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Capitolo 10 Appendice 1

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Academic year: 2021

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(1)

Appendice 1

10.1 Gli operatori GRAD, DIV, ROT

10.1.1 Significato del Gradiente

Sia data la funzione f : D ⊂ R3 → R, D insieme aperto, f ∈ C2(D).

Tale funzione è anche detta campo scalare. Scelto un sistema di riferimento cartesiano, se indichiamo con i, j, k i versori degli assi, il gradiente della funzione può essere scritto, in forma vettoriale come:

grad f = ∂f

∂xi+∂f

∂yj+∂f

∂zk.

Prendiamo adesso una superficie di livello f = c (costante) e consideriamo due superfici infinitamente vicine: σ : f = c e σ0 = f = c + dc.

359

(2)

Sia P un punto appartenente alla superficie σ e dP uno spostamento infinitesimo dalla superficie σ. Ovviamente

df = grad f · dP ,

ma poiché dP è tangente alla superficie non c’è variazione di f e quindi grad f · dP = 0. In conclusione grad f ⊥ dP , ovvero, il grad f in un punto P del campo ha direzione normale alla superficie di livello passante per quel punto.

Sia dP uno spostamento da σ a σ0 , cioè verso i valori crescenti di f . Allora,

df = dc = grad f · dP > 0 ,

ovvero, l’angolo formato con la direzione dello spostamento dP è minore di

(3)

π

2, il grad f ha quindi verso rivolto verso la parte dove f cresce

Consideriamo infine uno spostamento dP0 normale alla superficie σ e di- retto verso σ0 di modulo |dP0| = ds, si ha: df = grad f · dP0, ed essendo dP0 parallelo al grad f

dc =|df| = |grad f · dP0| = |grad f| · ds . Quindi,

|grad f| = dc ds,

in altre parole, il modulo del grad f è direttamente proporzionale all’incre- mento dc della funzione f ed inversamente proporzionale alla distanza tra σ e σ0.

Sia f : D ⊂ R2 → R, D insieme aperto, f ∈ C2(D), (x, y) → f (x, y). Sia f da ammettere γc come curva di livello c, γc ={(x, y) ∈ R2 : f (x, y) = c}.

Sia P0 ∈ γc e sia f differenziabile in P0 con grad f (P0) 6= 0. Cerchiamo la retta tangente alla linea di livello in P0. Sia P un punto generico di tale retta, la derivata direzionale di f in P0 nella direzione v = P − P0 sarà zero, ovvero la tangente al grafico in (P0, f (P0)) ha come normale il vettore grad f (P0), quindi

grad f (P0)· (P − P0) = 0 ,

ovvero µ

∂f

∂x (P0)

· (x − x0) + µ∂f

∂y (P0)

· (y − y0) = 0 . (10.1)

(4)

Si noti dalla figura che i punti (x, y) dell’equazione (10.1) sono quelli della retta tangente in p0 alla linea di livello. Il vettore grad f (P0) è un vet- tore del piano R2, dove sta la linea di livello (nel dominio della funzione) ed ortogonale alla retta tangente alla linea di livello nel piano. Non si com- metta l’errore di pensare il gradiente ortogonale alla retta tangente al grafico o al grafico stesso. Si noti infine che il gradiente punta verso la porzione di piano dove la funzione è crescente. Più precisamente, il gradi- ente gode della proprietà che la massima variazione della funzione si ha nella direzione del gradiente, la minima variazione nella direzione opposta a quella del gradiente.

10.1.2 L’operatore ∇

E’ utile introdurre il vettore simbolico o operatore simbolico ∇

∇ = µ ∂

∂x, ∂

∂y, ∂

∂z

¶ .

∇ opera formalmente su una funzione scalare f, col risultato di ottenere, in coordinate cartesiane il vettore gradiente di f

∇f = µ∂f

∂x,∂f

∂y,∂f

∂z

¶ .

