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CAPITOLO 2 Abiti, abitudini e elementi ispiratori in The Handmaid’s Tale

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

Abiti, abitudini e elementi ispiratori in The Handmaid’s Tale

Gli abiti hanno un ruolo importante all’interno del libro e, soprattutto, per la protagonista. Come è chiaramente emerso, nella Repubblica di Gilead non esiste libera iniziativa né privacy: tutto è metodico e regolamentato, basato su un concetto di rigide distinzioni che vanno a scapito dell’identità personale. Anche il corpo è iper-controllato o è “funzionalizzato”: le alte sfere decidono l’abbigliamento, il regime alimentare e i luoghi di pertinenza dei cittadini. Gli abiti, quindi, impongono ai gruppi di essere omogenei, di distinguersi solo in base alla classe sociale a cui appartengono. Il vestiario diventa quindi un ulteriore strumento di controllo autoritario.

Riprendendo il famoso proverbio tedesco “Kleider machen Leute”, ovvero “gli abiti fanno le persone”, si può dire che sia proprio questo che la società di Gilead impone ai suoi abitanti: attraverso un determinato abito, si intende segnalare le caratteristiche statuarie della persona che lo indossa, in particolare il suo lavoro e il suo ruolo nella società. Gli abiti e gli accessori, hanno da sempre offerto elementi per dedurre il profilo e i valori di una determinata persona: in questo caso, però, essi diventano il veicolo di un’ideologia imposta e di uno stereotipo.

Soprattutto il colore degli abiti delle donne partecipa a determinare l’appartenenza ad una classe sociale. Le Wives, le mogli dei Commanders, sono chiamate a vestirsi in modo conforme a un’aura antica e misticheggiante, con abiti morbidi di colore azzurro e il velo. L’azzurro è simbolo di lealtà e purezza virginale, e il velo è un capo di abbigliamento che denota rispetto e remissività, già all’epoca dei Romani, come emerge in un passo della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi:

Vi do lode, perché vi rammentate di me in ogni occasione e conservate le tradizioni come io ve le ho trasmesse. Però voglio che lo sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, e il capo della donna è l’uomo; […] Ogni uomo che prega o profetizza a testa scoperta fa un affronto al suo capo; all’opposto,

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ogni donna che prega o profetizza a testa scoperta reca un affronto al suo capo, poiché sarebbe lo stesso che se essa fosse rasata. Sì, se una donna vuole mettersi il velo si tagli pure i capelli! Ma se per una donna è vergogna è vergogna tagliarsi i capelli o essere rasata, si copra con un velo. L’uomo, certo, non deve coprirsi il capo, essendo egli immagine e riflesso di Dio; ma la donna è riflesso dell’uomo. Poiché non l’uomo fu tratto dalla donna, bensì la donna dall’uomo. E infatti non fu creato l’uomo per la donna, ma la donna per l’uomo. Ecco perché la donna deve avere sul capo un segno della potestà dell’uomo, a motivo degli angeli1.

Nel passo biblico si ribadisce come l’uomo, creato da Dio, sia un riflesso di Dio stesso, mentre la donna, creata da una parte del corpo dell’uomo, sia il riflesso di quest’ultimo. L’utilizzo del velo diventa quindi un modo per esprimere il rispetto verso la potestà esercitata dall’uomo. Questo pezzo di stoffa posto sulla testa simboleggia proprio il tratto morale distintivo delle Wives, ovvero l’essere sottomesse ai propri mariti, dai quali peraltro non ricevono nessun tipo di affetto fisico, ma ai quali comunque devono rimanere fedeli. Al tempo stesso, le mogli dei Commanders sono donne benestanti e si concedono la facoltà di esibire il rango con l’utilizzo di gioielli come collane, anelli e bracciali. Per le altre donne, e in particolare per le Handmaids, l’uso di gioielli è proibito.

Le Widows, ovvero le vedove, vestono di nero, colore che, nelle culture occidentali, simboleggia il lutto. Le Daughters, ossia le ragazze giovani che diventeranno in seguito Wives mediante matrimoni combinati, sono vestite di bianco, simbolo di purezza e di castità. Il colore, in questo caso, rappresenta proprio lo scopo delle future mogli: rimanere caste e fedeli al marito. Le donne che appartengono alla classe più bassa sono le Econowives, che non possono permettersi la servitù e hanno abiti cuciti con scarti di vestiti appartenenti ad altre caste, cosicché le loro “divise” si fanno indice della loro ulteriore disumanizzazione, del vivere degli “scarti” altrui.

Le donne nubili, ma non più in età fertile, sono ribattezzate “Aunts” e vestono con abiti lineari, poco pretenziosi, di color marrone. Il marrone è forse qui simbolo di neutralità, risultando dalla combinazione di colori primari contrapposti (rosso, blu, giallo), come neutro è il ruolo sessuale delle Aunts all’interno di

1

La Sacra Bibbia, tradotta dai testi originali e commentata, a c. e sotto la direzione di Mons. Salvatore Garofalo, (Ad Cor, 11, 3-16), Marietti, Torino 1961 cit. in Cristina Giorcelli, Abito e Identità: ricerche di storia letteraria e culturale, Ila Palma, Palermo 2006, pp. 69-70.

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Gilead. Non sono sposate né possono avere figli, e il loro dovere è quello di educare le Handmaids nella loro “missione”; sono inoltre le uniche donne alle quali è concesso leggere. In tal senso, esse potrebbero incarnare anche una versione (ironicamente svilita) di una “Grande Madre Terra” che custodisce e cura i propri germogli in vista dei frutti futuri. Come surrogati materni, le “zie” insegnano e fungono da guide severe.

Le Handmaids, invece, sono donne non sposate, in età fertile. L’unico scopo che la società assegna loro è quello di generare figli per le coppie di Commander e Wife, come se fossero appunto delle ancelle incaricate di portare a termine una delicata operazione. Le Handmaids, come si è anticipato, indossano un abito rosso e un cappuccio con alette bianche, come ad unire la forza del sangue e l’autocontrollo, il sostegno assistenziale:

I get up out of the chair,advance my feet into the sunlight, in their red shoes,

flat-heeled to save the spine and not for dancing. The red gloves are lying on the bed. I pick them up, pull them onto my hands, finger by finger. Everything except the wings around my face is red: the color of blood, which defines us. The skirt is ankle-length, full, gathered to a flat yoke that extends over the breasts, the sleeves are full. The white wings too are prescribed issue; they are to keep us from seeing, but also from being seen2.

