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D ISORDINE DELLO S PETTRO A UTISTICO : C ARATTERIZZAZIONE , D IAGNOSI E S TUDI

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C APITOLO 2

D ISORDINE DELLO S PETTRO A UTISTICO : C ARATTERIZZAZIONE , D IAGNOSI E S TUDI

N EUROSCIENTIFICI

D i tutte le patologie neuropsichiatriche ad oggi conosciute, il disturbo autistico rappresenta una delle principali a trarre giovamento dall’applicazione delle nuove tecnologie di diagnosi e studio neurologico, quali la Diffusion Tensor Imaging, argomento di analisi di questo lavoro di tesi.

L’approccio neuroscientifico allo studio di questa patologia, così complessa e sfaccettata da rendere inefficaci i metodi clinici più triviali, e le nuove tecnologie a supporto di tale studio, consentono di risolvere questioni aperte circa la natura del disagio, identificando nei pazienti affetti le anormalità nel comportamento e nello sviluppo cerebrale.

In tale senso uno dei più promettenti esempi di tecnologie recentemente sviluppate che permettono di analizzare la struttura e le funzioni cerebrali è costituito dalle metodiche di neuroimaging, quali la risonanza magnetica (MRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET) per la determinazione delle proprietà fisiche e strutturali del cervello, e la MRI funzionale, per l’esplorazione delle basi neuropsicologiche dei deficit nelle cognizioni sociali e nelle funzioni esecutive, che costituiscono le caratteristiche principali dell’autismo.

La disponibilità di tecnologie ancora più avanzate, quali la DTI, tuttavia, ha comportato la possibilità di

indagare direttamente in vivo la struttura delle connessioni cerebrali, consentendo di correlare la

connettività funzionale con i sintomi comportamentali relativi all’autismo ed effettuando un passo in

avanti verso la comprensione del fenotipo cerebrale alla base del disturbo neuropsichiatrico.

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La procedura di analisi delle immagini ricavate dalle acquisizioni DTI descritta in questo lavoro di tesi, infatti, potrà essere applicata allo studio sulla patogenesi dei disordini inerenti allo sviluppo (autismo), cercando un riscontro valido in termini di connettività cerebrale: ciò che si vuole verificare è la presenza di connessioni anomale o alterate rispetto ai casi non patologici, e, qualora vi siano, valutarne eventuali legami con il range comportamentale dei pazienti per determinare con esattezza le aree coinvolte e associate ad ogni singolo processo o sintomo.

Nell’ottica di inquadrare questo lavoro di tesi, che si concentra sugli strumenti tecnologici più idonei a fornire informazioni clinicamente sempre più valide nel campo dell’analisi di disturbi neuropsichiatrici, in questo capitolo verrà presentato un quadro generale dei Disordini dello Spettro Autistico (DSA), focalizzando l’attenzione su sintomi, cause e possibilità di diagnosi. Ci si soffermerà quindi sulle anormalità del sistema nervoso presenti nei soggetti autistici illustrando l’importanza di un approccio neuroscientifico per la diagnosi e il trattamento della patologia.

A tal proposito e per sottolineare il contributo offerto dalle nuove metodiche di imaging di diffusione nella ricerca, verrà brevemente descritto lo stato dell’arte di alcune tra le principali scoperte realizzate proprio tramite l’applicazione di questi importanti mezzi di indagine.

2.1 Disordine dello Spettro Autistico

2.1.1 Che cosa si intende per “autismo”

Secondo le stime attuali, l’autismo è un disturbo neuropsichiatrico molto comune, che colpisce almeno un bambino su cinquecento. Nonostante la sua notevole incidenza, questa patologia è ancora molto poco conosciuta, probabilmente perché estremamente eterogenea: non esistono, infatti, casi di bambini o adulti con un profilo patologico o sintomatico esattamente coincidente, per cui sia possibile identificarli con una stessa tipologia di disturbo. Per tenere conto di questa diversità e per sottolineare la singolarità dell’assenza di sintomi chiaramente identificabili ed universali per tutta la popolazione colpita, più che al termine “autismo” si dovrebbe fare riferimento alla dicitura Disordine dello Spettro Autistico ( DSA ).

Fino a circa la metà del secolo scorso, di questa malattia non si aveva ancora nessun tipo di

informazione, al punto da non essere neanche identificata con il nome di “autismo”. Nel 1943 Leo

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Kanner del John Hopkin’s Hospital, in seguito ad uno studio su 11 bambini, introdusse nella lingua inglese la definizione di autismo infantile precoce (early infantile autisme). Nello stesso periodo Hans Asperger, un ricercatore di lingua tedesca, descrisse la forma più lieve di questo disturbo, che divenne nota come Sindrome di Asperger . Tali sviluppi, attualmente catalogati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), sono stati descritti e indicati, insieme alla Sindrome di Rett e al Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, come Disturbi Pervasivi dello Sviluppo ( PDD ).

Tutti questi disturbi sono accomunati e caratterizzati da disabilità di diversa gravità nell’ambito delle capacità comunicative e dell’interazione sociale, nonché da modelli di comportamento ristretti, ripetitivi e stereotipati [5].

L’autismo, in particolare, si sviluppa nei primi anni di età e i sintomi diventano più evidenti man mano che il bambino comincia a crescere e le connessioni cerebrali si sviluppano.

Negli ultimi anni, studi sulla genetica, sullo sviluppo neuronale e sulle anormalità nell’interazione sociale effettuati su bambini affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo (autistici), hanno fornito un contributo basilare in vista della possibilità di determinare delle basi comuni all’interno della patologia e di svilupparne delle eventuali terapie. Ciò ha portato ad un interesse e ad un impegno nella ricerca sempre maggiori [6].

