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96 CAPITOLO III

L’AFFIDAMENTO MONOGENITORIALE

3.1 – Presupposti per la pronuncia di affidamento esclusivo

Il nuovo art. 337-quater c.c. riprende, ma allo stesso tempo sviluppa, quanto disposto dall’ormai abrogato art. 155-bis c.c.

Premessa essenziale per l’analisi di tale articolo è che la norma ha natura residuale; il giudice potrà infatti optare per l’affidamento esclusivo solo qualora ritenga che l’affidamento condiviso sia contrario all’interesse del minore.

Lo sfavore della legge nei confronti dell’affidamento monogenitoriale (da considerarsi come extrema ratio) è testimoniato da vari elementi.

Innanzi tutto l’art. 337-quater esplicitamente subordina la possibilità da parte del giudice di derogare alla regola generale, l’affidamento condiviso appunto, solo nel caso in cui venga accertato che quest’ultimo sia «contrario all’interesse del minore».

Tale decisione del giudice, prosegue poi l’articolo, deve essere adeguatamente motivata; la motivazione dovrà quindi indicare perché, in quella determinata situazione, l’affidamento esclusivo non vada a pregiudicare gli interessi del minore, ma sia anzi vantaggioso per questi.

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97 Con tale previsione il legislatore ha voluto contrastare la criticata prassi giudiziaria che vedeva molti provvedimenti di affidamento emessi senza alcuna motivazione o con motivazioni generiche e standardizzate1.

La norma dà inoltre ai genitori la possibilità di opporsi all’affidamento condiviso, ma stabilisce anche che questi debbano provare le ragioni per cui ritengano tale istituto contrario agli interessi del minore.

Inoltre, qualora la domanda di affidamento esclusivo sia rigettata perché «manifestamente infondata», il giudice potrà considerare il comportamento del genitore istante ai fini di una modifica delle condizioni dell’affidamento (in senso a lui sfavorevole), salva l’applicabilità della disciplina della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.

Infine, in caso di accoglimento della domanda di affidamento esclusivo, il giudice dovrà «fare salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’art. 337-bis».

Certo è che, rappresentando l’interesse morale e materiale della prole il criterio primario e incondizionato che deve governare la materia dell’affidamento, il giudice dovrà modulare le sue decisioni tenendo pur sempre conto del predetto principio e, non di meno, del diritto del minore di continuare ad intrattenere significativi rapporti con entrambi i genitori e con i rispettivi nuclei di appartenenza2.

Il contrario interesse del minore all’affidamento condiviso e il conseguente

1 C. Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino 2006, pag. 114.

2 In tal senso T. Auletta, Commento sub art. 155-bis, in Commentario del codice civile a

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98 sacrificio del diritto alla bigenitorialità si avranno comunque solo in presenza di comprovati motivi, gravi ed irreversibili, tali da indicare la forte probabilità che lo sviluppo del minore venga compromesso per effetto dell’affidamento ad entrambi i genitori.

Abbiamo visto quindi come l’art. 337-quater stabilisca che l’iniziativa per la valutazione dell’applicabilità o meno dell’affidamento monogenitoriale possa avvenire sia d’ufficio che su iniziativa di uno dei genitori3

.

Nel caso in cui il giudice ritenga, per proprio convincimento, che l’affidamento ad un solo coniuge sia la scelta migliore per il benessere della prole, dovrà giustificare tale decisione con un provvedimento motivato indicando, come visto, i motivi specifici per i quali l’affidamento condiviso sarebbe contrario all’interesse del minore4.

L’art. 337-quater, disciplina poi, al secondo comma, il caso in cui sia uno dei genitori a richiedere l’affidamento esclusivo.

La richiesta di affidamento monogenitoriale può essere presentata in ogni momento dal genitore che intenda ottenere l’affidamento esclusivo della prole; egli sarà però tenuto a dimostrare come l’affidamento condiviso possa avere conseguenze lesive all’interesse del minore. Dovrà quindi essere dimostrata, dal genitore istante, la manifesta carenza e inidoneità educativa dell’altro genitore o la riscontrata presenza di elementi oggettivi che

3 G. Ferrando, M. Fortino e F. Ruscello, Trattato di diritto di famiglia, famiglia e

matrimonio, Milano 2011, p. 1740.

4 S. Patti, L. Rossi Carleo, Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna

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99 depongono a favore dell’affidamento esclusivo5

.

Se il giudice deciderà di accogliere tale richiesta, provvederà contemporaneamente a mutare il provvedimento di affidamento da condiviso ad esclusivo, a modificare le decisioni assunte in precedenza circa le modalità di permanenza della prole presso ciascun genitore ed eventualmente a correggere la misura della contribuzione al mantenimento.

Un approfondimento merita invece il caso in cui il giudice non solo decida di rigettare la richiesta di affidamento esclusivo proposta da un genitore, ma ritenga tale istanza «manifestamente infondata».

L’art. 337-quater stabilisce infatti che, qualora il giudice ritenga la richiesta di affidamento esclusivo manifestamente infondata, egli potrà considerare il comportamento dell’istante al fine della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, potendo anche eventualmente applicare l’art. 96 c.p.c. ai fine del risarcimento del danno.

L’intento del legislatore sembra essere quello di evitare che i genitori attuino comportamenti illegittimi, avanzando domande pretestuose a scopi meramente vendicativi6.