Il rosso è dunque il colore del sangue e del ciclo vitale ed avvolge il corpo dell’Ancella, con una gonna che arriva fino alle caviglie, le maniche lunghe, i guanti e un corpetto che fascia il seno. Spesso la protagonista si lamenta di quanto sia caldo e ingombrante il suo abbigliamento, come per sottolineare la continua oppressione fisica che le Ancelle sono costrette a subire. Un passo particolarmente interessante è quando Offred commenta negativamente il colore del vestito: “I

never looked good in red, it's not my color”3. Molto probabilmente, il riferimento

al colore è un modo con cui Offred mostra il poco apprezzamento per quell’abito e la sua utilità. Questa affermazione può veicolare quindi una velata critica verso la suddivisione in classi sociali e la rigidità delle leggi di Gilead.

Il vestito delle Marthas, invece, ovvero le domestiche che lavorano in casa dei Commanders, è simile alle Handmaids come forma, ma con un diverso colore:

2

Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale, cit., p. 18.

3

(4)

She's in her usual Martha's dress, which is dull green, like a surgeon's gown of the time before. The dress is much like mine in shape, long and concealing, but with a bib apron over it and without the white wings and the veil. She puts on the veil to go outside, but nobody much cares who sees the face of a Martha4.

Il verde “ecologico” le individua come donne atte a eseguire le faccende domestiche, ma non desiderabili, quasi invisibili nel loro verde “spento”. Il verde rappresenta, qui, appunto, un’associazione “ecologica” con il cibo, l’economia domestica e la stabilità. Le “Marta”, come quella Biblica, gestiscono infatti la casa, controllano gli ingredienti delle pietanze, cucinano e, di conseguenza, incarnano i principi del focolare domestico.

I luoghi dove è possibile ordinare i vestiti a Gilead sono vecchi negozi ai quali sono state tolte le insegne distintive, in modo da inibire qualunque ispirazione legata alla ricerca di originalità e individualismo. I vestiti sono associati dalla stessa protagonista a degli “habits”, ovvero anche “costumi”, usanze radicate difficili da cambiare e, soprattutto, da modificare:

In front of us, to the right, is the store where we order dresses. Some people call them habits, a good word for them. Habits are hard to break. The store has a huge wooden sign outside it, in the shape of a golden lily; Lilies of the Field, it's called. You can see the place, under the lily, where the lettering was painted out, when they decided that even the names of shops were too much temptation for us. Now places are known by their signs alone5.

Alla luce delle affermazioni di Offred, viene da pensare a come la parola “abito” nell’etimologia latina non indichi tanto l’abbigliamento, quanto il modo di fare e di essere, i comportamenti e la postura, un tratto che definisce un certo

atteggiamento. Secondo il sociologo francese Pierre Bourdieu, ogni individuo si

indirizza su beni di consumo associati alla propria classe sociale e alle proprie condizioni economiche. È proprio l’habitus, il nostro modo di vivere e di pensare che determina le nostre scelte di vita. Persone più ricche, ad esempio, apprezzano uno stile più lussuoso, mentre le persone più povere si “accontenteranno” di uno stile più semplice e più consono alle loro disponibilità:

4

Ibidem, p. 19.

5

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L’habitus è […] contemporaneamente principio generatore di pratiche oggettivamente classificabili e sistema di classificazione […] di queste pratiche. È proprio nel rapporto tra queste due capacità che definiscono l’habitus, capacità di produrre pratiche ed opere classificabili, e capacità di distinguere e di valutare queste pratiche e questi prodotti (il gusto), che si costituisce l’immagine del mondo sociale, cioè lo spazio degli stili di vita. […]

Poiché condizioni di sistema differenti producono differenti habitus, cioè sistemi di schemi generatori suscettibili di venir applicati, per semplice trasferimento, ai più diversi ambiti della pratica, le pratiche generate dai diversi habitus si presentano come configurazioni sistematiche di proprietà, che rendono manifeste le differenze oggettivante iscritte nelle condizioni di esistenza, sotto forma di sistemi di distanze differenziali che, percepiti da soggetti dotati di quegli schemi di percezione e di valutazione indispensabili per individuarne, interpretarne e valutarne gli aspetti pertinenti, funzionano come stili di vita.

[…] l’habitus […] è il prodotto dell’incorporazione della divisione in classi sociali6.

Nel caso peculiare di The Handmaid’s Tale, però, l’habitus dipende dallo scopo sociale imposto, che non lascia spazio all’espressione di una visione soggettiva e del gusto personale.

In latino, il termine habitus deriva da habēre, che significa “stare,

comportarsi”7. Nelle società democratiche, esso risulta essere un modo per

esteriorizzare il proprio valore e le proprie tradizioni culturali, anche condividendo un complesso di pratiche e abitudini. Cristina Giorcelli, in Abito e Identità: ricerche di storia letteraria e culturale, descrive questo rapporto stretto che, in condizioni di normalità, tende a crearsi tra abito e identità, ovvero ciò che l’abito rappresenta relativamente a chi lo indossa e anche le eventuali disgiunzioni rispetto all’essenza della persona:

La letteratura, la storia, il folklore mostrano come, da sempre, l’equivalenza abito/identità sia stata così accettata da indurre a metamorfosi di abbigliamento (ma anche di comportamento, di atteggiamento, di stilemi), che possono finire con l’intaccare l’essenza dell’io. E questo ai fini più diversi: per necessità (salvarsi la vita), per gioco (burlarsi di qualcuno), per superare un divieto, per trascendere i limiti di condizione sociale o di genere (nel senso di sessualità strutturata, ma anche – in stilistica e nella nostra lingua – di forme e codici letterari).

6

Pierre Bourdieu, La distinzione : critica sociale del gusto,il Mulino, Bologna 2001, pp. 174-175.

7

Garzanti, Habitus, https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=habitus [consultato il 25 Novembre 2017].

(6)

Ai giorni nostri, la pervasiva consapevolezza sia del carattere liminale dell’identità, sia della prigionia del ruolo (habitus – da habeo – è tanto vestito quanto modo di essere) ha sostituito una dialettica aperta tra i due termini […].

L’abito […] può essere assunto come “maschera” – che può fuorviare gli altri, ma che può anche proteggere la libertà interiore dell’individuo – di un’identità che si percepisce come così ambigua, o, quantomeno, così complessa da eludere ogni qualsivoglia imbrigliamento, anche da parte del costume8.

L’abito, in ogni caso, diventa una forma di comunicazione, un modo per individuare o potenzialmente sovvertire le caratteristiche di un’appartenenza sociale; esso può rispecchiare quanto imitare con fini ironici o ribaltare certi assiomi. Nel caso di The Handmaid’s Tale, come già affermato, è evidente che l’abbigliamento è fondamentalmente un emblema dell’ideologia istituzionale nel quale i singoli soggetti percepiscono una cifra alienante.