2.1.2 Le cause

Ancora oggi rimane solo ipotizzata la causa che determina l’insorgenza del disturbo autistico, così come rimane da studiare la concatenazione di eventi patologici che provocano l’insorgenza di un quadro sintomatologico così complesso e variegato, che si correla con il non corretto funzionamento di strutture distinte, sia dal punto di vista anatomico che funzionale, conducendo quindi ad ipotizzare una compromissione multisistemica, di origine verosimilmente multifattoriale.

Rimane, infatti, ancora argomento di dibattito se l’autismo sia causato da traumi sociali o derivi da anomalie cerebrali a livello fisiologico ed anatomico.

La maggior parte degli autori concorda comunque sulla presenza di una causa biologica del disturbo, come la disfunzione di un sistema o una sua lesione, ed è stata quasi completamente abbandonata l’ipotesi di un’origine psicosociale o psicodinamica: risultano, infatti, chiare le alterazioni genetiche, neuronali, sensoriali, biochimiche ed immunologiche.

Diversi indizi portano attualmente ad ipotizzare che la componente genetica abbia un ruolo rilevante

nella sindrome autistica. La maggiore incidenza del disturbo nei maschi si potrebbe, per esempio,

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attribuire ad anomalie dei cromosomi sessuali, tanto più che le manifestazioni sintomatiche nelle femmine risultano essere più gravi [7]. Inoltre, da diversi studi condotti su coppie di gemelli è emerso che per un gemello monozigote di una persona affetta da disturbi pervasivi dello sviluppo, la probabilità di una diagnosi di autismo è molto maggiore di quella di un gemello dizigote [8].

Gli studi effettuati su gemelli indicano che l'autismo è da considerare un disturbo fortemente genetico, e i linkage e le anomalie cromosomiche riscontrate sembrano confermare l’implicazione di specifiche regioni cromosomiche nell’insorgenza della malattia.

L'insieme di questi studi genetici suggerisce come l'autismo sia un disturbo geneticamente eterogeneo e poligenico, dovuto ad un effetto additivo ed epistatico di molti geni differenti, ognuno dei quali è responsabile di un piccolo effetto fenotipico. A causa della grande eterogeneità genetica, numerose differenti varianti genetiche possono essere implicate nella malattia: si pensa, a tal proposito, che in futuro sarà possibile eseguire uno screening al fine di identificare i geni rilevanti in ogni singolo fenotipo autistico, portando ad implicazioni importanti per il futuro trattamento della patologia [9].

Oltre alle alterazioni geniche, alla base dell’autismo ci sono anche alterazioni a livello neuronale e sensoriale: lo sviluppo anormale del cervello causa deficit all’interno delle aree più importanti del sistema nervoso centrale, sia di alto che di più basso ordine. Le anomalie cerebrali che si riscontrano nei soggetti autistici verranno descritte più dettagliatamente in seguito.

Molti individui autistici sembrano soffrire di una alterazione di uno o più sensi. Questa alterazione può coinvolgere il sistema uditivo, visivo, tattile, gustativo, vestibolare, olfattivo, propriocettivo. La percezione sensoriale può essere, inoltre, ipersensibile, iposensibile o può provocare al soggetto interferenze [10].

Da un punto di vista biochimico, invece, i soggetti autistici presentano livelli di serotonina nel sangue e nei fluidi cerebrospinali altamente variabili.

Alla presenza di disturbi autistici, inoltre, è stato associato un sistema immunitario disfunzionale: si

pensa che un’infezione virale o una tossina ambientale possano essere responsabili di danni al sistema

immunitario. Alcuni ricercatori hanno riscontrato, a tal proposito, che molti individui autistici hanno un

numero ridotto di cellule T-helper, fondamentali nel sistema immunitario a combattere le infezioni.

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2.1.3 I sintomi

Tutti i bambini affetti da Disturbo dello Spettro Autistico manifestano dei deficit evidenti nelle principali funzioni neurologiche, di grado variabile da soggetto a soggetto. Caratteristiche comuni della patologia sono (Fig. 2.1):

Difetti nell’interazione sociale

Deficit nella comunicazione verbale e non verbale Comportamenti ed interessi ripetitivi e stereotipati

Fig. 2.1 – Schematizzazione dei sintomi del DSA (Disturbo dello Spettro Autistico).

La maggior parte dei bambini affetti da autismo sembra avere enormi difficoltà nell’imparare a prendere parte alla reciprocità dell’interazione umana quotidiana. La menomazione qualitativa nelle interazioni sociali reciproche si evidenzia nell’incapacità di comportamenti non verbali come il contatto oculare, la mimica facciale, la postura ed i gesti comunicativi, nell’incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei appropriate rispetto al livello di sviluppo, nella mancanza di condivisione spontanea di esperienze con gli altri e nella mancanza di reciprocità sociale ed emozionale. Tali manifestazioni, tipiche del disturbo autistico, si ritrovano costantemente durante l’intero ciclo di sviluppo e di crescita dell’individuo, ma possono subire delle variazioni in base ai differenti contesti ed essere d’intensità variabile da soggetto a soggetto o a seconda del grado di disturbo presentato.

La menomazione qualitativa nella comunicazione interessa sia l’area verbale che non verbale, in maniera diversa a seconda dell’età e della profondità del disturbo, manifestandosi con un ritardo o con la totale assenza di linguaggio. Nei soggetti che parlano, può esservi una notevole compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri, o un uso stereotipato, ripetitivo ed eccentrico del linguaggio. Spesso il tono, il volume, la velocità, il ritmo e la sottolineatura del linguaggio sono anomali (per esempio, il tono di voce può contenere accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative).

Un elemento caratteristico della sindrome è, inoltre, la presenza di comportamenti stereotipati che

tendono a ripresentarsi frequentemente nel corso della giornata, apparentemente non finalizzati, fino a

divenire, nei casi più gravi, l’unica attività effettuata.