Parte della dottrina si è però interrogata sulla giustizia di tale disposizione, in particolare nel passo in cui lascia intendere che il giudice possa sanzionare la condotta del genitore istante, attraverso una modifica dei provvedimenti da adottare nei confronti dei figli7.

5 Paladino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino 2006, p. 127.

6 S. Patti, L. Rossi Carleo, Provvedimenti riguardo ai figli, Bologna 2010, p. 247.

7 G. Autorino Stanzione, La separazione, il divorzio, l’affidamento condiviso, Torino

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100 Infatti, anche se il comportamento del genitore potesse considerarsi scorretto, spinto da motivazioni pretestuose e quindi diseducativo, difficilmente però questo potrebbe, di per sé, integrare gli estremi di una condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa, tale da giustificare una modifica delle condizioni di affidamento della prole.

Al di là di una valutazione di merito circa la giustizia o meno della disciplina prevista dal secondo comma dell’art. 337-quater, è necessaria un’analisi del suo contenuto.

Presupposto per la valutazione del giudice circa l’applicabilità delle sanzioni non è che la domanda sia infondata, ma «manifestamente infondata». Occorre cioè che la domanda risulti, anche ad una prima e superficiale analisi, priva di ogni possibilità di accoglimento per la mancanza evidente dei presupposti previsti per l’affidamento condiviso8

.

La previsione inoltre non richiede la consapevolezza dell’istante circa la palese infondatezza della domanda. Al giudice sarà quindi richiesta un’analisi oggettiva volta a riscontrare l’evidente mancanza dei presupposti previsti dalla legge ai fini dell’applicabilità dell’affidamento esclusivo.

Una volta effettuata tale analisi e accertata la manifesta infondatezza della

previsione della condanna al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. per colui che abbia agito con mala fede o con colpa grave, non è facile immaginare come potrà riflettersi l’infondatezza della domanda sui provvedimenti che il giudice andrà ad adottare nell’interesse dei figli. Salvo che non si voglia inquadrare questo comportamento come, almeno parzialmente, idoneo a far concludere, trattandosi di un comportamento scorretto e “diseducativo”, per la contrarietà all’interesse dei figli dell’affidamento del coniuge istante, con conseguente “concentrazione”, ad esempio, dell’affidamento in capo al genitore infondatamente “accusato”, o per la previsione, lì dove il figlio vivesse con il genitore istante, di un cambio di residenza del figlio stesso».

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101 richiesta, il giudice potrà applicare due diverse sanzioni.

La prima, peculiare per il procedimento, si basa sulla valutazione negativa del comportamento del genitore. Verificata infatti la sua intenzione di voler immotivatamente privare l’altro genitore dell’affidamento dei figli, il giudice potrà addivenire ad un giudizio negativo circa l’idoneità del richiedente ad educare la prole, adeguando di conseguenza i provvedimenti riguardo l’affidamento.

La seconda sanzione (ex art. 96 c.p.c.), di carattere generale, prevede invece che, qualora risulti che l’istante abbia agito con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, lo condanni al risarcimento dei danni subiti per il fatto di essersi dovuto difendere.

La contrarietà del nostro ordinamento a fare dell’affidamento esclusivo la regola di affidamento dei figli in caso di crisi della coppia (sia essa coniugata o meno) deriva, oltre che dall’esperienza maturata negli anni precedenti alla riforma del 2006, anche dall’adesione agli orientamenti espressi in campo internazionale.

Prima tra tutte la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo9, che all’art. 9, terzo comma, stabilisce che gli Stati devono rispettare il diritto del minore separato da entrambi i genitori, o da uno di essi, di mantenere relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, salvo che ciò sia contrario al «superiore interesse del fanciullo».

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102 Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea10

, ribadisce lo stesso principio, stabilendo che il minore ha diritto a intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i genitori, salvo che ciò non sia contrario al suo interesse.

Sono state proprio le convenzioni internazioni a far riferimento, prime fra tutte, all’interesse del minore, considerato appunto preminente rispetto agli altri interessi da tenere in considerazione11.

Nel caso in cui sia deciso l’affidamento esclusivo, il figlio verrà affidato ad uno dei due genitori, quello che, a parere del giudice, risulta più idoneo a prendersi cura del minore da un punto di vista materiale, psicologico ed affettivo.

Tale valutazione del giudice, secondo larga parte della dottrina, dovrà basarsi esclusivamente sul modo in cui, durante la convivenza, ciascun genitore ha esercitato il proprio ruolo parentale, lasciando invece fuori dalla sua analisi lo stile di vita dei genitori e la responsabilità nella crisi coniugale12.

Esempi di come lo stile di vita del genitore, se non motivo di pregiudizio al minore, non debba rientrare nella valutazione del giudice circa le modalità di affidamento, si possono trarre da varie sentenze, remote e recenti.

La Corte d’Appello di Venezia, già nel lontano 1948, aveva stabilito che una donna che esercitava la prostituzione potesse comunque ottenere

10 Adottata a Nizza il 7 dicembre 2000.

11 Così S. Patti e L. Rossi Carleo, Provvedimenti riguardo ai figli, Bologna, 2010, p. 225. 12 Sul punto si veda T. Auletta, Commento sub art. 155-bis, in Commentario del codice

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103 l’affidamento della prole, in quanto nel rapporto con i figli si rivelava una buona madre13.

