronto numerico‐sperimentale del comportamento ciclico del pannello LW (a) e del pannello HW [18] (b) con l’approccio M1 ...49
Figura 2.50 – Confronto numerico‐sperimentale del comportamento ciclico di una fascia di piano, modellata con l’approccio M1 ..49
Figura 2.51 – Analisi di sensibilità ai parametri di input per il maschio HW (a) e la fascia di piano (b) ...50
Figura 2.52 – Confronto fra gli approcci M1 e M2 per il LW (a) e confronto fra le energie totali (b) ...50
Figura 2.53 – Modello a telaio equivalente della parete D (quote in m) ...51
Figura 2.54 – Confronto con l’analisi di pushover – molle elasto‐perfettamente plastiche ...52
Figura 2.55 – Spettro utilizzato per la generazione dell’accelerogramma ACC14 ...52
Figura 2.56 – Confronto fra curva IDA e fuso di pushover ...53
Figura 2.57 – Modellazione e posizionamento delle molle concentrate nella Wall D Pavia ...53
Figura 2.58 – Curva di pushover della Wall D Pavia ...54
Figura 2.59 – Storia di spostamento adottata per il test ciclico ...55
Figura 2.60 – Risultati del test ciclico ...55
Figura 2.61 – Risultati dell’IDA svolta sul Wall D ...55
Figura 2.62 – Taglio alla base vs. spostamento per le analisi dinamiche a 0.15g e 0.47g con ACC15 ...56
Figura 2.63 – Pushover ciclico del Wall D di confronto fra approccio M1 e M2 ...56
Figura 2.64 – Numerazione dei 20 nodi per l’elemento “mattone” (a) e assemblaggio degli elementi (b) ...57
Figura 2.65 – Leggi costitutive in trazione (a) e a taglio (b) per l’elemento co‐rotazionale ...58
Figura 2.66 – Schermata principale del meshatore per pannelli singoli (a) e schermata principale del meshatore per partizioni (b) ..58
Figura 2.67 – Pannello di input dei dati per il meshatore sviluppato ...60
Figura 2.68 – Partizionamento di una parete muraria ...60
Figura 2.69 – Partizionamento corretto (a) e partizionamento non corretto (b) di una parete muraria ...61
Figura 2.70 – Curva forza‐spostamento laterale in sommità confrontata con quella sperimentale ...61
Figura 2.71 – Risposta non lineare del maschio murario LW sollecitato a taglio prima del picco resistente ...62
Figura 2.72 – Risposta non lineare del maschio murario LW sollecitato a taglio dopo il picco resistente ...62
Figura 2.73 – Facciata in muratura dal quale è idealmente estratto il provino (sinistra) e modalità di prova (destra) ...63
Figura 2.74 – Viste frontali del provino MS1 (a) e MS2 (b) (tratto da Gattesco et al., 2010) ...63
Figura 2.75 – Vista posteriore del provino MS2 (a) e set‐up del test sperimentale (b) ...63
Figura 2.76 – Cicli isteretici sperimentali per la fascia di piano MS1 (a) e per il provino MS2 (b) ...64
Figura 2.77 – Cicli isteretici sperimentali per la fascia di piano MS1 (a) e per il provino MS2 (b) (tratto da Gattesco et al., 2010) ...64
Figura 2.78 – Partizionamento del modello per la fascia di piano ...65
Figura 2.79 – Meshatura del modello utilizzato ...65
Figura 2.80 – Curve spostamento vs. tempo utilizzate nel modello della fascia ...66
Figura 2.81 – Distribuzione delle tensioni verticali nel muro al tempo 1.0s (scala in MPa) ...67
Figura 2.82 – Distribuzione delle tensioni verticali nel muro a fine analisi (scala in MPa, deformazioni amplificate 250 volte) ...67
Figura 2.83 – Risposta monotona del modello a confronto con quella sperimentale del provino MS2 ...68
Figura 2.84 – Risposte monotone dei modelli analizzati a confronto con quella sperimentale del provino MS1 (inviluppo negativo) 69 Figura 2.85 – Distribuzione delle tensioni verticali nel muro a inizio analisi (scala in MPa) ...69
Figura 2.86 – Distribuzione delle tensioni verticali e fessure nel muro a fine analisi (scala in MPa, deformazioni amplificate 250 volte) ...70
Figura 2.87 – Distribuzione delle tensioni verticali nel muro a inizio analisi (scala in MPa) ...70
Figura 2.88 – Distribuzione delle tensioni verticali e fessure nel muro a fine analisi (scala in MPa, deformazioni amplificate 250 volte) ...71
Figura 3.1 – Direzioni anatomiche del materiale legno (a) e legge costitutiva per le diverse direzioni di carico (b) ...72
Figura 3.2 – Vista tridimensionale dei criteri di Tsai‐Wu (nero) e Norris (rosso) nello spazio delle tensioni
0, 90, ...74Figura 3.3 – Sezione di un pannello in X‐lam a 5 strati di 17mm (a) e pacchetto costruttivo tipico per le strutture in X‐lam (b) (foto da Progetto SOFIE) ...75
Figura 3.4 – Nomenclatura adottata per la sezione tipica di un pannello in X‐lam ...76
Figura 3.5 – Test sismico su tavola vibrante in Giappone per edificio di 3 (a) e 7 piani (b) ...77
Figura 3.6 – Struttura monopiano a telaio leggero (a) e tipico ciclo sperimentale delle pareti a telaio leggero (b) ...78
Figura 3.7 – Telaio in legno per costruzione ad uso industriale (a) e spaccato di un giunto con tubo in acciaio (b) ...78
Figura 3.8 – Prova sperimentale di Leijten et al. (2006) ...79
Figura 3.9 – Modi di collasso dei connettori a gambo cilindrico per singola e doppia sezione connessa ...80
Figura 3.10 – Tabella proposta dalla norma CNR‐DT206/2007 per il calcolo dello scorrimento istantaneo ...80
Figura 3.11 – Modello di Foschi per il connettore: schema di calcolo (sinistra) e ciclo tipo (destra) (da Foschi 2000) ...81
Figura 3.12 – Comportamento dell’acciaio nel chiodo (a) e dell’embedment legnoso (b), nel modello di Foschi (2000) ...81