∇ è uno strumento simbolico utile nella differenziazione dei campi sia scalari che vettoriali. Nell’usuale sistema di riferimento cartesiano, di versori i, j, k, useremo il vettore

∇ = ∂

∂xi+ ∂

∂yj+ ∂

∂zk, come se lo fosse a tutti gli effetti.

vediamone adesso i vantaggi formali. Si consideri un campo vettoriale F: Ω⊂ R3 → R3, Ω aperto, F = (A, B, C) definito dalle componenti scalari

A : Ω⊂ R3 → R , (x, y, z) → A (x, y, z) ; B : Ω⊂ R3 → R , (x, y, z) → B (x, y, z) ; C : Ω ⊂ R3 → R , (x, y, z) → C (x, y, z) ;

che supponiamo di classe C2(Ω). Possiamo associare ad F la matrice delle derivate parziali, le cui righe sono date dalle derivate parziali di ciascuna componente

JF (x, y, z) =



∂A

∂x

∂A

∂y

∂A

∂z

∂B

∂x

∂B

∂y

∂B

∂z

∂C

∂x

∂C

∂y

∂C

∂z



 . (10.2)

(5)

E’ facile riconoscere negli elementi della matrice J che si trovano sulla diago- nale principale quelli che definiscono la divergenza del campo vettoriale F. Mentre gli elementi fuori della diagonale di J contribuiscono a formare le componenti del rotore di F.





∂A

∂x

&

∂B

∂y

&

∂C

∂z





 div F ;





∂A

∂x

∂A

∂y

∂A

∂z

% .

∂B

∂x

∂B

∂y

∂B

∂z

∂C %

∂x

∂C

∂y

∂C

∂z





 rot F .

La divergenza del campo vettoriale è definita come la traccia della matrice J. Formalmente si ha

µ ∂

∂xi+ ∂

∂yj+ ∂

∂zk

· (A i + B j + C k) = ∂A

∂x + ∂B

∂y +∂C

∂z . Il rotore è formalmente definito da

rot F =∇ × F = µ∂C

∂y − ∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z − ∂B

∂y

¶ j+

µ∂B

∂x −∂A

∂y

¶ k. Conviene ricordare la regola mnemonica

rot F =∇ × F =

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯

i j k

∂x

∂y

∂z

A B C

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯ ,

che usa il determinante per scrivere le componenti del prodotto vettoriale.

Ricordiamo alcune proprietà del gradiente, rotore e divergenza che si ricavano facilmente usando in modo simbolico le regole del calcolo vettoriale:

div rot F = ∇ · ∇ × F = 0 rot grad f = ∇ × ∇f = 0 div grad f = ∇ · ∇f = ∆f , dove

∆ = ∇2 = ∂2

∂x2 + ∂2

∂y2 + ∂2

∂z2, è detto operatore di Laplace o Laplaciano.

rot rot F = grad div F− ∆F ,

(6)

dove, in coordinate cartesiane, ∆F = ∆A i+∆B j+∆C k . Ancora,

div (f F) = f divF + grad f · F , rot (f F) = grad f× F + f rot F , div (F× G) = F · rot G − G · rot F .

Nota 10.1 Il gradiente è un concetto che può essere introdotto senza fare uso delle coordinate (in modo intrinseco). ∇f è invece definito come un operatore in coordinate cartesiane. Il gradiente assume una forma diversa se si fanno uso di altri sistemi di coordinate curvilinee, vediamone i due più noti.

Coordinate sferiche.

Siano (r, θ, ϕ) le coordinate sferiche, legate alle coordinate cartesiane dalle

note relazioni: 





x = r sin θ cos ϕ y = r sin θ sin ϕ z = r cos θ

ed indichiamo con e1, e2, e3 i versori tangenti alle linee coordinate r=cost, θ=cost, ϕ=cost. Si ha

grad f = ∂f

∂r e1 +1 r

∂f

∂θ e2+ 1 r sin θ

∂f

∂ϕe3; div F = 1

r2

∂ (r2A)

∂r + 1

r sin θ

∂ (B sin θ)

∂θ + 1

r sin θ

∂C

∂ϕ; rot F =

¯¯

¯¯

¯¯

1

r2sin θe1 r sin θ1 e2 1re3

∂r

∂θ

∂ϕ

A r B r C sin θ

¯¯

¯¯

¯¯ ;

∆ f = 1 r2

∂r µ

r2∂f

∂r

+ 1

r2sin θ

∂θ µ

sin θ∂f

∂θ

+ 1

r2sin2θ

2f

∂ϕ2 . Coordinate cilindriche.