Negli anni la giurisprudenza è rimasta costante nel voler garantire l’interesse del minore, prescindendo da valutazioni o discriminazioni riguardanti le preferenze religiose, ideologiche, politiche o sessuali.

Una risalente sentenza della Corte di Cassazione ha, ad esempio, stabilito che l’appartenenza della madre alla comunità dei Testimoni di Geova, non fosse motivo di ostacolo all’affidamento della prole a questa14

.

Per citare invece una decisione particolarmente recente possiamo ricordare quella emessa dalla Corte di Cassazione l’11 gennaio 2013, nella quale è stato stabilito che l’omosessualità del genitore affidatario (la madre) e la sua attuale convivenza con la compagna, non fossero fattori incidenti sul sano sviluppo psicofisico del minore15. In particolare, nel rigettare il ricorso del padre che si opponeva alla pronuncia di affidamento esclusivo in favore della madre emessa dalla Corte d’Appello di Brescia, la Corte si è così espressa:

«Alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che, dunque, correttamente la Corte d’appello ha preteso fossero specificamente

13 App. Venezia, 20 dicembre 1948, in Temi, 1948, 672. 14 Cass., 7 febbraio 1995, n. 1401, in Fam. dir., 1995, 351.

15 Cass., 11 gennaio 2013, n. 601, in Diritto di famiglia e delle persone, Gennaio- Marzo

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104 argomentati».

Altri autori hanno invece individuato una distinzione tra i fattori che possono avere incidenza sull’adozione dei provvedimenti riguardo l’affidamento della prole, distinguendo, in particolare, tra situazioni intrinseche al modo di essere dei genitori e situazioni estrinseche ad essi, ma comunque tali da influire in maniera significativa sulle decisioni del giudice16.

La prima categoria di fattori riguarderà la valutazione della personalità di ciascun coniuge. Il giudice potrà infatti trovarsi di fronte all’interrogativo se e in quale misura determinate scelte ideologiche, culturali e religiose del genitore possono influenzare in negativo lo sviluppo psicofisico del minore.

Dottrina e giurisprudenza si sono trovate spesso a dibattere sull’argomento17

, ma, con particolare riferimento alle scelte religiose dei coniugi, la Corte di Cassazione si è recentemente trovata ad affermare che il mutamento di fede religiosa in sé non può avere rilevanza come ragione incidente sull’affidamento dei figli, se ed in quanto il comportamento del coniuge non superi i limiti di compatibilità con i doveri di genitore18.

Per quanto riguarda il contenuto di tale tipo di affidamento è possibile affermare che conseguenza diretta dell’affidamento esclusivo sarà la stabilità della convivenza tra il minore e l’affidatario; l’altro genitore potrà invece intrattenere rapporti con il figlio secondo i tempi e le modalità puntualmente

16 L. Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio, Torino

2006, p. 35.

17

Si veda W. Bigiavi, Ateismo ed educazione dei figli, in Giur. It, 1949, 11.

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105 previste dal giudice.

È necessario sottolineare che parte della dottrina, in concomitanza con i lavori preparatori alla riforma del 2006, ebbe a rilevare come la normativa sull’affidamento esclusivo fosse alquanto lacunosa19.

Tali critiche furono mosse soprattutto durante l’esame del disegno di legge al Senato. Il senatore Ettore Bucciero osservò in particolare che, a suo parere, la giurisprudenza sarebbe stata costretta ad un consistente sforzo interpretativo ogni volta che il tribunale avesse ritenuto applicabile l’istituto dell’affidamento esclusivo. La disciplina sull’affidamento monogenitoriale infatti, ad avviso del senatore, non avrebbe consentito alcuna definizione delle modalità di regolazione del suddetto affidamento20.

A causa di tali obiezioni, sempre durante lo svolgimento dei lavori preparatori della riforma del 2006, venne presentato un emendamento volto a individuare precise regole di applicazione dell’affidamento esclusivo21

. L’emendamento era così formulato: «Il coniuge cui sono affidati i figli esercita in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, la potestà, attenendosi alle condizioni stabilite dal giudice anche in ordine

19

In tal senso Marino afferma che: «L’art. 155-bis e ter si occupano dell’affidamento a un solo genitore e dell’opposizione all’affidamento condiviso. Detta norma contiene una formulazione singolare: infatti non definisce in alcun modo quali siano le caratteristiche dell’affidamento monogenitoriale limitandosi ad affermare che il giudice può disporre l’affidamento ad uno solo dei genitori laddove ritenga che l’affidamento all’altro sia in contrasto con gli interessi del minore.». Marino, Linee generali della riforma e confronto con

l’esperienza di Francia, Spagna e Germania, p. 2, in www.giustizia.lazio.it.

20 Sen. Bucciero, Presidente della Commissione speciale in materia di infanzia e minori

del Senato della Repubblica, seduta del 20 dicembre 2005, in Atti parlamentari, Senato della

Repubblica, resoconto sommario.

21 Emendamento Maritati, Calvi, Ayala, Fassone, Legnini, Franco, Vittoria, Rotondo,

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106 all’amministrazione dei beni appartenenti ai figli. Il coniuge non affidatario partecipa comunque con il coniuge affidatario all’adozione delle decisioni di maggiore interesse per i figli ed ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro educazione ed istruzione, compresa la facoltà di adire il giudice tutelare qualora ritenga che le decisioni assunte dal coniuge affidatario siano pregiudizievoli per i loro interessi. Ciascun coniuge può ricorrere al giudice tutelare qualora essi non riescano a trovare un accordo sulle decisioni di maggiore interesse per i figli».

