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Ci tengo però a sottolineare che ho tentato di rispettare lo stesso rapporto numerico fra i testi in prosa e i testi poetici dell‟originale

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XLVII LA TRADUZIONE

 La selezione dei testi

Avendo un limite massimo di caratteri da rispettare, non ho potuto tradurre integralmente War Dances e sono stata costretta a lasciare da parte alcuni racconti e poesie. Ci tengo però a sottolineare che ho tentato di rispettare lo stesso rapporto numerico fra i testi in prosa e i testi poetici dell‟originale.

I criteri di selezione del corpus da tradurre hanno seguito principalmente un filo rosso che ho cercato di mantenere per tutto il lavoro, ossia quello dello stile e dei temi: ho deciso di lasciare da parte un testo come “Fearful Simmetry” perché, per quanto originale e interessante, sembra uscire un po‟ fuori da quelle che sono le tematiche dominanti del resto dell‟opera, già citate nei capitoli precedenti.

Stessa considerazione vale per “After Building the Lego Star Wars Ultimate Death Star”, unica poesia di tutta la raccolta scritta in rima. Per quanto stimolante possa risultare il tentativo di traduzione di un testo del genere, dovendo necessariamente effettuare dei tagli, ho ritenuto più coerente includere tutte le poesie caratterizzate dallo stile “ibrido” tipico di Alexie.

La traduzione conterrà pertanto i seguenti titoli:

Prosa:

“Breaking and Entering”,

“Bird-watchingat night”,

“War Dances”,

“Catechism”,

“The Senator‟s Son”,

“The Ballad of Paul Nontheless”,

(2)

XLVIII

“Big Bang Theory”,

“RomanCatholic Haiku”,

“Salt”.

Poesie:

“The Limited”,

“Go, Ghost, Go”,

“Ode to Small-townSweethearts”,

“Another Proclamation”,

“Home of the Braves”,

“On Airplanes”,

“Ode for Pay Phones”,

“Ode to Mix Tapes”,

“Looking Glass”,

“Food Chain”.

 La prosa

- “Breaking and Entering”.

Questo il titolo del primo racconto di War Dances. Il narratore è George Wilson, un tecnico del montaggio cinematografico che non può fare a meno di utilizzare le tecniche dell‟editing anche per raccontare la sua storia. Il testo è infatti denso di giochi di parole e doppi sensi. La destrezza di Alexie con le parole è chiara fin dalla prima pagina, quando il narratore racconta di un suo professore del college e dei suoi suggerimenti, divenuti per lui delle regole di vita, che si possono riassumere nella frase “Skip the door”, ossia omettere le informazioni

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XLIX superflue1. Il lettore, ancora divertito dall‟immagine del goffo professore, viene immediatamente catapultato nel bel mezzo della storia. Una finestra va in frantumi, il protagonista va a controllare nel seminterrato, coglie in flagrante un ladruncolo adolescente e lo colpisce con la mazza da baseball del figlio, uccidendolo. Ancora incredulo per l‟accaduto, George Wilson scopre che il ragazzo si chiamava Elder Briggs,“A good kid, by all accounts” (12). Solo un paio di pagine prima, il lettore viene a sapere che il ladruncolo è un adolescente afroamericano. La madre di Elder accusa il protagonista di aver commesso un crimine d‟odio, l‟ennesimo caso di un bianco che uccide un ragazzino di colore.

Wilson crede di essere “the most hated man in Seattle” (15), e sente il bisogno di specificare le sue origini Spokane, arrivando perfino a chiamare un network locale che stava trasmettendo in diretta da una manifestazione di protesta organizzata da parenti e amici della vittima.

Solo alla fine del racconto prende atto della gravità di ciò che ha commesso:

Oh, Jesus, I murdered somebody‟s potential.

Oh, Mary, it was self-defense, but it was still murder. I confess, I am a killer. (17)

Questa nuova consapevolezza rende il protagonista vittima di uno stato di ansia, quasi di paranoia, che lo porta a ritenere tutte le persone di colore che lo circondano (numerose nel suo quartiere) in cerca di vendetta per la morte di Elder.

Risulta evidente che uno dei temi principali di “Breaking and Entering” è quello dell‟identità: il ladruncolo era afroamericano, mentre George Wilson è un indiano Spokane, la cui unica dichiarazione pubblica riguarderà appunto la rivendicazione delle sue origini. In un immaginario dialogo con la madre della

1 Alexie, S., War Dances, Grove Press, New York, 2009, p. 5. Da questo momento in poi, i riferimenti al testo verranno indicati fra parentesi e non più in nota.

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L vittima, infatti, domanda: “So, Althea, do you want to get into a pain contest? Do you want to participate in the Genocidal Olympics? Whose tragic history has more breadth and depth and length?” (16).

Il racconto si conclude con un incontro ravvicinato fra Wilson, in macchina, e un gruppo di ragazzi afroamericani, che decidono di infastidirlo attraversando la strada al rallentatore. Molto probabilmente non si sono accorti che al volante c‟è l‟uomo che ha ucciso un loro coetaneo. Il protagonista sa che potrebbe dare gas alla macchina e travolgerli, ma decide di non farlo: gli basta sapere che ha più potere di loro. Nelle ultime righe si capisce che a Wilson, perso fra i suoi pensieri,importa solo di fare ciò che gli altri si aspettano da lui, ciò che si dovrebbe fare: “And so I waited. [...] I waited until another driver pulled up behind me and honked his horn. I was supposed to move, and so I went” (19). È abbastanza immediata l‟associazione con l‟argomento cardine di un altro successo di Alexie, The Absolutely True Diary of a Part-Time Indian, in cui personaggio principale si divide fra la vita in riserva e la quotidianità in una scuola di bianchi.

Le principali problematiche traduttive di un testo come “Breaking and Entering” si possono riscontrare al livello del registro, prevalentemente informale e colloquiale. Sono numerose infatti le imprecazioni e le parolacce. Ritengo che in alcune circostanze, dalla prospettiva di un lettore italiano, potrebbero risultare troppo forti. Ho infatti deciso di omettere alcune ripetizioni di parole dalla connotazione religiosa come “God”, “Jesus” e “Mary”, decisamente molto presenti nel testo originale, o di sostituirle con altre esclamazioni più comuni nella nostra lingua, come, ad esempio, “Cavolo” o “Diamine”.

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LI Ci sono poi casi in cui, a mio parere, non ci si può esimere dal riportare in traduzione delle espressioni volgari o, comunque, non esattamente raffinate. Le motivazioni possono essere molteplici: mantenere il “colore” del testo d‟origine, o riportare esattamente il senso della frase di partenza, senza censure superflue. Nel testo in analisisi possono trovare numerosissimi esempi: “Get the fuck out of here! [...] You fucking fucker!” (10), o “How is that black men can make a word like motherfucker sound jovial?” (18) che io ho tradotto, rispettivamente, con:

“Esci di qui, cazzo! [...] Brutto stronzo!” e “Come fanno i neri a far sembrare parole come figlio di puttana così gioviali?”.

Altra problematica, valida anche per tutti gli altri testi in traduzione, riguarda lo stile di Alexie, che è solito riempire le descrizioni di compounds, ossia di termini composti. Compito del traduttore è quello di sciogliere il composto e cercare un‟espressione simile nella lingua d‟arrivo, cosa non sempre scontata, dato che a una difficoltà di traduzione spesso corrisponde una difficoltà di ricezione2. Alcuni esempi presenti nel testo in questione possono essere: “I‟d turned into a two-hundred-and-two pound one-celled amoeba” (8), o “huge slabs of ash wielded by steroid-fueled freaks” (9).