Figura 3.13 – Sezione trasversale del chiodo e zona di contatto con l’embedment legnoso (in rosso) ...82
Figura 3.14 – Schema statico adottato per il singolo chiodo (a) e deformata tipica del chiodo (b) ...82
Figura 3.15 – Legame ciclico risultante per il modello del chiodo ...83
Figura 3.16 – Modello del chiodo tridimensionale ...83
Figura 3.17 – Modellazione dell’edificio a 3 piani (sinistra) e modelli isteretici per hold‐down e angolari (destra) (da Ceccotti et al., 2008) ...85
Figura 3.18 – Taratura di un singolo hold‐down (a) e angolare (b) (da Ceccotti et al., 2008) ...85
Figura 3.19 – Dettaglio su angolare e hold‐down (destra) utilizzati nelle costruzioni in X‐lam ...86
Figura 3.20 – Legge lineare a tratti utilizzata per il taglio ...88
Figura 3.21 – Legge lineare a tratti utilizzata nel caso assiale ...89
Figura 3.22 – Dominio di resistenza elastico adottato ...91
Figura 3.23 – Schermata principale del programma So.ph.i. ...92
Figura 3.24 – Calibrazione del grado di libertà tagliante (a) e assiale (b) di un angolare (Gavric et al., 2011) ...93
Figura 3.25 – Calibrazione del grado di libertà assiale (a) e tagliante (b) di un hold‐down (Gavric et al., 2011) ...94
Figura 3.26 – Calibrazione a taglio verticale (a) e orizzontale (b) di una connessione con viti (Gavric et al., 2012) ...95
Figura 3.27 – Set‐up della prova per pannelli in X‐lam presso il CNR‐IVALSA ...97
Figura 3.28 – Protocollo di carico utilizzato per le prove sui pannelli in X‐lam secondo la norma EN 12512 ...97
Figura 3.29 – Mesh e posizione delle molle adottati per il test 1.2 (a) e deformata tipica sotto carico orizzontale ciclico di un pannello in X‐lam durante l’analisi (b) ...98
Figura 3.30 – Mesh e posizione delle molle adottati per il test 1.2 (a) e deformata tipica sotto carico orizzontale ciclico di un pannello in X‐lam durante l’analisi (b) ...98
Figura 3.31 – Layout dei pannelli in X‐lam testati (Gavric et al., 2012) ...99
Figura 3.32 – Confronto numerico‐sperimentale su pareti in X‐lam accoppiate soggette a carico ciclico ...99
Figura 3.33 – Confronto numerico‐sperimentale fra energie totali sviluppate durante il test delle pareti in X‐lam accoppiate ...100
Figura 3.34 – Foto delle ultime fasi della costruzione dell’edificio monopiano in X‐lam presso il laboratorio dell’Università di Trento ...101
Figura 3.35 – Set‐up sperimentale adottato per la prova dell’edificio (a) e pianta della configurazione asimmetrica (misure in m) (b) ...101
Figura 3.36 – Disposizione delle molle nel modello (a) e contour dello spostamento e deformata (amplificata 20 volte) durante la prova ciclica (b) ...102
Figura 3.37 – Storia di spostamento dell’attuatore durante la prova sperimentale con il sisma di Kobe JMA 0.5g ...102
Figura 3.38 – Confronto numerico‐sperimentale sulla risposta ciclica (taglio alla base vs. spostamento in sommità) dell’edificio (a) e andamento nel tempo dell’energia totale (b) ...103
Figura 3.39 – Layout del test sperimentale su pareti a telaio leggero condotto a Kassel (misure in m) ...104
Figura 3.40 – Risultati sperimentali su un singolo chiodo (tratto sottile) e fitting numerico (tratto spesso) ...105
Figura 3.41 – Storia di spostamento per l’analisi della parete secondo il protocollo ISO 21581 ...105
Figura 3.42 – Deformata della parete (pannelli e telaio) (a) e deformata del solo telaio (b) ...106
Figura 3.43 – Schermata del programma per visualizzare il comportamento nel tempo di ogni molla ...106
Figura 3.44 – Confronto numerico‐sperimentale in termini di taglio alla base contro spostamento in sommità per la parete a telaio leggero ...107
Figura 3.45 – Layout della parete testata da Dolan (1989) ...107
Figura 3.46 – Calibrazione del modello del chiodo sul test sperimentale eseguito in (Fischer et al., 2001) (a) e calibrazione modificata del modello del chiodo (b) (diagrammi in forza e spostamento, in mm e kN) ...109
Figura 3.47 – Deformata della parete soggetta a spostamento orizzontale in sommità ...109
Figura 3.48 – Confronto numerico‐sperimentale del comportamento ciclico in taglio alla base vs. spostamento in sommità della parete testata (Dolan, 1989) ...110
Figura 3.49 – Comportamento isteretico in taglio alla base vs. spostamento delle pareti modellate, al variare della loro larghezza 110 Figura 3.50 – Schematizzazione della parete con molle diagonali equivalenti (approccio M2) ...111
Figura 3.51 – Calibrazione delle molle diagonali per la parete da 762mm di lunghezza (in mm e kN) ...111
Figura 3.52 ‐ Calibrazione delle molle diagonali per la parete da 915mm di lunghezza (in mm e kN) ...111
Figura 3.53 – Calibrazione delle molle diagonali per la parete da 1220mm di lunghezza (in mm e kN) ...112
Figura 3.54 – Calibrazione delle molle diagonali per la parete da 2440mm di lunghezza (in mm e kN) ...112
Figura 3.55 – Vista schematica dell’edificio analizzato, scomposto in moduli, ciascuno rappresentante una parete ...113
Figura 3.56 – Test dell’edificio su tavola vibrante presso UC San Diego (tratta da Fischer et al., 2001) ...113
Figura 3.57 – Accelerogramma in frazioni di g del sisma di Northridge (1994, Rinaldi station) ...114
Figura 3.58 – Vista assonometrica del modello dell’edificio con truss, molle diagonali e shell di piano. ...114