Siano (r, θ, z) le coordinate cilindriche, legate alle coordinate cartesiane

dalle relazioni 





x = r cos θ y = r sin θ z = z

(7)

e siano u1, u2, u3 i versori tangenti alle linee coordinate r=cost, θ=cost, z=cost Si ha

grad f = ∂f

∂r u1+ 1 r

∂f

∂θ u2+ ∂f

∂z u3; div F = 1

r

∂ (rA)

∂r + 1 r

B

∂θ +∂C

∂ϕ ; rot F =

¯¯

¯¯

¯¯

1

ru1 u2 1ru3

∂r

∂θ

∂z

A r B C

¯¯

¯¯

¯¯ ;

∆ f = 1 r

∂r µ

r∂f

∂r

¶ + 1

r2

2f

∂θ2 +∂2f

∂z2 . CAMPO DEL GRADIENTE

In questa sezione ci limitiamo a considerare campi scalari f : D ⊂ R2 → R, definiti su un insieme aperto D di R2, (x, y) → f (x, y). Come abbiamo già detto, le linee di livello della funzione f sono definite da

γc={(x, y) : f (x, y) = c} .

L’insieme delle linee di livello γcformano, al variare di c l’insieme di livello del campo scalare f. In tre dimensioni l’insieme γcdefinisce una superficie di livello.

La fisica fornisce innumerevoli esempi di superfici di livello, si pensi, per esempio, ai punti dello spazio che hanno la stessa temperatura (isoterme) o la stessa pressione (isobare). Dal punto di vista matematico, il problema della determinazione delle linee di livello è spasso difficile e complesso, solo sotto opportune ipotesi (gradiente diverso da zero) la linea rappresenta localmente il grafico di una funzione.

Fig. 4a Fig. 4b

(8)

Nella figura 4a sono disegnate le curve di livello di un campo scalare f , per diversi valori della costante c, nella figura 4b sono invece disegnate le curve che hanno, punto per punto, direzione perpendicolare alle precedenti.

Queste curve costituiscono il cosiddetto campo gradiente.

Vediamo adesso le proprietà principali del campo gradiente. Indichiamo con F = grad f In questo caso si ha che l’integrale curvilineo lunga una curva regolare γ di estremi P0 e P1, parametrizzata da α = α (t), vale

Z

γ

F· dγ = Z

γ

grad f · dα = f (P1)− f (P0) .

Se vogliamo scrivere tale integrale come funzione del generico punto P di una curva regolare γ nel dominio del campo gradiente si ha

Z

γ

F· dγ = f (P ) + cost. (10.3) La funzione scalare f , determinata a meno di una costante, viene detta potenziale scalare. E’ chiaro che in generale non tutti i campi vettori- ali F hanno un potenziale scalare. L’equazione (10.3) implica che l’integrale curvilineo (che si può interpretare fisicamente come il lavoro fatto dal punto P mentre si sposta lungo la curva γ, all’interno di un campo di forze F ) è indipendente dal cammino d’integrazione. Questo non è vero per tutti i campi vettoriali. Limitiamoci a vedere un esempio grafico, analizzando il campo delle direzioni di F

Per andare da P0 a P1 si trovano due valori diversi del lavoro se ci si muove in senso orario o antiorario.

Un campo vettoriale F : Ω ⊂ R3 → R3, Ω aperto, definito da F=(A, B, C) che ammette un potenziale scalare si dice campo conservativo.

Condizione necessaria e sufficiente perché un campo di classe C1, defini- to su un aperto e connesso (due punti qualsiasi dell’insieme sono sempre raggiungibili da una traiettoria regolare contenuta in esso) Ω ⊂ R3 sia il gradiente di un campo scalare è che l’integrale curvilineo del campo tra due punti qualsiasi P0 e P1 risulti indipendente dal cammino percorso.

