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start up innovative di cui all’art

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Academic year: 2021

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3. Il regime normativo dei crediti tributari nell’ambito delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili.

Con la legge 27.1.2012, n. 3437, recante “disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento” è stata introdotta nel nostro ordinamento una disciplina piuttosto articolata – anche se non ancora del tutto soddisfacente – volta a favorire una gestione efficiente delle situazioni di eccessivo indebitamento affliggenti i cosiddetti “debitori civili”438, siano essi semplici consumatori finali (definiti come le persone fisiche che abbiano assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività di impresa o professionale eventualmente svolta) o altri soggetti privati ugualmente non sottoponibili alle procedure concorsuali e

“paraconcorsuali” regolamentate nella legge fallimentare, come gli imprenditori commerciali considerati “piccoli” sulla base dei criteri dimensionali stabiliti dall’art. 1, comma 2, l.fall., gli imprenditori agricoli, gli enti non commerciali, i professionisti intellettuali, i lavoratori autonomi e le cc.dd. start up innovative di cui all’art. 25, comma 2, del d.l. n. 179 del 2012439.

437 Così come modificata dal d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito in legge 17.12.2012, n. 221, e successivamente dal d.l. 27.6.2015, n. 83, convertito in l. 6.8.2015, n. 132.

438 E talvolta connotate da risvolti drammatici che scuotono la coscienza collettiva, tanto da far meritare alla legge n. 3 del 2012, almeno in un primo momento, l’appellativo giornalistico di legge “salva suicidi”. L’intervento, volto ad istituire la regolazione concorsuale del sovraindebitamento, si pone l’obiettivo di dare impulso al reinserimento dei soggetti pesantemente indebitati all’interno di un normale contesto sociale ed economico, sottraendoli al rischio, attuale o potenziale, dell’usura, rischio particolarmente avvertito in un contesto di crisi economica. D’altro canto, il ricorso al credito e la rilevante esposizione debitoria che ne consegue non rappresentano più fenomeni associabili al solo imprenditore commerciale. Ne è prova, ad es., la progressiva espansione del credito al consumo, anche in un Paese incline al risparmio come l’Italia (così COSSIGNANI, F., Il sovraindebitamento, in Fallimento e procedure concorsuali, Enc. it. Treccani, 2015, IX appendice).

439 La giurisprudenza di merito si divide in merito alla possibilità di ricorrere alla procedura di sovraindebitamento del socio illimitatamente responsabile di società assoggettabile a

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Tale corpus normativo consente a coloro i quali, ancorché non assoggettabili a fallimento o a concordato preventivo, versino in uno stato di

“sovraindebitamento” (dall’inglese over-indebtness) – che l’art. 2, comma 2, lett. a) della stessa legge definisce, parafrasando la nozione di insolvenza440 offerta dall’art. 5 del r.d. n. 267/1942 e dalla giurisprudenza, come “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” – di ricorrere a tre distinte procedure, caratterizzate da presupposti e finalità differenti, oltre che da un diverso ruolo dell’autorità giudiziaria nella gestione della crisi. Esse paiono riprodurre, in scala ridotta e con i dovuti adattamenti imposti dalla peculiarità dei soggetti destinatari, strumenti quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis l.fall., i piani attestati di risanamento di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) e le stesse procedure fallimentare e concordataria, confermando il favor del legislatore per le soluzioni di stampo privatistico-negoziale, nelle quali la libera contrattazione tra le parti – il debitore ed i suoi creditori – viene agevolata e diretta da professionisti qualificati, portatori di specifiche responsabilità in ordine alle conseguenze del proprio operato.

fallimento in estensione ai sensi dell’art. 147 l.fall. (Trib. Milano, 18.8.2016; Trib. Prato, 16.11.2016). Con sentenza del 12 marzo 2018, il Tribunale di Rimini ha affermato che la qualità di socio illimitatamente responsabile di società passibile di fallimento non esclude l’accessibilità alle procedure di sovraindebitamento, atteso che il socio illimitatamente responsabile non è per ciò soltanto imprenditore.

440 Tuttavia, ad una riflessione più attenta, il presupposto oggettivo di accesso alle procedure disciplinate dalla l. n. 3/2012 risulta più ampio, in considerazione del fatto che la nozione di insolvenza è collegata alla dinamicità e alla produttività dell’impresa commerciale, laddove il sovraindebitamento può interessare anche soggetti per definizione più statici a causa della loro limitata capacità di produrre reddito (ad es., i semplici consumatori). Di qui, dunque, la rilevanza anche del “mero squilibrio” tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile.

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Il vero “motore” delle procedure di risoluzione del sovraindebitamento è infatti il cosiddetto “organismo di composizione della crisi” (artt. 15-16) iscritto nell’apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia, al quale la l. n. 3/2012 affida le funzioni più disparate441.

Da qui, una prima criticità, in quanto il legislatore ha cumulato in capo a tale organo l’esecuzione di compiti tra loro profondamente disomogenei, creando situazioni di potenziale conflitto di interessi: l’o.c.c. è sia consulente del debitore nella predisposizione del piano, sia attestatore della veridicità dei dati in esso contenuti e della fattibilità dello stesso, nonché, al contempo, un organo con funzione pubblicistica di accertamento dell’esito delle votazioni, di controllo dell’esecuzione del piano e finanche di liquidazione dei beni del soggetto sovraindebitato442.

Nondimeno, è stato conferito un ruolo di primo piano anche al Tribunale in tutte le fasi del procedimento di composizione della crisi, in parziale controtendenza rispetto all’indirizzo seguito dalle precedenti riforme del diritto concorsuale443.

441 Assistenza e consulenza al debitore nella predisposizione della proposta di accordo e di piano; verifica della veridicità dei dati contenuti nella proposta del debitore e nella documentazione allegata; attestazione della fattibilità del piano per l’accordo del debitore e per il piano del consumatore; esecuzione degli adempimenti pubblicitari e delle comunicazioni disposte dal giudice in corso di procedura; raccolta delle manifestazioni di voto dei creditori in ordine alla proposta di accordo, presentazione della relazione ai creditori e al giudice circa il raggiungimento dell’accordo e la fattibilità della proposta;

controllo sull’esatto adempimento del piano da parte del debitore; liquidazione e gestione del patrimonio del debitore su indicazione del giudice.

442 Lo Studio n. 25-2012/E del Consiglio del Notariato, reperibile sul sito www.notariato.it, evidenzia a pag. 14 come le predette funzioni corrispondano, in parte, a quelle del c.d.