Una terza osservazione riguarda le onomatopee, che il nostro autore utilizza copiosamente. Nel testo in analisi, se ne trovano alcune relative al rumore di qualcuno che bussa alla porta: “Bang, bang, bang, bang!” e ancora “Bang, cha, bang, cha!” (7). In italiano, però, l‟onomatopea “bang” viene automaticamente

2 Cfr. Rega, L., “L‟aggettivo composto nel linguaggio della sociologia – Alcuni problemi di traduzione”, in Miscellanea 1, EUT Edizioni, Trieste, 1992, pp. 137-143.

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LII associata con il rumore di uno sparo, perciò ho ritenuto più appropriato sostituirla con “toc”3.

Concludo con una questione terminologica. Quando il protagonista sente bussare alla porta in modo incessante e insistente si chiede di chi potrebbe trattarsi e fa alcune ipotesi, escludendo a priori che possa essere qualcuno di importante:

“Trust me, nobody interesting or vital has ever knocked on a front door at three in the afternoon” (7). Immagina che potrebbe essere un testimone di Geova, un mormone, un venditore di giornali o un attivista del Sierra Club. Relativamente a quest‟ultimo termine, ho preferito lasciarlo come nel testo originale anziché sostituirlo con una definizione più generica (come, ad esempio “un ambientalista”) o con qualcosa che potesse ricordare anche la realtà italiana (una possibilità potrebbe essere “un attivista di Greenpeace”). Ritengo che termini del genere, siano essi nomi di catene di supermercati, di associazioni ambientaliste, eccetera, facciano parte della cultura del testo di partenza. Qualunque statunitense sa, infatti, che cos‟è il Sierra Club, e sa anche che un attivista di suddetta organizzazione potrebbe bussare alla sua porta alle tre del pomeriggio. Ci troviamo, dunque, di fronte ai cosiddetti culturemi, ossia “termini culturalmente vincolati [...] propri solo di una delle due culture coinvolte. Le categorie incluse sono svariate, dalla geografia alle tradizioni, dalle istituzioni alla tecnologia”4. Il termine lasciato nella lingua di partenza, oltre a ricordare al lettore che si tratta di un testo tradotto, preserva a pieno il senso che l‟autore voleva dare

3 Per approfondimenti, cfr. Treccani.it, L’enciclopedia italiana. Onomatopee in La grammatica italiana (2012),

http://www.treccani.it/enciclopedia/onomatopee_(La_grammatica_italiana)/(ultimo accesso:

08/04/14).

4Cfr. Bruti, S., “Traduzione tra cultura e ideologia”, in Barone, C., Bruti, S., Albert Foschi, M., Tocco, V. (ed.), Dallo stilo allo schermo, Edizioni Plus – Pisa University Press, Pisa, 2011, p. 97.

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LIII nell‟originale. La tecnica utilizzata dal traduttore che compie una scelta del genere è infatti denominata foreignization (la tecnica opposta è chiamata domestication)5. Il rischio è che il termine originale risulti poco chiaro al lettore del testo d‟arrivo, ma, in questo caso, ho cercato di ovviare al problema specificando “un ambientalista del Sierra Club”.

- “Bird-watchingat Night”

Testo di prosa che, però, non rientra nella categoria dei racconti brevi. È piuttosto un dialogo, lungo appena due pagine, fra due individui. Non viene svelata l‟identità dei personaggi che, però, sono ben distinti tra loro; Alexie adotta anche un font diverso a seconda di chi parla. L‟argomento in questione, di chiaro carattere evocativo, è una strana vicenda capitata al primo personaggio che prende la parola: a sedici anni, mentre stava guidando insieme alla fidanzatina di allora, un barbagianni ha incominciato a volare incontro alla macchina, per poi sparire nell‟oscurità pochi secondi prima dell‟impatto. Il secondo personaggio (le cui battute sono scritte in corsivo), sembra sapere già che cosa sta per dire l‟altro, e lo anticipa sempre. È per questo elemento che non risulta ben chiaro se sia un essere umano, uno spirito o un‟entità di altro genere.

Dal punto di vista della traduzione sono diversi i problemi che riguardano prettamente la scelta dei traducenti. Il primo è senza dubbio identificare il volatile, il vero protagonista della storia, come “barbagianni”: inizialmente i due personaggi ne parlano utilizzando semplicemente il termine “owl” che, però, può significare anche “civetta” e “gufo”. Solo dopo alcune righe (in cui, tra l‟altro, la

5 Cfr. Venuti, L., The Translator'sInvisibility, Routledge, New York, 1995.

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LIV parola è ripetuta numerose volte), uno dei personaggi lo chiama “barn owl” (23), dissolvendo così ogni dubbio.

La questione si fa più complicata poche battute dopo, in quanto i personaggi iniziano a riflettere sulle sfumature di parole più o meno simili (24):

[...] thatowl just flappedhiswings, butbarely. What‟s a better word thanflap?

What‟s a word thatstillmeansflap, but a smallerflap?

How aboutslant?

Conseguentemente, in traduzione ho dovuto cercare parole che si somigliassero e che rendessero egualmente bene l‟idea. I due verbi che più mi sono sembrati appropriati, in quanto appartenenti al campo semantico del volo e facilmente collocabili con la parola “ali”, sono “sbattere” e “flettere”.

Tornando, invece, sulla questione delle onomatopee, in questo testo Alexie adotta una tecnica che ritroveremo anche in brani successivi, ossia quella di

“fonderle” con altre parole: “[...] the engine tick, tick, ticketing”. In questo caso la traduzione non ha presentato grosse problematiche, dato che in italiano esiste un corrispettivo perfetto, l‟onomatopea “tic” e il verbo “ticchettare”.

- “War Dances”

Racconto che dà il titolo all‟intera raccolta, “War Dances” tratta la storia di un uomo che scopre di avere un tumore al cervello e ricorda il padre scomparso tempo prima, precisamente nel marzo 2003 (45), a causa dell‟alcolismo, “Natural causes for an Indian” (37). Il narratore ricostruisce parte della relazione col padre e gli ultimi momenti che hanno passato insieme in ospedale, fra coperte troppo consumate e tubi della risonanza magnetica. In questo testo, i dettagli autobiografici si sprecano, dall‟idrocefalo di cui ha sofferto il protagonista da bambino, al difficile rapporto col padre (alcolista ed eterno immaturo), all‟essere a sua voltagenitore di due figli. C‟è un riferimento persino alla sua intenzione

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LV (reale) di scrivere un romanzo di nonfiction sul rapporto della sua famiglia e dei suoi antenati con la guerra (46-50).

Importante è anche il riferimento alla nostalgia, di cui Alexie ha parlato in numerose interviste e a cui ha accennato in varie opere. In questo testo in particolare, ed è un‟opinione comune a tutti gli autori dei saggi che ho potuto reperire6, fa riferimento a Elizabeth Cook-Lynn, studiosa e scrittrice di origine Dakota, che è stata spesso bersaglio delle critiche di Alexie soprattutto riguardo allo stato in cui versano gli studi accademici sulla cultura nativa americana. Nel racconto la definisce una vera e propria ciarlatana che ha tenuto un discorso alla University of Washington per parlare dell‟identità letteraria dei nativi americani.

La studiosa (nel racconto, ovviamente, senza nome) dichiara di sostenere l‟indipendenza della letteratura indiana, il che fa sì che il narratore provi quasi compassione per lei: “[...] which was ironic considering that she was speaking in English to a room full of white professors” (36). In sostanza, il protagonista ritiene che la donna sia un‟ipocrita, ed è proprio qui che sta l‟ingegno di Alexie che, come già detto, è celebre anche per la sua autoironia: il racconto è scritto da un autore indiano americano che conosce il suo pubblico e sa che è principalmente composto da bianchi (come ha dichiarato in un‟intervista citata in precedenza) e che, quindi, decide di scrivere nella loro lingua. Addirittura arriva a specificare che un‟espressione pronunciata dal protagonista è in una lingua indianoamericana:

“ “Ayyyyyy,” I said – another Indian idiom – and laughed” (35).