(9)

Dato un campo vettoriale F : Ω ⊂ R3 → Ω, aperto, di classe C1, si può dimostrare anche che le seguenti affermazioni sono equivalenti:

i) F ammette potenziale scalare in Ω;

ii) L’integrale curvilineo di F dipende solo dagli estremi di integrazionee non dal cammino fatto per unirli;

iii) L’integrale curvilineo di F lungo ogni traiettoria chiusa in Ω è zero.

Nelle applicazioni il seguente criterio è importante per stabilire se un campo non è conservativo.

Teorema 10.2 Sia F = (A, B, C) un campo vettoriale di classe C1(Ω), Ω aperto di R3. Se F è il gradiente di un campo scalare in Ω, allora rot F = 0 in Ω.

Dimostrazione. Poiché F è il gradiente di un campo scalare, esiste una funzione ϕ : Ω ⊂ R3 → R, tale che F = grad ϕ, quindi

A = ∂ϕ

∂x , B = ∂ϕ

∂y , C = ∂ϕ

∂z . Ne segue che rot F è dato da

rot F = rot (A, B, C) = rot µ∂ϕ

∂x,∂ϕ

∂y,∂ϕ

∂z

=

µ∂C

∂y − ∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z − ∂B

∂y

¶ j+

µ∂B

∂x − ∂A

∂y

¶ k

=

µ ∂2ϕ

∂y∂z − ∂2ϕ

∂z∂y

¶ i+

µ ∂2ϕ

∂x∂z − ∂2ϕ

∂z∂x

¶ j+

µ ∂2ϕ

∂y∂x − ∂2ϕ

∂x∂y

¶ k

= (0, 0, 0) .

Esempio 10.3 Si consideri il campo vettoriale, definito in R2\ {(0, 0)} da F (x, y) =− y

x2 + y2i+ y x2+ y2j, noto anche come campo di Biot-Savart.

Lasciamo al lettore di verificare che in questo caso rotF, ma il lavoro su una curva chiusa che racchiude l’origine non è uguale a zero.

L’esempio precedente mostra che in generale l’ipotesi rot F = 0 è una condizione necessaria ma non sufficiente perché un campo vettoriale sia con- servativo. Tale condizione diventa sufficiente se il campo vettoriale F è di

(10)

classe C1(Ω) su un insieme stellato rispetto ad un suo punto, o più in gen- erale semplicemente connesso (ogni curva chiusa è contraibile in un punto dell’insieme).

In letteratura un campo vettoriale con rotore nullo viene detto irro- tazionale.

10.1.3 Divergenza di un campo vettoriale.

Un campo vettoriale è detto solenoidale quando il flusso del campo at- traverso ogni superficie chiusa è zero. Questo non è vero per un qualsiasi campo vettoriale e la divergenza misura quanto un campo differisce dall’essere solenoidale.

Si consideri un campo vettoriale F : Ω ⊂ R3 → R3, Ω aperto, definito da F= (A, B, C). Sia V ⊂ Ω un volume qualsiasi di Ω contenente il punto P , diamo una nuova definizione della divergenza di F come:

div F = lim

V →0

1 V

ZZ

S

F· n dσ (10.4)

dove S è la superficie chiusa che racchiude il volume V ed n è la normale uscente alla superficie. V nella (10.4) sta ad indicare la misura del volume V ed il simbolo V → 0 significa che il volume tende a ridursi al solo punto P .

Per un campo non solenoidale si ha un flusso netto attraverso una superficie infinitesima intorno al punto P ed in questo caso la div F è diversa da zero in quel punto. Verifichiamo che questa definizione coincide con quella già data in coordinate cartesiane, limitandoci ad un volume a forma di parallelepipedo.

(11)

Consideriamo un volume come in figura. Il flusso approssimato netto uscente attraverso le facce parallele al piano xy:

Consideriamo un volume come in figura. Il flusso approssimato netto uscente attraverso le facce del parallele al piano xy:

−Adydz + µ

Adydz + ∂A

∂xdydzdx

= ∂A

∂xdydzdx .

