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INTRODUZIONE Il presente lavoro di tesi ha come finalità la progettazione strutturale di un ponte ad arco. Il caso studio è stato individuato nel bando pubblicato dalla provincia di Mantova

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[Antonio Navazio – Università di Pisa – a.a. 2106-2017] Pagina 1

INTRODUZIONE

Il presente lavoro di tesi ha come finalità la progettazione strutturale di un ponte ad arco.

Il caso studio è stato individuato nel bando pubblicato dalla provincia di Mantova nell’aprile del 2015, in merito alla ristrutturazione del ponte sul fiume Po, nei comuni di Bagnolo San Vito e San Benedetto Po, appartenente alla strada provinciale ex S.S N. 413 “Romana”, tramite la sostituzione della porzione di viadotto in corrispondenza dell’alveo inciso del fiume.

Nella progettazione preliminare sono stati presi in considerazione diversi aspetti: sia di tipo tecnico-economico, come la scelta dello schema statico in funzione della semplicità costruttiva, della rapidità di montaggio o del costo complessivo dell’opera a seconda della tipologia strutturale impiegata; e sia di natura puramente architettonica, come la scelta di un design della struttura che permettesse un adeguato inserimento nel paesaggio circostante e che fosse al contempo accattivante.

In sostanza si è cercato di coniugare due aspetti cardini della progettazione moderna: forma e funzione. La forma legata all’estetica dell’opera, alla bellezza e al senso di piacevolezza che riesce a trasmettere, al rispetto delle proporzioni, al gioco dei volumi e delle ombre, ed al messaggio che il progettista intende comunicare. La funzionalità legata alla rispondenza dell’opera alla funzione a cui è destinata, basata inevitabilmente sulle esigenze e sulle prestazioni richieste dalla committenza.

Naturalmente vi è un connubio tra forma e funzione.

Esistono due scuole di pensiero: quelle per cui la “forma segue la funzione” (FFF – Form Follows Function) e quella per cui il progettista debba realizzare l’opera dando sfogo al proprio estro creativo ed in seguito provvedere all’organizzazione della funzione per cui tale opera è stata commissionata. Più ci si discosta però dalla scelta di schemi strutturali semplici e regolari, e più diventa complessa la progettazione, il livello di analisi, di modellazione e di verifica. La continua ricerca di forme nuove ed originali rappresenta oggi una sfida per i progettisti, resa possibile dallo sviluppo scientifico e tecnologico che ha fornito loro gli strumenti necessari per affrontarla.

Nella progettazione moderna si riscontra infatti una tendenza a seguire questa seconda filosofia, cercando di privilegiare l’estetica alla mera efficienza.

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Nell’ambito dell’Ingegneria Civile, fra le opere strutturali in cui si può osservare tale tendenza, si collocano sicuramente le grandi infrastrutture, tra cui i ponti.

Figura I-1_Infinity Bridge, Stockton-on-Tees

Nel lavoro oggetto di tesi, si è voluto ricercare un giusto compresso tra forma e funzionalità, trovando non corretta la separazione dei ruoli dell’architettura e dell’ingegneria strutturale, adottando una soluzione semplice (isostatica) ma al contempo elegante che ben si inserisce nel panorama circostante, che prevede la realizzazione del ponte mediante l’affiancamento, in corrispondenza della pila centrale, di due sistemi arco-trave a spinta eliminata, ciascuno realizzato con due archi gemelli tubolari inclinati verso l’interno e riuniti per un breve tratto in mezzeria, due travi-catena anch’esse a sezione anulare ed impalcato in lamiera irrigidita.

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PARTE PRIMA: STATO DELL’ARTE

Capitolo 1

I PONTI AD ARCO

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. - Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? - chiede Kublai Kan.

- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, - risponde Marco,- ma dalla linea dell’arco che esse formano.

Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli di pietre? E’ solo l’arco che m’importa.

Polo risponde: - Senza pietre non c’è arco.

Italo Calvino, Le città invisibili

(introduzione alla parte VI)

L’arco, come elemento strutturale, ha origini lontanissime sebbene non sia possibile datarne esattamente la costruzione. Alcuni studiosi, tuttavia, affermano che i primi resti di strutture ad arco risalgono alla civiltà mesopotamica fra il IV e il III millennio a.C. .

Le testimonianze di strutture ad arco realizzate nel corso dei secoli successivi sono ben visibili ancora oggi conservando tutto il fascino.

Tra le strutture ad arco, il ponte, ha raccolto, nel corso del tempo la sfida di coniugare la forma con la concezione strutturale.

Si deve a Leonardo da Vinci la prima definizione rigorosa dell’utilizzo dell’arco come elemento strutturale “Arco non è altro che una fortezza causata da due

debolezze, imperoché l'arco negli edifizi è composto di 2 parti di circulo, i quali quarti circuli, ciascuno debolissimo per sé, desidera cadere, e opponendosi alla ruina l'uno dell'altro, le due debolezze si convertano in unica fortezza” (da Frammenti sull'architettura, in Scritti rinascimentali di architettura, a cura di

A. Bruschi, Il Polifilo, Milano, 1978) che in linguaggio strutturale potremmo tradurre:

“L’arco è un elemento forte che nasce dalla somma di due debolezze….è composto da quarti di cerchio, entrambi debolissimi e che tendono a cadere, tuttavia opponendosi tra loro, le due debolezze si convertono in un’unica forza”.