L’emendamento fu poi rigettato nella seduta del 18 gennaio 2006 e la riforma dell’affidamento fu approvata senza che all’art. 155-bis venisse dato un contenuto specifico riguardo alle modalità di attuazione dell’affidamento esclusivo.

Non tutta la dottrina fu in realtà concorde nell’individuare tali lacune nella disciplina legislativa22.

Fu infatti affermato che tali critiche muovevano da un errore di prospettiva, ossia ritenere che l’affidamento esclusivo fosse previsto e disciplinato unicamente dall’art. 155-bis.

L’ articolo in questione, così come l’attuale art. 337-quater, si sarebbe limitato in realtà ad indicare i presupposti per l’applicazione di tale tipo di affidamento, mentre la vera e propria disciplina dell’istituto sarebbe stata rintracciabile in altre disposizioni, e precisamente all’art. 155, secondo comma, per quanto riguarda la frequentazione e gli incontri dei figli con il genitore non affidatario; all’art. 155, terzo comma, con riferimento alla

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107 titolarità ed esercizio della responsabilità genitoriale (anche se ad oggi, come vedremo meglio in seguito, questa è specificamente disciplinata anche dal terzo comma dell’art. 337-quater); sempre all’art. 155, quarto comma, con riguardo alla contribuzione del genitore non affidatario al mantenimento dei figli ed infine per l’assegnazione della casa familiare, all’art. 155-quater23

. La disciplina dell’affidamento esclusivo sarebbe quindi, ad avviso di questo orientamento, sufficientemente dettagliata, anche se non rintracciabile in un’unica norma.

Infine, sempre in riferimento al contenuto dell’affidamento monogenitoriale, è necessario sottolineare che al terzo comma dell’art.

337-quater viene affermato, ed è questa la vera novità rispetto alla disciplina

previgente, che anche tale forma di affidamento deve salvaguardare il diritto del minore alla bigenitorialità.

Al genitore non affidatario, come vedremo più approfonditamente, sarà quindi comunque garantita la possibilità di intrattenere rapporti significativi con il minore, se ciò risponderà agli interessi di quest’ultimo.

3.2 – Circostanze che comportano un necessario ricorso del giudice

all’affidamento esclusivo

È forse esagerato parlare di circostanze che hanno come conseguenza diretta ed automatica la scelta, da parte del giudice, dell’affidamento monogenitoriale, ma non si può negare che alcune situazioni familiari possano portare il giudice ad optare, senza tante esitazioni, per tale tipo di

23

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108 affidamento24.

Deve chiaramente trattarsi di contesti connotati da una particolare gravità e comunque lesivi dell’integrità psicofisica del minore.

La condotta particolarmente violenta25 di un genitore verso l’altro o la prole è sicuramente da annoverarsi tra i casi che possono portare all’applicazione dell’affidamento esclusivo, così come lo stato di tossicodipendenza26, alcolismo27 o detenzione28 di uno dei genitori.

Le evidenti ripercussioni negative che tali comportamenti assunti dal genitore possono avere sulla prole minorenne giustificano infatti l’applicazione dell’affidamento monogenitoriale.

Altra causa che può giustificare la scelta a favore dell’affidamento esclusivo è ritenuta, da larga parte della giurisprudenza, il completo disinteresse di un genitore nei confronti dei figli. A tal proposito è possibile ricordare una recente sentenza del Tribunale di Modena29, la quale ha stabilito che il prolungato assenteismo del genitore, in questo caso il padre, dalla vita delle figlie, costituisse motivo di legittima deroga al regime ordinario di affidamento condiviso. Nel caso di specie infatti, il Tribunale ha ritenuto legittimo accogliere la domanda di affidamento esclusivo delle figlie proposta

24

In tal senso G. Bellucci e A. Menna, Separazione e divorzio, Le questioni attuali nella

più recente casistica giurisprudenziale, Roma, 2011, pp. 238 ss.

25

Tribunale di Catania, 20 ottobre 2008, in www.famiglaegiustizia.it.

26

Tribunale per i minorenni di L’Aquila, 26 marzo 2007, in Giurisprudenza di merito, 2007, 3110.

27

Tribunale per i minorenni di Catanzaro, 27 maggio 2008, in Famiglia e minori, 2008, p. 86.

28 Tribunale di Catania, 1 giugno 2006, in Giurisprudenza di merito, 2006, 2412.

29 Tribunale di Modena, sent. n. 1425, 17 settembre 2012, in

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109 dalla madre a causa dell’evidente e persistente disinteresse mostrato dal padre nei confronti della prole.

Alcuni autori si sono mostrati favorevoli a tale indirizzo giurisprudenziale, affermando in particolare che: «Di fronte all’acclarata mancanza di amore, espressa nel costante disinteresse verso i figli, la scelta possibile resta quella per il minore dei mali: l’affidamento esclusivo senza obbligo di frequentazione da parte del genitore distaccato dal punto di vista affettivo. Nessun figlio vorrebbe infatti un padre solo apparentemente amorevole»30.