Entrando nel merito della struttura di “War Dances”, è subito evidente la sua complessità: si articola in una prima parte “canonica” di 14 capitoli, per poi

6Cfr. Berglund, J., “„Imagination Turns Every Word into a Bottle Rocket‟: An Introduction to Sherman Alexie”, in Berglund, J., Roush, J. (ed.), Sherman Alexie: A Collection of Critical Essays, Salt Lake City, The University of Utah Press, 2010, p. 28.

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LVI svilupparsi nel quindicesimo intitolato “Exit Interview for My Father”.

Quest‟ultimo è un capitolo composto da una sorta di elenco puntato, che a sua volta ne contiene un altro, in ordine alfabetico. A ogni punto corrisponde una domanda che il narratore avrebbe voluto porre al padre. Dal punto di vista della traduzione, credo sia fondamentale decidere se adottare una linea source-oriented o target-oriented; il testo, infatti, abbonda di citazioni dirette e indirette, come ad esempio un aforisma di F. Scott Fitzgerald (58) o il titolo di una canzone di Freddy Fender. Per quello che riguarda quest‟ultimo caso, è da specificare che nel testo originale il nome dell‟autore non è presente: “Other summations of your life philosophy include: „I‟ll be there before the next teardrop falls‟” (61), ma ho ritenuto opportuno aggiungerlo io (“come canta Freddy Fender”), in modo da far capire che si tratta del testo di una canzone e non confondere il lettore in un passaggio che, già di per sé, può risultare abbastanza complesso.

L‟ultima considerazione riguarda una frase che il protagonista dice a sua moglie, appena rientrata da un viaggio in Italia. Si tratta di una battuta di spirito, ovviamente autoironica, sul fatto di avere un tumore al cervello: “There was a rumor that I‟d grown a tumor but I killed it with humor” (62). Come si noterà, sono presenti rime interne, che ho cercato di mantenere in traduzione.

- “Catechism”

Parte della fama di Alexie è dovuta ai numerosi reading che tiene in librerie, biblioteche e università di tutti gli Stati Uniti e che gli hanno dato celebrità non solo come scrittore, ma anche in quanto performer. Non è raro, perciò, riscontrare un‟enfasi tipica del parlato anche nei suoi testi. Uno di questi casi, a mio avviso, è proprio “Catechism”. Qui, come anche in “Bird-watching at Night” e in “Big

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LVII Bang Theory”, il narratore dialoga con un non meglio identificato altro personaggio, le cui battute sono caratterizzate dal corsivo. L‟effetto è quello di un botta e risposta, in cui il personaggio “misterioso” assume a seconda dei casi il ruolo di amico, di pubblico o addirittura di subconscio del primo interlocutore.

Questo testo in particolare si compone di una serie di domande (poste dal personaggio contraddistinto dal corsivo) che si susseguono con un tono e con un ritmo tali da far quasi pensare a un‟intervista giornalistica. Dato che un testo simile risulta di difficile catalogazione, David Accomazzo ha domandato direttamente ad Alexie come definirebbe questa forma che tanto utilizza in War Dances:

Alexieburst in laughter. “What do I call thatform?” he exclaims. "Uh, call-and- response? It certainly does have some religious roots, the original structure of it. I think most of the stuff I do in the book that is call-and-response has some sort of spiritual element to it, whether seriously or ironically. And the great thing about it is that sort of ethereal quality you don't really know who the folks talking are. I likethat mystery.”7

Alexie attribuisce dunque al suddetto tipo testuale una connotazione spirituale e religiosa, sia per la struttura in sé che per l‟identità poco definita dei due interlocutori.

Per quanto riguarda la traduzione, sono due i punti su cui mi vorrei soffermare. Il primo riguarda una citazione shakespeariana, la parola

“Honorificabilitudinitas”, definita da uno dei personaggi come “The state of being able to achieve honors” (69-70). La parola si trova nell‟opera di Shakespeare Pene d’amor perdute (la data di pubblicazione oscilla fra il 1593 e il 1596), precisamente nella prima scena dell‟atto quinto, ed è pronunciata dal personaggio

7 Cfr. Accomazzo, D., “Sherman Alexie, the Performer”, Boulder Weekly, October 2009, http://www.boulderweekly.com/article-59-sherman-alexie-the-performer.html (ultimo accesso:

09/04/2014).

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LVIII Zucca8. È una parola in latino medievale, ed è rimasta giustamente tale anche nelle versioni italiane dell‟opera. Ho pertanto ritenuto opportuno lasciarla invariata anche nella mia traduzione. La seconda considerazione è relativa alle ripetizioni. Contrariamente a quanto ho fatto, ad esempio, nella traduzionedi alcune frasi presenti nei racconti brevi, in questo caso ho deciso di lasciarle tutte.

Secondo la mia opinione, omettere le ripetizioni o sostituirle con perifrasi e sinonimi in un testo del genere è un‟operazione impossibile, in quanto qui svolgono un ruolo fondamentale, atto a mantenere quel senso di ritualità e spiritualità di cui ha parlato l‟autore. Per fare un esempio, in “Catechism” la parola “God” viene ripetuta otto volte in sette righe (70) e sarebbe impensabile ridurne il numero in traduzione, dato che la parte a cui mi sto riferendo è composta da frasi già presenti all‟inizio del testo (67-68) in cui alcune parole sono state sostituite con “God”, col fine di creare un effetto grottesco e straniante:

My mother kept scraps of Gos in the hall way closet. My big brotherarrangedthesescraps of God [...] My mother once usedthesescraps of God to make an epicquilt. My late sisterstudiedthisquilt and said, “That‟s a loto f God.

There‟sbeen a lot of God in thisGod. Thisis a blande of God”. (70) - “The Senator‟s Son”

Racconto breve che inizia in medias res e, da subito, lascia il lettore un po‟

spiazzato: “I hadn‟t seen my best friend in sixteen years [...] so I didn‟t recognize him when I pulled him out of the car and hit him in the face” (77). Pagina dopo pagina, la storia si delinea meglio e capiamo che il protagonista è, appunto, il figlio di un senatore dello Stato di Washingtone ha coinvolto in una rissa notturna (rompendogli il naso) il suo migliore amico dei tempi del liceo, che si era appartato in macchina con l‟amante. Il personaggio risulta da subito poco affabile:

8 Cfr. Shakespeare, W., “Pene d‟amor perdute”, atto V, scena prima, in Praz, M. (ed.), William Shakespeare, tutte le opere, Sansoni editore, Firenze, 1980, p. 277, traduzione di Aurelio Zanco.

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LIX è un ricco avvocato, proprietario di un appartamento in una zona rinomata di Seattle e di una macchina di lusso e, soprattutto, un razzista in piena regola.

Commette un vero e proprio crimine d‟odio: insieme a tre altri compari decide di assalire i due ragazzi per il solo fatto di essere gay. Inutile dire che, se la storia divenisse un fatto di cronaca, distruggerebbe la carriera politica del celebre senatore (repubblicano) il quale, nonostante in campagna elettorale si fosse sempre definito un uomo onesto e dalla morale di ferro, consiglia al figlio, o meglio, gli impone di tacere e si impegna affinché la vicenda non venga resa pubblica.