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1.1 EVOLUZIONE STORICA DEI PONTI AD ARCO

Il più antico esempio di ponte ad arco giunto ai giorni nostri è quello del ponte miceneo di Kazarma databile al 1300 a.C. e tuttora parzialmente utilizzato (figura. C1-1).

Figura C1-1_Ponte miceneo di Kazarma (1300 a.C.)

I ponti ad arco, con la tecnica della chiave di volta, erano usati anche dai greci

italioti, come attestato dalla cosiddetta Porta Rosa di Elea (Figura C1-2), che ne trasmisero l'uso agli Etruschi, che ottennero grande diffusione nell'architettura di epoca romana, quando le migliorate tecniche di muratura cominciarono a consentire di realizzare ponti e acquedotti con campate lunghe alcuni metri.

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I ponti romani erano principalmente a sagoma circolare, e non erano rari esempi di ponti composti da più arcate o addirittura da più ordini di arcate disposti su livelli multipli. I ponti in muratura romani erano molto solidi, caratterizzati da una struttura pesante, compatta e adatta a resistere alle piene e al tempo: ad oggi esistono ancora almeno 330 ponti di epoca romana in pietra, 34 in legno e 54 acquedotti, alcuni dei quali tuttora usati.

Un esempio di ponte romano ancora in uso è il Ponte dei Quattro Capi a Roma, risalente al 62 a.C. (Figura C1-3)

Figura C1-3_Ponte dei Quattro Capi a Roma, risalente al 62 a.C.

Di seguito si riportano altre realizzazione eseguite nel corso dei secoli:

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Figura C1-5_Ponte romano a Salamanca in Spagna, risalente al I-II secolo d.C.

Nel medioevo con l'evoluzione delle metodologie costruttive i ponti in muratura iniziano ad assumere forme più snelle e leggere raggiungendo luci sempre maggiori, anche se presentavano un problema di fondo in quanto costruiti con materiali non resistenti a trazione.

Il Ponte Vecchio di Firenze rappresenta uno dei primi esempi di queste nuove tendenze (ad arco ribassato) (Figura C1-6)

Figura C1-6_Ponte Vecchio di Firenze

I ponti in muratura sono stati realizzati anche in epoca recente. Basti pensare al lungo viadotto ferroviario, gli Archi della marina, realizzato nella seconda metà dell’ottocento a Catania (figura C1-7)

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Figura C1-7_Gli Archi della Marina, lungo ponte ad arco in pietra, 1869.

La fine del XVIII secolo, con lo sviluppo delle tecniche di lavorazione della ghisa e del ferro e l'inizio della diffusione dei processi di produzione industriale significò per l’ambito ingegneristico l’avvio di una nuova sfida per traguardi più ambiziosi come quelli di realizzare ponti ad un’unica campata lunga più di cento metri.

Tra il 1775 e il 1779 venne costruito l'Iron Bridge a Coalbrookdale (figura C1-8),

il primo ponte ad arco metallico, in ghisa: la struttura, con un arco di 30 metri, e con uno schema a quello dei ponti ad arco in pietra, fu la prima struttura interamente metallica mai realizzata, ed è considerato uno dei simboli storici della rivoluzione industriale.

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L'ingegner Thomas Telford nel 1800 arrivò a proporre un progetto completo di un ponte da 190 metri in unica campata a sezione variabile per l'attraversamento del Tamigi a Londra, mentre undici anni prima Vincent de Montpetit aveva proposto a Luigi XVI il progetto di un ponte da 120 metri da realizzarsi con barre di ferro battuto.

Nel 1796 fu realizzato da Rowland Burton e Thomas Wilson un ponte sul fiume Wear con luce di 72 metri, seguito dieci anni dopo dal Ponte di Austerlitz di Corneille Lamandé a Parigi, entrambi ispirati dal lavoro di De Montpetit.

Fino alla metà del’800 la quasi totalità dei ponti ad arco era a via superiore. L’introduzione dei ponti ad arco a via inferiore si deve a Squire Whipple che, con il brevetto “Iron Bowstring Bridge” del 1841, può essere considerato l’inventore dei ponti ad arco a spinta eliminata. La prima realizzazione è da attribuire a Robert Stephenson che nel 1849, per attraversare il fiume Tyne a Newcastle, costruì il ponte High Level (figura C1-9), una struttura ad archi in ghisa la cui spinta, anziché trasmettersi alle pile, era ripresa da tiranti in ferro che erano associati ad un impalcato stradale appeso agli stessi archi per mezzo di pendini rigidi.

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Lo schema strutturale dei primi ponti bowstring prevedeva un arco molto rigido ed un impalcato a travata sottile, sostenuta da una cortina di pendini, che può considerarsi soggetta alla sola flessione locale funzione dell’interasse dei tiranti. Nel 1871 Joseph Langer realizzò un ponte a Graz, invertendo questo rapporto di rigidezza: accoppiando un arco snello ad una trave rigida di impalcato (figura C1-10).

Figura C1-10_Schema statico ponti del tipo Langer

A differenza del classico arco bowstring dove la distribuzione delle tensioni dei pendini corrisponde ai carichi variabili cui è soggetto l’impalcato, nell’arco sottile ideato dall’ing. Langer è la forma dell’arco a governare la distribuzione degli sforzi nei pendini.

