Conclusioni
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Un elemento che caratterizza fortemente il paesaggio urbano di Lucca all’interno della cinta muraria è l’enorme quantità di edifici religiosi, chiese, oratori, conventi e monasteri diffusi in maniera addirittura capillare. Tutte queste strutture sono mutate nel numero e nell’aspetto nel corso dei secoli per il susseguirsi di numerose vicende storiche, che hanno subito una significativa accelerazione nel corso dell’Ottocento, dal Principato napoleonico al Ducato borbonico fino all’Unità d’Italia.
Fra il 1806 e il 1814 vennero emanati dai Principi Baciocchi una serie di provvedimenti che portarono alla soppressione di molti enti religiosi e alla chiusura di diversi edifici ecclesiastici. L’aspetto e la funzione di molte zone della città cambiarono radicalmente, ma il problema di quale nuovo destino questi edifici potessero avere, non fu certo il principale per la corte che aveva ben maggiori preoccupazioni. Questi interventi furono infatti determinati soprattutto dalle necessità finanziarie del nuovo Stato e per questo non tennero assolutamente conto né del significato morale né del valore storico e artistico che tali istituti avevano per la città e i cittadini.
Fra i luoghi religiosi, gli oratori furono quelli che subirono in modo
ancor più pesante le conseguenze delle soppressioni. Essi erano luoghi di
significativa importanza per la popolazione perché costituivano punti di
riferimento e sedi di numerose associazioni di carattere laico o religioso, nate
con scopi precisi di devozione verso un santo patrono o di assistenza e servizi
sociali nei confronti di poveri, mendicanti o ammalati della città. In queste loro
sedi, i membri dei vari sodalizi non solo si riunivano per pregare e compiere le
diverse attività, ma vi conservavano anche le immagini sacre, le statue dei santi
e gli altri oggetti di devozione ai quali erano legati. Le compagnie offrivano
gratuitamente la loro opera e il loro servizio alla città e vivevano del
sostentamento che ricevevano dalle offerte ricevute; esse erano quindi
generalmente povere e dopo la chiusura degli oratori, solo alcune di esse
seppero risollevarsi.
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Subito, infatti, diverse compagnie, spesso sostenute dai cittadini lucchesi, cercarono di sopravvivere e riappropriarsi delle loro sedi. La maggior parte di questi sodalizi, forti della propria stessa devozione e dedizione, riuscì a continuare a riunirsi e operare, seppure con grandi difficoltà, appoggiandosi, nella maggior parte dei casi ad altre strutture. Tutto questo non fece altro che contribuire al deperimento degli oratori rimasti chiusi. Altri, in alcuni casi costruzioni molto antiche, fondate appositamente dalle confraternite o da ricchi abitanti lucchesi in luoghi miracolosi o a ricordo di particolari eventi, furono subito destinati ad altri usi e quindi modificati per la nuova destinazione o spogliati dell’arredo che andò disperso in altre chiese rimaste aperte o addirittura negli edifici di rappresentanza della corte.
Con il passaggio dal principato dei Baciocchi al ducato dei Borbone a Lucca, il nuovo governo decise di restaurare tutti i beni e gli edifici ecclesiastici, cercando di riportare questi ultimi al loro uso religioso. Ma non fu un’operazione sempre possibile. Molti edifici erano stati irrimediabilmente spogliati di tutto il proprio arredo; tele e suppellettili disperse. E se, in alcuni casi, alcuni oratori furono riaperti, subirono anche questi nuove trasformazioni nello stesso tentativo di ripristinare gli spazi. Oltretutto, avendo ottenuto nel frattempo nuove sedi, è probabile che le compagnie non avessero più interesse a recuperare l’uso dei vecchi edifici. Passato il tempo e nell’impossibilità di trovare soluzioni diverse, il passaggio di proprietà e la destinazione per nuovi scopi fu una conseguenza quasi obbligata.
La storia stessa della città, dunque, con il succedersi di governi e
atteggiamenti politici molto diversi in un arco di tempo così breve, non fece
che contribuire alla perdita di molti beni artistici e, nel caso particolare, di
questi edifici, ai quali era riconoscibile un grande valore storico e artistico per
le antiche tradizioni che li caratterizzavano e per la ricchezza di arredi e
decorazioni che in molti casi contenevano. Il colpo di mano dei Baciocchi,
attuato con la loro pesante politica di soppressione e indemaniazione delle
proprietà ecclesiastiche, fu particolarmente impetuoso e incontrollabile. La
stasi e la confusione del brevissimo Governo provvisorio che sostituì il
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principato non portò alcuna soluzione ai danni compiuti. Per i Borbone giunti in seguito, il recupero di tutto ciò che era stato ormai venduto e trasformato non fu facile e, in alcuni casi, impossibile.
Infine, nella seconda metà dell’Ottocento, dopo l’annessione della Toscana al Regno d’Italia, molti enti ecclesiastici e le loro sedi subirono nuovamente la soppressione, stavolta definitiva, in seguito alle leggi emesse dal Regno per tutto il territorio italiano negli anni Sessanta. Tutti gli edifici indemaniati furono occupati da organi e uffici dello Stato stesso o rivenduti. I complessi più grandi furono destinati ad ospitare biblioteche, archivi e altre strutture di utilità pubblica, mentre gli edifici minori come gli oratori, furono venduti nel corso degli anni a singoli privati o, in tempi più recenti, a società che ne hanno fatto gli usi più disparati.