“professionista attestatore” che si ritrova nei piani ex art. 67, comma 3, l.fall., in quelli di ristrutturazione del debito ex art. 182-bis, e in quelli che accedono alla domanda di concordato preventivo ex art. 161, l.fall., e in altra parte, alle competenze tipiche del commissario giudiziale e del curatore.

443 Soprattutto con riferimento all’omologazione del piano del consumatore, il ruolo del Tribunale appare particolarmente incisivo, avendo esso il compito di sindacare e valutare la

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La filosofia di fondo è sempre quella di coniugare l’interesse dei creditori al conseguimento della massima soddisfazione possibile, con l’obiettivo di preservare l’attività economica del debitore, assecondando la prosecuzione (o la ripartenza) della stessa ed il ritorno in bonis del titolare attraverso una congrua ristrutturazione della massa debitoria444.

Prima dell’entrata in vigore della l. n. 3/2012, per tutti i soggetti esclusi dall’applicazione delle procedure e dei rimedi contemplati dalla legge colpevolezza del debitore nell’aver assunto quelle obbligazioni che hanno poi creato la situazione di sovraindebitamento.

444 Pare, dunque, potersi affermare che, con la disciplina introdotta dalla l. n. 3 del 2012, si sia voluto estendere anche a soggetti esclusi dall’ambito di applicazione della legge fallimentare gli strumenti e i rimedi in essa previsti contro gli stati di crisi e di insolvenza.

Sul tema, in dottrina, si vedano AA.VV. (a cura di Di Marzio, F.), Composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2012; CAIAFA, A., La composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Dir. fall., 2012, 414; FABIANI, M., La gestione del sovraindebitamento per le imprese non fallibili nella L. n. 3/2012, in www.ilcaso.it, sez II, doc. n. 278/2012; GUIOTTO, A., Nuove modifiche alla disciplina della crisi da sovraindebitamento, in Il fallimento, 2012, 1277 ss.; MACARIO, F., La nuova disciplina del sovra-indebitamento e dell’accordo di ristrutturazione per i debitori non fallibili, in I contratti, 2012, 4, 229; PELLECCHIA, E., Dall’insolvenza al sovraindebitamento.

Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazioni dei debiti, Torino, 2012;

DONZELLI, R., Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir. fall., 2013, 5, 609; GALLARATI, A., La crisi del debitore “civile” e “commerciale” tra accordi di ristrutturazione e trust, in Contr. e impr., 2013, 1, 104; PACILEO, F., Ancora sullo “stato di insolvenza”. Appunti sull’art. 5 legge fallim. e spunti sulla nozione di “sovraindebitamento” di cui alla l. n. 3/2012, in Dir. fall., 2013, 1, 42; TISCINI, R., I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, in Riv. dir. proc., 2013, 3, 649; TRISORIO LIUZZI, G., I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e la liquidazione del patrimonio del debitore civile, in Diritto delle procedure concorsuali, Milano, 2013, 485- 525; VATTERMOLI, D., La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto “oggettivamente” concorsuale, in Dir. fall., 2013, 6, 762; FRASCAROLI SANTI E., Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Vassalli F. - Luiso F.P. - Gabrielli E. (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. Le altre procedure concorsuali, Vol. IV, Torino, 2014; PICCININI, V., Il sovraindebitamento del debitore civile (il fallimento del consumatore), in Cagnasso, O., e Panzani, L. (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Tomo III, Utet, 2016;

RANALLI, R., I piani d’impresa nel governo societario e nella composizione della crisi tra il regime attuale e la riforma, in Fall., 2018, 8-9, 1051.

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fallimentare, si profilava un’alternativa secca: o riuscivano a stipulare accordi con i singoli creditori (di riduzione del debito, di dilazione del pagamento, ecc.) oppure si esponevano alle iniziative esecutive individuali. Rispetto a questi debitori, quindi, non vi era spazio per una regolazione concorsuale (in senso stretto o in senso ampio) della crisi, né vi erano prospettive concrete per ottenere una “seconda possibilità” (c.d. fresh start), mediante la liberazione dai debiti residui. Le speciali procedure di gestione del sovraindebitamento colmano almeno in parte questa lacuna, estendendo il principio della concorsualità al di là del limite tradizionalmente segnato dall’insolvenza dei soli imprenditori commerciali di non modeste dimensioni. Tale ampliamento si realizza, tuttavia, attraverso l’introduzione di una disciplina peculiare e differenziata445.

La prima delle tre procedure ha carattere generale, in quanto è attivabile da tutti i soggetti non fallibili, esercenti o meno un’attività di impresa o professionale, che versino in uno stato di sovraindebitamento, allo scopo di proporre ai creditori un accordo, basato su un piano redatto con l’ausilio dell’o.c.c., che preveda “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di crediti futuri”

(art. 8, comma 1).

Pertanto, il contenuto della proposta che il debitore formula ai propri creditori, non essendo predeterminato dalla legge, può includere dilazioni e/o pagamenti solo parziali di taluni crediti, ovvero adempimenti con modalità differenti rispetto a quelle originariamente dovute.

Deve essere garantito, in ogni caso, il pagamento di taluni crediti, fra cui: i crediti impignorabili (per es., crediti alimentari); i crediti muniti di privilegio,

445 Cfr. la Procédure devant la commission de surendettement des particuliers francese: art.

L331-1 e segg. Code de la consommation.

Si veda anche CERINI, D., Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Milano, 2012.

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pegno o ipoteca, in misura pari a quella che sarebbe loro assegnata a seguito della liquidazione dei beni oggetto della garanzia; alcuni tributi, come si avrà modo di approfondire infra.

L’“accordo di composizione della crisi”, una volta raggiunto grazie al voto favorevole446 di coloro che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti chirografari, deve essere omologato dal Tribunale affinché diventi esecutivo. Ulteriori condizioni indispensabili per l’omologa sono: in primo luogo, l’idoneità dell’accordo ad assicurare la soddisfazione dei creditori che hanno diritto al pagamento integrale; in secondo luogo, l’assenza di iniziative o atti in frode ai creditori.

Il creditore dissenziente può contestare la convenienza della proposta, ma perché ne sia impedita l’omologazione è necessario che il giudice accerti che l’alternativa liquidatoria (ossia la vendita di tutti i beni del debitore) è in grado di garantire al creditore una maggiore soddisfazione rispetto alla soluzione

“compositiva”.