L’idea stessa del vestiario, però, permette anche alla protagonista di allontanarsi virtualmente dalle leggi rigide e cruenti del regime attraverso la ricostruzione memoriale degli indumenti indossati prima della nascita di Gilead, quando esisteva libertà di scelta. In alcuni casi, gli abiti le servono come molla per ricordarsi del suo passato, richiamare alla memoria la libertà alla quale era abituata e che la società di Gilead ha completamente distrutto, cosicché l’assolutismo del regime viene ridimensionato storicamente. Offred ha addirittura un tatuaggio che, in questo contesto, simboleggia un marchio di asservimento inciso nel corpo:

I cannot avoid seeing, now, the small tattoo on my ankle. Four digits and an eye, a passport in reverse. It's supposed to guarantee that I will never be able to fade, finally, into another landscape. I am too important, too scarce, for that. I am a national resource9.

Anche i tatuaggi, nella cultura occidentalizzata, possono connotarsi di un valore estetico e simbolico, alla stessa maniera dei vestiti. Ancora una volta, però, nel romanzo della Atwood la libertà di espressione è repressa e qui il tatuaggio assomiglia di più al marchio che una fabbrica imprime a un prodotto o al marchio inciso a fuoco dall’allevatore sulla pelle dell’animale.

8

Cristina Giorcelli, Abito e Identità: ricerche di storia letteraria e culturale, cit., pp. 5-6.

9

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Quanto, d’altro canto, l’habitus si radichi nell’immaginario, è suggerito nell’episodio in cui, durante la passeggiata che Offred fa quotidianamente insieme ad Oflgen, esse incontrano dei turisti giapponesi: le due ancelle si sentono attratte dai loro vestiti, ma, allo stesso tempo, ne sono disgustate. Ciò testimonia come gli abitanti di Gilead siano ormai abituati a vestire in un determinato modo e abbiano finito per identificarsi con quelle sembianze definite. Il passo seguente suggerisce il senso di straniamento quasi perturbante provato nei confronti di un aspetto e un portamento rievocati nei loro dettagli peculiari e ormai insoliti:

It's been a long time since I've seen skirts that short on women. The skirts reach just below the knee and the legs come out from beneath them, nearly naked in their thin stockings, blatant, the high-heeled shoes with their straps attached to the feet like delicate instruments of torture. The women teeter on their spiked feet as if on stilts, but off balance; their backs arch at the waist, thrusting the buttocks out. Their heads are uncovered and their hair too is exposed, in all its darkness and sexuality. They wear lipstick, red, outlining the damp cavities of their mouths, like scrawls on a washroom wall, of the time before.

I stop walking. Ofglen stops beside me and I know that she too cannot take her eyes off these women. We are fascinated, but also repelled. They seem undressed. It has taken so little time to change our minds, about things like this. Then I think: I used to dress like that. That was freedom10.

Gli esseri umani sono in grado di adattarsi e, in questo caso, la protagonista si è, nonostante tutto, adeguata alla visione religiosa e rigida imposta sul vestiario indossato a Gilead. Per cui, benché consapevole che nel passato anche lei indossava indumenti simili, il suo habitus e il suo ruolo nella società attuale le impediscono di categorizzare gli abiti “normali” secondo un gusto personale.

In alcuni casi, comunque, la stessa Offred si ricorda di quando anche lei indossava abiti non più consoni alla vita di Gilead:

I think about laundromats. What I wore to them: shorts, jeans, jogging pants. What I put into them: my own clothes, my own soap, my own money, money I had earned myself. I think about having such control11.

I pantaloni, indumento maschile, hanno, in qualche modo, dato concretezza alla “rivolta” delle donne, alla volontà di essere considerate alla pari degli uomini.

10

Ibidem, p. 38.

11

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Questa volontà, chiaramente, viene repressa dalla dittatura di Gilead, la quale vieta l’utilizzo di indumenti mascolini per le donne, perché, ovviamente, essi rischierebbero di offuscare e contaminare le differenze di genere e ruolo.

L’emancipazione femminile, come è storicamente avvenuto, si manifesta anche attraverso un’altra abitudine comportamentale connessa alla sigaretta. Nel romanzo, chiaramente, le sigarette sono proibite alle donne, soprattutto alle Handmaids, alle quali non è concesso né fumare, né bere alcolici:

I looked at the cigarette with longing. For me, like liquor and coffee, cigarettes are forbidden12.

Serena Joy riesce comunque a procurarsi delle sigarette al mercato nero. Anche se fumare per le donne non è consentito, la Wife se le concede di nascosto e, in un’occasione particolare, offrirà una sigaretta anche alla giovane protagonista:

Then she takes the cigarette she's been fiddling with and, a little awkwardly, presses it into my hand, closing my fingers around it. "Find yourself a match," she says13.

Dal punto di vista sociale, quindi, la sottomissione delle donne è sancita non soltanto dal veto su alcuni indumenti (siano essi provocatori o dal taglio troppo maschile), ma anche dal divieto di cedere alla tentazione di qualche vizio.

Il modo di vestirsi “casual”, utilizzando ad esempio pantaloni, avrebbe rappresentato poi, ai tempi di Gilead, un tratto denigratorio tipico delle Unwomen, donne che avevano lottato contro il regime o che non avevano svolto il loro dovere “canonico”, aderendo alla militanza femminista. Spesso, durante l’addestramento al Red Center, le Aunts facevano vedere alle future Handmaids documentari sulla vita di queste “donne snaturate”; in uno di essi, Offred nota la presenza di sua mamma, una donna forte che aveva spesso aderito alle rivolte femministe e che, essendosi opposta al regime totalitario, era stata evidentemente

12

Ibidem, p. 24.

13

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costretta a lavorare come Unwoman nelle discariche. A queste creature rinnegate è tolto il diritto non solo alla parola, ma alla voce stessa:

They don't play the soundtrack, on movies like these, though they do on the porno films. They want us to hear the screams and grunts and shrieks of what is supposed to be either extreme pain or extreme pleasure or both at once, but they don't want us to hear what the Unwomen are saying.

First come the title and some names, blacked out on the film with a crayon so we can't read them, and then I see my mother. My young mother, younger than I remember her, as young as she must have been once before I was born. She's wearing the kind of outfit Aunt Lydia told us was typical of Unwomen in those days, overall jeans with a green and mauve plaid shirt underneath and sneakers on her feet14.