Quindi sommando i tre flussi netti uscenti attraverso le facce del paral- lelepipedo, si ha

ZZ

S

F· n dσ = ZZZ

V

µ∂A

∂x +∂B

∂y + ∂C

∂z

dx dy dz .

Dividendo per la misura del volume V e passando al limite per mis V → 0 si ottiene

V →0lim 1 V

ZZ

S

F· n dσ = lim

V →0

1 V

ZZZ

V

µ∂A

∂x + ∂B

∂y +∂C

∂z

dx dy dz (10.5) e quindi, per la vecchia definizione

div F = ∂A

∂x + ∂B

∂y +∂C

∂z . (10.6)

Se assumiamo la (10.6) come definizione di divergenza di un campo vetto- riale, la dimostrazione fatta sopra, anche se limitata ai domini a forma di par- allelepipedo, esprime tramite la (10.5) il famoso teorema della divergenza (teorema di Gauss).

(12)

Teorema 10.4 Il flusso di un campo vettoriale F attraverso una superficie chiusa S è uguale all’integrale di volume della divergenza del campo F sul volume V racchiuso da S :

ZZ

S

F · n dσ = ZZZ

V

div F dV .

Se la normale n è espressa da cos α i+ cos β j+ cos γ k e dV = dxdydz, allora il teorema della divergenza per ogni componente prende la forma

ZZ

S

A cos α dσ = ZZZ

V

∂A

∂x dxdydz , ZZ

S

B cos β dσ = ZZZ

V

∂B

∂y dxdydz , ZZ

S

C cos γ dσ = ZZZ

V

∂C

∂z dxdydz . Ancora sulla Divergenza di un Campo Vettoriale

Vogliamo approfondire cosa significhi l’essere un campo vettoriale solenoidale e come la divergenza misuri quanto un campo vettoriale differisca dall’essere solenoidale.

Si consideri un campo vettoriale F : Ω ⊂→ R3, Ω aperto, definito da F= (A, B, C) ed una superficie a forma di tubo contenuta in Ω.

Si consideri una curva chiusa γ1 contenuta in Ω e si prendano le linee del campo F che passano attraverso γ1. Tutte queste linee costituiscono un tubo, del quale consideriamo un tratto delimitato tra le superfici S1 e S2, entrambe con la proprietà di essere perpendicolari alle linee di campo. Denotiamo infine con S3 la superficie laterale del tubo.

(13)

Nell’ipotesi che il campo vettoriale F sia solenoidale, il flusso totale attra- verso l’intera superficie S = S1+ S2+ S3 è zero. Quindi facendo attenzione al segno delle normali alle superfici, si ha

ZZ

S

F· n ds = − ZZ

S1

F· n ds + ZZ

S2

F· n ds + ZZ

S3

F· n ds = 0 . L’integrale su S3 è zero perché il campo non ha componenenti normali alla superficie laterale, ne segue che

ZZ

S1

F· n ds = ZZ

S2

F· n ds , (10.7)

ovvero, se F è solenoidale, i flussi attraverso le due superfici trasversali del tubo sono uguali.

Possiamo interpretare questa eguaglianza in termini infinitesimi, con- siderando delle superfici sufficientemente piccole da trascurare le variazioni di campo in direzione ed intensità attraverso le due superfici S1 e S2. Allora, se F è solenoidale, la (10.7) si può scrivere nella forma

|F1| mis (S1) =|F2| mis (S2) .

Il numero di linee del campo che attraversano S1 deve essere uguale a quello delle linee che passano per S2. Allora se mis (S2) > mis (S1) il numero di linee per unità di area che attraversano S2 è ridotto nella proporzione mis (S1) /mis (S2) . In conclusione, in un campo solenoidale il valore di |F|

in ogni punto è direttamente proporzionale al numero di linee di campo che attraversano perpendicolarmente l’unità di area.