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I soggetti affetti da Disturbo Autistico, in particolare da Sindrome di Asperger, mostrano una gamma di interessi notevolmente ristretta, e sono spesso eccessivamente assorbiti da singoli aspetti o da particolari. Si riscontra una marcata resistenza al cambiamento che per alcuni può assumere le caratteristiche di un vero e proprio terrore fobico: in questo caso, la persona tende ad esplodere in crisi di pianto o di riso, a diventare autolesionista e aggressiva verso cose o persone. Altri soggetti, al contrario, mostrano un’eccessiva passività e un’ipotonia che sembra renderli impermeabili a qualsiasi stimolo.

Accanto ai sintomi appena descritti, sono frequentemente presenti una serie di altri sintomi meno specifici, quali la presenza di posture anomale, deficit di coordinazione e di organizzazione della motricità, alterazione della percezione (es. uditiva con iperacusia) che determina risposte abnormi a stimoli sensoriali di intensità normale, manierismi alimentari riguardo sia la modalità di assunzione che la qualità del cibo assunto (fino a giungere a restrizioni della dieta a solo 2-3 alimenti), disturbi del sonno, ansia generalizzata non sempre riconducibile ad una situazione scatenante, reazioni affettive bizzarre e tono dell’umore labile.

2.1.4 La diagnosi

Attualmente, per una diagnosi accurata e puntuale di autismo, i clinici si basano principalmente su una valutazione delle caratteristiche comportamentali. Alcuni comportamenti caratteristici di tale patologia, tra quelli descritti nella sezione precedente, possono essere evidenti fin dai primi mesi di vita, altri possono presentarsi all’improvviso, durante i primi anni. Per fare diagnosi di autismo è indispensabile che entro i tre anni di vita si manifestino problemi in almeno una delle seguenti aree: comunicazione, socializzazione, comportamenti restrittivi.

La diagnosi richiede un procedimento in due fasi: la prima fase comporta uno screening dello sviluppo nel corso di controlli pediatrici regolari, la seconda richiede una valutazione omnicomprensiva, effettuata da équipe multidisciplinari. Nella prima fase vengono utilizzati degli strumenti di screening che consentono di cogliere tempestivamente le informazioni sulle abilità sociali e comunicative del bambino; alcuni di questi strumenti si basano soltanto sulle risposte dei genitori alle domande di un questionario, altri si basano su una combinazione di testimonianza dei genitori ed osservazione diretta.

Gli strumenti di screening non forniscono una diagnosi individuale, ma servono a valutare se siano necessari ulteriori accertamenti verso la diagnosi della sindrome.

La seconda fase della diagnosi, che permette di identificare o escludere con certezza l’autismo o altri

problemi di sviluppo, deve essere omnicomprensiva e richiede l’intervento di un’équipe

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multidisciplinare comprendente uno psicologo, un neurologo, un neuropsichiatra infantile, un logopedista, o altri professionisti con competenze nella diagnosi di tali patologie. Poiché l’autismo è un disturbo complesso, che può comportare altri problemi neurologici o genetici, una diagnosi omnicomprensiva dovrebbe comprendere la valutazione neurologica e genetica, insieme ad accertamenti approfonditi in ambito cognitivo e logopedico.

Di norma, un’équipe esperta di diagnosi ha la responsabilità di effettuare una valutazione completa del bambino, comprensiva dei suoi punti forti e dei suoi punti deboli, e di formulare una diagnosi formale e puntuale. Successivamente la stessa équipe incontra i genitori per comunicare loro i risultati della valutazione tecnica e psicologica, decretando il proprio giudizio clinico.

2.2 Aspetti cognitivi e neuropsicologici

Negli ultimi 40 anni, i neuropsichiatri hanno tentato di identificare i deficit cognitivi alla base dei più comuni disturbi comportamentali che si ritrovano nelle diverse forme autistiche.

Gli studi effettuati hanno condotto alla formulazione di differenti teorie riguardo le modalità di funzionamento cognitivo e neuropsicologico dei soggetti affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo (DSA).

La differenziazione in questi modelli nasce dalla disomogeneità di presentazione del disturbo stesso e dalla compromissione di diverse aree, problemi che rendono estremamente complessa l’operazione di riconducibilità delle differenti forme ad un’unica alterazione o percorso patogenetico. Tra queste teorie le più accreditate sono quattro (naturalmente tutte validate grazie ad opportune evidenze cliniche):

1. Teoria della mente

2. Teoria dell’alterazione delle funzioni esecutive 3. Teoria della debole coerenza centrale

4. Teoria del cervello maschile

Le diverse versioni della Teoria della mente ipotizzano una disfunzione nella capacità dei soggetti

patologici di orientarsi nel mondo interpersonale, interfacciandosi con gli interlocutori esterni attraverso

l’automatica attribuzione di stati mentali, intenzioni e punti di vista. I soggetti affetti da Sindrome di

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Asperger, infatti, non sono in grado di rappresentarsi lo stato mentale altrui e di sé stessi, di raffigurarsi un agire che tenga conto delle credenze e dei pensieri soggettivi e di rispondere agli stimoli ambientali, se non dentro un rapporto oggettuale, vissuto nel concreto. Tale teoria, che è anche la più accreditata, è dimostrata dall’attivazione di aree della corteccia cerebrale diverse nei soggetti patologici rispetto a quelli normali [11].

Nella Teoria delle funzioni esecutive, con il termine “funzioni esecutive” ci si riferisce alle funzioni di più alto livello che includono la memoria di lavoro, la pianificazione, l’intenzione, la flessibilità cognitiva e l’inibizione. La disfunzione esecutiva nell’autismo è evidente a causa della presenza di comportamenti perseverativi, rituali e di azioni motorie ripetitive. Queste funzioni vengono generalmente svolte dai lobi frontali del cervello umano, che nei soggetti autistici risultano concretamente danneggiati [12].