Si comprenderà dunque il valore trasgressivo del gesto del Commander, quando egli porterà un abito di scena a Offred, durante uno dei loro incontri notturni, e la incoraggia a indossarlo. Si tratta di un abito da cabaret, con un corpetto ricoperto da lustrini viola a forma di stelle e piume che guarniscono i fori attorno alle cosce, con tanto di scarpe dal tacco lilla. Il colore viola dell’abito può avere un significato simbolico, in quanto costituito dall’unione tra blu e rosso, colori che nel romanzo si associano alle due donne presenti nella vita del Commander, la Wife e la Handmaid, che egli inconsciamente vorrebbe “unite” in un individuo più completo. Offred diventerebbe, quindi, sia compagna, sia concubina del Comandante. L’enfasi sul colore viola, soprattutto in connessione con il mondo del teatro, evoca inoltre l’idea di sventura e malasorte, nonché di severa proibizione (in epoca medievale, infatti, durante la Quaresima, periodo penitenziale simboleggiato da parametri viola, le rappresentazioni sceniche erano vietate). Associato al divieto da un lato e all’esibizione dall’altro, questo vestito serve ad Offred per avere accesso alla casa di piacere nella quale, a volte, i Comandanti si rifugiano. Questo luogo rappresenta proprio un’evasione trasgressiva dalla realtà, dalle rigide regole di Gilead. Qui le donne appaiono truccate e anche ad Offred è concesso mettersi il rossetto, un po’ di matita per gli occhi e del mascara. Quando entra a “Jezebel”, la protagonista nota quanto in questo locale clandestino le donne siano realmente libere di esprimersi anche caratterialmente (oltre che sessualmente), grazie agli abiti utilizzati. L’unica

14

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imposizione per le donne che vi lavorano riguarda il peso: non possono ingrassare troppo, rischiando di perdere così la loro avvenenza e di essere assimilate alle Unwomen. Per il resto, chi lavora all’interno della casa di piacere è, in parte, più libera e sempre semi-nuda:

The women on the other hand are tropical, they are dressed in all kinds of bright festive gear. Some of them have on outfits like mine, feathers and glister, cut high up the thighs, low over the breasts. Some are in olden-days lingerie, shortie nightgowns, baby-doll pajamas, the occasional see-through negligee. Some are in bathing suits, one piece or bikini; one, I see, is wearing a crocheted affair, with big scallop shells covering the tits. Some are in jogging shorts and sun halters, some in exercise costumes like the ones they used to show on television, body-tight, with knitted pastel leg warmers. There are even a few in cheerleaders' outfits, little pleated skirts, outsized letters across the chest15.

Dal passo citato in precedenza si nota che, comunque, le donne che lavorano a “Jezebel” sono sempre considerate oggetti sessuali e non donne libere di gestire la propria vita. Il loro scopo resta quello di soddisfare le richieste dei clienti.

Come si diceva, il vestiario può assumere anche la funzione di catalizzare una proiezione empatica e nostalgica nel passato, tenendo vivo l’esercizio della memoria. Le donne, prima del golpe, erano libere di vestirsi come volevano, di fumare e bere, se ne avevano voglia. È questo un percorso psicologico che la protagonista fa proprio per ricordarsi come fosse stata la vita prima della dittatura e, in qualche modo, poter sperare in un ritorno alla “normalità”, evocata a livello pluri-sensoriale, in un’esplosione di sensazioni:

I'm remembering my feet on these sidewalks, in the time before, and what I used to wear on them. Sometimes it was shoes for running, with cushioned soles and breathing holes, and stars of fluorescent fabric that reflected light in the darkness. […] I remember the smell of nail polish, the way it wrinkled if you put the second coat on too soon, the satiny brushing of sheer pantyhose against the skin, the way the toes felt, pushed towards the opening in the shoe by the whole weight of the body. The woman with painted toes shifts from one foot to the other. I can feel her shoes, on my own feet. The smell of nail polish has made me hungry.

[…] I can remember what I wore, each blouse, each scarf16.

15

Ibidem, pp. 246-247.

16

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Su quest’opera gli abiti rappresentano, quindi, tanto l’essenza, quanto l’assenza della libertà.

Tornando a riflessioni più generali, Patricia A. Cunningham e Susan Voso Lab, in “Understanding Dress and Popular Culture”, puntualizzano come di solito gli abiti inducano l’essere umano a sentirsi parte di una società o di un determinato gruppo di persone:

Studies in human behavior indicate that, regardless of the size of the group or society in which membership is thought to be important, there is a need in the part of the individual to belong, to fit in, and to be accepted by the rest of the “group” or society. One way to show acceptance of the group’s philosophy and standards is to dress in a way that reflects those same ideals17.

Il dress code, quindi, è anche un mezzo per definire la propria

“presentazione”18, ovvero per rispettare (o violare) le regole vigenti nella società,

in particolare sul modo di comportarsi in pubblico. Nel caso di Gilead, questa affermazione è vera solo in parte: tutti gli abitanti hanno un determinato stile di vita e un particolare abito che ne determina l’appartenenza alla cultura e lo scopo nella società, ma, nella maggior parte dei casi, questi abiti sono stati imposti. Quindi, in questo caso, gli abiti costituiscono un mezzo per entrare a far parte di una società di cui spesso non si condividono le condizioni e i valori, ma ci si adatta per la sopravvivenza.

Sostanzialmente, si può affermare che gli abiti possono definire uno specifico ruolo e una particolare classe sociale, ma servono comunque elementi aggiuntivi per comprendere e conoscere appieno la persona che indossa un determinato indumento. Lo scopo degli abiti, a Gilead, è quello di categorizzare il ruolo sociale mascherando del tutto l’individualità. Anche la forma degli abiti, spesso simili a tuniche che non lasciano in alcun modo intravedere il corpo, indica il soffocamento della scelta e della personalità. Solo il ricordo degli abiti passati può, in qualche modo, far intravedere la personalità della protagonista.

17

Patricia A. Cunningham, Susan Voso Lab, “Understanding Dress and Popular Culture”, in Dress and Popular Culture, Bowling Green State University Popular Press, Ohio 1991, p.9.

18

Giampaolo Proni, “Linguaggio e vestito: Roland Barthes e Charles Peirce”, www.rifl.unical.it/index.php/rifl/article/view/296/285 [consultato il 31 Gennaio 2018], p. 83.

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2.1 L’adattamento cinematografico del 1990

Il successo del romanzo di Margaret Atwood ha aperto la strada alla sua trasposizione sul grande schermo, con l’omonimo film uscito nel 1990. Nel 1986, l’autrice concesse i diritti per la produzione cinematografica a Daniel Wilson, il quale, però, non riuscì inizialmente ad ottenere valide collaborazioni da parte di uno studio cinematografico di Hollywood; finché, nel 1988, si prospettò una soluzione soddisfacente. A questo punto, però, risultò difficile trovare una attrice disponibile per l’interpretazione il ruolo di Offred, poiché la risposta positiva di Sigourney Weaver cadde nel momento in cui ella rimase incinta. La parte fu infine affidata all’attrice britannica Natasha Richardson. Il film è stato diretto dal tedesco Volker Schlöndorff, con una sceneggiatura d’autore, a firma di Harold Pinter. Anche il cast contava nomi celebri, come Robert Duvall nel ruolo del Comandante Fred e Faye Dunaway per l’interpretazione di Serena Joy. Il film, però, non riscosse lo stesso successo del romanzo ed è anzi stato molto discusso dalla critica, con un incasso di 5 milioni di dollari contro un budget impegnato di ben 13 milioni. Nel commento di David Michael Brown, si citano alcuni critici cinematografici che hanno mostrato perplessità sul film:

Roger Ebert declared, “For all of its anger, The Handmaid's Tale is curiously muted.” Peter Travers of Rolling Stone was not kind in his scathing review, “This Handmaid's Tale is merely a piss-poor rehash of The Stepford Wives with delusions of grandeur.” Empire magazine was also not kind, concluding, “Comes across as a TV movie and overall, a disappointment – a high calibre cast and concept completely squandered”19.