Anche la violazione degli obblighi di mantenimento è stata più volte considerata motivo giustificativo della scelta a favore dell’affidamento esclusivo31. L’inosservanza di tale obbligo infatti, non può non essere considerata una violazione del più ampio dovere di cura del minore, imponendo al giudice un giudizio negativo sulle capacità genitoriali dell’inadempiente.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza infatti: «Il dovere di mantenimento è uno degli obblighi primari previsti dall’art. 147 c.c. a carico dei genitori, essendo finalizzato ad assicurare l’esistenza in vita, la salute e il benessere del minore, ed è quindi strettamente collegato con il dovere di assistenza, che deve essere non solo morale ma altresì materiale32».

30

G. Bellucci e A. Menna, op. cit., p. 238.

31

In tal senso G. Bellucci e A. Menna, Separazione e divorzio, Roma 2011, p. 245.

32

Trib. Catania, decreto 14 gennaio 2007, Pres. Maiorana Est. Escher, in www.affidamentocondiviso.it; ma anche Cass., 17 dicembre 2009, n. 26587, Pres. Proto, Est. Schirò, in www.italgiure.giustizia.it.

In tale sentenza è infatti stato affermato che: «La regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori [..] è derogabile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, come nel caso in cui il genitore non affidatario si

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110 Infine, il deciso rifiuto del minore di avere rapporti con uno dei genitori può essere motivo di decisione in favore dell’affidamento esclusivo33.

In base al riconosciuto «principio di autodeterminazione del minore» infatti, la sua manifestazione di volontà riguardo al non avere alcun rapporto con uno dei genitori può essere presa in considerazione quale motivo di giustificazione a favore dell’affidamento monogenitoriale.

Nell’odierna disciplina ciò trova conferma, come vedremo meglio in seguito, anche nel dettato dell’art. 337-octies, il quale disciplina l’ascolto del minore, strumento spesso determinate per individuare il vero interesse del principale destinatario degli effetti del provvedimento34.

Si tratta chiaramente di una circostanza delicata che il giudice dovrà valutare con estrema cautela, appurando, in particolare, quali siano le cause di un tale rifiuto e che, nello specifico, non siano ascrivibili al comportamento dell’altro genitore.

È interessante a tal proposito analizzare una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione35 che si è espressa su tale controverso argomento.

La vicenda giudiziaria ha inizio nel 2005 con la separazione consensuale dei coniugi a seguito della quale viene disposto l’affidamento esclusivo del

sia reso totalmente inadempiente all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori ed abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto i suoi comportamenti sono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente».

33

Tribunale di Firenze, 22 aprile 2006, in Fam. e dir. 2006, 291.

34 Romano, L’ascolto dei minori, in L’affidamento condiviso, di S. Patti e L. Rossi Carleo,

Milano, 2006, p. 211.

35 Cass., 20 marzo 2013, n. 7041, in Diritto di famiglia e delle persone, Gennaio- Marzo

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111 figlio minore a favore della madre. Tale tipo di affidamento, sommato ai comportamenti ostili del genitore affidatario verso il genitore non affidatario, genera, a detta del padre, una forte involuzione dei suoi rapporti con il figlio, il quale inizia presto a mostrare un rifiuto al mantenimento di un legame affettivo con lui.

Il padre decide così di adire il Tribunale dei minorenni di Venezia per una revisione delle disposizioni riguardanti l’affidamento del minore. Nel corso dell’istruttoria viene disposta una consulenza tecnica d’ufficio che evidenzia l’esistenza nel minore della cd. «sindrome da alienazione parentale» (PAS), un disturbo originato, solitamente, da una situazione di conflitto genitoriale e che si manifesta mediante il rifiuto e la denigrazione da parte del bambino nei confronti del genitore non affidatario, a causa di una violenza emotiva che normalmente il genitore affidatario muove verso il minore.

All’esito di tale consulenza tecnica il Tribunale dei minorenni di Venezia pronuncia la decadenza della potestà genitoriale della madre e, pur restando il figlio collocato presso di essa, affida il minore ai Servizi sociali. Tale decisione viene presa al fine di favorire il riavvicinamento del minore alla figura paterna.

Contro tale provvedimento il padre decide tuttavia di fare ricorso, chiedendo l’allontanamento del figlio dalla madre e dall’intera famiglia materna.

Il ricorso viene però rigettato e il padre decide così di adire la Corte di Appello di Venezia. La Corte, disposta consulenza tecnica d’ufficio, affidata, tra l’altro, allo psichiatra già nominato in precedenza, e acquisite le relazioni

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112 dei Servizi sociali riguardanti gli sviluppi del minore, prende atto che il miglioramento dell’atteggiamento del figlio nei confronti del padre è meramente effimero, riscontrabile cioè solo in concomitanza di accertamenti nell’ambito di procedure in cui si profila il pericolo di una decisione sfavorevole per la madre.

La Corte di Appello di Venezia constata quindi che, nonostante siano state rispettate le prescrizioni circa i percorsi terapeutici già stabiliti, l’equilibrio psicofisico del minore risulta minato ed esposto a grave pericolo in relazione alla condizione patogenetica in cui versa, determinata da un forte conflitto di fedeltà nei confronti della madre.

Viene così disposto l’affidamento del minore al padre con collocamento in struttura protetta, ritenendo infatti che solo una diversa collocazione del minore possa scongiurare l’ormai cristallizzato rifiuto e odio dello stesso verso la figura paterna.