La Teoria della debole coerenza centrale si riferisce alla difficoltà dei soggetti in esame di effettuare un processing globale delle informazioni provenienti dall’ambiente circostante e all’aumentata abilità nel processare dettagli locali. Tale disfunzione coinvolge sia caratteristiche sociali che non sociali del quadro autistico. Questa teoria è giustificata dal fatto che è stata riscontrata nei soggetti affetti da DSA una maggiore attivazione delle aree occipitali e temporali piuttosto che di quelle della corteccia prefrontale, suggerendo un aumento del processing a livello sensoriale piuttosto che un’integrazione olistica degli stimoli funzionali [13].

Secondo la Teoria del cervello maschile, invece, l’autismo è la manifestazione estrema di un profilo cognitivo solitamente appartenente al genere maschile. Questa teoria è supportata da basi comportamentali: le femmine sembrerebbero favorite, infatti, in ambiti quali il linguaggio, la comunicazione pragmatica, ed altri ambiti sociali e comunicativi. Supporti biologici derivano anche da un riscontrato aumento del tasso di testosterone nei soggetti affetti da Sindrome di Asperger.

Come è possibile dedurre da questa breve descrizione, tuttavia, nessuno dei modelli formulati è in grado di rappresentare in maniera convincente ed unitaria la realtà autistica, in tutta la sua complessa sintomatologia e multiformità di presentazione. Questi modelli inoltre cercano di evidenziare i deficit cognitivi presenti nei soggetti patologici senza però identificare le caratteristiche neuronali alla base del disordine.

Nonostante ciò, essi risultano essere necessari come base e guida per la ricerca futura, con la

consapevolezza che, alla luce dei progressi ottenuti, verranno sostituiti o modificati opportunamente.

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2.3 Studi neuroscientifici sull’autismo

Nei paragrafi precedenti si è visto come la diagnosi e il trattamento dell’autismo convenzionali si basino esclusivamente su criteri comportamentali e psicologici.

Le psicoterapie relazionali, gli interventi psico-educativi e quelli riabilitativi, inducendo grossi miglioramenti sul piano comportamentale, dei meccanismi psico-mentali, delle capacità cognitivo- intellettive (confermati dall’applicazione di numerose scale di valutazione), non sono in grado, tuttavia, di darne spiegazioni scientifiche valide: questi non dimostrano, infatti, se la ristrutturazione dell’ Io sia determinata da una regressione della psicopatologia o da un miglioramento del funzionamento cerebrale e/o da un riequilibrio del meccanismo dei numerosi neurotrasmettitori chiamati in causa.

Anche per quanto concerne la diagnosi, i criteri attualmente impiegati risultano essere insoddisfacenti perché consentono una diagnosi relativamente tardiva rispetto a quello che è considerato essere lo stadio critico dell’autismo, cioè quello che si verifica durante le prime fasi dell’infanzia, proprio quando il cervello inizia a formarsi.

Una comprensione maggiormente soddisfacente del DSA richiede quindi un approccio multidisciplinare per poter affiancare agli studi psicopatologici, studi più approfonditi sulla struttura e le funzioni del cervello e sulla modalità di funzionamento dei neurotrasmettitori [14, 15].

A tal proposito, nei paragrafi seguenti verranno presentati alcuni dei risultati ottenuti in tale campo di indagine sfruttando le principali metodiche di imaging cerebrale (MRI, fMRI e le nuove tecniche di Diffusion MRI), soffermandoci sull’importanza da loro assolta in ambito diagnostico e terapeutico, ma soprattutto sull’opportunità da loro offerta di una maggiore comprensione dei meccanismi alla base di questa complessa patologia che è il Disturbo dello Spettro Autistico.

2.3.1 Neuropatologia e imaging cerebrale

Gli studi di neuropatologia effettuati su pazienti affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo si basano principalmente su analisi di tessuti post-mortem, per mezzo anche di tecniche di imaging non invasive, finalizzate a determinare le regioni cerebrali coinvolte nei meccanismi classici della patologia.

Uno dei primi risultati da questi ottenuti, consiste nella dimostrazione che il volume cerebrale dei

soggetti autistici subisce una crescita rispetto alla norma (Fig. 2.2): Baily et al., ad esempio, esaminando

cervelli post-mortem di individui dai 4 ai 24 anni di età, hanno riscontrato casi di megaloencefalia con una

media di quattro volte su sei.

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Fig. 2.2 – Aumento del volume cerebrale in un soggetto autistico.

Tali risultati sono stati confermati successivamente dagli studi di Risonanza Magnetica (MRI).

Basandosi su questi studi, alcuni mesi fa, Courchesne ha formulato una nuova e provocatoria ipotesi secondo cui lo sviluppo anormale del cervello si articolerebbe in due fasi (vedi Fig. 2.3): una lenta riduzione della circonferenza cerebrale alla nascita ed una crescita improvvisa ed eccessiva di tale circonferenza nello sviluppo successivo [16].

Fig. 2.3 – Sviluppo del cervello nei bambini autistici e nei bambini normali.

Questo accrescimento anormale non sarebbe uniformemente distribuito. Usando la tecnologia della

MRI-imaging, Courchesne e i suoi colleghi hanno potuto identificare i tessuti in cui questo aumento di

crescita risulta essere più pronunciato, vale a dire: i neuroni-stratificati della materia grigia della corteccia

cerebrale e della materia bianca sottostante, che contengono le proiezioni di connessione fibrosa da e

verso la corteccia, e altre aree del cervello, tra le quali il cervelletto.