In linea generale, l’accordo omologato vincola tutti i creditori, compresi quelli che non hanno espresso il proprio assenso alla proposta, perciò il termine

“accordo” va qui inteso come deliberazione maggioritaria. Concluso con successo il procedimento giudiziale, ha inizio la fase di attuazione del piano, che avviene sotto il controllo dell’organismo di composizione della crisi.

La seconda procedura ha carattere speciale poiché è riservata ai soggetti sovraindebitati che rivestono lo status di consumatore. È anch’essa incentrata sulla presentazione di un piano di ristrutturazione dei debiti ma, a differenza

446 Le adesioni dei creditori, espresse mediante dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, devono giungere all’organismo di composizione della crisi anche per telegramma o raccomandata a/r o per telefax o per posta elettronica certificata, almeno dieci giorni prima dell’udienza. In caso di mancata dichiarazione da parte dei creditori, l’articolo 11, comma 1 della l. n. 3 del 2012 stabilisce che “si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata”, operando, pertanto, il meccanismo noto come “silenzio-assenso”.

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dell’accordo di composizione della crisi, prescinde dal consenso della maggioranza dei creditori – i.e. non si fa luogo a votazione447, da qui il diverso nomen impiegato – per sottoporre il piano alla valutazione diretta da parte del Tribunale, che deve appuntarsi su elementi quali la sua fattibilità e la condotta tenuta dall’indebitato.

L’omologazione del “piano del consumatore” è infatti subordinata alla sussistenza di specifiche condizioni di natura etica, legate, in particolare, alle cause genetiche delle obbligazioni che hanno condotto al sovraindebitamento e alle modalità con cui le stesse sono state gestite dal debitore.

Possiamo dunque affermare che sia l’accordo di composizione della crisi che il piano del consumatore sono procedure sostanzialmente concordatarie448, di

447 Nella relazione illustrativa della l. n. 221 del 2012 si osserva che la procedura diretta all’omologazione del piano del consumatore “è, essenzialmente, contrassegnata dall’assenza di un procedimento volto ad acquisire l’adesione o il dissenso dei creditori rispetto al piano proposto ma si basa esclusivamente su di una valutazione giudiziale di fattibilità della proposta e di meritevolezza della condotta d’indebitamento adottata dal consumatore, ciò in forza della considerazione che non sia rintracciabile alcun interesse economico dei creditori ad operare il “salvataggio” del soggetto di consumo”.

448 Tanto è vero che sono molteplici le regole dettate in materia di concordato che si rendono applicabili, ora per rinvio espresso, ora in via analogica, alle procedure de quibus. Senza pretesa di esaustività, si considerino: la possibilità di suddivisione dei creditori in classi (art.

7 che richiama l’art. 160, comma 1, l.fall.); la possibilità di pagamento falcidiato dei creditori privilegiati solo se il valore dei beni su cui insiste il privilegio sia incapiente (art. 7 che richiama l’art. 160, comma 2); la moratoria di un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori privilegiati (art. 8 che richiama l’art. 186-bis, lett. c); la prededuzione (art. 13 che richiama l’art. 111); la possibilità di ricorso a finanza esterna al fine di pagare in misura percentuale i creditori privilegiati; il principio di atipicità dei contenuti del piano, arricchito dalla possibilità di cedere crediti futuri (art. 8); in caso di insuccesso del piano e consecuzione di tale procedura nella liquidazione, il credito maturato dall’organismo di composizione della crisi fruisce della prededuzione; l’art. 177, comma 3, l.fall. è ritenuto applicabile anche alle crisi da sovraindebitamento. I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’art. 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito.

Il creditore ipotecario che non sia integralmente soddisfatto ha diritto di esprimersi sulla proposta ai fini del raggiungimento della maggioranza (cfr. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 17 gennaio 2017).

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natura rispettivamente deliberativa e coattiva, entrambe agganciate a requisiti di meritevolezza il cui accertamento è rimesso al vaglio del Tribunale.

Invero, l’ammissibilità della proposta è condizionata al deposito della relazione dell’organismo di composizione della crisi che deve inerire alle cause dell’indebitamento, alla diligenza nell’assunzione delle obbligazioni, all’attendibilità della documentazione che deve accompagnare il ricorso (art.

9). La proposta non è ammissibile se nei cinque anni precedenti il debitore ha fatto ricorso ad una procedura di sovraindebitamento (art. 7). La proposta è del pari inammissibile se il debitore, per cause a lui imputabili, ha in precedenza proposto un piano revocato o risolto (art. 7). Il Tribunale, in sede di omologazione dell’accordo di composizione della crisi, deve accertare d’ufficio la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori (art. 10). Ancora, tra le condizioni dell’omologazione del piano, il giudice deve escludere che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere, ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali (art. 12-bis).

La terza procedura prevista e disciplinata dalla l. n. 3/2012 consiste nella liquidazione del patrimonio del debitore in alternativa alla (o come conseguenza dell’esito negativo del tentativo di) composizione bonaria della crisi finanziaria.

Trattasi, nello specifico, di una liquidazione “giudiziale” – da qui l’accostamento alla procedura fallimentare classica della quale ricalca il paradigma, ancorché con notevoli semplificazioni – che, nei precisi casi stabiliti dalla legge449, può essere avviata su istanza dell’indebitato o dei suoi

449 Ad esempio, all’esito del mancato accordo con i creditori o qualora l’efficacia dell’accordo o del piano precedentemente omologati sia venuta meno a causa di una delle ipotesi enumerate dall’art. 14-quater (annullamento, risoluzione per colpa ecc.). In tal caso,

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creditori, al fine di ripartire il ricavato della vendita dei beni nel rispetto della par condicio creditorum e delle cause legittime di prelazione.

Il beneficio ottenibile dal debitore è costituito dalla “esdebitazione”, vale a dire la definitiva liberazione, in seguito ad espressa declaratoria giudiziale, dai debiti rimasti in tutto o in parte insoddisfatti al termine della procedura liquidatoria.

Tale effetto premiale, lungi dal prodursi in maniera automatica, è escluso quando l’eccessivo indebitamento sia imputabile ad un ricorso al credito colposo o abnorme, ovvero se, nei cinque anni precedenti l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, il debitore ha posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri (art. 14-terdecies).