Contro tale provvedimento la madre propone ricorso in Cassazione. La Corte decide di cassare la decisione dei giudici di merito sull’affidamento del minore rilevando, in particolare, che la sindrome da alienazione parentale diagnosticata a carico del figlio, è una patologia ancora carente, ad oggi, di rigore scientifico, del tutto controversa e quasi sempre rifiutata. Essa, afferma infatti la Corte, sarebbe un «costrutto pseudo-scientifico», non in grado, di per sé, di fondare una pronuncia di affidamento monogenitoriale.

Risulta evidente, dall’analisi del caso proposto, quanto sia quindi delicato il lavoro di chi si trova di fronte a situazioni di rifiuto del minore verso un genitore.

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113 La circostanza che il minore provi nei confronti del genitore non convivente sentimenti di avversione non facilmente rimuovibili con il supporto di strutture psicopedagogiche, può giustificare la sospensione degli incontri con il genitore stesso, ma necessita altresì di un’approfondita analisi delle cause di tale rifiuto.

3.3 – Circostanze di incerto affidamento esclusivo

Oltre alle circostanze appena esaminate, sulle quali, in via di generale applicazione, si riscontra un certo grado di certezza da parte di dottrina e giurisprudenza in ordine all’adozione del provvedimento di affidamento esclusivo (data la gravità delle situazioni relative al singolo caso, pregiudizievoli per l’equilibrio psicofisico del minore), è necessario considerare quelle ipotesi per le quali, al contrario, non è individuabile un criterio di quasi certa predeterminabilità degli esiti giudiziali riguardanti l’adozione dei provvedimenti di affidamento.

Esistono infatti situazioni familiari che da anni dividono dottrina e giurisprudenza circa il regime di affidamento dei figli più adatto a disciplinarle.

Non sempre è facile per il giudice capire con sicurezza se l’affidamento condiviso, in una determinata circostanza, risponda effettivamente all’interesse del minore o se invece l’affidamento al genitore risultato più idoneo a prendersi cura della prole sia la scelta più sensata.

Prima fra tutte è necessario analizzare la molto diffusa situazione di conflittualità tra i coniugi.

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114 Dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto se la forte conflittualità tra i genitori potesse considerarsi uno dei presupposti per l’applicazione dell’affidamento esclusivo36

.

Punto da cui partire per analizzare lo sviluppo di tale dibattuta questione sono i lavori preparatori della riforma del 2006.

Durante la seduta della Camera dei deputati del 10 marzo 2005, l’onorevole Paniz dichiarò che l’eventuale sussistenza di conflittualità tra i genitori non avrebbe potuto costituire motivo sufficiente per derogare alla regola dell’affidamento condiviso.

L’onorevole, in particolare, affermò che:

«nel caso di separazione dei genitori, i figli sono affidati come regola ad entrambi e, soltanto come eccezione, ad uno di essi quando in tal senso spinga l’interesse del minore e l’affidamento condiviso determini una situazione di pregiudizio per il minore stesso. […] Certamente, esiste la possibilità di conflitto in presenza di pari idoneità genitoriale, ma, se ciò accade, non per questo deve venir meno l’applicazione dell’affidamento condiviso come regola generale. Spetterà al giudice prendere una decisione sulla base dei progetti educativi presentati da entrambi i genitori»37.

Sempre nel corso della stessa seduta, l’onorevole Carolina Lussana affermò di considerare profondamente diseducativo l’atteggiamento di quanti, di fronte agli ostacoli della conflittualità, anziché chiedere agli adulti di imparare a gestire civilmente il proprio disaccordo, preferissero

36 C. Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, pp. 115 ss.

37 On. Paniz, in Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Resoconto Sommario e

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115 semplicisticamente l’affidamento esclusivo, con il risultato di sottrarre un genitore al figlio incolpevole.

Tale opinione nasceva probabilmente dall’osservazione della prassi precedente; per molti anni la giurisprudenza aveva sostenuto infatti che l’istituto dell’affidamento condiviso avrebbe potuto trovare applicazione solo in caso di scarsa conflittualità tra i genitori.

Sempre durante lo svolgimento dei lavori parlamentari di stesura della l. 54/2006, venne più volte affermato che proporre come regola base l’affidamento esclusivo tutte le volte in cui vi fosse conflittualità tra i genitori, avrebbe significato lasciare inalterata la disciplina previgente, rendendo la legge di riforma del tutto inutile.

I parlamentari coinvolti in questo lavoro di riforma della legge sull’affidamento si trovarono quindi concordi nello stabilire che ogni qual volta l’interesse del minore fosse stato compromesso da circostanze ineliminabili, il giudice avrebbe dovuto porre a cardine della sua decisione l’affidamento esclusivo. Venne però affermato con eguale decisione che la regola dell’affidamento condiviso non potesse essere applicata solo in caso di consenso tra i genitori.

Bisogna anzi sottolineare che nel corso della successiva seduta della Camera dei deputati venne proposto un emendamento volto ad introdurre la «conflittualità tra i genitori» quale motivo sufficiente per disporre l’affidamento dei figli ad un solo genitore. L’emendamento38

era così

38 Elaborato dagli onorevoli Bonito, Lucidi, Magnolfi, Finocchiaro, Zanella, Cento e

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116 formulato: «Al comma secondo dell’art. 155-bis aggiungere il seguente periodo: La conflittualità tra i genitori costituisce pregiudizio per i figli, in presenza del quale il giudice può stabilire, motivandolo, l’affidamento ad un solo genitore». Tale emendamento non venne neppure posto in votazione, a riprova della decisione con la quale i promotori della legge sull’affidamento condiviso vollero escludere la conflittualità coniugale tra le cause giustificatrici dell’applicazione dell’affidamento condiviso.