Il protagonista non trova pace per quello che ha fatto e non riesce a dare una spiegazione alle sue azioni. Riceve una telefonata dall‟ “ex” amico, la vittima del suo odio cieco e ingiustificato, che decide di non denunciarlo in nome della vecchia amicizia ma anche, e specialmente, per non screditare politicamente il senatore.

Il racconto si conclude con un breve epilogo, in cui capiamo che il protagonista e suo padre hanno deciso di lasciarsi l‟accaduto alle spalle, sperando di non doverne pagare le conseguenze in un ipotetico “fiery afterlife” (103).

La traduzione ha presentato diversi punti problematici. Uno su tutti è quello relativo ai riferimenti storico-culturali, presenti in tutto il testo. Ho notato che sono più numerosi nei paragrafi di analessi, in cui si fa la cronaca della profonda amicizia che legava i due personaggi principali. Ci sono un paio di citazioni letterarie: i due si servono di un aforisma del poeta inglese Alfred Tennyson (“Nature red in tooth and claw”) per coniare il nome del giornale della scuola: Tooth and Claw (81) e, poche pagine dopo, il protagonista chiama

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LX l‟amico, il cui nome è Jeremy, “Robert Frost” perché aveva pronunciato la frase

“It‟s beautiful up here [...] So green and golden” (84) ed, evidentemente, gli aveva fatto ricordare un verso della poesia Nothing Gold Can Stay che recita: “Nature‟s first green is gold”.

Vengono fatti i nomi anche di numerosi uomini politici, celebri negli Stati Uniti, ma sicuramente meno in Italia: Lee Harvey, John Wilkes Booth, Goldwater e vari altri. Fortunatamente, il narratore in qualche occasione ci fornisce delle informazioni su alcuni di questi personaggi:

[...] Supreme Court Justice David Souter, who‟d been named to the court by the first President Bush. Thought to be a typical constitutional conservative, Souter had turned into a moderate maverick [...] and was widely seen by the right as a political traitor. (82)

I testi raccolti in War Dances sono popolati di giochi di parole, uno dei marchi di fabbrica di Alexie. Anche in “The Senator‟s Son” ne troviamo uno: il protagonista spiega le circostanze dell‟accaduto, dicendo che si trovava in un quartiere di Seattle, chiamato Capitol Hill, per festeggiare la sua promozione nello studio legale “Robber Baron, Tax Dodger & Guilt-ridden Pro Bono” (78). I nomi dei soci dello studio sono ovviamente la parte più interessante dal punto di vista traduttivo: letteralmente significano Ladro Barone, Evasore Fiscale e Colpevole Pro Bono. Ho cercato, per quanto possibile, di renderli più simili a nomi e cognomi, e il risultato finale è stato il seguente: Baronladro, MacEvasore e Reo Probono.

- “The Ballad of Paul Nontheless”

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LXI La tematica padre-figlio del racconto precedente è qui analizzata dalla prospettiva opposta, e si arricchisce di considerazioni sul matrimonio e il rapporto di coppia.

Paul rimane colpito dalla visione di una bellissima donna all‟aeroporto di O‟Hare (Chicago). Il suo abbigliamento, il suo sorriso, e il fatto che indossi un paio di scarpe Puma rosse fiammanti lo porta a lanciarsi in lunghe considerazioni sulla cultura americana e sull‟importanza della pop-culture e della musica:

“Hadn‟t pop music created a new and invisible organ, a pituitary gland of the soul, in the American body?” (118). Il procedere della narrazione fornisce nuovi dettagli sul protagonista: è il proprietario di cinque negozi di abbigliamento vintage sparsi per la costa nordoccidentale degli Stati Uniti e indossa un completo appartenuto a Gene Kelly (119). È in viaggio verso il Nord Carolina per partecipare a un‟asta di jeans. Risulta chiaro fin da subito che è un uomo benestante: “He made a great living (nearly $ 325,000 the previous tax year)”

(121) e, apparentemente, non ha bisogno di nient‟altro. Paul riesce a raggiungere la sconosciuta, che si era persa tra la folla, e inizia a flirtare con lei, dicendole che gli ha fatto venire in mente la canzone “Sara Smile”, di Hall and Oates. Lei lo ringrazia, ma, accennando al fatto che è sposata, se ne va. Tre mesi dopo, Paul la vede di nuovo all‟aeroporto di Los Angeles, la saluta chiamandola “Sara Smile” e lei ricambia con “Nonetheless”, una parola che lui aveva usato nella loro conversazione precedente (128-129). Lui rivela di essere separato dalla moglie e di avere tre figlie (con le quali, scopriremo più avanti, non riesce a entrare in sintonia), ma la donna non si fa intenerire e si allontana. La svolta nel racconto si ha in occasione del terzo “incontro”: tre anni dopo, Paul crede di vedere la stessa

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LXII donna nell‟aeroporto di Detroit, ma dopo un primo scambio di battute si rende conto di aver sbagliato persona. Non riesce però a lasciar andare quello che “Sara Smile” rappresenta per lui e inizia a seguire la donna che, spaventata, cerca aiuto rivolgendosi alla security dell‟aeroporto. La storia si conclude con Paul in quella che pare essere una stazione di polizia: “[...] in a simple room at a simple table while two men in siuts leaned against the far wall and studied him” (144). Non trovando parole per giustificarsi e riuscendo solo a dire di essere molto stanco e di non voler essere dimenticato (dalla moglie, dalle figlie, da “Sara Smile”, chiunque fosse), inizia a cantare “What‟s Going On”, di Marvin Gaye (145), convinto che i poliziotti comprenderanno la sua situazione, commossi dal potere universale della musica pop.

In traduzione ho utilizzato due approcci distinti per due problematiche diverse: per quello che riguarda i riferimenti extratestuali del racconto, che sono molti, visti i continui accenni a canzoni, gruppi musicali e cantanti statunitensi, ho deciso di mantenere un approccio source-oriented, dato che ho preferito lasciare in lingua originale dei riferimenti (alcuni celebri, altri meno) strettamente legati alla cultura di partenza. In relazione, invece, al titolo del racconto e, quindi, anche al nome del protagonista, ho deciso di proporre una traduzione di “Nonetheless”, in quanto è una parola che Paul utilizza in una conversazione, e nel testo d‟arrivo non può che essere in italiano. La scelta è caduta sulla parola “nondimeno” perché ritengo che non sia molto utilizzata in conversazioni informali, come quella fra Paul e “Sara Smile”, e, se inserita in un contesto simile, può generare una reazione di momentaneo stupore: “I think it‟s the first time I‟ve ever heard a man say nonetheless in normal conversation” (123).

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LXIII - “Big Bang Theory”

Terzo e ultimo testo appartenente alla categoria “call-and-response”: un anonimo intervistatore, sempre marchiato dal corsivo, pone delle domande che l‟altro personaggio pare ignorare completamente; risponde infatti con frasi che, a una prima lettura, sembrano avere poco a che fare con l‟argomento in questione.

Un esempio:

After our earliest ancestors crawled out of the oceans, how soon did they feel the desire to crawl back in?

At age nine, I stepped into the pool at the YWCA. I didn‟t know how to swim, but the other Indian boys had grown salmon and eagle wings and could fly in water and sky.(153)

Anche in questa occasione, appare evidente che la forma testuale scelta da Alexie sottintenda dei rifermenti alla spiritualità e si colleghi a una delle tematiche dominanti della letteratura nativa americana: la trasformazione. È mia opinione che l‟autore utilizzi questo particolare stile per esplicitare sue considerazioni personali circa le “grandi domande” sulla natura degli esseri umani, della religione e dell‟universo: “I‟m trying to tell a creation story here” (153).