Figura 3.59 – Confronto numerico‐sperimentale per l’edificio in termini di taglio alla base ‐ spostamento in sommità ...115
Figura 3.60 – Vista assonometrica del modello di Du (2003), riprodotto in Abaqus ...115
Figura 3.61 – Interstorey drift per il primo piano dell’edificio, modello di Du (2003) ...116
Figura 3.62 – Interstorey drift il piano di copertura, modello di Du (2003) ...116
Figura 3.63 – Confronto numerico fra i risultati ottenuti in Abaqus e il modello di Du (2003) ...116
Figura 3.64 – Risultato del test ciclico eseguito su un giunto con 4 tubi di diametro 28mm ...117
Figura 3.65 – Confronto numerico‐sperimentale per la prova sui connettori tubolari di diametro 28mm (in rad‐kNm, screenshot dal programma So.ph.i. v.4) ...117
Figura 3.66 – Vista estrusa dell’edificio per il caso studio (a) e geometria e disposizione delle molle nel telaio analizzato (b) ...118
Figura 3.67 – Spettro elastico e di progetto per l’edificio analizzato ...118
Figura 3.68 – Layout della connessione con 12 tubi metallici nel telaio analizzato (misure in mm) ...119
Figura 3.69 – Layout della connessione con tubi metallici nel telaio analizzato (misure in mm) ...119
Figura 3.70 – Curva di regressione per un connettore metallico di 35mm di diametro (Leijten, 1998) ...120
Figura 3.71 – Calibrazione della molla rappresentante il giunto sui dati ottenuti dall’estrapolazione (in rad‐kNm, screenshot dal programma So.ph.i. v.4) ...121
Figura 3.72 – Curve di pushover del telaio analizzato e raggiungimento dei diversi stati limite ...121
Figura 3.73 – Accelerogramma #1 generato per le analisi dinamiche del telaio (a) e tipico comportamento della molla rotazionale durante l’analisi dinamica non lineare (b) ...122
Figura 3.74 – Evoluzione nel tempo del taglio di base nella struttura elastica e inelastica ...123
Figura 3.75 – Valori del fattore di struttura in funzione delle PGA utilizzate per l’IDA con il secondo accelerogramma generato. ....123
Figura 3.76 – Valori del fattore di struttura in funzione delle PGA utilizzate per le IDA ...124
Figura 4.1 – Spettri elastici degli accelerogrammi selezionati (a) e media degli spettri considerati confrontata con lo spettro fornito dall’EC8 (b) ...126
Figura 4.2 – Legge isteretica “full dissipative” ...126
Figura 4.3 – Legge isteretica “flag‐shape” ...127
Figura 4.4 – Legge isteretica “slip‐type” ...128
Figura 4.5 – Schema di calcolo utilizzato dall’algoritmo di bisezione ...128
Figura 4.6 – Rappresentazione grafica delle energie dissipata e di deformazione elastica per l’Eq. 4.6 ...131
Figura 4.7 – Spettro inelastico medio per il caso EP con duttilità pari a 2 ...132
Figura 4.8 – Spettro inelastico medio per il caso EP con duttilità pari a 4 ...132
Figura 4.9 – Spettro inelastico medio per il caso EP con duttilità pari a 6 ...132
Figura 4.10 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 2 e CF=0.01 ...133
Figura 4.11 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 4 e CF=0.01 ...133
Figura 4.12 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 6 e CF=0.01 ...133
Figura 4.13 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 2 e CF=0.35 ...134
Figura 4.14 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 4 e CF=0.35 ...134
Figura 4.15 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 6 e CF=0.35 ...134
Figura 4.16 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 2 e CF=0.35 ...134
Figura 4.17 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 4 e CF=0.99 ...135
Figura 4.18 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 6 e CF=0.99 ...135
Figura 4.19 – Spettro inelastico medio per il caso ST con duttilità pari a 2 ...135
Figura 4.20 – Spettro inelastico medio per il caso ST con duttilità pari a 4 ...135
Figura 4.21 – Spettro inelastico medio per il caso ST con duttilità pari a 6 ...136
Figura 4.22 – Spettro inelastico medio per il caso EP con duttilità pari a 2 ...136
Figura 4.23 – Spettro inelastico medio per il caso EP con duttilità pari a 6 ...136
Figura 4.24 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 2 e CF=0.01 ...137
Figura 4.25 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 6 e CF=0.01 ...137
Figura 4.26 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 2 e CF=0.35 ...137
Figura 4.27 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 6 e CF=0.35 ...137
Figura 4.28 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 2 e CF=0.99 ...138
Figura 4.29 – Spettro inelastico medio per il caso FS con duttilità pari a 6 e CF=0.99 ...138
Figura 4.30 – Spettro inelastico medio per il caso ST con duttilità pari a 2 ...138
Figura 4.31 – Spettro inelastico medio per il caso ST con duttilità pari a 6 ...138
Figura 4.32 – Andamento delle energie nel tempo con l’accelerogramma #9 per il caso EP con duttilità pari a 6, per T=1.0s ...139
Figura 4.33 – Andamento delle energie nel tempo con l’accelerogramma #9 per il caso FS con duttilità pari a 6 e CF=0.01, per T=0.3s ...139
Figura 4.34 – Andamento delle energie nel tempo con l’accelerogramma #9 per il caso ST con duttilità pari a 4, per T=0.3s ...140
Figura 4.35 – Spettro medio delle energie per il caso EP con duttilità pari a 2 ...140
Figura 4.36 – Spettro medio delle energie per il caso FS con duttilità pari a 2 e CF=0.01 ...140