Le recensioni a firma femminile, sono risultate più indulgenti dei confronti delle tematiche affrontate nel lungometraggio:

“As visions of a hellish, dehumanizing future go, this one could never be mistaken for a man’s,” wrote The New York Times’ Janet Maslin. “With its devilish attention to polite little touches, its abundant bitchiness … The Handmaid’s Tale is a shrewd if preposterous cautionary tale that strikes a wide range of resonant chords." The Washington Post’s Rita Kempley

19

David Michael Brown, “We Need to Talk about What Happened with The Handmaid's Tale

Movie”, https://www.sbs.com.au/guide/article/2017/06/27/we-need-talk-about-what-happened-handmaids-tale-movie [consultato il 01 Febbraio 2018].

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praised the story of “surrogate motherhood run amok in a society dominated by iron-fisted pulpit thumpers turned fascist militarists,” even while acknowledging that “Schlondorff seems as uncomfortable in this feminist nightmare as a man in a lingerie department”20.

Per quanto riguarda gli abiti, nel film essi appaiono parzialmente in linea con le descrizioni rilevabili nel libro. Le Aunts indossano una veste lunga e larga color marrone con sotto una camicia bianca. Le Daughters indossano abiti bianchi coprenti, in modo che non si possa intravedere il corpo delle giovani. Le Marthas, invece, sono vestite con un abito verde oliva abbastanza largo e lungo fino alle ginocchia; hanno un grembiule bianco, anche se non a pettorina (come viene invece descritto dalla Atwood), ma legato intorno alla vita. Le Wives vestono un abito blu fermato in vita con una cintura dello stesso colore e lungo fino sotto alle ginocchia. Hanno molti gioielli: collane di perle, orecchini e anelli. Al contrario di quanto avviene nel romanzo, però, esse sono prive del velo. Probabilmente l’opera cinematografica si è avvalsa di immagini più accattivanti che potessero rendere più avvincente e ricca la storia grazie a una maggiore libertà di espressione fisica e visiva per l’attrice, cosa che invece il velo e l’abito lungo non avrebbero fatto trasparire. Solo durante la Ceremony le Wives indossano un velo blu molto leggero che copre loro il viso. Nelle occasioni ufficiali, in pubblico, portano sulla testa un copricapo blu simile a quello usato dalle hostess sugli aerei.

Infine, le Handmaids hanno un abito a forma di tunica rossa con sopra una giacca della stessa tonalità cromatica, lunga come la tunica, quindi quasi fino alle

caviglie. Sotto indossano dei gambaletti neri, con scarpe a suola rigidamente

bassa, ma non portano il classico copricapo bianco che, nel libro, è loro imposto perché non vedano e non siano viste dagli altri (Figura 1). Nell’adattamento cinematografico, quasi certamente, l’uso delle alette avrebbe reso impossibile una visione più conturbante della protagonista. Il messaggio visivo di questo film diventa più incisivo delle parole, perché a volte i dialoghi nascondono un duplice

significato che spesso si esplicita con il linguaggio del corpo21. Nel film le

20

Sophie Gilbert, “The Forgotten The Handmaid’s Tale”,

https://www.theatlantic.com/entertainment/archive/2015/03/the-forgotten-handmaids-tale/388514/ [consultato il 10 Dicembre 2017] .

21

Questa affermazione la si ritrova anche nella recensione online di Sophie Gilbert, “The Forgotten The Handmaid’s Tale”: “The script is minimalistic in a typically Pinterian style (even though the playwright later declined to claim it as his work, saying that it had been considerably

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Handmaids vestono un semplice velo rosso semi-trasparente che legano dietro i capelli; solo in occasioni ufficiali, esse coprono con il velo anche la faccia, come per esempio durante le visite mediche o in occasione della Ceremony.

Non vi è nessun tipo di richiamo agli abiti usati prima della fondazione di Gilead e non ha luogo, quindi, nemmeno la visita di turisti vestiti con abiti “normali”. Per quanto riguarda, invece, la veste utilizzata da Offred per entrare a “Jezebel”, raffigurata nel romanzo come un abito teatrale con lustrini a forma di stelle viola e piume attorno alle cosce, nel film il capo di vestiario è completamente diverso: si tratta di un abito lungo nero con uno spacco sulla gamba destra, un boa di piume nero e guanti neri. L’abito elegante sembra essere più adatto ad un luogo distinto e di lusso, mentre la casa di piacere è molto simile alla descrizione del libro, ovvero con molte donne semi-nude che si muovono sensualmente per compiacere gli ospiti. In questo caso, presumibilmente, si è voluto dare alla figura di Offred un valore più “umano”: non viene solo considerata come un oggetto sessuale, al contrario delle altre ragazze, ma ha un ruolo forse più forte nella vita del Comandante (Figura 2).

altered), meaning that more is said between the lines than is actually verbalized”, ivi, [consultato il 1 Febbraio 2018].

Figura 1: Serena Joy e Offred (immagine tratta da http://www.syfy.com/syfy wire/the-handmaids-tale- 1990-margaret-atwood-retrospective, il 2 Febbraio 2018).

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Oltre a queste differenze nei dettagli degli abiti, si notano anche alcune diverse scelte per quanto concerne lo svolgimento della trama. Innanzitutto, la storia non è incentrata solo sul personaggio di Offred e non adotta unicamente il suo punto di vista. Sebbene ci sia un importante monologo nel quale la protagonista confessa il disagio e il tormento alimentato dalla società dittatoriale e medita anche vendette contro i suoi oppressori, ella rimane comunque un personaggio non di spicco, ma simile agli altri, come se l’intenzione del regista fosse dare una maggiore rilevanza al quadro distopico collettivo, alla struttura di questa società oppressiva.

La storia comincia con l’immagine della protagonista che cerca di scappare in Canada con la famiglia. La scena iniziale non ha né commenti né dialoghi, solo una musica di sottofondo molto triste e angosciante che richiama il senso di suspense e disperazione che pervade in tutto il film. Un altro particolare interessante di questa prima scena è che la protagonista lascia il posto di guida al marito quando si stanno per avvicinare al confine. Si ha quindi già un primo segno dell’oppressione di Gilead che impedisce addirittura alle donne di guidare. Luke, il marito, viene ucciso durante la fuga, mentre la figlia rimane nei boschi da sola. Alcuni dettagli cambiano, come il fatto che nel film Offred è una ragazza con i capelli biondi (nel libro, invece, viene descritta come castana) e mostra meno reticenze nel rivelare il proprio nome: una sera, mentre dialoga con le altre ragazze del Red Center, ella dice di chiamarsi Kate, nome che nel testo

Figura 2: Abito di Offred durante la visita a “Jezebel” (immagine tratta da https://reel-librarians.com/2017/04/1 9/the-reel-librarian-in-the-handmaids-tale/ , il 2 Febbraio 2018).