Contrariamente a quanto accade negli altri due testi appartenenti alla stessa categoria, qui le ultime parole compaiono in corsivo, anche se sono pronunciate dal personaggio “intervistato” mentre cerca di ridimensionare l‟importanza dell‟immacolata concezione:

Dozen of species of insects give virgin birth. Crayfish give virgin birth. [...] Jeez, one human gives virgin birth and that jump-starts one of the world‟s great religions. But when a Komodo dragon gives virgin birth, do you know what it‟s thinking? It‟s thinking, This is Tuesday, right? I think this is Tuesday. What am I going to do on Wednesday?(155)

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LXIV Potremmo perciò ipotizzare che anche la voce dell‟ “intervistatore” non sia altro che un pensiero e che, quindi, il personaggio sia uno soltanto e si stia confrontando con la propria coscienza o col proprio subconscio.

Per quello che riguarda la traduzione, anche qui sono presenti dei culturemi che ho scelto di lasciare invariati. Un esempio potrebbe essere la parola “YWCA”, acronimo di Young Women‟s Christian Association. Sebbene le YWCA degli inizi (metà del XIX secolo) fossero fondate principalmente sullo studio della Bibbia e attività spirituali, oggi sono considerate soprattutto centri sportivi polivalenti che poco hanno a che fare con le origini religiose. Ho deciso di adottare un approccio source-oriented e lasciare l‟acronimo in lingua originale perché, sebbene il lettore italiano medio probabilmente non conosca questa specifica organizzazione, ho puntato sul fatto che in molti, invece, sappiano che esiste un‟associazione molto simile sia negli intenti che nel nome: la YMCA (Young Men‟s Christian Association). Ho ritenuto superfluo aggiungere in traduzione un mio inciso che spiegasse quali sono le principali attività delle YWCA, visto che il personaggio racconta di quando si trovava nella piscina di suddetto ente (153).

- “Roman Catholic Haiku”

Il più breve dei racconti, “Roman Catholic Haiku” è la cronaca di un evento capitato al narratore quando frequentava la Gonzaga University (anche questo è un dettaglio autobiografico). Alexie sembra voler esplicitare la sua consapevolezza del legame fra prosa e poesia, come è evidente dal sin dal titolo. Il testo in questione non è un haiku (componimento di origine giapponese che si

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LXV costituisce di tre versi per un totale di diciassette sillabe9), bensì un testo in prosa articolato in tre paragrafi i cui titoli già danno a intendere lo sviluppo della trama:

“Humans”, “Nature” e “Collision” (185-186).

È presente, anche qui, una citazione shakespeariana che ho rintracciato nell‟Amleto, atto terzo, scena prima: “Getthee to a nunnery!”. Ho deciso di tradurla con la frase che ricorre più frequentemente nelle varie edizioni italiane che ho consultato: “Vattene in convento, va‟!”10.

Per quello che riguarda il registro, in questo testo è leggermente più formale che negli altri, probabilmente perché l‟autore lo associa alla forma poetica. Ad esempio, sono presenti costruzioni con la forma “while + -ing”: “while attending Gonzaga University” (185), “while waiting in the lunch line” (186) e parole scarsamente impiegate nel linguaggio colloquiale: “holy women” e “a rather scholarly bunch” in riferimento alle suore (185), “in jest or cruelty” (186).

Inoltre, nelle prime righe del paragrafo “Nature” (185) si può leggere la descrizione dettagliata di una particolare specie di aracnide, “the brown recluse spider”. Sono perciò risalita al nome scientifico dell‟animale, Loxosceles reclusa, e ho cercato l‟equivalente nella nostra lingua. Grazie anche ai dettagli relativi all‟aspetto del ragno forniti dal narratore(“It often has markings in its stomach and back that resemble violins.”), ho potuto fare una ricerca completa e accertare che in italiano è chiamato “ragno eremita marrone”.

- “Salt”

9 Per approfondimenti, consultare Treccani.it, L’enciclopedia italiana, http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/haiku/(ultimo accesso: 11/04/14).

10 Alcuni esempi: Shakespeare, W., Amleto, Garzanti, Milano, 1984, p. 117, traduzione di Nemi D‟Agostino.

Shakespeare, W., “Amleto”, in Praz,M. (ed.)William Shakespeare, tutte le opere, Sansoni editore, Firenze, 1980, p. 700, traduzione di Raffaello Piccoli.

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LXVI Ultimo testo in prosa della raccolta, “Salt” è un racconto breve che tratta gli argomenti della crescita e della morte. Il narratore ricorda gli inizi della sua carriera giornalistica: era stato assunto da un quotidiano locale come tirocinante ed era stato assegnato alla curatrice degli annunci funebri che, però, muore ben presto, vittima di un tumore al seno, “an epidemic” (191). Sarà lui stesso a dover scrivere il necrologio, non senza imbarazzo e difficoltà, e sarà sempre lui a dover avere a che fare con un‟anziana vedova, convinta che spargendo del sale sul corpo del marito defunto (come aveva fatto col gatto) lo avrebbe riportato in vita. Tutto il testo ha un‟eco fortemente autobiografica, anche la descrizione dei personaggi sembra tratta dalla realtà di un piccolo giornale locale: il capo è “a bucket of pizza and beer tied to a broomstick” e Lois, la sua “mentore”, è così definita: “Perhaps Lois had been the rarest of holy people, the secular and chaste nun” (191).

Quest‟ultimo testo ha presentato non poche difficoltà traduttive: ad esempio, il redattore capo concede alla vedova uno spazio estremamente esiguo per dedicare qualche parola al marito “one column inch [...] She‟s going to have to write a haiku, isn‟t she?” (200-201). Ovviamente il problema sta nel tradurre l‟unità di misura. Dopo vari calcoli e ricerche, ho optato per indicare il numero di battute a disposizione dell‟anziana signora anziché utilizzare espressioni più complesse come, ad esempio, “un quinto di colonna” o “due centimetri e mezzo di colonna”.

Altri dubbi sono sorti in merito a una sorta di gioco di parole che Lois compone quando si accorge di aver commesso un errore nella redazione del necrologio di un importante banchiere della zona. Il primo ostacolo è stato cercare di rendere in italiano il typo commesso dalla donna: “Lois had typed surveyed

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LXVII instead of survived [...] Mr. X is surveyed by his family and friends.” (193). Ho dovuto quindi cercare due parole italiane quasi omografe ma che si potessero adattare a due campi semantici ben distinti: la prima a quello dell‟economia e la seconda a quello del lutto. Ho tentato di risolvere il problema impiegando le parole “pegno” e “pianto”.

Resasi conto dell‟errore, Lois passa il resto della giornata a pensare a verbi che possano rendere meglio l‟idea del rapporto con la morte. Il narratore trascrive la seguente “lista”:

Mr. X is assailed by his family and friends.

Mr. X is superseded by his family and friends.

Mr. X is superimposed by his family and friends.

Mr. X is sensationalized by his family and friends.

Mr. X is shadowboxed by his family and friends.(193)

In traduzione ho cercato quindi di utilizzare dei participi passati con un significato e una lunghezza simili a quelli dell‟originale. L‟unica problematica è sorta in occasione del terzo verbo dell‟elenco, “superimposed”, che significa

“sovrapporre”. La sostituzione delle preposizioni mi è sembrata la soluzione più sensata, anche perché differiscono da quelle delle altre frasi solo di una lettera: “Il signor X è sovrapposto alla famiglia e agli amici tutti.”

Un‟altra considerazione è relativa, ancora una volta, alle numerose ripetizioni.