Figura 4.37 – Spettro medio delle energie per il caso ST con duttilità pari a 2...141
Figura 4.38 – Geometria del telaio analizzato (misure in m) ...141
Figura 4.39 – Spettro dell’accelerogramma generato a confronto con quello elastico (a) e accelerogramma generato contro il tempo (b) ...142
Figura 4.40 – Curva di capacità per il caso EP con T=0.3s e =2 ...142
Figura 4.41 – Curva di capacità per il caso FS con CF=0.01 con T=0.3s e =2 ...143
Figura 4.42 – Curva di capacità per il caso ST con T=0.3s e =2 ...143
Figura 4.43 – Curva di capacità per il caso EP con T=1.0s e =2 ...143
Figura 4.44 – Curva di capacità per il caso FS con CF=0.01 con T=1.0s e =2 ...144
Figura 4.45 – Curva di capacità per il caso ST con T=1.0s e =2 ...144
Figura 4.46 – Curva di capacità per il caso EP con T=2.0s e =2 ...144
Figura 4.47 – Curva di capacità per il caso FS con CF=0.01 con T=2.0s e =2 ...145
Figura 4.48 – Curva di capacità per il caso ST con T=2.0s e =2 ...145
Figura 4.49 – Energia in ingresso nel tempo a T=1.0s e =2 ...145
Figura 4.50 – Energia plastica nel tempo a T=1.0s e =2 ...146
Figura 4.51 – Energia di smorzamento nel tempo a T=1.0s e =2 ...146
Figura 4.52 – Energia cinetica nel tempo a T=1.0s e =2 ...146
1 Introduzione
L’esigenza di modellare le strutture in campo ciclico si è fatta sempre più pressante negli ultimi decenni, grazie anche all’evoluzione normativa atta ad indirizzare il professionista verso i concetti del Performance Based Design (Priestley et al., 2005). Tale esigenza trova il suo più naturale sviluppo nella ricerca di modelli ciclici non lineari che possano simulare in modo accurato la risposta ciclica della struttura.
Questo lavoro si focalizza sullo studio delle strutture in muratura non armata e in legno, per le quali si avverte la mancanza, a livello accademico e pratico, di modelli ciclici accurati.
Per le murature, di tipo non armato, si prendono in considerazione strutture caratterizzate da una regolarità costruttiva tale da consentire in genere una modellazione a telaio equivalente. Per il legno sono analizzate le strutture in cross‐lam (acronimo per cross‐laminated timber building, in seguito abbreviato in X‐lam) e a telaio leggero, che rappresentano la sfida costruttiva più importante del settore negli ultimi anni.
Sia per le strutture in legno che per le murature, viene formulata una legge di comportamento ciclica di tipo fenomenologico atta a rappresentare il comportamento di un singolo elemento strutturale (connettore per legno o pannello murario). La scelta di operare a livello di elemento è dettata dalla convenienza computazionale che queste modellazioni fenomenologiche comportano, anche se in molti casi è necessaria una taratura preventiva su un numero di parametri spesso elevato. Diversi casi studio sono analizzati al fine di validare i modelli proposti. Gli strumenti sviluppati rivestono un ruolo importante per lo sviluppo di analisi accurate di vulnerabilità sismica e di stima dell’energia dissipata per ciascuna tipologia strutturale. La stima di queste proprietà, che dipendono fortemente dalla capacità del modello adottato di rappresentare la reale risposta ciclica, potranno consentire lo sviluppo di criteri di progetto e di verifica sempre più accurati ed attendibili.
In questo lavoro di tesi, in particolare, il capitolo 2 è dedicato al materiale muratura: dopo una presentazione delle sue caratteristiche, vengono discussi i metodi di progetto relativi e gli avanzamenti della ricerca in questo campo fino ai giorni nostri. Successivamente viene illustrato un metodo semplificato per ottenere la curva di capacità di una struttura in muratura, a partire dalla geometria e dalle caratteristiche del materiale, denominato RigStripTS.
Nei sottoparagrafi che seguono, viene presentato un modello per l’analisi non‐lineare statica e dinamica di una qualsiasi struttura in muratura, che si avvale, per la modellazione, del metodo del telaio equivalente.
Tale strumento è validato su diverse prove sperimentali, sia di singoli pannelli, sia di interi edifici.
Nel capitolo 3 vengono trattate le costruzioni in legno, a partire da una presentazione del materiale e delle leggi costitutive più utilizzate. In seguito, alcuni modelli di letteratura per la caratterizzazione ciclica delle più importanti tipologie in legno saranno illustrati e commentati, per poi descrivere e comparare il modello sviluppato. Il modello, sviluppato inizialmente per le strutture in X‐lam, viene validato sulla base di risultati sperimentali di prove cicliche su pareti ed edifici. Esso è stato infine esteso ad altre tipologie, quali il telaio leggero e il telaio tradizionale in lamellare.
Alla luce dei modelli ciclici presentati nei precedenti capitoli, il capitolo 4 si occupa di validare gli approcci di verifica globale inelastica delle strutture proposti attualmente dalle norme, quali il metodo N2 e il metodo dello spettro sovra‐smorzato. Tale studio si basa sul calcolo di spettri inelastici di sistemi SDOF caratterizzati da un diverso comportamento ciclico (riconducibile a quello delle strutture in acciaio, in legno e in muratura) e sull’analisi degli spettri ottenuti. L’obiettivo del lavoro presentato è quello di validare i metodi citati al variare dell’energia dissipata dalla struttura analizzata.