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Studi neuropatologici regionali hanno messo in evidenza possibili alterazioni nel tronco encefalico, nel cervelletto e nelle strutture del sistema limbico, che comprende l’ippocampo, l’amigdala, il nucleo septico e la corteccia cingolata anteriore, aree note in campo clinico come “Social Brain” poiché deputate a veicolare le informazioni legate allo stato emotivo e mnemonico dell’individuo [17].

In base agli studi di Kemper e Barman, che hanno esaminato tessuti cerebrali post-mortem di quasi 30 soggetti autistici, è emerso che le cellule del sistema limbico dei soggetti autistici sono tipicamente piccole e sottilmente impachettate assieme; se comparate alle cellule corrispondenti di soggetti normali, esse appaiono insolitamente immature, avendo una complessità dell’albero dendritico ridotta rispetto alla norma [18].

Aylward et al. hanno messo in evidenza, tramite studi di risonanza magnetica una diminuzione del volume dell’amigdala e dell’ippocampo, mentre Haznedar et al. hanno osservato, tramite PET (Positron Emission Tomography), una diminuzione del volume e una diminuzione dell’attività della corteccia cingolata anteriore. Bauman e Kemper, invece, hanno evidenziato un’anormalità intrigante anche nel cervelletto di autistici adulti e bambini a confronto: le cellule di Purkinje risulterebbero numericamente molto ridotte (vedi Fig.2.4) [18].

A tale proposito, Fatemi e collaboratori hanno evidenziato che, oltre ad una riduzione nel numero, sembrerebbe ci sia anche una riduzione delle dimensioni delle cellule di Purkinje, mentre la densità non varia [19].

Fig. 2.4 – A) Cellule di Purkinje in un cervelletto normale; B) Riduzione del numero di cellule di Purkinje nel cervelletto di un soggetto autistico.

Le barre di scala misurano 200 μm a sinistra e 50 μm a destra.

Le cellule di Purkinje hanno il ruolo di inibire gli output eccitatori provenienti dal nucleo profondo del

cervelletto: una riduzione del numero di tali cellule rende il nucleo privo di inibizione portando ad una

connettività anomala lungo il circuito cervelletto-talamo-corteccia cerebrale. Ne risultano anomalie sia a

livello anatomico che funzionale, quali l’eccessiva crescita delle aree corticali, l’iper-eccitazione delle

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proiezioni talamo-corticali e l’inappropriata modulazione dei potenziali correlati agli eventi. Tutto ciò aumenta il “rumore” nel sistema nervoso centrale e riduce l’efficienza nel processamento dell’informazione [20].

Nonostante le scoperte sui deficit delle cellule di Purkinje siano le più evidenti, gli studi neuropatologici rivelano altre anormalità a livello del cervelletto: ad esempio, Bauman e Kemper hanno evidenziato anche una riduzione delle cellule granulari ed un aumento delle dimensioni dei neuroni dei nuclei cerebellari profondi [18].

Per mezzo degli studi di imaging, inoltre, si riescono a mettere in luce ulteriori anomalie che riguardano la struttura del cervelletto: Courchesne ha potuto osservare, analizzando con tecniche di risonanza magnetica il cervelletto di pazienti autistici, un’ipoplasia del verme posteriore in corrispondenza dei lobuli VI e VII, a volte associata a ipoplasia degli emisferi cerebellari, correlata in maniera apparentemente proporzionale alla gravità dei sintomi (vedi Fig. 2.5). Tuttavia, alcuni pazienti mostravano invece un’iperplasia degli stessi. Dato che le persone affette dalla Sindrome di Asperger necessitano di tempi più lunghi del normale per spostare l'attenzione, egli, dopo ulteriori indagini, concluse che i lobuli VI e VII potessero avere un ruolo in questo senso, con una conseguente perdita d’informazioni su contesto e contenuto.

Fig. 2.5 – Immagini di RM che rappresentano il cervelletto di un soggetto normale e di un soggetto autistico e sovrapposizione dei vermi cerebellari.

Da queste osservazioni si evince come il cervelletto sia una delle sedi più comuni delle anormalità

anatomiche del DSA. La patologia cerebellare può influenzare i comportamenti e i sintomi del soggetto

autistico attraverso almeno due vie: una via diretta, secondo cui i difetti anatomici del cervelletto

causano anomalie nelle funzioni in cui esso è implicato, quali funzioni cognitive, sociali ed emotive; una

via indiretta, dovuta alla connessione del cervelletto con diverse aree cerebrali che risentono delle sue

disfunzioni.

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Gli studi neuropatologici non hanno al momento messo in evidenza alcuna anormalità, a livello globale, della neocorteccia. Solamente alcune indagini di risonanza magnetica hanno rivelato un’estensione del solco parietale ed un assottigliamento del corpo calloso.

Anormalità evidenti, invece, sono state riscontrate a livello delle minicolonne della neocorteccia.

Le minicolonne sono le unità fondamentali del processamento delle informazioni e sono costituite da cellule piramidali e da interneuroni assemblati verticalmente. Gli studi realizzati da Casanova [21] e da Courchesne [22] mettono in evidenza una diminuzione delle dimensioni di tali unità ed un aumento in numero delle stesse nei soggetti autistici. Tale anomalia morfometrica è strettamente dipendente dall’area della corteccia in cui esse si trovano: la massima anormalità si ha nella corteccia frontale dorsale e orbitale; differenze inferiori si ritrovano nella corteccia temporale, mentre non si riscontrano anormalità nella corteccia visiva primaria.

Il motivo per cui le minicolonne risultano essere sottosviluppate può essere dovuto ad un difetto nella migrazione dei neuroni, che vanno a distribuirsi in modo non uniforme all’interno dei diversi livelli.