Il parlato della vedova è contraddistinto da interiezioni primarie, specialmente all‟inizio della frase: “Oh. Oh, did you get my letter?”, “Oh, well, that‟s good”,

“Oh, that‟s lovely”, “Oh [...] Oh, I didn‟t know that” (197). Probabilmente l‟autore ha ritenuto che ben potessero caratterizzare il modo di parlare di un‟anziana signora, ma, secondo la mia opinione, riportarle tutte in traduzione avrebbe reso la lettura poco scorrevole e pesante. Ho deciso di mantenere il

“colore” del parlato e di lasciare alcune interiezioni, ma di non includerle tutte,

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LXVIII soprattutto nei passaggi in cui ce ne sono due di seguito o a distanza molto ravvicinata. Sempre per quello che riguarda le ripetizioni, si è presentato un caso in cui, invece, non ho potuto non mantenerle: il protagonista viene rimproverato dal capo, che pronuncia la parola “Jesus” così tante volte che “I wanted to shout at him that he‟d said Jesus three times in less than fifteen seconds. I wasn‟t a Christian [...], but it seemed like he‟d committed some kind of sin.” (196) Le ripetizioni risultano in questa occasione fondamentali e, quindi, non possono essere omesse.

 La poesia

Come osservato in precedenza, Alexie ha raggiunto la fama grazie sia ai testi in prosa che a quelli poetici, ma è nella brevità del verso che riesce ad esprimersi al meglio, trasmettendo al lettore (o al pubblico) idee e sensazioni tipiche dell‟immaginario e della quotidianità del XX e XXI secolo. Per quello che riguarda War Dances, basti pensare ai componimenti “On Airplanes” (149), “Ode for Pay Phones” (157) e “Ode to Mix Tapes” (183).

Nonostante Sherman Alexie sia uno degli autori nativi americani più conosciuti e lui stesso abbia dichiarato che la poesia è la sua passione più grande, è raro trovare un testo di critica e/o di approfondimento che tratti esclusivamente la sua poetica. Il trend seguito dagli studi accademici relativamente alla letteratura nativa americana contemporanea negli ultimi trent‟anni ha fatto sì che si prestasse più attenzione alla biografia degli autori e ai loro background culturali e familiari.

Per dirla con Susan Berry Brill de Ramírez: “much of the scholarly interest in Indigenous literature has rightfully focused more on its indigeneity, rather than its

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LXIX literariness”11. Ci troviamo quindi di fronte a numerosi studi critici, basati principalmente su dati storici, che possono aiutarci ad articolare in maniera approfondita un‟idea sul contesto tribale, coloniale e postcoloniale, ma che non forniscono molte indicazioni concrete sulla produzione letteraria di un artista.

Ovviamente questo vale anche per il caso di Alexie: abbiamo a disposizione un‟impressionante quantità di articoli, saggi e aneddoti sulla sua vita e sulla storia della sua famiglia, così come possiamo leggere numerosissime interviste e dichiarazioni rilasciate dall‟autore stesso che servono, indubbiamente, a capire cosa sta dietro alle sue opere, ma che poco entrano nel merito di ciò che, concretamente, ha scritto. Questa svolta negli ambienti accademici verso un approccio che desse la precedenza alla storia e alla sociologia ha certamente contribuito a dare un nuovo impulso allo studio dei testi letterari, ma ha anche implicato una minore attenzione nei confronti di tutto ciò che costituisce la poetica, la retorica e lo stile di un autore. Una considerazione, questa, che mi sento di poter fare anche alla luce della mia recente esperienza presso la University of Washington, dove ho avuto la possibilità di frequentare alcuni corsi di letteratura nativa americana contemporanea. Considerazione che si fa ancora più importante vista l‟innegabile capacità di Alexie con tutto ciò che ha a che fare con la prosodia, la punteggiatura, la struttura e la coesione del testo poetico.

La naturale forma breve della poesia implica una notevole abilità nella stesura, ma anche un alto grado di attenzione nella lettura; la forma e il contenuto sono inevitabilmente connesse e, come scrive Eagleton, “The language of a poem is

11 Cfr. Berry Brill de Ramírez, S., “The Distinctive Sonority of Sherman Alexie‟s Indigenous Poetics”, in Berglund, J., Roush, J. (ed.), Sherman Alexie: A Collection of Critical Essays, Salt Lake City, The University of Utah Press, 2010, p. 107.

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LXX constitutive of its ideas”12. In particolar modo, gli autori di discendenza nativa americana hanno da sempre attribuito un ruolo fondamentale alla sonorità del linguaggio:

The evolution of a word is, at least partially, ina physical act, that of speaking, which involves air and sound and movement and vibration [...] Even when we read a word, rather than hear one spoken, we imagine it being said out loud, hear a voice.13

Il lascito dell‟oralità nella trasmissione della cultura indianoamericana è evidente nelle opere poetiche di Alexie, considerato ormai “an accomplished performance poet”14.

Per quello che riguarda la poesia nativa americana tradizionale, McFarland fornisce vari esempi tratti da antologie di epoche differenti15, come un canto propiziatorio alla caccia, qui tradotto in inglese dalla lingua Dakota:

Something I‟ve killed, and lift up my voice;

Something I‟ve killed, and lift up my voice;

The northern buffalo I‟ve killed, and I lift up my voice;

Something I‟ve killed, and lift up my voice.

O come il “Magpie Song” di origine Navajo:

The Magpie! The Magpie! Here underneath

In the white of his wings are the footsteps of morning.

It dawns! It dawns!

Inutile aggiungere che testi del genere perdono la quasi totalità del significato in traduzione, e ognuno di essi necessiterebbe di pagine di interpretazione e analisi per meglio far comprendere il senso originale anche al lettore non nativo. Negli anni passati molti editori, però, anziché tentare di fornire spiegazioni e chiarimenti in merito ai testi pubblicati, hanno ritenuto più opportuno tagliare quelle da loro

12 Cfr. Eagleton, T., How to Read a Poem, Wiley-Blackwell Publishing, Hoboken, 2006, p. 2.

13 Cfr. Womack, C. S., “Theorizing American Indian Experience” in Womack, C. S., Heath Justice, D., Teuton, C. B. (ed.), Reasoning Together, The Native Critics Collective, University of Oklahoma Press, 2008, p. 370,cit. inBerry Brill de Ramírez, S., op. cit., p. 108.

14 Cfr. McFarland, R., “Another Kind of Violence: Sherman Alexie‟s Poems”, in American Indian Quarterly, 21, 2 (Spring 1997), p. 254.

15 Cfr. Mc Farland, R., op. cit.

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LXXI giudicate ripetizioni superflue, conferendo alla maggioranza dei testi un “haiku effect”16. Opere facenti parte della tradizione poetica indianoamericana continuano ad essere pubblicate anche oggi, insieme, però, a testi più vicini sia nei temi che nello stile a ciò che produce Alexie. Come vedremo in molte delle poesie incluse in War Dances, il linguaggio dell‟autore in questione non fa immediatamente pensare alla tradizione: i personaggi non parlano con il proprio spirito guida, né si avventurano nelle vision quest. Ritengo sia più appropriato analizzarli da un punto di vista psicologico anziché spirituale, specialmente perché in molti dei componimenti più recenti Alexie fa riferimento ad azioni e avvenimenti che possono capitare nella vita di tutti i giorni, sta poi al lettore trarre le conclusioni che crede più opportune. Un esempio potrebbe essere il testo che apre la raccolta, “The Limited” (1), in cui il poeta racconta di aver colto sul fatto un uomo che aveva l‟intenzione di investire un cane randagio e che se ne va senza nemmeno cercare di fornire una giustificazione. “I don't know what happened to the man or the dog,” scrive Alexie. “But I drove home and wrote this poem” (2).