In nessuna delle descritte procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento è dedicata, al tema del trattamento dei debiti tributari, una disciplina organica paragonabile a quella dettata dall’art. 182-ter l.fall. per le soluzioni concordate della crisi d’impresa. Né la legge n. 3 del 2012 contiene un qualche rinvio alla disposizione in tema di transazione fiscale. Da qui il primo interrogativo: come colmare questo vuoto normativo?

Il ricorso all’analogia è apparso da subito problematico a causa del carattere eccezionale dell’istituto transattivo, se è vero quanto affermato dalla Corte costituzionale che esso (istituto) rappresenta una deroga al principio generale dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, ragion per cui si è ritenuto di doverne escludere l’applicazione al di fuori dei “casi” (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall.) specificatamente presi in considerazione dal legislatore, a mente dell’articolo 14 delle preleggi.

l’iniziativa per la conversione della procedura in liquidazione può essere assunta, eccezionalmente, anche da un creditore.

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Ci si è chiesti, allora: a) se fosse ammissibile la previsione, all’interno del piano di ristrutturazione proposto dal soggetto sovraindebitato, di una falcidia dei debiti di natura tributaria; b) in caso affermativo, se l’Amministrazione finanziaria avesse la capacità di disporre di detti crediti potendo esprimere il proprio assenso ad un accordo di tal fatta – ove giudicato più conveniente rispetto ai presumibili esiti delle procedure esecutive – oppure se, stante l’assenza di una disciplina procedimentale ad hoc che stabilisca modalità e termini della sua “partecipazione attiva” alla composizione della crisi, l’Erario si trovasse nella poco invidiabile posizione di poter soltanto subire gli effetti dell’eventuale accordo raggiunto con il benestare dei creditori, necessariamente altri, costituenti la maggioranza di quelli ammessi al voto.

Dubbi, questi, che sembrano riecheggiare le perplessità manifestate da quella parte della dottrina450 che più apertamente si è schierata contro la scelta di limitare l’applicabilità dell’art. 182-ter l.fall. alle sole ipotesi del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Del resto, come rettamente osserva altra acuta dottrina451, “la transazione fiscale è stata contemplata come un mezzo fondamentale per garantire la riuscita del tentativo di contrastare la crisi che connota l’impresa e che permette di evitare la traumatica disgregazione liquidatoria dell’azienda: ciò, in particolare, non solo sull’assunto che, tipicamente, proprio le obbligazioni tributarie sono tra quelle che per prime non vengono adempiute al manifestarsi dello squilibrio finanziario, ma anche, e per certi versi soprattutto, considerando che nessuna ipotesi di risanamento può essere seriamente

450Al riguardo, si considerino le puntuali e condivisibili riflessioni sistematiche di ALLENA, M., Profili costituzionali della transazione fiscale, in AA.VV., Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, I, 5 ss.

451 DAMI, F., I profili fiscali della disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Rass. trib., 2013, 3, 615.

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coltivata senza l’attiva e costruttiva partecipazione di un creditore

“ingombrante” quale generalmente è il Fisco.

Se questa è, in ultima analisi, l’intima ratio dell’istituto regolato dall’art. 182- ter l.fall., ben si comprendono le segnalate perplessità in ordine alla mancata estensione di tale possibilità a qualsiasi ipotesi nella quale si riconoscano le stesse criticità ed i medesimi possibili proponimenti e, meno ancora, per quanto qui specificamente interessa, sembra potersi giustificare il mancato richiamo della disciplina in tema di transazione fiscale nell’ambito di procedure del tutto omogenee a quelle nel cui contesto risulta invece espressamente prevista”.

I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento ripropongono, infatti, sia sotto il profilo strutturale che dinamico, elementi che, almeno in parte, tendono chiaramente a sovrapporsi a quelli degli accordi di ristrutturazione del debito di cui all’art. 182-bis l.fall. e del concordato preventivo di cui all’art. 160 e segg. della stessa legge.

Certamente la l. n. 3/2012, per quanto già accennato, riproduce di tali istituti le medesime linee ispiratrici, rappresentando, per certi versi, il frutto di un intervento normativo con il quale il legislatore ha completato il generale riassetto della disciplina sulla gestione delle crisi finanziarie di una vasta platea di soggetti, non più strettamente individuati in coloro che esercitano una attività imprenditoriale dimensionalmente rilevante452.

452Assumono, in tal senso, di nuovo rilevanza le considerazioni sviluppate nello Studio n.

25-2012/E del Consiglio del Notariato, laddove, si legge che i criteri direttivi comuni ai recenti interventi legislativi in materia di gestione delle crisi e, quindi, di possibile recupero dei crediti, disegnano un nuovo quadro di riferimento dell’intera materia che “… in una cornice generale di deflazione del carico giudiziario, si sposta su forme di soluzione delle crisi fondate su tre assi portanti: il favor per il raggiungimento di soluzioni concordate tra i soggetti che ne sono i protagonisti; il favor per la continuità delle attività economiche in genere e per l’esdebitazione dei soggetti che abbiano cooperato alla soluzione della propria crisi …; la tendenza a trasferire la gestione dei fenomeni liquidatori fuori dalle aule di giustizia, rimettendola a professionisti qualificati …”.

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Ma se il reinserimento nel tessuto economico produttivo di coloro che virtuosamente cooperino alla soluzione della propria deteriorata situazione finanziaria rappresenta il fine perseguito da tutti gli istituti recentemente introdotti nel nostro ordinamento in questo specifico ambito, e la transazione fiscale regolata dall’art. 182-ter l.fall. costituisce un mezzo fondamentale per il conseguimento di questo obiettivo di carattere evidentemente generale, risulta davvero difficile, se non impossibile, giustificare in chiave di ragionevolezza ex art. 3 Cost. il fatto che la stessa non sia stata richiamata nel testo della l. n. 3/2012.

Significherebbe, infatti, dover altrimenti ammettere che, a parità di condizioni (la necessità di uscire da una situazione di crisi), soggetti egualmente meritevoli (in quanto disposti a cooperare per la soluzione dei problemi creati dalla loro condizione) avrebbero a disposizione strumenti diversi di risanamento e, anzi, ve ne sarebbero alcuni (quelli ai quali l’accesso alla transazione fiscale viene “negato”) per i quali il conseguimento dell’obiettivo potrebbe rivelarsi impossibile proprio a causa dell’assenza di questi strumenti invece ad altri riservati.

Quanto appena evidenziato assume ancor più rilevanza se solo si considera che, dello stesso art. 182-ter l.fall. – peraltro nella versione oggi superata dalle modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2017 – l’art. 7, comma 1, della l. n.