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atwoodiano non emerge (la deduzione era piuttosto che la protagonista si chiamasse June).

L’amicizia con Moira nel film nasce durante l’addestramento per diventare Handmaids. Le due non si erano mai viste e iniziano a parlare e a conoscersi durante il tragitto in furgone per arrivare nella palestra dove si tiene l’addestramento. Nel romanzo, invece, le ragazze sono amiche dall’università. È come se il film desse maggiore importanza al presente, al vivere con un perenne senso di angoscia: non esiste una vita passata, non esistono vecchie amicizie o conoscenze. Forse è anche per questo motivo che non vi sono flashbacks sulla vita precedente della protagonista, sul suo incontro con il marito o sulla nascita della loro figlia.

Nel romanzo Offred è al suo terzo incarico come Handmaid, mentre nel film è la prima volta che va a casa di un Commander. Durante la prima Ceremony, infatti, Offred scoppia a piangere perché si sente violentata dal suo “master”. Quando torna in camera, si spoglia dei suoi abiti e si avvicina nuda alla finestra dove cerca di riprendere fiato. È l’autista Nick a farla allontanare dalla finestra, facendole segno dalla strada; se qualcuno l’avesse vista, avrebbe infatti potuto identificare quel gesto come un atto di rivolta. Al contrario, nel libro Offred sembra contenersi maggiormente durante lo svolgimento della Ceremony, specificando anche che l’atto in cui è coinvolta non è uno stupro, ma un “contratto” che avrebbe sottoscritto. Dunque, l’intento del film è coinvolgere emotivamente lo spettatore, renderlo più vicino allo stato d’animo di Offred.

Anche il rapporto con Serena Joy è differente nel film. La moglie, infatti, è cortese con Offred e, in una scena in giardino, chiede all’Ancella di starle vicino e la incoraggia a prendere un po’ di sole, visto che le Handmaids devono stare sempre chiuse in casa. Ad un certo punto parlano della figlia di Offred, e Serena, senza chiedere niente in cambio, si offre di trovare informazioni sulla bambina, consegnando ad Offred successivamente una foto della piccola. Nel film, dunque, si intensifica anche il senso di solidarietà femminile, del sostegno morale.

Durante le visite nella stanza del Commander, l’uomo e l’Ancella, oltre a giocare a scarabeo, si svagano anche con altri giochi, soprattutto con le carte e, ogni volta che Offred esce dalla stanza, il Commander non le chiede

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esplicitamente un bacio, mostrandosi bisognoso di affetto, ma prova a rubarglielo con una certa violenza, baciandola all’improvviso. Offred, dal canto suo, si scansa ed evita il contatto.

Una situazione completamente diversa rispetto al romanzo è che nel film Offred rimane incinta di Nick e chiede all’autista di scappare insieme per crescere il figlio in un modo migliore. La maternità in questo caso è una sorta di riscatto da parte della protagonista, una “vendetta” nei confronti della società che l’avrebbe condannata a morte certa se non fosse riuscita ad adempiere al suo dovere.

Anche il finale del film mira a trasmettere allo spettatore un sentimento di vittorioso riscatto a fronte di un regime che ancora regge, ma forse sopravvivrà per poco. Offred andrà, infatti, nella stanza del Commander e lo ucciderà, tagliandogli la gola, prima di essere catturata dagli Eyes e portata via su un furgone nero. Durante il tragitto, Nick le rivela di essere un membro del movimento di militanza Mayday; la coppia si lascerà poi nel mezzo di una strada isolata che evoca il buio, il crocevia delle scelte: Nick torna a casa, mentre Offred sale su una macchina e viene messa in salvo da altri membri del movimento. Il finale del film fotografa la protagonista convertitasi alla militanza, associata ad altri ribelli che, in una roulotte in mezzo ai boschi, attendono insieme a lei con fervida speranza l’arrivo del figlio prossimo alla nascita, sorta di “creatura della trasgressione” e dell’amore libero.

2.2 L’adattamento televisivo del 2017

Nel 2017 è uscita negli Stati Uniti d’America una serie televisiva intitolata The Handmaid’s Tale, ispirata all’omonimo romanzo distopico della Atwood e ideata da Bruce Miller. La serie tv è stata prodotta da Hulu (Santa Monica, California), piattaforma televisiva di video on demand interessata in particolare

alla distribuzione di film, serie televisive e altri contenuti di intrattenimento22. A

differenza della recensione piuttosto fredda del film del 1990, questa serie ha avuto un enorme successo, tanto da essere considerata uno dei migliori programmi

22

URL:

https://www.hulu.com/welcome?orig_path=%2Ftv&orig_referrer=https%3A%2F%2Fwww.googl e.it%2F; https://it.wikipedia.org/wiki/Hulu.

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televisivi usciti nel 2017, con tanto di plauso della critica. Nella recensione sul Time scritta da Daniel D'Addario, per esempio, si descrive la serie come una delle migliori esperimenti televisivi usciti negli ultimi anni e della quale si parlerà molto a lungo:

As a show, The Handmaid's Tale is as crisply and elegantly made as anything I've seen on TV this year. It manages to bring a dystopian story to life in a way that works as episodic TV, sapping none of the book's power. This is a show that could work anytime and one that will likely be watched and discussed for years to come23.

Jen Chaney, nella sua recensione sul New York Magazine (Vulture) online, premia la fedele ispirazione al libro della Atwood e i temi trattati nella serie televisiva:

A faithful adaptation of the book that also brings new layers to Atwood’s totalitarian, sexist world of forced surrogate motherhood, this series is meticulously paced, brutal, visually stunning, and so suspenseful from moment to moment that only at the end of each hour will you feel fully at liberty to exhale24.

Tra i riconoscimenti ricevuti, spiccano il premio come miglior serie drammatica agli Emmy Awards 2017 e 2018, il premio di miglior attrice non protagonista a Ann Dowd (nei panni di Aunt Lydia) e la distinzione di miglior attrice “guest star” a Alexis Bledel, nel ruolo di Ofglen. Tra gli attori principali, sono da menzionare Elisabeth Moss nei panni di Offred, vincitrice anche lei del premio in qualità di migliore attrice protagonista (Emmy Awards 2017 e 2018); Joseph Fiennes, nel ruolo del Comandante Fred; Yvonne Strahovski, nel ruolo di Serena Joy. La serie televisiva è composta da dieci episodi della durata di cinquanta minuti circa ciascuno. Alcuni titoli degli episodi richiamano nomi di svariati capitoli del romanzo, tra cui “Birth Day”, “Jezebel’s” e “Night”. Si rispecchia abbastanza fedelmente lo snodarsi della storia creata da Margaret Atwood.