2 La muratura
Le costruzioni in muratura, assieme a quelle in legno, sono notoriamente tra le più antiche utilizzate dall’uomo, grazie ad un’ampia disponibilità di materiali utilizzati e alla loro semplicità costruttiva. Per le murature, il procedimento costruttivo, cioè l’assemblaggio di malta e blocchi di pietra o laterizio, è rimasto invariato nel corso tempo; sono cambiate solamente la qualità dell’elemento legante (malta) e le dimensioni e le caratteristiche dei laterizi (per i quali oggi esiste una grande varietà a seconda delle caratteristiche volute, come peso, percentuale di foratura, dimensione), o delle pietre (diverso materiale, squadrate, sbozzate, ecc.).
Altre importanti caratteristiche che rendono la muratura una delle principali tipologie costruttive sono l’aspetto, la solidità, la durabilità, il confort termico e acustico e la resistenza al fuoco.
Contrariamente alla sua diffusione, la muratura non ha, a tutt’oggi, metodi di calcolo evoluti che nel contempo siano efficienti e generali, e che permettano una stima accurata del suo comportamento, sia statico che dinamico, a causa della complessità di modellazione, dovuta principalmente alla non omogeneità della muratura e alla complessità di caratterizzazione delle diverse componenti che la costituiscono e caratterizzano.
2.1.1 Caratteristiche generali e caratterizzazione normativa 2.1.1.1 Gli edifici in muratura
Come detto, la muratura è costituita da un aggregato di elementi resistenti artificiali o naturali (mattoni o pietre) sovrapposti in opera e legati, con eccezione delle murature a secco, dalla malta. Oltre che per fini strutturali, la muratura è utilizzata anche per tamponamento, suddivisione fra vani diversi, finitura (mur.
faccia a vista) o per esigenze acustiche o termiche (barriere). Inoltre, grazie alla versatilità del materiale, essa può essere anche armata con tondini in acciaio per aumentarne la resistenza e la duttilità. In questo lavoro verrà analizzata la muratura strutturale (portante) non armata.
L’organizzazione strutturale di un edificio in muratura è necessariamente scatolare, al fine di resistere alle azioni orizzontali (vento forte, sisma): si distinguono per ogni direzione di applicazione delle forze orizzontali, i muri portanti i carichi verticali, i muri di controvento e i solai di piano, quali elementi strutturali costituenti il sistema. Ogni parte, per essere pienamente collaborante nel sistema scatolare, deve essere connessa rigidamente alle altre; per questo motivo è necessario avere un buon ammorsamento fra pareti portanti e ortogonali, e fra pareti e solai di piano (Figura 2.1).
Figura 2.1 – Elementi del sistema resistente “scatolare” (sinistra) e comportamento dell’insieme di pareti nel caso di perfetto ammorsamento fra loro (destra).
Tale sistema assicura dunque il corretto funzionamento delle pareti murarie, che lavorano prevalentemente per le azioni nel proprio piano, dove il momento d’inerzia della sezione è maggiore. La
sproporzione fra resistenza nel piano e fuori piano è in genere tale da poter trascurare quest’ultima nella caratterizzazione meccanica per quanto riguarda il taglio resistente fornito alla costruzione da ogni singola parete.
2.1.1.2 Caratterizzazione resistente del materiale muratura
La valutazione della resistenza massima delle pareti murarie è un aspetto progettuale fondamentale e nel contempo difficile da stimare, a causa dell’anisotropia del materiale del suo comportamento fragile.
La resistenza della muratura è funzione delle resistenze dei suoi elementi costituenti, mattoni e malta. Per gli elementi naturali (pietre squadrate, pietrame, tufo, argilla, ecc.), vista la notevole variabilità, tale resistenza è caratterizzata essenzialmente sulla base di prove sperimentali.
Per gli elementi artificiali (laterizio, calcestruzzo, ecc.) la resistenza viene spesso fornita direttamente dalle norme sulla base di un’apposita classificazione, basata sul materiale, sulle specifiche (UNI EN 771 per la norma italiana) e sulla percentuale di foratura.
Anche le malte sono classificate sulla base della loro resistenza media a compressione. Esse sono infatti organizzate in classi di resistenza denominate con la lettera “M” seguita dal valore resistente in MPa (es.
M10 = malta con resistenza a compressione 10MPa).
Il valore di riferimento per una muratura è la sua resistenza a compressione, essendo quella a trazione molto ridotta. Le normative italiane ed europee forniscono tabelle per la stima della resistenza a compressione della muratura sulla base di tipo di malta e di mattone. L’Eurocodice 6, al punto 3.6.1.2, fornisce una relazione analitica generale per ricavare la resistenza a compressione della muratura in funzione della resistenza dei mattoni e della malta, riportata nell’Eq. 2.1.
k b m
f Kf f (Eq. 2.1)
in cui:
fk è la resistenza caratteristica a compressione della muratura in MPa K è una costante funzione del tipo di tessitura, ricavabile da una tabella
fb è la resistenza media a compressione dei mattoni in MPa fm è la resistenza a compressione della malta in MPa
, sono costanti per ogni tipologia di muratura, tarate su prove sperimentali.
a. b.
Figura 2.2 – (a) Legami costitutivi uniassiale tipici della malta (pedice M) e di mattoni in laterizio (pedice L) (trazione positiva), (b) Legame costitutivo uniassiale della muratura (compressione positiva)
In regime uniassiale, il legame costitutivo assume la forma riportata in Figura 2.2.b (Lourenco, 1998): la resistenza a trazione è molto inferiore di quella a compressione.