Una delle peculiarità del corpus alexiano consiste nello stile che ho già definito “ibrido” (da una prospettiva prettamente occidentale): in testi come

“Another Proclamation” (105) o “Looking Glass” (187) la poesia sembra contaminare la prosa, e viceversa, come se fosse necessario impiegare entrambi i generi per rendere giustizia all‟evento narrato. Si può osservare una sorta di oscillazione continua fra parti in prosa e parti in poesia nell‟intera produzione letteraria di Alexie, da First Indian on the Moon (del 1993)17 al recentissimo What

16 Ibidem, p. 255

17 Cfr. Alexie, S., First Indian on the Moon. Brooklyn, NY: Hanging Loose Press, 1993.

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LXXII I’ve Stolen, What I’ve Earned18, i cui testi sono caratterizzati, come quelli di War Dances, dall‟alternanza di strofe e paragrafi, di versi e righe. Come è vero, del

resto, per numerosi altri autori nativi americani, Alexie riesce a destreggiarsi fra il ritmo più incalzante della poesia e quello più rilassato dei “blocchi” di prosa che inserisce nei suoi componimenti19. È infatti l‟autore stesso a dichiarare di non trovare la minima difficoltà nel passaggio da una forma all‟altra: “my poems are stories. There‟s a very strong narrative drive in all my poetry”20.

Ognuno dei suddetti componimenti è caratterizzato da un‟alternanza non solo formale o stilistica, ma anche ritmica, in modo da riflettere la giustapposizione di momenti frenetici, vissuti “al limite” e momenti più calmi e di riflessione che rispecchia lo stile e le intenzioni dell‟intera raccolta.

Per quello che riguarda la traduzione del testo poetico, partirei citando Dante, che, nel Convivio, scrive: “E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può dalla sua loquela in altre transmutare senza rompere tutta la sua dolcezza e armonia”21, postulando dunque l‟impossibilità di questo tipo di traduzione.

Friedmar Apel nel 1983 propone una definizione della traduzione letteraria:

La traduzione è una forma che insieme comprende e dà corpo all‟esperienza di opere in un‟altra lingua. Oggetto di questa ricerca è l‟unicità dialettica di forma e contenuto, come rapporto di volta in volta instauratosi fra la singola opera e un dato orizzonte di ricezione (stadio della lingua e poetica, tradizione letteraria,

18 Cfr. Alexie, S., What I've Stolen, What I've Earned. Brookly, NY: Hanging Loose Press, 2014.

19 Cfr.Berry Brill de Ramírez, S., op. cit., p. 117.

20 Cfr. Bellante, J., Bellante, C., “Sherman Alexie, Literary Rebel”, in Bloomsbury Review, 14, May/June 1994, pp. 14-15.

21 Cfr. Alighieri, D., Convivio, I, vii, 14, cit. in. Caproni, G., “L‟arte del tradurre”, in Buffoni, F.

(ed.), La traduzione del testo poetico, Marcos y Marcos, Milano, 2004, p. 32.

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LXXIII situazione storica, sociale, collettiva e individuale). Nella nuova configurazione questa costellazione diventa sperimentabile come distanza dall‟originale.22

In altre parole, secondo Apel non si possono dare regole assolute per la traduzione letteraria, dato che si basa su un‟opera d‟arte che, in quanto tale, non segue delle regole: il traduttore deve trovare delle strategie di volta in volta diverse, a seconda del source text che ha di fronte. Possiamo concludere, quindi, che lo studioso inviti a fondare la teoria della traduzione letteraria su una collezione di esempi traduttivi concreti che, col tempo, si farà sempre più vasta. Rimanendo sulla stessa linea di pensiero, Roman Jakobson ritiene la poesia intraducibile in quanto il tratto che più la caratterizza è la paronomasia, ossia una figura retorica, detta anche

“annominazione”, che consiste nell‟accostare parole foneticamente simili, ma con significati diversi. Jakobson sostiene che, essendo la poesia una rete di interrelazioni fonemiche che si sovrappone a una rete di interrelazioni semantiche, non può essere tradotta. Anzi, afferma che, se si vuole stabilire se un testo è poetico, si può provare a tradurlo: se ci si riesce, non è poesia. Tuttavia, il traduttore può provare a comprendere un componimento poetico e interpretarlo in traduzione, trasmettendo così il significato lirico dell‟originale23.

Stando a queste premesse, ci si trova in una situazione di stallo in cui il traduttore è messo di fronte a una scelta da compiere sia per la traduzione di testi poetici che per quella di testi letterari in generale: decidere se optare per una linea traduttiva target-oriented, che naturalizza il testo fonte nel contesto culturale d‟arrivo (fino a far dimenticare al lettore che si trova di fronte ad un‟opera tradotta) o per un approccio source-oriented, che, col rischio di avere un effetto

22 Apel, F., Il manuale del traduttore letterario, Guerini e Associati, Milano, 1993, traduzione di Rovagnati, G., p. 28.

23 Cfr. Jakobson, R., “Aspetti linguistici della traduzione”, in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966, traduzione di Heilmann, L.

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LXXIV straniante, ricorda continuamente al lettore che l‟opera in questione è stata tradotta da un‟altra lingua. Lo studioso Franco Buffoni propone una strategia differente, che consideri la traduzione di testi poetici da una prospettiva intertestuale:

La traduzione di poesia è contemporaneamente produzione e riproduzione, analisi critica e sintesi poetica, rivolta tanto verso il sistema linguistico straniero quanto verso il proprio. Traduzione poetica, dunque, non come palinsesto nel senso genettiano di scrittura sovrapposta [...], ma come risultato di un‟interazione verbale con un modello straniero recepito criticamente e attivamente modificato.

[...] Nell‟ottica dell‟intertestualità, la traduzione letteraria è dunque il rapporto fra due poetiche, quella dell‟autore tradotto e quella del traduttore.24

Nella concezione intertestuale, dunque, il rapporto originale-traduzione che, di per sé, implica una gerarchia sottintesa, diventa uno scambio dialogico (ed è impossibile non ritrovare, anche qui, un riferimento a Bachtin), rendendo ormai superate le domande sull‟opportunità o meno della traduzione poetica e sulla riproducibilità dello stile di un autore, così come l‟impostazione dicotomica libertà/fedeltà.

Se è vero quel che sostiene Buffoni, ciò che conta in poesia è il momento in cui il ritmo si fa parola, cioè diventa linguaggio e si realizza secondo una particolare intonazione: “Se un poeta trova il ritmo, trova il soggetto; se non lo trova, i versi che sta scrivendo non sono arte”25. Partendo da questo presupposto, in traduzione ho cercato di mantenere, quando possibile, la struttura dell‟originale sia per quello che riguarda le figure retoriche di suono (allitterazioni, onomatopee), che per la lunghezza dei versi. Alcuni esempi:

“The Limited” si apre col seguente verso: “I saw a man swerve his car”

(1). È chiara l‟allitterazione dell‟alveolare fricativa sorda “s”, la cui finalità potrebbe essere di trasmettere l‟immagine del movimento, fluido, dell‟automobile.

24 Cfr. Buffoni, F., “La traduzione del testo poetico”, in Buffoni, F. (ed.), op. cit., p. 20-22.

25 Cfr. Buffoni, F., op. cit., p. 25.

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LXXV Quello che ho provato a fare in traduzione è stato riproporre la stessa figura retorica utilizzando i traducenti italiani “visto” e “sterzare”, che oltretutto contengono entrambi il nesso “-st”, per evocare anche la sensazione di qualcosa che avviene in modo brusco e repentino.