3/2012 riproduce esclusivamente la controversa regola secondo la quale “in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse dell’Unione Europea, (all’imposta sul valore aggiunto) ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere solo la dilazione di pagamento”.

Può dunque ritenersi che il legislatore, nel mentre non ha richiamato i profili procedurali e sostanziali della transazione fiscale, ha però ammesso che se ne possano produrre almeno taluni effetti453.

453Cfr. DAMI, F., op. ult. cit.

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La previsione relativa all’infalcidiabilità dei suddetti debiti tributari, benché ormai distonica rispetto all’attuale formulazione dell’art. 182-ter l.fall., come confermato di recente anche dalla Corte costituzionale, ha paradossalmente il pregio di offrire una soluzione ai due quesiti posti qualche pagina addietro.

Per prima cosa, l’art. 7, comma 1, se letto a contrariis, fa inequivocabilmente intendere che per i tributi diversi da quelli in esso menzionati (si pensi a debiti per Irpef, Irap, Imu, ecc.), nonché per gli accessori relativi a qualsiasi pretesa fiscale (dunque anche le sanzioni pecuniarie e gli interessi correlati a ritenute alla fonte operate e non versate), il piano di ristrutturazione dei debiti può ben prevedere il pagamento in misura parziale con effetto integralmente liberatorio.

Inoltre, dal tenore letterale della disposizione in esame, appare evidente che anche l’Amministrazione finanziaria può essere parte dell’accordo tra il soggetto sovraindebitato ed i suoi creditori e che, anzi, tale accordo non pone alcun problema allorché si concretizzi in una dilazione nel pagamento delle somme dovute.

Tale dilazione non pare subire vincoli diversi da quelli dell’indicazione della sua sostenibilità sulla base dei flussi finanziari e delle tempistiche delineate nel piano proposto che, dunque, dovranno essere valutate dagli uffici per accordare rateizzazioni anche più ampie di quelle normalmente previste per l’adempimento delle obbligazioni tributarie dei contribuenti in situazioni di temporanea difficoltà454.

Il problema si pone, semmai, per i debiti che riguardano tributi non ricompresi nella previsione dell’art. 7, comma 1, per i quali, come detto, la norma lascia supporre che possano subire uno stralcio.

454 Resta, in ogni caso, applicabile l’art. 11, comma 5, della stessa legge n. 3/2012, secondo il quale l’accordo cessa di produrre i propri effetti se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni, i pagamenti dovuti secondo il piano a favore delle amministrazioni pubbliche. Il che, con riferimento al pagamento dilazionato di debiti tributari, significa che, per ciascuna rata, il debitore avrà al massimo questo lasso temporale per eseguire il versamento pena, altrimenti, la caducazione dell’accordo nel suo complesso.

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Qui, infatti, il mancato richiamo delle disposizioni in tema di transazione fiscale parrebbe determinare una conseguenza significativa: l’assenza di una disciplina ad hoc degli step procedurali che gli uffici sarebbero obbligati a seguire in caso di presentazione di una proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento, finanche il mancato riconoscimento espresso, in capo all’Amministrazione finanziaria, del potere di incidere, attraverso il proprio voto, sulla sorte dei crediti dalla stessa vantati nei confronti del proponente, ha indotto taluni commentatori455 ad escludere la partecipazione del Fisco alla formazione dell’accordo, relegando (a malincuore) tale creditore istituzionale al ruolo di mero spettatore passivo di un procedimento destinato, in caso di omologazione del piano approvato dalla maggioranza degli altri creditori, a ridimensionare le sue prospettive di riscossione anche in misura considerevole.

Diversamente opinando, secondo questa corrente di pensiero, ci si troverebbe costretti ad ammettere l’applicazione analogica dell’art. 182-ter l.fall. che, per quanto prima accennato, sarebbe difficilmente sostenibile in un’ottica sistematica.

Sennonché, ad un simile ordine di idee può ragionevolmente contrapporsi una serie di argomenti che depongono in senso favorevole all’inclusione dell’Erario nella schiera dei creditori legittimati a far sentire la propria voce in merito alla fattibilità economica e giuridica del piano di ristrutturazione dei debiti proposto dal contribuente, esprimendo se del caso il proprio dissenso alla conclusione dell’accordo456.

455 Si veda DAMI, F., op. ult. cit., loc. cit. Ciò, peraltro, senza considerare che molti ritengono contraria ai principi costituzionali la validità di riduzioni del debito fiscale attuate al di fuori della procedura contemplata dall’art. 182-ter l.fall. Cfr., al riguardo, ancora ALLENA, M., op. ult. cit., 12 ss.

456 Ciò, ovviamente, sul presupposto che vi siano crediti tributari di natura chirografaria e/o crediti tributari “privilegiati” – diversi da Iva e ritenute operate e non versate – di cui il piano preveda il pagamento soltanto parziale. Infatti, ai sensi dell’art. 11, comma 2, della l.

n. 3/2012, i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali è prevista l’integrale soddisfazione “non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non

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Innanzitutto, l’eccezionalità della transazione fiscale – intesa come causa ostativa all’applicabilità del relativa disciplina all’interno di procedimenti analoghi a quelli volti alla soluzione concordata della crisi dell’impresa, onde

“riempire gli spazi” lasciati vuoti dal legislatore – risiede, conformemente alla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, nel carattere derogatorio dell’istituto rispetto: alla modalità “fisiologica” di estinzione dell’obbligazione tributaria, costituita dall’adempimento completo e puntuale;

ovvero, mutando prospettiva, al divieto, ravvisabile in capo all’Amministrazione finanziaria, di rinunciare anche solo in parte a pretese impositive dalla stessa ritenute sostenibili, in fatto e in diritto457.

Il procedimento transattivo di cui all’art. 182-ter cessa di costituire un’eccezione per divenire regola o, più propriamente, l’unico paradigma normativo di riferimento, allorquando il Fisco si trovi a dover fronteggiare una situazione di crisi finanziaria del contribuente – giudicata grave ma non ancora irreversibile458 – che impedisce la piena soddisfazione delle sue ragioni creditorie.

Che si versi in un’ipotesi di crisi dell’impresa o di sovraindebitamento di un debitore “civile”, non fa molta differenza: le valutazioni e i giudizi prognostici che gli uffici sono chiamati a formulare, in funzione della migliore realizzazione dell’interesse fiscale, sono strutturalmente e concettualmente identici nell’uno e nell’altro contesto operativo, idem le attività amministrative in qualche modo strumentali all’effettuazione di tali valutazioni e giudizi, si hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione”.