Il comportamento reale della muratura è comunque alquanto complesso a causa della diversa deformabilità di malta e laterizio e per la presenza di direzioni preferenziali per la fessurazione, guidate principalmente dalla disposizione dei corsi di malta. Il comportamento della muratura è pertanto fortemente ortotropo, il che obbliga a valutare opportunamente il suo comportamento in regime pluriassiale. Per stati di sollecitazione piana, un criterio utilizzato è quello di Capurso‐Sacchi, la cui superficie di rottura è definita dall’Eq. 2.2.
det[ R]0 (Eq. 2.2) in cui:
11 12
21 22
[ ]
è la matrice rappresentante lo stato tensionale nel pannello murario
1
2
[ ] 0 0
R R
R
è la matrice delle resistenze a compressione nelle 2 direzioni.
Considerando l’Eq. 2.2 in termini di tensioni principali, si può notare come la superficie di rottura definita dal criterio cambi al variare dell’angolo in cui si sviluppano le tensioni principali (Figura 2.3).
Figura 2.3 – Superfici di rottura di Capurso‐Sacchi al variare dell’angolo nello spazio delle tensioni principali
In presenza di taglio e sforzo normale, si assume in genere un comportamento alla Coulomb (Eq. 2.3), dove il valore della resistenza caratteristica a taglio fvk dipende da una quota permanente indipendentemente dalle condizioni di carico (detta taglio resistente in assenza di sforzo normale, fvk0) e una quota dipendente dalla pressione assiale presente sulla porzione di muratura considerata. Nell’Eq. 2.3 si riporta la relazione proposta dalla norma italiana, che assume una tangente dell’angolo d’attrito pari a 0.4.
0 0.4
vk vk
f f N
b t
(Eq. 2.3)
dove:
b è la larghezza del pannello t è lo spessore del pannello N è lo sforzo assiale presente
A livello professionale, la muratura viene trattata come materiale omogeneo e isotropo. La normativa italiana (NTC 2008) riporta in tabella C8.A.2.1 alcune caratteristiche da utilizzate per la muratura in assenza di dati sperimentali (Figura 2.4).
Le modalità di scelta dei parametri fra minimo e massimo forniti in tabella sono funzione delle caratteristiche della malta, dello spessore sei giunti, della presenza o meno di listature o ricorsi e di elementi di collegamento trasversale fra pareti.
Figura 2.4 – Estratto di normativa italiana sulle caratteristiche delle murature esistenti (da NTC2008, tabella C8.A.2.1)
2.1.1.3 Resistenza di pannelli murari
La resistenza di pannelli murari passa per la definizione del loro comportamento meccanico. Magenes e Calvi (1997) evidenziano tre diversi meccanismi di collasso:
1. Rocking, che avviane quando nel pannello, soggetto a carichi orizzontali, si fessurano i letti di malta a trazione e il taglio è ripreso dalla parte di muratura compressa. Il collasso avviene per ribaltamento del muro e simultanea fessurazione agli angoli;
2. Rottura per taglio, in cui si manifesta una fessura diagonale lungo tutto il pannello;
3. Scorrimento, dovuto alla formazione di piani di scorrimento nei letti di malta orizzontali causata dalle azioni sismiche.
La nuova norma italiana, di impronta spiccatamente prestazionale, mutua molte verifiche relative alla muratura dagli Eurocodici 6 e 8, individuando anche, implicitamente, i meccanismi di collasso più comuni per maschi e fasce murarie.
È noto come il comportamento dei maschi murari sia fortemente condizionato in termini resistenti dal livello di sforzo assiale al quale sono sottoposti. La normativa italiana correla la resistenza tagliante e flessionale allo sforzo assiale presente con le relazioni esposte brevemente nel seguito.
Il primo meccanismo analizzato è quello flessionale (detto di rocking), un cui si sviluppano fessure agli angoli poiché il pannello tende e ruotare come corpo rigido. Si può esprimere il taglio resistente associato al meccanismo in funzione del momento resistente e della distanza del punto di nullo del momento h0.
1 1,p 0
M V h (Eq. 2.4)
L’espressione seguente, considerando la sezione di base del pannello e stimando lo stress‐block sulla base della resistenza a compressione della muratura (Figura 2.5), fornisce il taglio resistente per pressoflessione:
1,
0
2 1
p
d d
N b N
V h k b t f
(Eq. 2.5)
dove:
b è la larghezza del pannello t è lo spessore del pannello h è l’altezza del pannello
h0è la distanza del punto di nullo del momento N è lo sforzo assiale
fd è la resistenza di compressione di progetto
kd è il fattore di distribuzione delle tensioni, assunto pari a 0.85.
Figura 2.5 – Schema di calcolo per la rottura a pressoflessione
Il secondo meccanismo di rottura è rappresentato dallo scorrimento per taglio, che accade generalmente quando l’altezza del pannello è uguale o inferiore alla sua larghezza (fattore di forma vicino all’unità) e lo sforzo assiale è basso. In questo meccanismo, le fessure appaiono lungo una sezione orizzontale del pannello, causando lo slittamento della parte superiore. Considerando in tale sezione la parte compressa b’
(Figura 2.6A.), la resistenza a taglio si può scrivere come in Eq. 2.6.
2,p vd '
V f b t (Eq. 2.6)
in cui:
3 3 ' 2
b e b
b
è la larghezza compressa della sezione considerata; (Eq. 2.7)
V h0
e N
è l’eccentricità del carico; (Eq. 2.8)
Sostituendo le Eq. (2.7) e (2.8) in (2.6), si ottiene l’Eq. (2.9).
0 2
0 0
1.5 0.4
1 3
vk vk
b t f N
V h t f
N
(Eq. 2.9)
Figura 2.6 – Schema di calcolo per la rottura a taglio‐scorrimento (A.) e per la fessurazione diagonale (B.)