Una variante dell’arco a spinta eliminata, molto utilizzata nel XIX secolo, consisteva nel dare curvatura anche al tirante. In questo modo si potevano sommare gli effetti delle curvature opposte dei due archi, solitamente connessi con elementi reticolari. Struttura più conosciuta con il nome di travi lenticolari, di cui il Royal Albert di Brunel in Gran Bretagna (figura C1-11) ha rappresentato per lungo tempo, con i 132 metri di luce per ciascuna campata, uno dei ponti più lunghi in Europa

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Nei ponti a via inferiore il sistema di sospensione dell’impalcato era costituito anche da elementi rigidi. La configurazione più comune per i ponti a spinta eliminata era quella in cui si avevano archi reticolari con un impalcato a graticcio sospeso tramite pendini verticali. Questa è, ad esempio, la struttura dei ponti di Colonia Sud e Hohenzollern, realizzati nei primi anni del XX secolo e ricostruiti dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la stessa forma dell’originale. Successivamente, l’ingegnere svedese Octavius Nielsen, ideò un sistema per conferire rigidezza ai ponti ad arco a via intermedia e inferiore.

Il sistema Nielsen (figura C1-12) prevede che l’impalcato sia sorretto da tiranti di sospensione inclinati sulla verticale in modo da migliorare la collaborazione tra arco ed impalcato, consentendo di diminuire le dimensioni di questi due elementi. In tale configurazione geometrica, sotto l’azione di carichi concentrati o asimmetrici, i pendini più esterni sono soggetti alternativamente a sforzi di compressione e di trazione per cui diventa necessario pretesarli.

Figura C1-12_Ponte ad arco con sistema Nielsen

Lo sviluppo di linee ferroviarie impose nuove tecniche di costruzione per i ponti ad arco metallico che unito alla diffusione delle tecniche di trafilatura per le travi in acciaio che garantivano ottime prestazioni strutturali permise una rivisitazione degli schemi fin da allora adottati.

Nonostante l’accesa rivalità tra gli ingegneri europei, il primo ponte a grande luce fu realizzato, nel 1874 negli Stati Uniti, a St. Louis quando l'ingegner James Eads costruì il suo ponte sul Mississippi, composto da tre archi da 150 metri di luce cadauno (figura C1_13).

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Figura C1-13_Ponte sul Mississippi, 1874

Il ponte di Eads fu un progetto sbalorditivo per l'epoca, ma nel giro vent'anni, in Europa vennero costruiti numerosi altri ponti più arditi, e la tecnica costruttiva fu notevolmente affinata.

Principale artefice di queste strutture fu Gustave Eiffel, che solo tre anni dopo Eads inaugurò a Oporto il suo ponte Ponte Maria Pia sul Douro (figura C1-14): 160 metri di lunghezza a singola campata. Meno di un decennio dopo Eads, altri due lavori stupefacenti: un'altra opera ad Oporto, il Luiz di Teófilo Seyrig (coautore del ponte Maria Pia) e il ponte Garabit di Eiffel (figura C1-15).

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Figura C1-15_Il ponte Garabit

Nel 1889 a Paderno d'Adda, in Italia, venne inaugurato il Ponte San Michele (figura C1-16), considerato un capolavoro con i suoi 266 metri di lunghezza totale complessiva ma con una campata centrale principale di ben 150 metri di luce.

Figura C1-16_Il Ponte San Michele

Alla fine del 1800 l’acciaio sostituisce progressivamente il ferro battuto diventando un materiale di riferimento con cui realizzare ponti con luci sempre maggiori.

Nel 1925 venne realizzato a Sidney un ponte di lunghezza complessiva di 503 mt. (figura C1-17)

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Figura C1-17_Ponte a Sidney, Australia, 1925

Nel XX secolo i ponti ad arco con l’introduzione di nuovi materiali (calcestruzzo armato) e di nuove tecnologie furono oggetto di nuove soluzioni.

Il sistema collaborante arco-trave, mostra un nuovo connubio tra gli elementi fondamentali costituenti il ponte: si separa l’elemento portante del ponte dal resto della costruzione.

Il ponte ad arco a spinta eliminata nasce dall’evoluzione del sistema collaborante arco-trave. I progettisti cominciano a spostare l’arco stesso sempre più in alto passando da una soluzione a via intermedia fino ad una a via inferiore in cui l’impalcato diviene catena dell’arco eliminandone la spinta. Gli elementi fondamentali di un ponte in sistema combinato arco - trave a spinta eliminata sono costituiti dall’arco, soggetto prevalentemente a compressione, dal sistema di sospensione, soggetto a sforzi di trazione, il quali realizza il collegamento tra l’arco e la trave d’impalcato che ne costituisce la catena eliminando la spinta. La trave d’impalcato è quindi soggetta a elevati sforzi di trazione assiali e da sforzi di flessione contenuti, grazie alla presenza dei pendini.

Esiste, inoltre, la possibilità di rendere reticolare l’insieme arco impalcato con aste rigide, ottenendo una struttura che rappresenta il confine tra l’arco e la trave.

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caso di cortina di sospensione verticale abbiamo la Trave Langer mentre nel caso in cui i pendini siano inclinati secondo due direzioni simmetriche rispetto alla verticale abbiamo la Trave Nielsen.