10.1.4 Rotore di un Campo Vettoriale

Sia F : Ω ⊂→ R3, Ω aperto, definito da F = (A, B, C) un campo vettoriale definito da F = (A, B, C), il rotore di F è un campo vettoriale definito da

rot F = µ∂C

∂y −∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z − ∂C

∂x

¶ j+

µ∂B

∂x − ∂A

∂y

k. (10.8) Si può definire il rotore di di F in altra maniera con un processo di limite sulla circuitazione lungo una curva intorno. Sia P ∈ Ω un punto e ed S ⊂ Ω una superficie sufficientemente qualsiasi (ma sufficientemente regolare) con- tenente il punto P ed avente normale n in P , delimitata da una curva chiusa C. Assumiamo come definizione di rotore di F :

rot F· n = lim

S→0

1 S

Z

C

F· dα . (10.9)

(14)

dove dα è lo spostamento elementare sulla curva C pensata parametrizzata da α = α (t). Per ogni direzione n in P esiste un unico limite (abbiamo sup- posto che A, B, C siano sufficientemente regolari); ripetendo questo processo di limite per ogni direzione (ne bastano tre linearmente indipendenti) si ot- tiene il vettore rot F nel punto P . Ripetendo poi il calcolo per ogni punto P si ottiene il nuovo campo vettoriale in Ω.

La nuova definizione può sembrare un pò macchinosa, vogliamo quindi provare che essa porta alla definizione (10.8), usando le coordinate cartesiane.

Per semplicità partiamo limitandoci al caso piano e dimostriamo il teorema di Green.

Teorema 10.5 (di Green per un rettangolo nel piano). Sia F = (A, B) un campo vettoriale di classe C1(R), dove R⊂ R2 è il rettangolo [a, b]×[c, d].

Allora ZZ

R

µ∂B

∂x − ∂A

∂y

dx dy = Z

∂R

A dx + B dy ,

dove ∂R è la curva costituita dai quattro segmenti che delimitano il rettan- golo.

Dimostrazione. Fissiamo come verso di percorrenza quello antiorario come in figura.

Calcoliamo il primo degli integrali doppi, integrando rispetto ad x, ZZ

R

∂B

∂x dx dy = Z d

c

µZ b a

∂B

∂x dx

¶ dy

= e poiché l’integrale di lineaR

∂RB dy lungo i tratti orizzontali è uguale o zero si ha che

Z

∂R

B dy = Z d

c

(B (b, y)− B (a, y)) dy .

(15)

Analogamente,

− ZZ

R

∂A

∂y dx dy = − Z b

a

µZ d c

∂A

∂y dy

¶ dx

= Z b

a

(A (x, c)− A (x, d)) dy = Z

∂R

A dx . Sommando le due identità si ottiene il teorema di Green nel piano.

Il teorema precedente si generalizza ad un qualunque insieme R ⊂ R2limitato da una curva chiusa γ = ∂R percorsa in senso antiorario.

ZZ

R

µ∂B

∂x −∂A

∂y

dx dy = Z

∂R

A dx + B dy .

Vogliamo ora estendere questo teorema al caso tridimensionale. La dimostrazione di tale estensione richiede la conoscenza di dettagli tecnici che esulano dai nostri scopi, ci limitiamo quindi a riportare il risultato finale.

Teorema 10.6 (di Stokes). Sia S una superficie semplice e regolare (im- magine tramite una trasformazione di classe C2 di una regione di R2 limitata da una curva semplice chiusa) e sia C la frontiera di S. Sia F un campo vettoriale di classe C1 su S, allora si ha:

ZZ

S

·µ∂C

∂y − ∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z −∂C

∂x

¶ j+

µ∂B

∂x −∂A

∂y

¶ k

¸

·n ds = Z

C

A dx+B dy+C dz (10.10)

dove n è la normale esterna alla superficie.

Ritorniamo adesso alla definizione di rotore data in (10.9). E’ facile riconoscere nel secondo membro dell’identità (10.10) l’integrale curvilineo R

CF· n dα, quindi se C è una curva chiusa che delimita una superficie pas- sante per P ed avente normale n in P , dividendo ciascun membro per la (misura della) superficie S si ha

1 S

ZZ

S

·µ∂C

∂y − ∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z −∂C

∂x

¶ j+

µ∂B

∂x − ∂A

∂y

¶ k

¸

·n ds = 1 S

Z

C

F· n dα . A questo punto facciamo tendere a zero la misura di S, mantenendo la su- perficie S sempre tangente al piano perpendicolare alla normale esterna n.