Le aree in cui le anormalità delle minicolonne sono più evidenti sono quelle più deficitarie nei soggetti autistici: la corteccia frontale, infatti, è quella che regola funzioni di alto livello quali funzioni sociali, emotive e cognitive, che nei soggetti con DSA risultano essere compromesse.

2.3.2 Neuroimaging funzionale

La Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) è una particolare tecnica di imaging in grado di valutare la funzionalità di un organo o di un apparato, in maniera complementare all'imaging morfologico, per riuscire a localizzare, a livello neurale, le aree cerebrali attivate in risposta a particolari task cognitivi:

nell’ambito delle ricerche sul DSA, questa metodica si prefigge di riuscire a correlare la connettività funzionale dei distretti cerebrali con i sintomi comportamentali classici della malattia, fornendo un mezzo utile a stabilire la terapia più adatta a ciascun paziente.

Dato che la diagnosi dell’autismo è principalmente basata su disturbi comportamentali normalmente mappati da specifiche reti cerebrali, questa tecnica di imaging funzionale risulta essere un ottimo strumento di indagine, utile ad esaminare i sistemi neuronali danneggiati dalla patologia (vedi Fig. 2.6).

In particolare gli studi di fMRI, così come anche quelli di Diffusion MRI, hanno rivolto la loro attenzione verso le disfunzioni a livello di interazione sociale, concentrandosi su quelle aree, meglio note come

“Social Brain”, che nel cervello umano assolvono a questi compiti.

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Sono stati esaminati, a riguardo, numerosi task cognitivi, quali la percezione delle espressioni facciali, l’attenzione, l’empatia e la cognizione sociale, ed è stato visto come si riscontri una diminuzione dell’attività proprio localizzata alle regioni che governano queste funzioni: deficit nell’attenzione, ad esempio, sono associati ad una riduzione dell’attività nel solco temporale superiore posteriore (Pelphery et al.); deficit nella percezione sociale e nelle emozioni, invece, sono associati ad una riduzione dell’attività nell’amigdala (Baron-Cohen, Critchley et al., Pierce et al.).

Fig. 2.6 – Anormalità funzionali nel cervello autistico: A) Immagine di fMRI che mostra l’ipoattivazione del giro fusiforme; B) Schematizzazione del cervello che mostra le aree ipoattivate nel cervello autistico (IFG, giro frontale inferiore; pSTS, solco temporale superiore posteriore; SFG, giro frontale superiore; A, amigdala; FG, giro fusiforme).

Gli studi di imaging funzionale hanno permesso anche di studiare meglio la connettività cerebrale e di vedere come questa risulti alterata nei soggetti autistici. Come è stato illustrato nel Capitolo precedente, la connettività può essere sia anatomica che funzionale ed esistere sia a livello di una singola regione che tra regioni cerebrali diverse.

Molti studi, tra cui quello di Courchensne e Pierce [23], dimostrano come l’autismo sia associato con una riduzione nel cervello della connettività fra le reti neurali locali specializzate (bassa connettività long- range), e con un aumento della stessa all’interno dei singoli assemblaggi (alta connettività locale).

Le prove anatomiche a supporto di questa teoria sono date innanzitutto dall’aumento delle dimensioni

cerebrali nelle prime fasi dello sviluppo, che coincide con il periodo in cui i processi di sinaptogenesi,

apoptosi e mielinizzazione sono al loro picco, interferendo sul normale sviluppo delle connessioni a

livello della corteccia. Inoltre, l’anormale crescita e differenziazione cellulare o l’alterata sinaptogenesi,

rendono ragione della molteplicità di funzioni neuropsicologiche e comportamentali compromesse e, in

particolare, delle anormalità nell’integrazione delle informazioni tipiche dei soggetti patologici.

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L’aumentata connettività locale e la scarsa connettività globale compromettono la discriminazione dei segnali dai “rumori” (vedi Fig. 2.7).

Fig. 2.7 – Effetto della connettività neuronale sull’attivazione cerebrale. In alto: nella rete di sinistra, la forte connettività tra poche regioni e la connettività tra aree lontane permette di discriminare bene il segnale (doppia freccia) dal rumore (freccia singola), mentre nella rete di destra, le aree connesse non sono ben delimitate e non si sviluppa la connettività a lunga distanza. In basso: nell’immagine di sinistra si notano pattern distinti di attivazione funzionale, mentre in quella di destra si evidenzia un’anormale attivazione intensa e regionale.

Tali evidenze anatomiche possono essere confermate da studi di imaging funzionale. In una rete iper- connessa gli input sensoriali dovrebbero evocare un’attivazione notevole sia per gli stimoli attesi che per quelli non attesi, dando luogo, all’interno delle regioni sensoriali, ad un aumento globale dell’attivazione e ad una conseguente riduzione della selettività. Al contrario, le regioni cerebrali che promuovono l’integrazione funzionale, dovrebbero manifestare una riduzione nell’attivazione e nella correlazione funzionale con le regioni sensoriali. Gli studi di Belmonte, che combinano misure di risonanza magnetica funzionale con misure elettroencefalografiche (EEG), in un compito di attenzione visiva spaziale, dimostrano esattamente questo pattern [24].

Una nuova interessante scoperta, che ha aperto la strada a ricerche del tutto innovative e ad approcci completamente nuovi per la diagnosi e il trattamento della malattia, riguarda il coinvolgimento dei cosiddetti “ neuroni specchio ” nel quadro autistico.

Questi sono dei neuroni che si trovano nella corteccia premotoria, nella corteccia cerebrale ed in quella insulare, e che si attivano in seguito all’esecuzione di un movimento volontario o in seguito all’osservazione di qualcuno che compie un’azione motoria.