Figura C1-18_Ponte tra Duisburg e Rheinhausen in Germania;1950

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Negli ultimi decenni la tipologia dei ponti ad arco a spinta eliminata ha trovato, grazie alle caratteristiche strutturali e alla sua gradevole valenza estetica, una sempre maggiore applicazione anche in contesti morfologici particolari

Si riportano alcune recenti realizzazioni :

Figura C1-20_Ponte di Vadena,Bolzano, 1998

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Figura C1-22_Ponte sul torrente San Bernardino a Verbania, 2001

Figura C1-23_Ponte a Reggio Emilia,2006

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Figura C1-25_Ponte Leonardo da Vinci, Arezzo, 2009

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PARTE SECONDA: IL CASO STUDIO

Capitolo 2

IL SITO E LE IPOTESI PROGETTUALI

2.1 CONTESTO DI INSERIMENTO

L’intervento consiste nella ristrutturazione del ponte sul fiume Po, nei comuni di Bagnolo San Vito e San Benedetto del Po, in provincia di Mantova, sulla ex Strada statale N. 413 “Romana”, tramite la sostituzione della porzione di viadotto in corrispondenza dell’alveo inciso del fiume (figg. C2-1, C2-2).

Il ponte costituisce uno dei manufatti più importanti della provincia di Mantova in considerazione della sua collocazione strategica:si trova infatti in un punto di passaggio praticamente obbligato per l'intera zona sud est del territorio virgiliano. Costruito nel 1965, agli inizi degli anni 2000, il manufatto è stato oggetto di un intervento di consolidamento da parte di Anas. Gli eventi alluvionali susseguitisi nel corso degli anni e il sisma del 2012 ne avevono compromesso la stabilità strutturale.

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Figura C2-2_Vecchio ponte da ristrutturare

Il territorio oggetto di studio ricade nella Bassa Pianura mantovana, zona in cui le principali forme sono legate a processi dovuti all’azione delle acque superficiali, ovvero ai fenomeni di erosione deposito e trasporto dei corsi d’acqua, in particolare da parte del fiume Po.

L’area di interesse è inserita nell’unità morfologico‐deposizionale della “Piana a meandri del Fiume Po” (figura. C2-3)

Figura C2-3_Stralcio della carta geologica di Pianura dell’Emilia Romagna

Nel complesso il territorio si presenta come una pianura monotona. Le morfologie naturali, che in zona si sviluppano a piccola scala, conferiscono all’area un aspetto debolmente ondulato. Sempre sotto il profilo morfologico l’area in esame è da considerarsi integralmente antropizzata. Infatti, nei secoli,

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la comunità umana ha compiuto continue modifiche al territorio per renderlo compatibile all’insediamento e all’utilizzo agricolo. L’aspetto più evidente di tale attività è la presenza di argini artificiali a fianco dei corsi d’acqua. Questi argini, per le aree di pianura extragolenali, hanno provocato una sorta di congelamento dello stato di fatto morfologico antecedente la loro realizzazione (con eccezione di quanto possa derivare dall’attività antropica), mentre l’attività morfodinamica fluviale resta attiva all’interno delle golene. Le diverse forme naturali rilevate nel territorio in esame appaiono strettamente correlate alle caratteristiche litologiche dei depositi che le costituiscono; tanto che, si può parlare di vere e proprie unità morfo‐litologiche.

Le tracce di argini prossimali e di ventagli di rotta dei percorsi fluviali, attuali e antichi, sono associabili ai depositi più grossolani, prevalentemente sabbiosi. Allontanandosi da essi si individuano sedimenti sempre più fini: a dominanza limosa, in corrispondenza degli argini distali, e argillosa nelle aree interfluviali.

2.2 BANDO DI GARA

Il bando di concorso, indetto dalla provincia di Mantova il 23/04/2015, prevedeva alcune condizioni:

 La strada interessata deve essere di tipo C2 (extraurbana secondaria);

 Il ponte deve essere munito di un apposito passaggio pedonale;

 È prevista la demolizione della porzione di viadotto di scavalcamento

dell’alveo inciso del fiume;

 La distanza tra le sponde relativa alla porzione da sostituire (oggetto della

tesi) è di circa 300m (fig.C2-4).

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2.3 IPOTESI PROGETTUALI

Nella fase preliminare di progettazione, come anticipato nel capitolo introduttivo, si è cercato di conciliare la funzionalità della struttura, sulla base delle richieste poste nel bando di concorso, con l’aspetto legato alla forma della stessa, in modo che si inserisca adeguatamente nell’ambiente circostante e che diventi un elemento di pregio architettonico per tutto il territorio.

Come target si è imposto la concezione di un’opera che risultasse semplice dal punto di vista dello schema funzionale e costruttivo ma al contempo accattivante nella forma e dotata di un certa snellezza.

Tra le varie tipologie strutturali, la categoria dei ponti ad arco è risultata quella più adeguata per gli obbiettivi del bando.

Il ponte è stato perciò pensato valutando questi diversi aspetti, partendo da un sistema ad arco a via inferiore a spinta eliminata, e considerando di volta in volta le possibili opzioni che si presentavano, fino al concepimento della soluzione.