Il componimento in quattro strofe “Home of the Braves” (113) narra le sventure amorose di alcune amiche del poeta, da questi indicate col termine generico “friends” preceduto dalla specificazione “female”. In traduzione ho optato per l‟omissione di quest‟ultimo termine, dato che in italiano “amiche femmine” potrebbe suonare ridondante. “Female friends” comporta anche l‟allitterazione della fricativa labiodentale sorda “f”, probabilmente con lo scopo di evocare delle immagini dolci ed eteree, comunemente associate ad un contesto femminile. Essendo impossibilitata a riproporre suddetta figura retorica nella prima strofa, ho tentato di farlo all‟inizio della seconda, traducendo “Why my gorgeous friends cannot find” con “Perché le mie fantastiche amiche fanno fatica a trovare”, verso che di poco supera la lunghezza dell‟originale. Relativamente a questo componimento, è d‟obbligo un‟osservazione anche sul titolo. “Home of the Brave” è infatti quello di un film uscito nel 2006 (diretto da Irwin Winkler)26, la cui trama principale si innesta sulle vicende vissute da un gruppo di reduci della guerra in Iraq. Dato che War Dances è stato pubblicato nel 2009 e il componimento in questione si conclude con due versi che rimandano a immagini di guerra e violenza, ho ritenuto plausibile un implicito riferimento al film: “A toy warrior who esplodes/Into silence and warpaths with joy”. Ho deciso di proporre

26Cfr. IMDb:Internet Movie Database,http://www.imdb.com/title/tt0763840/ (ultimo accesso:

16/04/14).

(30)

LXXVI come possibile titolo della poesia quello della versione italiana della pellicola, ossia “Eroi senza gloria”.

Altra figura retorica importante nei testi di Alexie è quella dell‟onomatopea. Dato che ho già riportato alcuni esempi nella sezione relativa alla prosa e che, fortunatamente, la maggior parte delle onomatopee in inglese hanno un equivalente perfetto in italiano, mi limiterò a citare un solo caso: si trova in “Ode For Pay Phones”, inserito in un “blocco” in prosa (158): “But, O, I still recall the mistery of hearing the ring, ring, ring, ring/ Of your unanswered phone”. Nella mia proposta di traduzione si può leggere: “Ma, O, mi viene ancora il mente il mistero del drin, drin, drin, drin/ Del tuo telefono senza risposta”.

Nell‟ultimo testo della raccolta, “Food Chain”, il poeta redige una sorta di testamento in cui specifica ciò che vorrebbe accadesse il giorno della sua dipartita.

Sebbene non siano presenti allocutivi che diano un‟idea chiara del ricevente, la scelta più naturale mi è sembrata quella di tradurre i verbi con degli imperativi presenti alla seconda persona plurale, come se l‟autore volesse comunicare le sue ultime volontà a tutti i lettori: “Bury me”, “Set the ants on fire”, “Startle” saranno perciò, rispettivamente, “Seppellitemi”, “Bruciate le formiche”, “Spaventate”

(209).

Come i testi in prosa, anche le poesie presenti nella raccolta sono ricche di culturemi, alcuni più facilmente traducibili di altri. Il primo esempio è tratto dal componimento “On Airplanes”, forse quello dalla struttura più “canonica”. Qui il poeta fa riferimento a un gioco a cui sicuramente un gran numero di lettori ha preso parte almeno una volta nella vita: “Who perform and ask/Others to perform/Musical chairs” (149). Grazie anche all‟aneddoto raccontato nel testo

(31)

LXXVII stesso è facile associare questo passatempo infantile al cosiddetto “gioco delle sedie”. In questo caso, il gioco a cui fa riferimento il testo di partenza è presente anche nella cultura d‟arrivo ed è designato da un termine specifico. Caso diverso invece è quello del nome di una catena di ristorazione, presente in “Ode For Pay Phones” (157); si tratta di “International House of Pancakes”. Ho ritenuto opportuno lasciare il termine invariato dato che fa parte della cultura di partenza e, per quanto potrebbe risultare di non immediata comprensione per alcuni lettori, non è fondamentale ai fini dello sviluppo della poesia (serve a designare il luogo in cui il poeta lavorava durante le ore serali).

In “Ode to Small-town Sweethearts” compaiono, ancora una volta, alcune parole in corsivo. Neanche in questo caso è chiaro se si tratti di un discorso diretto o di un pensiero: “This is not a time for prayer, so you scream/With joy (Snowplow! Snowplow! Snowplow! Snowplow!)” (73). Per quanto il testo reciti

“you scream”, le parole fra parentesi non sono contrassegnate dalle virgolette del discorso diretto (che, negli altri scritti, Alexie utilizza sempre) e, a mio parere, sono da considerare l‟esplicitazione di un pensiero del “tu” a cui si rivolge il poeta.

C‟è da aggiungere che i componimenti di Alexie si caratterizzano anche per altre peculiarità che riguardano prettamente la formattazione del testo, e che, ovviamente, ne influenzano la lettura e la comprensione. Sono numerose le occasioni in cui lo scrittore si diletta a dare le forme più inusuali alle sue poesie, inserendo non solo parti in prosa, ma anche versi costituiti da una sola parola, alle volte persino da una sola lettera. Sto facendo riferimento, ad esempio, a

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LXXVIII componimenti come “Another Proclamation” (105), il cui testo si articola in versi di una parola alternati da alcune righe in prosa:

When Lincoln Delivered The

Emancipation Proclamation [...]

That, one year earlier, in 1862, he‟d signed and approved the order for the largest public execution in United States history?

La stessa tecnica è stata adottata anche in “Looking Glass” (187), in cui i versi di una parola costituiscono un famoso discorso del capo della tribù dei Nez Perce (Nasi Forati), Chief Joseph:

[...] Chief Joseph, stood and said, “My heart is sick And

Sad.

From Where The Sun Now Stands, I Will Fight No More Forever”

Aggiungerei anche che il titolo del componimento, oltre a significare “specchio”, è il nome di un altro capo della tribù dei Nez Perce di cui Chief Joseph parla nello stesso discorso. Sebbene Alexie non includa le frasi che si riferiscono direttamente a lui, sceglie il suo nome come titolo della poesia, che ho deciso pertanto di lasciare in lingua originale.

(33)

LXXIX In alcune poesie, Alexie, anziché ridurre drasticamente il numero di parole che compongono i versi, opta per “spostare” questi ultimi dalla loro posizione canonica. Lo si può notare in testi come “Ode to Small-town Sweethearts” (73):

O, when you are driving through a blizzard And your vision has been reduced –

Has been scissored – Into two headlights and a noose, How joyous to come upon the Wizard Of Snowplows driving his glorious machine.

Come si vede nella parte appena citata, i versi non solo si accorciano progressivamente per poi allungarsi di nuovo, ma più sono brevi più sono spostati verso il centro della pagina. Scelta che ritengo interessante anche perché non vale per tutti i componimenti presenti in War Dances. A conferma di questa osservazione, citerei una delle altre odi incluse nella raccolta, “Ode for Pay Phones”,in cui i versi sono allineati a sinistra e sono formati, inizialmente, da singole parole (composte da un numero di lettere che aumenta col procedere dei versi), successivamente da un numero sempre maggiore di parole, fino a tramutarsi in prosa:

All That Autumn, I walked from

The apartment (shared

With my sisters) to that pay phone

On Third Avenue, next to a sleazy gas station [...]. (12)

Dato che ci troviamo di fronte a un‟opera letteraria, ritengo che anche la formattazione del testo sia fondamentale e sia stata scelta per ragioni precise, le quali hanno a che fare con gli intenti comunicativi dell‟autore. In traduzione ho cercato di rispettare pedissequamente i vari formati proposti da Alexie, scegliendo

(34)

LXXX i traducenti anche in base alla loro lunghezza, in modo che mi consentissero di ricreare gli stessi effetti presenti nell‟originale.

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