Il terzo meccanismo considerato è quello proposto da Turnsek e Cacovic (1971) sulla base di risultati sperimentali su maschi murari caricati assialmente e lateralmente nel loro piano. Questa modalità di collasso è provocata dalle tensioni principali di trazione che si sviluppano al centro del pannello, e per tale motivo le fessure si sviluppano lungo le diagonali (Figura 2.6B.). La resistenza a taglio che il meccanismo esplica può essere calcolata con l’Eq. 2.10.
3
1.5 td 1
td
f bt N
V f bt (Eq. 2.10)
con:
b base del pannello t spessore del pannello h altezza del pannello
h0 altezza del punto di nullo del diagramma del momento flettente N forza assiale
fvk0 resistenza della muratura a taglio puro
fm resistenza media a compressione della muratura ftd resistenza a trazione
parametro di Turnsek‐Cacovic, dipendente dal fattore di forma h/b.
Il taglio resistente del pannello è fornito dalla minima resistenza calcolata per i tre meccanismi esposti. Ciò significa considerare l’inviluppo minimo delle curve presentate in Figura 2.7.
1 2 3
min( , , ) VRd V V V
(Eq. 2.11)
Figura 2.7 – Domini resistenti adimensionali per i maschi murari secondo i tre meccanismi esposti
Per le fasce, che usualmente hanno uno sforzo normale molto ridotto, la resistenza considerata è quella a taglio puro:
, 0
Rd F vk
V b t f
(Eq. 2.12)
La resistenza flessionale delle fasce invece è calcolata come :
, , 0
2 1 0.85
P P
Rd pr F
m
b H H
V h b t f
(Eq. 2.13)
con HP compressione indotta nella fascia a causa del rocking che viene impedito per la presenza di cordoli o tiranti. La norma impone inoltre di considerare HP pari al minimo fra 0.4fhc h t, con fhc resistenza a compressione orizzontale, e la resistenza a trazione di tiranti o cordoli di piano.
Sempre la norma italiana specifica che il valore resistente da assumere per la fascia è il minimo fra quello fornito dalle Eq.2.12 e 2.13, pertanto in assenza di cordoli di piano o di tiranti la resistenza di progetto è nulla, poiché il valore resistente in Eq. 2.13 è pari a zero.
2.1.2 Modellazione della muratura
La modellazione delle strutture in muratura rimane un’operazione complessa poiché esse non possono essere efficacemente trattate con le ipotesi semplificative comuni (isotropia, comportamento elastico, omogeneità del materiale) e perché i metodi di costruzione degli edifici in muratura sono molto diversi in funzione della tipologia strutturale, del materiale impiegato e della tradizione costruttiva.
La modellazione della muratura può essere sviluppata con diverse tecniche, a partire dalla schematizzazione adottata per geometria della struttura e dal tipo di elemento finito scelto (monodimensionale, bidimensionale, solido).
Uno dei metodi più utilizzati è il metodo del telaio equivalente. All’interno di questo approccio, maschi e fasce sono discretizzati in elementi trave, connessi fra loro da link rigidi, rappresentanti le regioni nodali delle pareti. Ogni asta o trave è caratterizzata dalla sezione reale del muro, considerando sia la rigidezza flessionale che tagliante, quest’ultima particolarmente importante nel caso di pannelli tozzi. Nel corso degli anni sono state proposte diverse regole per ridurre la parete ad un assemblaggio di aste; in questo lavoro è stata adottata la proposta di Dolce (1989). Le indicazioni suggerite da Dolce sono state riassunte graficamente nella Figura 2.8.
Figura 2.8 – Rappresentazione schematica del metodo del telaio equivalente
Usando la notazione proposta in Figura 2.8, la lunghezza del tratto deformabile può essere calcolata come segue:
( ') ' 3 '
eff
L H h
H h H
h
(Eq. 2.14)
dove :
Heff è la lunghezza della parte deformabile;
'
h
è una lunghezza convenzionale misurata come in Figura 2.8;L è la larghezza del pannello;
H è l’altezza del pannello.
Un secondo metodo per analizzare la muratura è quello basato sull’utilizzo di elementi bidimensionali, tipicamente plate (o shell). A differenza del modello precedente che assume le zone nodali rigide, questi elementi modellano la muratura nel suo insieme, e, associati a modelli del materiale adeguati, sono in grado di rappresentare lo stato tensionale e deformativo nel piano del pannello (Figura 2.9).
a. b.
Figura 2.9 – Modellazione di una parete muraria con elementi plate (a.) e stato tensionale dopo l’applicazione di carichi verticali e laterali (b.)
Infine, è possibile modellare le pareti murarie con elementi solidi (brick), i quali possono rappresentare, con un modello del materiale opportuno, anche gli stati tensionali lungo lo spessore del pannello (Figura 2.10).
a. b.
Figura 2.10 – Modellazione di una parete muraria con elementi solidi (a.) e stato tensionale dopo l’applicazione di carichi verticali e laterali (b.)
I modelli esposti finora richiedono una omogeneizzazione del materiale, cioè assumono in altre parole che il materiale sia omogeneo lungo tutto l’elemento. Esistono anche tecniche di modellazione solida che non presuppongono tale passaggio, e saranno trattate nel seguito.
2.1.3 Il problema sismico
L’interesse per il comportamento sismico delle strutture in muratura ha raggiunto un livello di particolare attenzione soprattutto nel nostro Paese, dove eventi sismici recenti (Abruzzo 2009, Emilia 2012) hanno messo in crisi questa tipologia strutturale in molti centri storici (basti pensare ad esempio a L’Aquila e Finale Emilia). La grande varietà di edifici storici presenti nel nostro territorio infatti rende inevitabile la ricerca di metodi di verifica e di recupero di tali edifici, facenti parte del patrimonio culturale italiano.
La più recente versione della normativa italiana, il D.Min. Infrastrutture 14 gennaio 2008, dedica un intero paragrafo alle verifiche sismiche per gli edifici esistenti (l’ottavo capitolo, anche se buona parte dei contenuti si ritrovano nella Circolare Applicativa 02 febbraio 2009).