Nel sistema a via inferiore, detto anche ad arco superiore, l’impalcato è situato a livello degli appoggi dell’arco. Se si vincolano i due elementi fra loro si ottiene la configurazione di arco a spinta eliminata, denominata “bowstring” o “tied-arch bridge”. Tale sistema consente all’impalcato di fungere da “catena” per l’arco, assorbendo la spinta generata da quest’ultimo e sgravando i vincoli esterni dal compito di esplicare reazioni orizzontali. In questo modo le imposte saranno soggette solamente ad azioni verticali, aspetto positivo per quei di terreni con scarse caratteristiche meccaniche come quelli alluvionali in prossimità dei corsi d’acqua. Questa soluzione è vantaggiosa anche per altri motivi: consente di mantenere un certo franco al di sotto delle sottostrutture per garantire ad esempio la navigabilità; essendo un sistema isostatico (del tutto equivalente ad una trave semplicemente appoggiata con stessa luce e condizioni di carico) non risente degli effetti di eventuali cedimenti in fondazione; inoltre non risente nemmeno di variazioni termiche uniformi, in quanto l’eventuale spostamento dei punti di vincolo dell’arco per effetto di un Δt costante sarebbe del tutto equivalente alla variazione di lunghezza della trave catena.

Come tipologia di sistema collaborante arco-trave ci si è riferiti, in fase di predimensionamento, al sistema di tipo Langer.

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La trave Langer nasce dall’accoppiamento di un arco sottile e di una travata di impalcato rigida collegati da tiranti verticali. L’arco snello, per via della sua minore rigidezza, sarà soggetto quasi esclusivamente a compressione, riducendo notevolmente il suo impegno flessionale. La trave-catena di impalcato affinché possa assorbire le sollecitazioni di flessione e taglio senza eccessive deformazioni, dovrà avere una rigidezza adeguata.

Scelta la tipologia strutturale del ponte, sono stati presi in considerazione altri aspetti fondamentali.

Il primo riguarda la scelta del numero dei piani di sospensione, che influisce direttamente sulla statica della struttura e conseguentemente sull’adozione delle sezioni resistenti dei vari elementi. La realizzazione di un arco singolo centrale presenta indubbiamente il vantaggio dell’economicità e della rapidità di esecuzione, data la realizzazione di un unico piano di pendinatura. Consente un ingombro trasversale minimo, anche se richiede uno sdoppiamento della carreggiata, ed una maggiore trasparenza del sistema di sospensione stesso, che appare lineare e “pulito”. L’arco però, essendo singolo, deve essere dotato di una notevole inerzia fuori piano per ostacolare il fenomeno dell’instabilità, comportando l’impiego di sezioni trasversali molto grosse, spesso antiestetiche, o realizzando dei veri e propri portali di accesso sui quali si attesta l’arco.

Inoltre in questo tipo di sistema, si richiede la presenza di una trave di impalcato torsio-rigida per poter fronteggiare l’impegno torsionale a cui l’opera è soggetta, limitando generalmente la scelta delle sezioni trasversali a quelle chiuse a cassone mono o pluricellulare, con spessori e altezze di impalcato notevolmente superiori a quelle con sezioni aperte.

Confrontando i vantaggi e gli svantaggi che questa soluzione presenta, si è deciso di optare per un doppio piano di pendinatura.

La realizzazione di un doppio arco permette l’impiego di travi di impalcato a sezione aperta, in quanto la sollecitazione torsionale si traduce solamente in una maggiore compressione di uno dei due archi e della relativa trave irrigidente. Come per il caso precedente, essendo l’arco una struttura prevalentemente soggetta a compressione, di notevole importanza è la corretta valutazione del fenomeno dell’instabilità sia nel piano, che fuori dal piano. Mentre l’instabilità

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nel piano, per la trave Langer, è affidata principalmente alla rigidezza flessionale della travata irrigidente (incrementata per la presenza dello sforzo di trazione pari alla spinta dell’arco stesso), per l’instabilità fuori dal piano, in questo caso si possono adottare diverse soluzioni. Una consiste nella portalizzazione della struttura mediante l’inserimento di controventi che collegano i due archi, appesantendo però la costruzione e riducendo il pregio architettonico dell’opera. Oppure, abbandonando la concezione di archi disposti su due piani paralleli, inclinando i due archi verso l’interno e collegandoli per un breve tratto in mezzeria.

Analizzando i vari aspetti, si è optato per questa seconda soluzione, utilizzando due archi gemelli a profilo parabolico riuniti per un breve tratto centrale. Naturalmente l’inclinazione degli archi deve consentire, sull’intera carreggiata stradale, una sagoma libera di altezza pari almeno a 5 metri, come richiesto dalle norme vigenti, il che comporta però una maggiore larghezza di impalcato rispetto al caso degli archi separati, con un maggior impiego di materiale.

Un altro aspetto preso in considerazione riguarda la scelta della realizzazione del ponte mediante o un’unica campata di luce 310 metri circa, oppure mediante l’affiancamento di due sistemi arco-trave in corrispondenza della zona centrale. La scelta dell’utilizzo di due archi che coprissero l’intera luce del ponte è apparsa azzardata sia per l’elevata altezza che essi avrebbero richiesto, sia per complesso livello di analisi e modellazione che ne sarebbe scaturito.

In conclusione, esaminando gli aspetti positivi e negativi delle diverse tipologie di ponte in sistema collaborante arco – trave, la soluzione con archi gemelli riuniti in mezzeria è quella che presenta notevoli vantaggi statici ed estetici. Infine, fissato lo schema strutturale, si è preso in considerazione l’aspetto riguardante i materiali da utilizzare. Nel caso di luci medio-grandi o grandi come quella in questione, risulta quasi obbligata la scelta del materiale acciaio per via della sua leggerezza.