La questione continua però a non essere del tutto pacifica. La tesi che individua nella conflittualità «accesa» o «esasperata» tra i coniugi un motivo idoneo e sufficiente per negare l’attribuzione dell’affidamento condiviso trova comunque adesione.

Tra le sentenze che più di recente si sono espresse in tal senso, possiamo ricordare la n. 5108/12 della Corte di Cassazione39. La vicenda s’incardinava in un procedimento di modifica delle condizioni di separazione, in cui il Tribunale di Roma decideva di revocare il regime di affidamento condiviso della figlia minore ad entrambi i genitori, optando per l’affidamento esclusivo alla madre, vista l’eccessiva e patologica conflittualità tra i genitori, che generava nella figlia uno stato di confusione ed alterazione psicologica, come evidenziato nella Ctu disposta nel corso dell’istruttoria.

La consulente, nel caso a lei sottoposto, aveva infatti potuto riscontrare come l’assoluta incomunicabilità tra genitori avesse creato una serie di pressioni e tensioni eccessive e controproducenti sulla minore. I genitori

39Cass., 29 marzo 2012, n. 5108, Pres. Luccioli, rel. Gianicola, in

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117 infatti, non parlandosi, erano arrivati a decidere autonomamente le attività della figlia, che di fatto si trovava costretta, per fare alcuni esempi, a fare due diverse attività sportive e a seguire due differenti diete alimentari; tale situazione aveva finito per creare nella minore un profondo turbamento, con conseguente alterazione dei suoi comportamenti.

La sentenza di primo grado veniva successivamente confermata dalla Corte d’Appello e la vicenda giungeva in Cassazione su ricorso del padre, il quale riteneva che fossero stati disattesi i principi di cui, all’allora vigente, art. 155 c.c. La Corte di Cassazione respingeva infine il ricorso puntualizzando che, pur costituendo l’affidamento condiviso la regola prioritaria e pur essendo stato in varie occasioni affermato che la mera conflittualità tra i coniugi non preclude il ricorso a tale regime preferenziale, tale conflittualità doveva comunque sempre mantenersi nei limiti di un «tollerabile disagio» per i figli minori.

Concludeva infine la Corte affermando che, quando la conflittualità tra i genitori assume invece, come nel caso di specie, connotati estremi, tali da alterare e porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei minori, l’affidamento condiviso non fa che risultare un nocumento per i minori stessi, diventando possibile fonte di patologie future; in tali casi, nell’interesse del minore, è stato quindi considerato preferibile l’affidamento esclusivo.

Mentre quindi una «normale conflittualità» tra i genitori, considerata la situazione di crisi di coppia che porta i coniugi a intraprendere la difficile strada della separazione, non può mai venir valutata come motivo sufficiente

(23)

118 per l’affidamento monogenitoriale40

, una conflittualità esagerata, tale da impedire un’eventuale cogestione dell’affidamento condiviso, può, come visto, portare i giudici a scegliere l’affidamento esclusivo.

Altra circostanza che porta la giurisprudenza di merito ad essere ambivalente in ordine al tipo di provvedimento da adottare con riguardo all’affidamento dei minori è la distanza tra i luoghi di residenza dei genitori41. La giurisprudenza più recente tende, invero, ad una predilezione per l’affidamento condiviso anche il tali casi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha, in particolare, affermato che: «L'affidamento monogenitoriale è un'ipotesi residuale rispetto all'affidamento ad entrambi i genitori, che può ricorrere solo in presenza di circostanze tali da far ritenere contrario all'interesse del minore l'affidamento condiviso, in particolare in caso di manifesta carenza o inidoneità educativa di uno dei genitori […]. Va altresì affermato l'ulteriore principio di diritto, secondo cui l'oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude la possibilità di un affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore»42.

Non mancano tuttavia esempi opposti; non molti anni fa infatti, è stato ritenuto valido motivo di affidamento esclusivo alla madre il trasferimento di

40 Da ultimo Cass., 8 febbraio 2012, n. 1777, Pres. Vitrone, Est. Doglitti, e Cass., 29

marzo 2012, n. 5108, Pres. Luccioli, Est. Giancola, entrambe in www.italgiure.giustizia.it.

41

Sul punto si veda S. Patti, L. Rossi Carleo, op. cit, Bologna 2010, p. 239.

42

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119 quest’ultima da Rimini a Taranto43

.

Anche nel caso in cui i genitori vivano in due luoghi molto distanti, se non addirittura in due nazioni diverse, la scelta in favore dell’affidamento condiviso ha comunque senso in quanto permette ad entrambi i genitori di intervenire nelle decisioni e nelle scelte riguardanti il figlio, facendo così coincidere il principio di bigenitorialità con la potestà di decidere sull’educazione e la vita del minore44

.