23

Daniel D'Addario, “Review: On The Handmaid's Tale, TV's Great New Heroine Is Born”, http://time.com/4732788/handmaids-tale-review/ [consultato il 2 Febbraio 2018].

24

Jen Chaney, “Hulu’s The Handmaid’s Tale Is Your Must-Watch Show This Spring”, http://www.vulture.com/2017/04/the-handmaids-tale-hulu-review.html [consultato il 2 Febbraio 2018].

(19)

Anche gli abiti evocano con una certa aderenza quelli descritti dall’autrice. La qualità degli abiti che denotano una particolare classe sociale è ripresa anche nell’adattamento televisivo, ma solo le classi inferiori come le Marthas e le Handmaids indossano sempre i soliti costumi. L’abito delle Marthas ha le maniche lunghe e arriva fino alle caviglie ed è di un verde molto chiaro, a

rispecchiare il “dull green”25 del testo. Esse indossano poi un foulard sulla testa

che copre loro i capelli e il grembiule è a pettorina, come scrive la Atwood. Il colore dell’abito è stato scelto dalla costumista della serie televisiva, Ane

Crabtree, che si è ispirata ad un “old mop”26. C’è, però, una sola Martha in casa

del Commander, ovvero Rita.

Le Aunts hanno un vestito lungo fino ai piedi con sopra una giacca marrone. Tutti gli indumenti che le riguardano sono marroni, cintura compresa. Il tessuto utilizzato per realizzare i vestiti delle Aunts è di lana pesante e pare voler veicolare la forza dei personaggi, la loro solidità: sono le poche donne che ancora riescono a esercitare un po’ di autorità a Gilead.

I vestiti delle Handmaids sono, naturalmente, rossi. Esse hanno un abito lungo fino ai piedi con un mantello rosso, che usano quando escono dalla casa del Commander. Indossano una cintura in vita, sempre rossa e dei calzettoni marroni lunghi sino alle ginocchia per coprire quel poco che potrebbe trasparire delle gambe. Le scarpe sono basse e sulla testa hanno una cuffietta bianca, a cui applicano delle alette quando sono in pubblico: esattamente come avviene nel libro, in questo modo esse non vedono lateralmente e non possono essere facilmente osservate in volto (Figura 3). Gli indumenti delle Handmaids ricordano un po’ le uniformi delle monache, con abiti lunghi fino ai piedi e viso coperto. Il paradosso, però, è creato dal loro ruolo all’interno della società di Gilead: esse non sono spose di Cristo votate alla castità, bensì donne trasformate in “corpi per la fecondazione”. La scelta dello sceneggiatore è, anche qui, metaforicamente in linea con il substrato semantico del romanzo e la sua critica tagliente.

25

Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale, cit., p.19.

26

Hannah Marriott, “Margaret Atwood: The Unlikely Style Soothsayer of 2017”,

(20)

In alcuni casi, però, gli abiti hanno qualche differenza rispetto a come li descrive la Atwood. Il Commander Fred, ad esempio, indossa sempre giacca e cravatta, ma di colori diversi, benché sempre su toni scuri. Nel primo episodio, egli indossa uno smoking nero con una camicia bianca e una cravatta nera, mentre nel quarto episodio veste una giacca scozzese di colore grigio, e nel quinto episodio appare con una giacca grigia a tinta unita, con una camicia bianca e una cravatta nera. Il Commander si chiama Fred Waterford, mentre nel libro, nelle note storiografiche, venivano identificati due possibili nomi sul presunto Fred: Frederick Waterford o Frederick Judd, benché nessuno dei due modelli storici del Comandante avesse una moglie di nome “Serena Joy” (la moglie di Waterford sarebbe chiamata Thelma e quella di Judd Bambi Mae). Nella serie televisiva, questo aspetto filologico viene semplificato e, in parte, ignorato.

La Wife porta qui abiti di colore blu petrolio e a volte indossa golfini più

chiari color verde acqua27. I vestiti delle Wives non sono tutti uguali; si

somigliano solo perché sono molto coprenti e lunghi fino alle caviglie, mostrando scarpe con un po’ di tacco. Esse non indossano velo sulla testa, ma tengono sempre i capelli legati con uno chignon. Le mogli sembrano essere l’unica classe sociale femminile alla quale è concessa un po’ di libertà, almeno negli abiti, che si differenziano con piccoli dettagli: cinture, pieghe sulle gonne o foulard.

27

La contrapposizione tra il colore degli abiti delle Handmaids e quello delle Wives ha avuto un particolare riscontro nella costumista della serie, come ricorda Hannah Marriott nella sua recensione online: “the deep red of the handmaids and the teal of the commanders’ wives were based on a photograph of a maple leaf against a blue sky”, Ibidem, [consultato il 02 Febbraio 2018].

Figura 3: Abiti delle Handmaids (immagine tratta da https://steemit.com/movie s/@weeklystats/tv-series- the-handmaid-s-tale-a- dystopia-for-fans-to-hit-a- nerve-review-without-spoilers , il 2 Febbraio 2018).

(21)

Chiaramente questa libertà è solo apparente perché, esattamente come nel romanzo, anche nella serie televisiva le Wives sono sottomesse ai mariti.

Si deduce quindi che le classi inferiori, come le Handmaids e le Marthas, indossino sempre i soliti abiti. Per i Commanders e le Wives, invece, la situazione è diversa: possono cambiare tipo di abito purché rimanga fedele ai colori che determinano la loro classe sociale, ovvero colori scuri per i Commanders e blu petrolio per le Wives. Le classi ricche e benestanti sono quindi meno uniformate nella serie televisiva e tale risoluzione rende meglio la differenza dei gruppi sociali.

Le Daughters, invece di indossare un abito bianco (simbolo di purezza), hanno un vestito lungo fino ai piedi di colore rosa con sopra un giacchetto e un copricapo dello stesso colore. Il rosa si forma dall’unione del bianco e del rosso, colore simbolo delle Handmaids, per cui, in un certo senso, esso rende più negativo il futuro delle bambine: non più pure, ma destinate a diventare oggetti per il piacere e l’interesse maschile.

Anche l’abito utilizzato da Offred per entrare a “Jezebel” è differente rispetto al libro: si tratta di un semplice abito argentato con paillettes e spalle scoperte che si ferma all’altezza del ginocchio; i sandali sono ricoperti di lustrini e, in più, il Commander fa indossare ad Offred degli orecchini lunghi, sempre con paillettes. Si suppone che l’effetto voglia essere di maggiore eleganza (come nel film del 1990).