457 Qualora sia dimostrato con ragionevole certezza che: a) l’obbligazione d’imposta non potrà essere integralmente soddisfatta o comunque non nei termini “ordinari” di pagamento;

b) il rifiuto di accettare un pagamento in misura ridotta condurrebbe ad una perdita di gettito ancora maggiore, attese le peggiori aspettative di riscossione del credito erariale nell’eventuale scenario liquidatorio.

458 Quando la crisi si è cronicizzata a tal punto da sfociare nella definitiva insolvenza, i rimedi “compositivi” cedono tradizionalmente il passo alle soluzioni liquidatorie.

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pensi all’irrinunciabile ricognizione della complessiva esposizione debitoria del soggetto sovraindebitato verso l’ente impositore, fase che, nella transazione fiscale, culmina nella “certificazione del credito tributario”459. Sotto altro profilo, ritenere non integrabile, mediante ricorso all’analogia ex art. 12, comma 2, delle preleggi, la disciplina in materia di trattamento dei crediti fiscali nell’ambito delle procedure di composizione convenzionale delle crisi da sovraindebitamento – come visto estremamente lacunosa, soprattutto riguardo agli aspetti procedurali – condurrebbe ad esiti affatto soddisfacenti.

In un caso, laddove cioè si ammettesse comunque il diritto dell’Amministrazione finanziaria di partecipare alla definizione e all’approvazione dei contenuti dell’accordo, ci si scontrerebbe con l’assenza di disposizioni normative essenziali per declinare, sul piano applicativo, i principi di imparzialità e buon andamento della P.A., compito questo che,

459 Per vero, una delle maggiori criticità derivanti dal mancato richiamo dell’art. 182-ter l.fall. era costituita dall’assenza, all’interno del quadro normativo disegnato dalla l. n.

3/2012, di una disposizione che garantisse la “cristallizzazione” della posizione verso l’Erario – da intendersi come definitiva e stabile determinazione del complessivo carico fiscale – del soggetto che si proponeva di risolvere la propria situazione di sovraindebitamento; elemento, questo, che pure poteva rivelarsi fondamentale per il buon esito del tentativo di sistemazione della crisi, andando a mitigare il rischio di sopravvenienze che avrebbero potuto compromettere la riuscita del piano di risanamento dell’azienda.

Nell’ambito della transazione fiscale, infatti, il consolidamento del debito tributario, insieme alla cessazione della materia del contendere nei giudizi aventi ad oggetto le pretese erariali definite con l’accordo, costituiva – prima delle modifiche arrecate dalla legge di bilancio 2017 al testo dell’art. 182-ter – un effetto tipico del ricorso all’istituto, mediante il quale venivano fissati in modo certo e una volta per tutte, l’ammontare e la composizione delle pendenze fiscali da soddisfare nel contesto della procedura concordataria o di ristrutturazione dei debiti, con susseguente inibizione dell’Amministrazione finanziaria (ritenuta operante da buona parte della dottrina e della giurisprudenza, per le quali si rinvia al capitolo sulla transazione fiscale) dall’esercizio – o dal riesercizio – del potere impositivo in relazione ai periodi di imposta “consolidati”.

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come è facilmente intuibile, non può essere affidato in toto a meri atti di indirizzo quali circolari e direttive interne.

Nell’altra ipotesi, quella cioè in cui si escludesse alla radice la possibilità per il Fisco di intervenire attivamente nella procedura di composizione della crisi 460 , oltre a cagionare prevedibili problemi pratici legati all’esatta quantificazione delle pretese erariali, si giungerebbe al paradosso che un creditore pubblico, sulla carta “superprivilegiato”, tanto da non poter subire la falcidia di taluni crediti, si vedrebbe tagliato fuori da qualsiasi decisione capace di incidere sulle sue concrete prospettive di recupero, finendo di fatto

“ostaggio” delle deliberazioni assunte dagli altri soggetti coinvolti, portatori, per giunta, di interessi confliggenti con quelli suoi propri.

È probabilmente sulla base di queste consapevolezze che l’Agenzia delle entrate, con una soluzione a mio avviso ispirata ai canoni dell’interpretazione adeguatrice, ha ritenuto applicabile in via analogica l’art. 182-ter l.fall., estendendo così alle procedure disciplinate dalla l. n. 3/2012 gli adempimenti posti a carico dell’agente della riscossione e degli uffici della stessa Agenzia in presenza di transazione fiscale proposta nell’ambito del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis l.fall.461.

460 Tesi, peraltro, che già di per sé mal si coniuga con il disposto dell’art. 9, comma 1, terzo periodo, della l. n. 3 del 2012, in base al quale la proposta di accordo o di piano, contestualmente al suo deposito presso la cancelleria del Tribunale, e comunque non oltre tre giorni, deve essere presentata, a cura dell’organismo di composizione della crisi, all’agente della riscossione e agli uffici impositori competenti, indicando la ricostruzione della posizione fiscale del proponente e gli eventuali contenziosi di cui sia parte. Tale adempimento non prelude ad alcun consolidamento, né all’estinzione delle liti tributarie pendenti (effetti che erano caratteristici della sola transazione fiscale) e pare perciò finalizzato a portare a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria i termini della proposta che viene formulata, così da metterla nelle condizioni di definire il successivo contegno rispetto alla medesima.

461 Ag. Entrate, Circolare n. 19/E del 6 maggio 2015, 26 ss., in base alla quale “l’ufficio competente in relazione all’ultimo domicilio fiscale dell’interessato è tenuto – nel più breve tempo possibile – alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, alla notifica degli avvisi di irregolarità e degli avvisi di accertamento, nonché a predisporre e trasmettere

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In ordine al trattamento che può essere riservato ai crediti tributari valgono le regole generali concernenti il soddisfacimento dei creditori del soggetto sovraindebitato delineate nella l. n. 3/2012, la quale, al primo comma dell’art.

6, stabilisce espressamente che anche i crediti privilegiati, quali tipicamente sono quelli tributari, ancor più dopo le modifiche apportate agli articoli 2752 e 2776 c.c. dal d.l. n. 98/2011, possono essere oggetto di falcidia (eccezion fatta per quelli relativi a ritenute operate e non versate, per i quali l’art. 7 prevede unicamente la possibilità di dilazione, sorte fino a poco tempo fa condivisa dal credito Iva), ma solo se ne viene assicurato il pagamento “in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.