Certo è che la distanza tra le residenze dei genitori imporrà delle modalità di attuazione dell’affidamento condiviso che potranno comportare innegabili sacrifici, sia per i genitori che per i figli. I continui spostamenti e le conseguenti difficoltà pratiche, economiche e psicologiche derivanti da essi potrebbero invero essere notevoli, anche se finalizzate a garantire al minore la concreta possibilità di mantenere un rapporto equilibrato e significativo con entrambi i genitori.

Ulteriore ipotesi da analizzare in tema di circostanze di incerto affidamento esclusivo è il caso di difficoltà relazionali di un genitore nei confronti del figlio. La lontananza emotiva ed affettiva verso la prole può far sì che il giudice si ponga degli interrogativi circa l’adeguatezza dell’affidamento condiviso rispetto a tale situazione.

Come affermato da autorevoli studiosi infatti, né la legge 54/2006, né il d.lgs. 154/2013, hanno inteso costringere un genitore ad esercitare il proprio

43

Corte di Appello di Bologna, 28 dicembre 2006, in Famiglia e diritto, 2007, p. 482.

44

(25)

120 ruolo genitoriale; nessuna legge può costringere una persona a manifestare un affetto che non sente o ad esercitare un ruolo genitoriale non voluto45.

A fronte della prolungata assenza di uno dei genitori dalla vita del figlio, sarebbe infatti irrealistico attribuire la facoltà di adottare decisioni nell’interesse del minore ad entrambi i genitori quando uno dei due ha ormai da tempo perso i contratti con la prole e non è più in grado di comprendere le capacità, l’inclinazione naturale e le aspirazioni dei figli46

.

Stesso discorso vale in relazione a palesate difficoltà oggettive di gestione dell’affidamento condiviso. Un lavoro che comporta lunghi periodi di assenza, ad esempio, è stato in passato ritenuto motivo sufficiente per la pronuncia di affidamento esclusivo47.

Le circostanze che possono portare il giudice ad interrogarsi sull’opportunità o meno circa la scelta dell’affidamento esclusivo sono in realtà molteplici e difficilmente elencabili.

Pur essendo l’art. 337-quater una disposizione di natura residuale infatti, dovrà essere preso in considerazione ogni volta in cui la formula dell’affidamento condiviso, pur valutata prioritariamente, non sia praticabile perché ritenuta dal giudice contraria all’interesse del minore.

Tale valutazione del giudice, è necessario sottolineare, comporta comunque una certa discrezionalità e proprio per questo motivo risulta difficile stilare un elenco completo delle circostanze disciplinabili in base all’art. 337-quater.

45

G. Bellucci, A. Menna, op. cit., p. 242. ma anche S. Patti, L. Rossi Carleo, op. cit., p. 244.

46 In tal senso Tribunale di Bologna, 8 novembre 2007, n. 2547, in www.giuremilia.it. 47 Tribunale di Catania, ordinanza del 5 giugno 2006, in www.mircominardi.it.

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121 3.4 – Il terzo comma dell’art. 337-quater

Importante novità introdotta dalla riforma del 2013 è stata l’inserimento di un terzo comma nell’art. 337-quater, il quale, nei primi due commi, ricalcava invece pedissequamente il contenuto dell’ex art. 155-bis.

Tale terzo comma riguarda specificamente la responsabilità genitoriale dell’affidatario e del non affidatario.

Stabilisce infatti la norma che il genitore affidatario ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale sui figli, ma che deve comunque attenersi alle condizioni dettate dal giudice in sede di separazione o divorzio. Le decisioni di maggior interesse per la prole dovranno però essere prese di comune accordo da entrambi i genitori, salvo che sia diversamente stabilito.

Il genitore non affidatario avrà comunque il diritto e il dovere di vigilare sull’istruzione e sull’educazione dei figli; potrà inoltre ricorrere al giudice qualora ritenga che il genitore affidatario abbia assunto decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

Dell’importanza della modifica terminologica apportata dal d.lgs. 154/2013 (ossia il passaggio dal concetto di potestà a quello di responsabilità genitoriale) abbiamo già diffusamente parlato. Abbiamo sottolineato inoltre come la nozione di responsabilità genitoriale meglio definisca i contenuti dell’impegno che i genitori sono chiamati ad assumere con la nascita dei figli. Abbiamo anche analizzato come i figli non vengano più considerati mero «oggetto di protezione», ma come veri e propri «soggetti titolari di diritti» e come, di conseguenza, i genitori non siano più dipinti dal codice come

(27)

122 «titolari di poteri», ma come «destinatari di responsabilità».

Ciò che in questa sede vale la pena sottolineare è che i genitori conservano sempre e comunque la titolarità della responsabilità genitoriale a prescindere dal tipo di affidamento adottato.

È per questo che l’art. 337-quater, al quarto comma, stabilisce che «le decisioni di maggior interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori» e che solo il giudice può derogare, per gravi e motivate ragioni, a questa situazione.

Il terzo comma inoltre, ribadendo che il genitore affidatario «deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice», sottolinea ancora una volta il diritto di ciascun genitore a prendere parte alla vita del proprio figlio, evitando così che l’affidamento possa costituire una rescissione del legame familiare48

. Anche l’art. 337-quater dunque, in armonia con tutto il dettato del d.lgs. 154/2013, ribadisce ed amplifica il principio di bigenitorialità, il quale riesce a farsi strada anche in caso di affidamento esclusivo della prole.

48 A. Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino 2014,

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