Gli studi sui soggetti affetti da Sindrome di Asperger dimostrano una mancanza di attività dei neuroni

specchio in diverse regioni cerebrali: Ramachandran e Oberman, ad esempio, tramite EEG hanno rivelato

una mancanza di attività dei neuroni specchio nei soggetti autistici durante l’osservazione di un

movimento; Dapretto e colleghi, invece, utilizzando la fMRI, hanno dimostrato una riduzione dell’attività

(16)

di tali cellule nella corteccia prefrontale (vedi Fig.2.8). In realtà, i neuroni specchio non sono associati solamente ad azioni locomotrici, ma hanno una notevole rilevanza nell’ambito delle interazioni sociali, per cui le disfunzioni in questo sistema neurale sarebbero in grado di spiegare alcuni sintomi primari

ell’autismo, tra i quali l’isolamento e l’assenza di empatia [25].

te di controllo; b) soggetto autistico; c) confronto. Dal nfronto si può osservare come ci siano delle aree nella corteccia prefrontale che nei pazienti autistici risultano completamente disattivate,

conseguenti implicazioni psicologiche legate ai sintomi della malattia.

complementari alle immagini funzionali della corteccia cerebrale, fornite dal segnale BOLD d

Fig. 2.8 – Attivazione cerebrale durante l’imitazione delle emozioni facciali: a) pazien co

giustificando tutte le

2.3.3 Neuroimaging di diffusione (DTI)

L'imaging del Tensore di Diffusione (DTI, diffusion tensor imaging) consiste nell'utilizzo della risonanza magnetica per la misura della connettività anatomica tra le aree, nel cervello realizzata attraverso i fasci di fibre di sostanza bianca. Tecnicamente, non è propriamente una metodica di imaging funzionale poiché non misura dinamicamente le variazioni della funzione cerebrale: le rilevazioni di connettività sono quindi

nella fMRI.

I fasci di sostanza bianca trasportano l'informazione funzionale tra le diverse aree cerebrali e la

diffusione molecolare dell'acqua è ostacolata in corrispondenza degli assi di tali fasci. La misura della

diffusione dell'acqua può quindi rivelare informazioni sulla posizione e la morfologia dei grandi canali

di sostanza bianca. Malattie che alterano la normale organizzazione o integrità della sostanza bianca

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cerebrale (come la sclerosi multipla e, per l’appunto, il Disturbo dello Spettro Autistico), perciò, hanno un impatto di tipo quantitativo sugli esami effettuati con questa particolare metodica.

Sfruttando, infatti, analisi di dati ed immagini ottenuti per mezzo di studi DWI e DTI, attraverso il confronto diretto di particolari indici quantitativi opportunamente definiti (vedi §3.2.2) e attraverso l’osservazione qualitativa delle mappe bidimensionali e delle ricostruzioni tridimensionali delle connessioni cerebrali (trattografia, vedi §3.3), negli ultimi anni si sono avuti nuovi riscontri molto

di fibre di sostanza bianca tra queste regioni, implicate nei

volumetrica e degli indici di FA, riconducibile al

o al ginocchio del corpo calloso, nelle aree della corteccia promettenti riguardo il coinvolgimento di particolari aree cerebrali nell’insorgenza di una malattia complessa da esaminare, quale l’autismo.

In particolare, per fare qualche esempio, Barnea-Goraly e colleghi, studiando adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo, hanno riscontrato nelle regioni cerebrali legate alla cognizione sociale, come la corteccia prefrontale ventromediale, il giro cingolato anteriore e la giunzione temporo-parietale, forti riduzioni nei valori dell’indice quantitativo FA (Anisotropia Frazionaria, vedi §3.2.2), sintomo di una riduzione del fenomeno diffusivo e quindi della connessione tra le aree. In aggiunta a queste aree, gruppi di pixel con valori di FA ridotti sono stati trovati anche nelle zone adiacenti il solco temporale superiore, nei lobi temporali posti a ridosso dell’amigdala, nei tratti occipito-temporali e nel ginocchio del corpo calloso. Gli autori hanno, quindi, ipotizzato che l’interruzione locale riscontrata nei tratti

meccanismi del comportamento sociale, potrebbe contribuire ai difetti nell’interazione sociale tipici degli individui affetti dalla patologia [26].

Altri studi che hanno coinvolto adolescenti autistici e riscontrato riduzioni di valori di FA in particolari aree cerebrali, sono stati svolti da Alexander et al., che si sono soffermati ad analizzare il corpo calloso: i risultati ottenuti hanno mostrato differenze significative tra soggetti di controllo e soggetti patologici, sia in termini di misure di anisotropia che di misure volumetriche. Si è potuta vedere, infatti, nel corpo calloso del gruppo di pazienti patologici, una riduzione

coinvolgimento della microstruttura di questa formazione nei casi di autismo, cosa che può essere collegata ai deficit cognitivi di natura non verbale [27].

Stesso discorso vale anche per i lavori di Lazar e Keller, che hanno rivelato riduzioni di valori di FA nel talamo, nella corona radiata sinistra vicin

frontale sinistra vicino all’area di Broca, nello splenio del corpo calloso e nei fascicoli fronto-occipitale inferiore e longitudinale superiore [28,29].

Per quanto riguarda, invece, i deficit legati alla comunicazione verbale, Jou e Paterson hanno focalizzato

l’attenzione sulle aree cerebrali ad essa associate, trovando dei riscontri scientifici a riprova del

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coinvolgimento di tali zone nei deficit dovuti alla malattia: valori anormali di FA sono stati calcolati in corrispondenza del corpo calloso, del cingolo, dei fascicoli inferiori e superiori e dell’area di Broca [30].