Dal punto di vista del progettista, le capacità inelastiche della struttura sono definite tramite l’uso di un fattore di struttura appropriato. Si riportano in Figura 2.11, per completezza espositiva, i fattori di struttura adottati dalla norma italiana per strutture in muratura, nuove (cap. 7.8 NTC2008) ed esistenti (cap. C8.7.1).
Figura 2.11 – Fattori di struttura da adottarsi per le nuove costruzioni in muratura (estratto NTC2008)
La Circolare Applicativa 671 specifica inoltre che, per strutture esistenti, il fattore di struttura da assumersi è:
1
2.0 u
q
per gli edifici regolari in elevazione;
1
1.5 u
q
per tutti gli altri casi.
Globalmente quindi il fattore di struttura varia, per la muratura ordinaria, da un massimo di 3.6 ad un minimo di 2.25 nel caso di edificio esistente irregolare in elevazione.
In presenza di azioni sismiche orizzontali valgono i criteri resistenti esposti nel paragrafo precedente, da utilizzarsi con le sollecitazioni ricavate da un calcolo elastico se si prendono in considerazione i valori resistenti di progetto, o da un calcolo non lineare se si assumono le caratteristiche resistenti medie delle murature verificate. Nel primo caso si assumono come valori di progetto le resistenze caratteristiche divise per un fattore M che varia da 2.0 a 3.0 in funzione della categoria di esecuzione (I o II) e del tipo di malta (Eq. 2.15).
k ; vk
d vd
M M
f f
f f
(Eq. 2.15)
Nel secondo caso i valori da prendere in considerazioni sono quelli medi, derivati da prove sperimentali. La norma NTC2008 suggerisce inoltre un valore da assumere per la resistenza a taglio in assenza di prove sperimentali (Eq. 2.16).
0
0 0.7
vk vm
f f (Eq. 2.16)
In questo lavoro ci si concentrerà principalmente su questo ultimo aspetto, che permette, nei casi in cui il fattore di struttura sottostimi la capacità dissipativa (in genere è quello che accade per gli edifici esistenti), di sfruttare meglio le risorse del materiale.
2.1.4 Metodi di calcolo avanzati
Negli ultimi anni sono stati compiuti molti tentativi per sviluppare modelli di calcolo efficaci per le strutture in muratura. I risultati più validi sono stati ottenuti nella modellazione di pareti soggette a carichi statici monotoni, mentre un modello efficiente per la caratterizzazione ciclica delle murature non è ancora stato sviluppato.
La necessità di un modello ciclico non lineare affidabile è emersa negli ultimi anni in relazione alla sempre maggiore importanza dell’analisi dinamica non lineare e contemporaneamente alla maggior disponibilità di potenza di calcolo offerta dai moderni computer, capaci di gestire analisi di peso e complessità impensabili sino a qualche anno fa.
Numerosi sono in letteratura i modelli utilizzati, soprattutto in condizioni monotone, per la caratterizzazione non lineare della muratura. In via semplificata, essi possono essere suddivisi in quattro categorie:
1. modelli basati sul metodi semplificati a telaio equivalente,
2. modelli che utilizzano molle non lineari o cerniere plastiche (plasticità concentrata), 3. modelli che fanno uso di macro‐elementi,
4. modelli basati sulla plasticità diffusa (bi o tridimensionali) del materiale.
Per l’ultima categoria è necessario infine distinguere la scala di modellazione. Esistono infatti modelli che rappresentano la muratura in modo omogeneo e isotropo, mentre altri scendono nel dettaglio e caratterizzano ognuna delle componenti della muratura, malta e mattone, a livello locale (es. modelli in mesoscala).
2.1.4.1 Modelli semplificati a telaio equivalente
I metodi basati su un modello a telaio equivalente consistono nel modellare la struttura con tratti flessibili e tratti rigidi, connessi fra loro da elementi unidimensionali non lineari atti a formare un telaio. La non linearità è messa in conto tramite la plasticizzazione degli elementi maschio e fascia.
Il primo metodo significativo che ha adottato questa metodologia, introdotto anche in Italia, fu il metodo POR, proposto da Tomazevic (1978). Tale metodo si basava su alcune ipotesi fondamentali:
- Diaframma di piano infinitamente rigido;
- Fasce e maschi murari modellati con elementi monodimensionali;
- Fasce infinitamente rigide e infinitamente resistenti;
- Maschi con comportamento elasto‐plastico, ai quali era associato il solo criterio di rottura a taglio;
- Forza assiale nei maschi murari assunta costante durante l’analisi.
Il metodo, facendo uso di una duttilità assegnata al pannello, permetteva di ricavare lo spostamento ultimo e la capacità resistente della struttura in modo estremamente semplice. L’analisi veniva effettuata separatamente piano per piano, imponendo uno spostamento laterale crescente fino a collasso. Ogni piano era costituito da maschi murari posti in parallelo ai quali si assegnava la sola rigidezza tagliante. La risposta globale era ottenuta sulla base dei tagli complessivi di piano e lo spostamento ultimo era determinato dal primo piano che collassava. L’interazione fra i piani non veniva considerata, come pure non era correttamente considerato il contributo delle fasce murarie, supposte infinitamente rigide e resistenti, con il risultato di sovrastimare, in genere, la rigidezza e la resistenza dell’edificio.
Per superare i limiti del POR, fu introdotto da Braga e Monti (1982) il metodo PORFLX. Le modifiche apportate da questa proposta al metodo POR riguardavano le ipotesi di partenza:
- Fasce infinitamente rigide ma non infinitamente resistenti per taglio e flessione;
- Maschi con comportamento elasto‐plastico ai quali si associa un criterio di rottura a taglio e a pressoflessione;