Oltre a dei minimi cambiamenti nel vestiario, che non ne hanno tuttavia “tradito” la funzionalità semantica (rendendoli semmai, in alcuni casi, meno anacronistici per il pubblico del nuovo millennio), sono state introdotte delle modifiche per quanto riguarda lo svolgimento della storia. Ovviamente, per produrre una serie televisiva composta da dieci episodi di circa cinquanta minuti ciascuno, gli autori si sono trovati ad aggiungere delle parti e a modificarne altre rispetto al romanzo. Queste modifiche sono comunque in sostanziale armonia con la fabula e non creano un senso di straniamento nel lettore.

La serie televisiva si apre con la famiglia della futura Offred che viaggia in auto verso il confine con il Canada. Tutti gli Stati Uniti sono sotto il regime estremista e misogino di Gilead, per cui l’unico modo per fuggire è avvicinarsi il

(22)

più possibile al Canada. Luke rimane indietro, ma si scopre poi che è riuscito a

scappare e a rifugiarsi a Toronto, ed Offred riesce a scrivergli un biglietto. La

protagonista viene poi aiutata dall’assistente di una delegata commerciale messicana, in visita a Gilead per assoldare Handmaids ai fini della procreazione.

Il carattere della protagonista è delineato in modo simile a quello del suo corrispettivo nel romanzo: si tratta di una ragazza che, inizialmente, tenta di rispettare le regole imposte dal regime per sopravvivere, ma poi si trova a compiere gesti di ribellione per non compromettere del tutto la propria salute mentale in quel mondo così opprimente e alienante. Nella serie televisiva, però, in

alcuni casi i gesti di June28 sono più estremi e provocatori; nell’Episodio Dieci,

per esempio, il Salvaging non si “risolve” in un’impiccagione, ma si dilunga in una lapidazione a cui ella non vuole prendere parte. La condannata in questo caso è Janine, accusata di aver tentato di buttarsi giù da un ponte insieme alla bambina concepita con il Commander. Offred si rifiuta di lanciare il sasso, gettandolo a terra, e questo gesto diventa epidemico tra le ancelle, che a loro volta si rifiutano di obbedire all’ ordine di uccidere una di loro.

Anche l’età del Commander e della moglie sono diversi rispetto al romanzo, dove il Comandante era descritto come un uomo anziano e Serena appariva claudicante a causa dell’età. Nella serie televisiva, invece, i due sembrano avere la stessa età dell’ancella, quindi tra i trenta e i quaranta anni. Serena Joy è molto ostile nei confronti di Offred, esattamente come nel libro, ma in alcuni casi tocca punte di perfidia. La Wife non le mostra la foto della figlia, come invece accade nel libro, ma la porta nella casa dove vive la bambina, obbligandola a stare in auto e a guardare la figlia solo attraverso i finestrini. Dopo questa scena drammatica, in cui la protagonista grida di essere liberata per poter abbracciare la figlia, Serena la minaccia, dicendole che farà del male alla figlia se l’ancella non porterà a termine la gravidanza.

Nell’ultimo episodio Offred scopre di essere incinta, anche se nel romanzo questo non accade. Anche in questo caso (come nel film del 1990), la gravidanza può essere vista come un mezzo di speranza e di riscatto nei confronti della

28

Il nome della protagonista all’inizio non viene rivelato, ma alla fine del primo episodio lei dice di chiamarsi June. June ha trentun anni, occhi azzurri e capelli biondi, al contrario del libro, dove invece ha trentatré anni e capelli castani.

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dittatura, nonché un modo per lasciare agli spettatori in uno stato di suspense nell’attesa dell’uscita della nuova stagione.

L’amica di June, Moira, è una ragazza di colore, come sembra indicare letteralmente il suo nome; come nel romanzo, è omosessuale e non sopporta la reclusione di Gilead. Dopo aver vissuto per un certo periodo all’interno della casa di piacere, decide di scappare a seguito dell’incontro con Offred e riesce ad arrivare in Ontario, dove stabilisce contatti con Luke. Rimane quindi un’ulteriore senso di speranza e di attesa riguardo i contenuti della prossima stagione, che uscirà il 25 aprile 2018.

Anche Ofglen, oltre ad essere un membro del movimento clandestino di resistenza denominato Mayday, è qui dipinta come omosessuale. Gli Eyes scoprono la sua relazione clandestina con una Martha e per questo la catturano e la torturano (senza ucciderla). Nella serie televisiva la sessualità femminile è vista come una trasgressione, aspetto che, molto probabilmente, vuole enfatizzare maggiormente l’intolleranza a Gilead. L’omosessualità e i diritti omosessuali sono argomenti più attuali rispetto al periodo della pubblicazione del libro (1985) e, in questo caso, si dimostra come all’interno della dittatura sia difficile accettare un atteggiamento un tempo acquisito. Nel romanzo, invece, Ofglen si sarebbe suicidata prima dell’arrivo degli Eyes, decisi a imprigionarla in quanto membro del Mayday.

La serie televisiva si conclude con la cattura di Offred in un furgone nero, che non sappiamo se appartenga al Mayday o agli Eyes, come confermano le ultime parole di Offred:

Whether this is my end or a new beginning, I have no way of knowing. I have given myself over into the hands of strangers. I have no choice. It can't be helped. And so I step up, into the darkness within or else the light.

In entrambi gli adattamenti (1990 e 2017), comunque, si può affermare che agli abiti sia conferita una rilevanza minore, soprattutto a quelli appartenenti al passato. Nel libro gli abiti sono un elemento importante a cui Offred attinge per ricordarsi del suo passato libero e poter sperare in un futuro migliore. Gli abiti caratteristici dei periodi precedenti al regime non vengono ricordati nei film e, di conseguenza, non sono chiamati in causa dalle protagoniste come mezzo di fuga

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per rifugiarsi nel ricordo di una vita migliore e più equa. Non vi sono monologhi nei quali Offred/June ripensa ai vestiti che utilizzava, ai jeans o alle gonne corte e alle sensazioni connesse. Il ruolo degli abiti, nei due adattamenti, poggia sostanzialmente sul loro farsi codice di distinzione in classi sociali e non si concentra, invece, su un passaggio importante della vita di Offred: la volontà di ricordarsi in tutti i modi, anche attraverso gli abiti, di un passato diverso in cui l’individualità poteva trovare maggiore espressione.

Forse ciò è dovuto anche a un fattore legato al medium televisivo e cinematografico, i quali hanno bisogno di un ritmo più serrato e incalzante per rendere la storia più appassionante per lo spettatore, mentre l’inserimento di numerosi flashbacks rischierebbe di appesantire la narrazione. Inoltre, nel film e nella serie televisiva non ci si concentra solo sul punto di vista di Offred e sul suo pensiero, ma si dà spazio anche alle riflessioni e alle percezioni di altri personaggi.

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