Si ottiene così rot F· n = 1

S Z

C

F· n dα

= lim

S→0

1 S

ZZ

S

·µ∂C

∂y −∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z − ∂C

∂x

¶ j+

µ∂B

∂x − ∂A

∂y

¶ k

¸

· n ds

=

·µ∂C

∂y − ∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z − ∂C

∂x

¶ j+

µ∂B

∂x − ∂A

∂y

¶ k

¸

· n ,

(16)

trovando nuovamente l’espressione del rotore in coordinate cartesiane:

rot F = µ∂C

∂y − ∂B

∂z

¶ i+

µ∂A

∂z − ∂C

∂x

¶ j+

µ∂B

∂x − ∂A

∂y

¶ k. Ancora sul campo del rotore

Significato di rotore. Il significato del rotore dovrebbe essere già chiaro dalla definizione (10.9). L’essere diverso da zero nel punto P , significa che la circuitazione di F lungo ogni curva chiusa intorno a P è diversa da zero, ovvero il campo dei vettori intorno a P presenta una tendenza a circolare, ovvero ruotare intorno alla direzione di n.

Un altro modo di giustificare il nome di rotore che è stato dato al campo vettoriale (10.8) è il seguente. Si consideri il campo vettoriale delle velocità di un insieme di punti O e P che si muovono mantenendosi rigidamente collegati fra loro (corpo rigido). Dalla fisica sappiamo come varia la velocità dei punti P ed O

v(P) = v (O) + ω× (P − O) , dove ω è la velocità angolare caratteristica del corpo rigido.

Si supponga che il punto O sia fisso, ed origine di un sistema di riferimento fisso di versori (i, j, k) , allora P = x i+y j+z k e ω =ω1i+ ω2j+ ω3k, allora la velocità del punto P è

v(P) = (ω2z− ω3y) i + (ω3x− ω1z) j+ (ω1y− ω2x) k . Calcoliamo il rotore del vettore v (P), si ha

rot v (P) = ∇ × v (P) =

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯

i j k

∂x

∂y

∂z ω2z− ω3y ω3x− ω1z ω1y− ω2x

¯¯

¯¯

¯¯

¯¯

= (ω1+ ω1) i + (ω2+ ω2) j+ (ω3+ ω3) k =2 ω .

(17)

Il rotore del campo di velocità risulta uguale a due volte il vettore velocità angolare del sistema. Si può pensare al rotore come la tendenza di P a ruotare intorno ad un punto fisso.

Torniamo alla matrice J F introdotta in (10.2). E’ noto dalla teoria delle matrici, che ogni matrice reale si può decomporre nella somme di una matrice simmetrica 12¡

A + At¢

e di una matrice antisimmetrica 12¡

A − At¢

. Nel caso di J F si ottiene:

1 2

¡J F−J Ft¢

=

0 ∂A∂y∂B∂x

∂A

∂z∂C∂x

∂B

∂x∂A∂y 0 ∂B∂z∂C∂y

∂C

∂x∂A∂z ∂C∂y∂B∂z 0

 .

Gli elementi della parte antisimmetrica, ovvero quelli non diagonali, sono gli elementi del rot F a parte il segno. Se la matrice J F è simmetrica, allora rot F = 0 .

Nello studio del campo del gradiente, abbiamo risposto al seguente prob- lema: dato un campo vettoriale F, esiste un campo scalare ϕ tale che F = grad ϕ?

I campi che godevano di questa proprietà si sono chiamati conservativi, ed abbiamo dato la condizione necessaria rot F (anche sufficiente se il dominio è semplicemente connesso).

Nello studio del campo del rotore possiamo porci un problema simile:

Dato un campo vettoriale F, esiste un campo vettoriale G tale che F =rot G

?