Infatti, in tale contesto, i carichi permanenti rappresentano l’aspetto predominante delle sollecitazioni, per cui si è deciso di realizzare l’impalcato a piastra ortotropa, scelta giustificata tenendo presente anche l’impegno, principalmente a trazione e flessione, dell’impalcato stesso.

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L’impalcato viene sospeso all’arco per mezzo dei pendini che, essendo sollecitati solamente a trazione, vengono realizzati mediante funi spiroidali in acciaio. L’arco invece, soggetto prevalentemente a compressione, potrebbe essere realizzato sia in c.a.,che in c.a.p.,che in acciaio, ma si è scelto questa ultima opzione sia per la riduzione del peso che per una maggiore facilità di esecuzione e di montaggio, ottenendo una soluzione omogenea, in cui la sovrastruttura è realizzata interamente in acciaio strutturale.

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Capitolo 3

INQUADRAMENTO GENERALE DELL’OPERA

3.1 SOVRASTRUTTURA

Il ponte è costituito da due campate, in ciascuna delle quali viene realizzata la sovrastruttura con un sistema collaborante arco-trave (tipo Langer) a spinta eliminata. L’affiancamento dei due sistemi arco-trave, in corrispondenza della pila centrale, realizza nel complesso la sovrastruttura del ponte, integralmente metallica. Si sono previsti due piani di sospensione per ogni campata, considerando due archi gemelli tubolari inclinati e riuniti in mezzeria per un tratto di lunghezza pari a circa 15 metri.

Figura C3-1_Prospetto del ponte

Figura C3-2_Pianta del ponte

La luce complessiva del ponte è di 311 metri.

L’arco, nella sezione di mezzeria, presenta una freccia massima rispetto all’asse della trave-catena pari a 30 metri.

L’arco è a sezione tubolare con diametro costante di 1,4 metri, mentre la trave-catena d’impalcato è anch’essa a sezione tubolare con diametro costante di 2,0 metri.

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Il ponte presenta i seguenti rapporti geometrici:

- Rapporto di ribassamento (freccia in mezzeria / luce complessiva) pari a 0,2 (1/5);

- Rapporto tra altezza di impalcato e luce pari a 0,013 (~1/100); - Rapporto tra diametro dell’arco e luce pari a 0,009 (~1/100).

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La strada è di tipo C2 (extraurbana secondaria) per una larghezza totale della carreggiata di 9 metri. Sono presenti due marciapiedi (uno per ogni senso di circolazione) di larghezza complessiva pari a 2,5 metri comprendenti i guardavia (50 cm), la pista pedonale (120 cm) e l’area rimanente con i parapetti (80 cm circa).

Ciascun arco è costituito da una sezione tubolare cava del diametro di 1400 mm, spessore di 40 mm e si imposta su una trave a sezione tubolare che assolve la funzione di catena.

Ciascuna trave-catena ha un diametro di 2000 mm e spessore 40 mm.

In ciascuna campata i due archi gemelli sono inclinati verso l’interno, rispetto alla verticale, di un angolo pari a 12,10° e sono riuniti in mezzeria per un tratto di circa 15 metri, con l’intento di creare una struttura “portalizzata”, migliorando la stabilità sia nel proprio piano che fuori piano.

Sono previsti due piani di pendinatura con la stessa inclinazione degli archi, ciascuno costituito da 19 pendini (per un totale di 38) posti al passo di 7,5 metri ad eccezione di quelli di estremità posti a 9,0 metri dalle sezioni di inizio e fine arco, realizzati con funi spiroidali chiuse in acciaio ad alta resistenza del diametro di 60 mm.

In corrispondenza dei dispositivi di collegamento pendini-arco è presente, all’interno di quest’ultimo, un irrigidimento ad anello di altezza pari a 300mm e spessore 30mm a cui viene bullonato un elemento costituito da 2UPN220 accoppiati, disposti secondo la linea d’asse della fune.

In corrispondenza dei dispositivi di attacco pendini-trave e del concio di estremità, in cui si ha il collegamento tra l’arco e la catena, sono presenti invece, all’interno di quest’ultima, dei diaframmi circolari di altezza pari a 450 mm e spessore di 30 mm. Entrambi gli ordini di irrigidimento hanno il compito di evitare l’ovalizzazione del tubo, che si può avere a causa del tiro nei pendini o delle delle tensioni localizzate che nascono nel giunto iniziale del ponte.

L’impalcato è a piastra ortotropa con lamiera superiore di spessore 14 mm e irrigidimenti longitudinali a sezione trapezoidale chiusa di altezza pari a 250 mm e spessore di 6 mm, supportata inferiormente da traversi con sezione a T, aventi piattabanda inferiore larga 400 mm, spessa 30 mm e anima di altezza pari a 1486 mm e spessore di 16 mm, posti ad interasse di 2,5 metri.

Questi ultimi s’innestano alle estremità sulle travi-catena laterali ed in prossimità della zona di collegamento presentando una rastremazione di

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lunghezza pari a 640 mm, che riduce la loro altezza a 1200 mm in corrispondenza della connessione, avente sola valenza architettonica.