Il che comporta che tali debiti debbano essere saldati in modo preferenziale rispetto a quelli chirografari con il ricavato della liquidazione e che, se tale ultimo importo risulta capiente, devono essere saldati per intero.

Viceversa, ove il presumibile ricavato della liquidazione non sia sufficiente per soddisfare integralmente i crediti privilegiati (e quindi, nella specie, quelli

al debitore una certificazione attestante il complessivo debito tributario (...). Ai fini della certificazione dell’ufficio, vanno escluse le somme iscritte in ruoli già consegnati all’agente della riscossione ovvero riferite ad avvisi di accertamento emessi ai sensi dell’articolo 29, comma 1 del d.l. n. 78 del 2010, per i quali la riscossione sia già stata affidata in carico all’agente, alla data di presentazione della proposta da parte del contribuente. L’agente della riscossione è tenuto a trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso ovvero derivante dai predetti avvisi di accertamento, comprensivo di tributo, interessi e sanzioni, nonché degli interessi di cui all’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. In relazione ai tributi non iscritti a ruolo ovvero non ancora consegnati all’agente della riscossione alla data di presentazione della proposta, l’assenso è espresso con atto del direttore dell’ufficio. Per i tributi iscritti a ruolo o accertati ai sensi dell’articolo 29, comma 1 del d.l. n. 78 del 2010 e già consegnati all’agente della riscossione alla data di presentazione della proposta, l’assenso è espresso dall’agente della riscossione su indicazione dell’ufficio competente”.

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tributari), i creditori chirografari, ai quali spetta il diritto di voto ma le cui aspettative di monetizzazione sono praticamente nulle, non avranno interesse ad approvare l’accordo. Inconveniente, quello appena segnalato, al quale può ovviare soltanto l’intervento di un terzo che metta a disposizione le risorse necessarie a garantire ai creditori chirografari una percentuale di pagamento che incontri il favore della maggioranza462.

Volendo operare un confronto fra la disciplina attualmente vigente in materia di trattamento dei crediti tributari nell’ambito delle soluzioni concordate della crisi d’impresa e quella, decisamente meno articolata e “meditata”, ricostruibile sulla base delle (pochissime) disposizioni che al tema dedica la legge sulla regolazione concorsuale del sovraindebitamento, possiamo concludere che, ad oggi, venuta meno la previsione dei cosiddetti “effetti tipici” della transazione fiscale, come pure del divieto di falcidia dei debiti Iva a seguito del recente pronunciamento della Corte costituzionale, l’unica differenza di rilievo consiste nella possibilità – al momento riservata irragionevolmente ai soli imprenditori in stato di crisi ammessi alla procedura di concordato preventivo o alla stipula di accordi di ristrutturazione omologabili ai sensi dell’art. 182-bis l.fall. – di proporre al Fisco il pagamento falcidiato dei debiti relativi a ritenute alla fonte effettuate ma non versate.

Ciononostante, con la definitiva entrata in vigore delle disposizioni di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, questa grave incoerenza del sistema sarà rimossa, dando finalmente il via libera alla possibilità di prevedere il pagamento in misura parziale – e non più soltanto dilazionato – di tutti i debiti tributari anche nell’ambito delle procedure di gestione delle crisi da sovraindebitamento.

462 Cfr. MENEGHETTI, P., Crisi da sovraindebitamento al nodo dei debiti tributari, in Eutekne.info – Il Quotidiano del commercialista dell’8 gennaio 2013.

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L’art. 74, in vigore dal 15 agosto 2020, prevede infatti l’applicabilità in via analogica delle norme in tema di concordato preventivo al c.d. “concordato minore” – i.e. la procedura concorsuale destinata a prendere il posto degli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento463 – superando ogni dubbio in merito alla falcidiabilità dell’Iva e delle ritenute, anche in virtù della scomparsa dal testo di una norma ostativa al riguardo, come quella contenuta nell’art. 7, comma 1, della l. n. 3 del 2012. E’ ipotizzabile, quindi, un deciso incremento del numero di proposte concordatarie da parte dei debitori

“minori”, i quali sino ad ora hanno avuto grosse difficoltà ad usufruire degli strumenti di composizione consensuale del sovraindebitamento, anche e soprattutto a causa delle eccessive rigidità esistenti in punto di falcidia di alcuni debiti fiscali.

La problematica degli omessi versamenti di Iva e ritenute operate è assai complessa e delicata all’interno di ogni procedura concorsuale, sia nel sovraindebitamento che nel concordato preventivo, poiché accade sovente che il debitore in crisi si trovi nell’impossibilità di proporre una soluzione negoziale che permetta l’integrale soddisfazione di tali passività, con la fondamentale e discriminante differenza però che, mentre per le imprese

“maggiori” il tabù della infalcidiabilità di Iva e ritenute è stato espressamente superato dal legislatore in occasione dell’ultima riscrittura dell’art. 182-ter l.fall., detto vincolo è invece rimasto – salvo essere rimosso, solo da ultimo e limitatamente all’Iva, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 245 del 2019

463 Anche le altre due procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento istituite dalla l. n. 3/2012 hanno trovato collocazione, sotto altro nome, all’interno del Codice della crisi: il piano del consumatore viene sostituito dalla nuova “ristrutturazione dei debiti del consumatore” (artt. 67-73), mentre la procedura di liquidazione del patrimonio del debitore è stata ribattezzata “liquidazione controllata del sovraindebitato” (artt. 268-277).

Complessivamente, a parte qualche modifica terminologica e la correzione di alcuni difetti di coordinamento tra le previsioni disciplinanti queste procedure e quelle rivolte alla imprese commerciali non piccole, l’assetto normativo degli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento ha sostanzialmente mantenuto il suo impianto originario.

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– per una vastissima platea di soggetti economici: dall’artigiano al piccolo commerciante, dai lavoratori autonomi come i liberi professionisti, agli enti non lucrativi che eccezionalmente svolgono un’attività commerciale, contribuendo, insieme ad altri fattori464, a decretare fin qui l’insuccesso degli istituti di composizione convenzionale e assistita dei fenomeni di sovraindebitamento.

Il nuovo codice della crisi recepisce dunque gli orientamenti giurisprudenziali più recenti (Corte di Giustizia U.E.465, seconda sezione, sentenza del 7 aprile 2016 pronunciata nella causa C-546/2014; Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 26988/2016), che in uno con gli ultimi interventi normativi (art. 1, comma 81, legge 232/2016, di modifica dell’art. 182-ter l.fall.), hanno consentito di affermare quale principio generale, applicabile a tutte le procedure di soluzione negoziale della crisi d’impresa, quello della soddisfazione in misura anche solo parziale del debito per Iva e ritenute operate ma non versate.