Dal punto di vista analitico, posto F = (A, B, C) e G = (L, M, N ) il problema posto equivale alla soluzione del sistema di equazioni

A = ∂N

∂y − ∂M

∂z , B = ∂L

∂z − ∂N

∂x , C = ∂M

∂x − ∂L

∂y

dove le funzioni scalari L, M, N sono le incognite da determinarsi in funzione di A, B, C. Se L, M, N sono di classe C2 allora div F = div (rot G) = 0, quindi

∂A

∂x + ∂B

∂y +∂C

∂z = 0

è condizione necessaria perché esista un campo G di cui F sia il rotore.

Esempio 10.7 Si consideri il campo vettoriale F, nella regione D dello spazio R3 delimitata da due sfere concentriche di centro O = (0, 0, 0) e raggi a e b, definito da:

F(P − O) = P − O

|P − O|3 = x i + y j+z k (x2+ y2+ z2)3/2.

(18)

Con qualche calcolo si vede che div F = y2+ z2− 2x2

(x2+ y2+ z2)5/2 + x2+ z2− 2y2 (x2+ y2+ z2)5/2

x2+ y2− 2z2

(x2+ y2+ z2)5/2 = 0 . Supponiamo ora (per assurdo) che esista un campo vettoriale G tale che rot G = F . Se così fosse, per il teorema di Stokes si avrebbe

ZZ

S

rot G· n dσ = Z

C

G· dα , (10.11)

dove S è una superficie sferica di di raggio R concentrica con le superfici che delimitano il dominio D con a < R < b, a cui è stata tolta una calotta polare (vedi figura)

La frontiera di S è la circonferenza C con normale n =|P −O|P −O . Valutiamo il flusso del rotore di G.

ZZ

S

rot G· n dσ = ZZ

S

P − O

|P − O|3 · P − O

|P − O|dσ = 1 R2

ZZ

S

dσ =Area di S R2 essendo ogni punto P della sfera distante R da O. Se riduciamo la calotta polare al solo punto del polo, l’area della sfera diventa 4πR2 ed il flusso del rotore di G diventa 4π. vediamo adesso l’integrale curvilineo in (10.11)

¯¯

¯¯ Z

C

G· dα

¯¯

¯¯ ≤ Z

c

max|G| dα = (max |G|) · (lunghezza di C) .

Quando la calotta tende al polo, la lunghezza di C e quindi anche l’integrale, tendono a zero. Il teorema di Stokes (10.11) non vale, siamo caduti in assurdo e quindi non esisterà in D un campo vettoriale G tale che rot G = F . Lasciamo al lettore di verificare che in questo caso rotF = 0 ma il lavoro su una curva chiusa che racchiude l’origine non è zero.

(19)

L’esempio precedente dimostra che in generale l’ipotesi div F = 0 è una condizione necessaria ma non sufficiente perché un campo vettoriale F sia un rotore. L’esempio dato mostra che le difficoltà nascono dalle proprietà del dominio, ma non vogliamo dare qui le condizioni più generali sotto le quali la condizione div F = 0 diventa sufficiente. Ci limitiamo al seguente:

Teorema 10.8 Sia F : Ω ⊂ R3 → R3, Ω aperto, un campo vettoriale di classe C1(Ω). Sia Ω = (a, b)×(c, d)×(e, f), allora esiste un campo vettoriale G tale che rot G = F se e solo se div F = 0.

Prima di concludere mettiamo un po’ d’ordine nella terminologia. In letteratura un campo vettoriale F tale che div F = 0 si dice solenoidale.

Dopo quanto detto sopra, è evidente che questa definizione non è sempre in accordo con quella già data (un campo è detto solenoidale quando il flusso del campo attraverso ogni superficie chiusa è zero). Le due definizioni sono equivalenti quando la regione Ω ha la proprietà che ogni superficie chiusa in Ω è la frontiera di un solido giacente interamente in Ω. Vale il seguente teorema:

Teorema 10.9 Il flusso di un campo vettoriale F attraverso una superficie chiusa S che racchiude una certa regione dello spazio R3 in cui è definito il campo, è zero, cioè ZZ

S

F· n dσ = 0

se e solo se esiste un campo vettoriale G tale che F =rot G .

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