Tutte queste vicende si sono ripercosse nel tempo e in modi diversi sulla città stessa. All’origine, gli oratori erano, per la loro funzione, punti di aggregazione non solo a sfondo strettamente religioso. Con la perdita di questi luoghi, le associazioni che vi facevano capo persero un punto di riferimento, disperdendosi, spostandosi in altri spazi, modificando necessariamente la vita e i caratteri strutturali del territorio urbano, privando la città stessa di una parte della propria storia e delle proprie tradizioni.
La relazione con il quartiere in cui gli oratori sorgevano doveva essere assai stretta; l’attività ricca e diversificata promossa dalle numerose confraternite ha influenzato ogni zona urbana in maniera peculiare, trasformando gli oratori in significativi poli di aggregazione, instaurando una relazione con l’area cittadina e la sua vita.
Nel desiderio di affermare la propria presenza e mantenere un certo
prestigio, le compagnie stesse erano spesso committenti di lavori che
abbellissero il proprio oratorio e le adiacenze. Quest’attività parallela si
riscontra nella ricchezza degli apparati mobili e immobili e nelle decorazioni
murarie che arredavano gli interni che, come si è detto, nella maggior parte dei
casi sono andati irrimediabilmente perduti. In casi come l’oratorio di via
Busdraghi, usato ora come magazzino, o degli oratori del SS. Nome di Gesù
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dei Poveri o del Gonfalone, trasformati in attività commerciali, non c’è più modo di ricostruire quale possibile impianto esistesse internamente se non addirittura di riconoscere la struttura esterna.
Fra i vari esempi che sono stati riportati in questa ricerca, è possibile schematizzare le scelte attuate nella trasformazione degli oratori in fabbricati d’uso civile. Gli edifici passati a privati hanno prevalentemente assunto la funzione di abitazione o esercizio commerciale; sempre nell’ambito della proprietà privata, in casi come per S. Caterina degli Orfanelli o l’oratorio della Maddalena, i possessori presenti sono istituti bancari o agenzie di credito che nella ristrutturazione hanno rispettato quanto meno le forme dell’involucro esterno. Infine un’inclinazione diversa è stata seguita dal Comune di Lucca per gli ex oratori di S. Girolamo e S. Lorenzo dei Servi di cui è entrato in possesso.
Gli interventi attuati in questi casi dimostrano l’interesse per un recupero più attento degli spazi, trasformati in auditorium e destinati alla fruizione pubblica;
in seguito a progetti accuratamente studiati, i due oratori hanno subito restauri critici e interventi aggiuntivi tesi a riportare alla luce le strutture e le decorazioni originali e a mantenere una distinzione riconoscibile fra i rimaneggiamenti moderni funzionali all’attuale destinazione e la struttura primitiva.
Dunque è possibile affermare che, almeno in tempi più recenti, le scelte attuate abbiano maggiormente puntato a recuperare l’identità di questi edifici, se non altro nei tratti principali. Un ulteriore elemento non meno trascurabile è che l’evoluzione delle conoscenze tecniche nel campo del restauro e delle possibilità pratiche di intervento hanno molto influito sulle soluzioni attuabili:
nei casi in cui le modifiche siano state messe in atto negli ultimi dieci -
quindici anni, la possibilità di usare tecnologie e materiali moderni e la
formazione degli architetti maggiormente basata sulla cultura della
conservazione e affiancata dal ruolo fondamentale della Soprintendenza, hanno
portato all’attuazione di progetti che hanno coniugato nel migliore dei modi
strutture sofisticate ai complessi edilizi antichi.
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Nel lungo arco di tempo considerato, inoltre, non solo lo sviluppo in campo tecnico è stato determinante per una svolta positiva nel recupero di un tale patrimonio non riconosciuto e minacciato dall’incuria passata. Estendendo il discorso più in generale, la stessa cultura della conservazione e l’atteggiamento sul tema del recupero e riuso di questo tipo di immobili sono molto cambiati e si sono evoluti in seguito ad un dibattito continuo.
Nei primi decenni dell’Ottocento si diffuse una vera e propria politica di tutela degli oggetti d’arte. A dimostrazione di questa nuova sensibilità, furono emesse in Toscana le leggi che proibivano l’alienazione di opere d’arte appartenenti a istituti religiosi o istituzioni pubbliche. A Lucca stessa, Maria Luisa di Borbone emanò un decreto nel 1819
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Riguardo agli edifici però, l’atteggiamento assunto dagli organi di governo dell’epoca non si può paragonare alla cultura della conservazione che si ha oggi. Tanto meno esisteva ancora un concetto di restauro, recupero e riuso degli immobili come noi oggi lo intendiamo. Nella ridefinizione degli usi degli immobili acquisiti dallo Stato o alienati, essi vennero considerati soltanto dei contenitori, degli involucri che dovevano essere funzionali alle esigenze del governo e a quelle personali dei nuovi proprietari, che non tenevano evidentemente conto del rapporto degli edifici con i loro contenuti e con il contesto in cui erano inseriti, facendo passare in subordine la relazione e l’influenza reciproca fra le singole costruzioni e l’area circostante che invece concorrono a definire lo spazio urbano.
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