In corrispondenza del nodo arco–impalcato è presente una trave di testata a sezione scatolare di forma circolare di diametro 1400 mm che ha il compito di assorbire tutte le azioni torcenti ed orizzontali, dirette trasversalmente all’asse del ponte, indotte dagli archi in questa zona di collegamento. Lo spessore delle pareti della trave di testata è pari a 40 mm.

Al suo interno sono presenti 25 irrigidimenti ad anello di altezza pari a 250 mm, spessore di 14 mm ed interrasse di 500 mm.

La zona del retroponte, chiusa lateralmente dalle due travi laterali, è formata da una lamiera superiore di spessore pari a 30 mm sorretta da mensole dalla forma trapezoidale spesse 14 mm e poste ad interasse di 500 mm.

Figura C3-4_Sezione trasversale della trave catena in corrispondenza del concio di estremità (misure in mm)

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Figura C3-5_Sezione trasversale dell’arco (misure in mm)

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Figura C3-7_Traversi (misure in mm)

Ciascun impalcato è suddiviso in 10 conci, ognuno di lunghezza pari a 15 m, ad eccezione di quello di estremità (di lunghezza pari a16,55 m) e quello a ridosso della sezione mezzeria (di lunghezza 17,50 m), che vengono uniti in opera

tramite saldature a completa penetrazione (figura C3-8).

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La disposizione dei vincoli dell’impalcato è rappresentato nel layout rappresentato nella figura C3-9: i dispositivi di vincolo utilizzati sono tutti di tipo sferico, fissi, mobili unidirezionali longitudinali e mobili multidirezionali.

Figura C3-9_Layout dei vincoli

Nel caso di forze lente, il layout è ricondotto a quello classico delle strutture da ponte, mentre in caso di sisma, per evitare di concentrare tutte le reazioni in corrispondenza dei dispositivi di vincolo fissi, situati sulla spalla e sulla pila laterale, tenendo conto anche che su quest’ultima sono presenti gli appoggi del viadotto che precede il ponte oggetto di studio, si è prevista la presenza di 3 shock transmitters per campata, collocati in prossimità dei DDV mobili, che bloccano il ponte longitudinalmente per azioni impulsive quali quella sismica, ripartendo uniformemente l’azione orizzontale su tutti e quattro gli appoggi.

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3.2 SOTTOSTRUTTURA

Con il termine sottostruttura si intende tutto quel complesso di elementi strutturali (pile, spalle e fondazioni), genericamente in cemento armato, che hanno il compito di trasmettere le azioni, trasferite loro dalla sovrastruttura, al terreno di fondazione.

Nel progetto sono presenti tre elementi: a) spalla;

b) pila centrale; c) pila laterale.

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3.2.1 SPALLA

La spalla costituisce l’elemento strutturale di transizione tra il rilevato stradale ed il ponte stesso, svolgendo una duplice funzione: di appoggio per l’impalcato, e di contenimento per il terreno costituente il rilevato, assolvendo così il ruolo di muro di sostegno.

Nel caso in esame si è previsto l’utilizzo di una spalla monolitica in c.a., realizzata con calcestruzzo C35/45 gettato in opera, composta dai seguenti elementi (figura C3-9):

Muro paraghiaia avente le seguenti dimensioni:

altezza pari a 2,30 m, lunghezza 18,00 m e spessore 0,50 m;

Muro frontale avente le seguenti dimensioni:

altezza 5,20 m, lunghezza 18,00 m e spessore 2,85 m;

Muri di risvolto avente le seguenti dimensioni:

altezza 7,50 m, larghezza 5,40 m e spessore 0,50 m;

Bandiera di altezza avente le seguenti dimensioni:

altezza max 3,00 m, larghezza 3,00 m e spessore 0,50 m.

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La fondazione della spalla si compone di una platea (zattera di fondazione) di altezza 2,0 m e dimensioni in pianta 22,0 x 11,0 m, in cui sono presenti 18 pali di diametro 100 cm e lunghezza 20 m, disposti su varie file, come mostrato nella figura seguente (C3-10).

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3.2.2 PILA CENTRALE

In corrispondenza della zona centrale, per sorreggere i due impalcati arco-trave a spinta eliminata che, affiancati, realizzano il ponte nella sua interezza, si prevede la realizzazione di un'unica pila in c.a. atta a ricevere le sollecitazioni derivanti dalla sovrastruttura per mezzo dei quattro dispositivi di vincolo, due per ogni impalcato, e per mezzo degli shock transmitter posizionati in corrispondenza di essi, per ripartire equamente l'azione sismica.

La pila è stata progettata considerando un fusto a sezione variabile ed un pulvino in sommità di sezione rettangolare.

La sezione al piede della pila è ellittica, con asse maggiore pari a 13,00m in direzione ortogonale all'asse longitudinale del ponte ed asse minore pari a 6,00m in direzione opposta. Questa si sviluppa piena, in altezza, per 6,50m con una rastremazione di 12 gradi rispetto alla verticale, la stessa adottata per l'inclinazione dei due archi gemelli di ciascun impalcato, in modo da realizzare visivamente un'unica superficie inclinata dalla sottostruttura alla sommità del ponte.