Tutti i risultati appena descritti, relativi all’integrità strutturale delle fibre di sostanza bianca, tuttavia, fanno riferimento ad analisi effettuate su soggetti in tarda fanciullezza o adulti e con forme di autismo ormai affermate. Recenti studi, in contrasto con quelli precedenti, hanno permesso di indagare bambini sotto i 3 anni di età con forme di autismo meno evidenti: fino al 2008, anno di pubblicazione di un’indagine effettuata da Bashat e colleghi sui meccanismi di maturazione del disturbo, si avevano solo

vece di 1000 s/mm 2 ) ha ermesso un’indagine più approfondita di distretti più confinati, tipicamente non analizzati, e un aumento di sensibilità degli indici di FA ai cambiamenti nella sostanza bianca.

Dati ottenuti dagli studi di sviluppo cerebrale degli emisferi sinistri posteriori di bambini affetti da DSA sotto i 3 anni di età. Curve

tori: egli, infatti, avvalendosi, oltre che dei valori di indici quantitativi, anche dello risultati di studi realizzati sul fascicolo arcuato di bambini, con valori anormali riscontrati di ADC (Coefficiente di Diffusione Apparente, vedi §3.1.2) significativamente più alti [31].

Bashat, invece, ha applicato la DTI e la DWI con più alti valori di b-value ai pattern con crescita neurale anormale, ottenendo valori di FA aumentati in molte regioni cerebrali (con particolare riferimento all’emisfero sinistro e al lobo frontale), a riprova di una crescita spropositata e anormale del volume e delle connessioni (fibre di sostanza bianca) nei primi anni di età, in accordo con i risultati presentati nel

§2.3.1 (vedi Fig. 2.9): il fatto di aver scelto b-value più elevati (3000 s/mm 2 in p

Fig. 2.9 –

di sviluppo ottenute tramite analisi di regressione ai minimi quadrati: valori di anisotropia frazionaria (FA), probabilità e spostamento delle regioni, in soggetti sani e autistici a confronto.

La scoperta più interessante e più recente per quel che concerne il DSA, comunque, è da attribuire a Catani e collabora

strumento della trattografia, ha dato prova in vivo del coinvolgimento del cervelletto nella patofisiologia dell’autismo [32].

La ricerca è consistita nello studio di un gruppo di 15 soggetti adulti affetti da Sindrome di Asperger a

confronto con un gruppo di ugual numero di pazienti di controllo per mezzo della metodica di imaging

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del tensore di diffusione: per ogni soggetto sono state effettuate misure di anisotropia frazionaria (FA) e di diffusività media (MD) relative ai peduncoli cerebellari inferiori, medi e superiori e alle brevi fibre intracerebellari. Ciò che è stato riscontrato è che i soggetti affetti da Sindrome di Asperger presentano, rispetto ai pazienti di controllo, valori di FA nettamente inferiori per quanto riguarda le fibre in uscita dal cervelletto (peduncolo cerebellare superiore destro) e le fibre intracerebellari, mentre non vi sono differenze rilevanti nei tratti in entrata né nei valori di diffusività media: questo mette in rilievo come

ianca cerebellare e

rsi afferenti ricostruiti sono il tratto spino-talamico (in giallo), che ntra nel cervelletto attraverso il peduncolo inferiore, e quello cortico-ponto-cerebellare (in rosso), che vi entra tramite il peduncolo medio.

qualsiasi disfunzione putativa legata alla rete di connessione cortico-talamo-cerebellare possa essere legata ad una patologia nel flusso in uscita dal cervelletto.

Catani, inoltre, ha utilizzato la tecnica della ricostruzione trattografica (tramite selezione di ROI, Region Of Interest) per investigare le differenze nell’integrità microstrutturale della sostanza b

determinare se le anomalie riscontrate fossero diffuse alle intere connessioni del cervelletto o specifiche di particolari singoli tratti, rilevanti nei meccanismi di cognizione e comportamento.

In Fig. 2.10 sono mostrati esempi di ricostruzioni trattografiche con delineate le rispettive regioni di interesse (ROI): i due principali perco

e

Fig. 2.10 – Ricostruzione trattografica dei percorsi cerebellari e delineazione delle regioni di interesse (ROI).

(20)

polazioni di cellule specifiche, on conseguente vulnerabilità dei percorsi cerebrali atti, generalmente, a creare quei meccanismi di feedback indispensabili per un corretto comportamento sociale adattativo.

Misure di anisotropia frazionaria per connessioni cerebellari brevi e lunghe: A) Soggetti con Sindrome di Asperger mostrano valori A più bassi nelle connessioni intracerebellari brevi di destra; B) Valori di FA ridotti rispecchiano cambiamenti nelle fibre parallele e nelle cellule

Autistico, mostrando, tra le altre cose, come l’utilizzo della DTI in termini di analisi matematica e trattografica, possa fornire uno strumento indispensabile per indagini in vivo, prima impensabili da realizzare.

Le connessioni intracerebellari (in ciano) rappresentano, invece, la circuiteria locale cerebellare, mentre il peduncolo cerebellare superiore (in verde) rappresenta la principale via di uscita.

Dai confronti tra soggetti patologici e di controllo, si è visto come gli adulti affetti da Sindrome di Asperger dimostrano avere una riduzione notevole nella connettività cerebellare e intracerebellare, probabilmente da imputare ad un danneggiamento dei nuclei o delle po

c

Fig. 2.11 – F

del Purkinije (PC); C) Dettaglio della ricostruzione delle fibre parallele e del Purkinije; D) Soggetti con Sindrome di Asperger mostrano valori FA più bassi nelle connessioni cerebellari lunghe; E) Coinvolgimento del flusso in uscita cerebellare nella rete di connessioni cortico-talamo- cerebellare.

Il presente lavoro, continuato poi anche dallo stesso Catani, ha aperto la strada verso nuove frontiere di

conoscenza del Disturbo dello Spettro

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