464 Si considerino: la scarsa inclinazione del debitore italiano all’accettazione della propria crisi finanziaria e, a fortiori, alla sua esternazione; la tradizionale diffidenza verso i nuovi istituti giuridici; le carenze della disciplina normativa in sé, che si manifestano in un testo legislativo per larghi tratti di difficile comprensione, non sufficientemente meditato e perciò fonte di inesauribili incertezze interpretative che di fatto scoraggiano l’utilizzo dei nuovi strumenti, rendendo questi ultimi inadatti a perseguire, nel peculiare contesto socioeconomico del Paese, i risultati originariamente auspicati (COSSIGNANI, F., op. cit.).

465 Fondamentale, al riguardo, è la già più volte citata sentenza della Corte di Giustizia U.E.

del 7 aprile 2016 (causa C-546/2014), per il cui commento si rimanda al capitolo dedicato alla transazione fiscale.

In questa sede si rammenta soltanto che, con tale pronuncia, i giudici eurounitari, dopo aver chiarito che l’obbligo per gli stati membri di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione riguarda anche l’Iva, hanno tuttavia riconosciuto che le norme europee non precludono ad uno Stato membro di accettare un pagamento parziale del debito Iva da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria, nell’ambito di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio, a condizione che un esperto indipendente attesti che non si otterrebbe un pagamento in misura maggiore in caso di fallimento. La decisione della Corte di Giustizia perviene quindi a conclusioni contrastanti con la sentenza della Corte costituzionale n. 225/2014, in cui il giudice delle leggi ha dichiarato l’intangibilità assoluta del tributo anche in ragione dei vincoli europei.

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Benché la pronuncia della Corte di Giustizia U.E. subordini la falcidiabilità dell’Iva alla presenza di un concordato preventivo “liquidatorio”, lasciando teoricamente aperta la questione in riferimento al concordato c.d. “in continuità”, agli accordi di ristrutturazione del debito, nonché alle procedure di cui alla l. n. 3/2012, il legislatore interno ha opportunamente rifiutato di ritenere tali crediti intangibili nelle ipotesi in cui è prevista la prosecuzione dell’attività economica, così come ha finalmente posto rimedio al concorso di norme, non coordinate tra loro, che stabiliscono, con riguardo ad Iva e ritenute, condizioni di pagamento differenziate per i debitori in crisi finanziaria.

La disparità di trattamento permaneva (e, con riguardo alle ritenute operate e non versate, permane tuttora) per le procedure instaurate sotto il vigore della l.

n. 3/2012, rispetto alle quali non sono mancate iniziative, da parte di alcune corti di merito, volte alla risoluzione del contrasto.

Tra le tante se ne segnalano due particolarmente significative: la prima è l’ordinanza del Tribunale di Udine del 14 maggio 2018466 con la quale è stato sollevato incidente di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, l. n. 3/2012, limitatamente al suo riferimento “all’imposta sul valore aggiunto”, rispetto ai parametri di uguaglianza e ragionevolezza, atteso che “ai sensi di tale norma, le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono disciplinate in modo irragionevolmente diverso dalle procedure concorsuali del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione nonostante queste ultime siano simili alle prime poiché regolate dalle medesime cadenze di massima e dalle stesse finalità”, rilievi poi condivisi dal giudice delle leggi con la più volte citata sentenza del 29 novembre 2019, n. 245; la seconda è la pronuncia con cui il Tribunale di La Spezia467 ha fornito un’interpretazione diversa, e certamente innovativa

466 Trib. Udine, sez. II, ord. 14/05/2018, in Il caso.it, 2018.

467 Trib. La Spezia, sent. 10/09/2018, in Il caso.it, 2019.

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nell’ambito del sovraindeitamento, nell’affrontare un caso riguardante una proposta di accordo di composizione della crisi, formulata da un’impresa individuale, che prevedeva un pagamento pesantemente falcidiato del debito Iva entro cinque anni dall’omologa dell’accordo stesso.

I giudici liguri effettuano una puntuale e precisa ricostruzione, partendo da un’analisi della titolarità della potestà legislativa in materia di Iva, cui consegue l’affermazione che la stessa è concorrente tra Unione Europea e Stati membri, e ponendo in evidenza la circostanza che ogni Stato membro può introdurre una specifica disciplina dell’Iva da esso ritenuta più opportuna, purché non si ponga in contrasto con i principi stabiliti dall’U.E., e anzi ne garantisca l’attuazione, in osservanza dei principi di effettività della riscossione e di neutralità fiscale indicati dall’U.E. stessa.

Il Tribunale aggiunge poi che, secondo l’insegnamento del giudice delle leggi, costituiscono fonti normative U.E., direttamente applicabili dal giudice dello Stato membro, i principi dell’ordinamento eurounitario come riportati nei trattati istitutivi dell’U.E., oppure esposti in via interpretativa dalla Corte di Giustizia U.E., qualora sia possibile trarre dagli stessi situazioni giuridiche direttamente tutelabili in giudizio.

In particolare, la disapplicazione della normativa interna incompatibile con i principi U.E. è necessaria, da parte del giudice nazionale, anche nei casi di concorrenza tra legislazione nazionale e legislazione U.E., nei quali la seconda si sia limitata ad indicare i principi vincolanti per la normativa nazionale di dettaglio, ove quest’ultima si ponga in contrasto con i principi che, al contrario, avrebbero dovuto essere attuati dal legislatore interno.

Alla luce di tali assorbenti considerazioni e del fatto che gli imprenditori non possano essere sottoposti a differenti trattamenti ai fini Iva, nell’ambito delle procedure concorsuali e delle soluzioni negoziali della crisi, il giudice è arrivato a disapplicare l’art. 7, comma 1, terzo periodo, della l. n. 3/2012, nella

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parte in cui disponeva – prima dell’intervento della Consulta – l’inammissibilità della proposta di accordo di composizione della crisi contemplante il pagamento solo parziale del debito relativo all’imposta sul valore aggiunto.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi, a mio avviso, anche in ordine al divieto di falcidia delle ritenute operate e non versate, stante la loro sostanziale equiparazione al tributo comunitario ai fini della riscossione nell’ambito delle situazioni di crisi aziendale.

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