Si è scelto una sezione piena fino alla soglia di 6,50m per superare il livello di massima piena del fiume Po e cercare di limitare così i pericoli di scalzamento ed erosione. Da questa soglia fino ad un'altezza di circa 17,00m dal piano di fondazione, la stessa si presenta cava avente una sezione anulare ellittica con spessore costante di 1,50m che si sviluppa in altezza con un angolo di rastremazione di 12 gradi. La sezione anulare è rinforzata lungo l'asse minore mediante l'inserimento di un setto in c.a che svolge la funzione di "anima" per la sezione resistente della pila in questa direzione e a questa altezza, e per favorire la trasmissione delle tensioni di taglio. In sommità viene poi realizzato il pulvino a sezione rettangolare 20,00m x 5,90m con altezza pari a 2m sul quale sono disposti i baggioli per l'alloggiamento dei dispositivi di vincolo che garantiscono il collegamento tra sovrastruttura e pila. Gli STU (Shock Transmitter Unit) sono disposti tra l'intradosso della trave catena corrispondente e la faccia verticale del pulvino.

Nelle figure C3-11 e C3-12 vengono rappresentate gli elementi dimensionali della pila.

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Figura C3-11_Prospetto longitudinale pila centrale (misure in cm)

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La fondazione della pila si compone di una platea (zattera di fondazione) di altezza 2,0 m e dimensioni in pianta 29,0 x 15,0 m, in cui sono presenti 45 pali di diametro 100 cm e lunghezza 20 m, disposti su varie file, come mostrato nella figura seguente (C3-13).

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3.2.3 PILA LATERALE

In corrispondenza della zona di inizio del ponte, per sorreggere il nuovo impalcato e quello del viadotto esistente che lo precede, si prevede la realizzazione di un'unica pila in c.a. atta a ricevere le sollecitazioni derivanti dalla sovrastruttura, per mezzo dei dispositivi di vincolo e dello shock transmitter, posizionato in corrispondenza del DDV mobile multidirezionale. La pila è stata progettata considerando un fusto a sezione rettangolare cava ed un pulvino in sommità con sezione rettangolare rastremata.

La sezione del fusto della pila è costituita da due sezioni rettangolari cave che nel complesso costituiscono un doppio cassone di larghezza 16,00m, lunghezza 3,90m, spessore delle pareti pari ad 1,00m ed altezza 8,50m.

In sommità viene poi realizzato il pulvino a sezione rettangolare 18,00m x 4,90m con altezza 2,00m rastremato alle estremità fino a raggiungere un'altezza di 1,00m, sul quale sono disposti i baggioli per l'alloggiamento dei dispositivi di vincolo che garantiscono il collegamento tra sovrastruttura e pila.

Lo STU (Shock Transmitter Unit) è disposto tra l'intradosso della trave catena corrispondente e la faccia verticale del pulvino.

Nelle figure C3-14 e C3-15 vengono rappresentate gli elementi dimensionali della pila laterale.

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Figura C3-14_Prospetto frontale pila laterale (misure in cm)

Figura C3-15_Pianta pila laterale (misure in cm)

La fondazione della pila si compone di una platea (zattera di fondazione) di altezza 2,0 m e dimensioni in pianta 20,0 x 7,90 m, in cui sono presenti 15 pali di diametro 100 cm e lunghezza 25 m, disposti su varie file, come mostrato nella figura seguente (C3-16).

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3.3 DATI GENERALI DELLA STRUTTURA

3.3.1 LOCALITÀ

• Comune: San Benedetto del Pò (MN) • Latitudine: 45,033333°

• Longitudine: 10,916667° • Altitudine: 19 m s.l.m.

3.3.2 VITA NOMINALE

La vita nominale di un'opera strutturale VN è intesa come numero di anni nel

quale l’opera, purché soggetta alla manutenzione ordinaria, deve poter essere utilizzata per lo scopo al quale è destinata. La vita nominale dei diversi tipi di opere è quella riportata nella Tab. 2.4.I del §2.4.1 della NTC 2008.

Nello specifico è stato assunto un valore di VN = 100 anni.

3.3.3 CLASSE D’USO

In presenza di azioni sismiche, con riferimento alle conseguenze di una interruzione di operatività o di un eventuale collasso, le costruzioni sono suddivise in quattro classi d'uso. La struttura in oggetto è considerata di Classe III: "Costruzioni il cui uso preveda affollamenti significativi. Industrie con attività pericolose per l’ambiente. Reti viarie extraurbane non ricadenti in Classe d’uso IV. Ponti e reti ferroviarie la cui interruzione provochi situazioni di emergenza. Dighe rilevanti per le conseguenze di un loro eventuale collasso.” §2.4.2 NTC2008.

3.3.4 PERIODO DI RIFERIMENTO PER L’AZIONE SISMICA

Le azioni sismiche su ciascuna costruzione vengono valutate in relazione ad un periodo di riferimento VR che si ricava, per ciascun tipo di costruzione,

moltiplicandone la vita nominale VN per il coefficiente di uso CU:

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Il valore del coefficiente d'uso CU è definito, al variare della classe d'uso, come

mostrato in Tab. 2.4.II. §2.4.3 NTC 2008.

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Capitolo 4

MATERIALI UTILIZZATI

4.1 RELAZIONE SUI MATERIALI

La presente relazione viene redatta in conformità a quanto indicato al punto 2.1)

Relazione sui materiali - Paragrafo C10.1 – Caratteristiche generali – Capitolo

C10 – Redazione dei progetti strutturali esecutivi e delle relazioni di calcolo di cui alla Circolare Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – 2 febbraio 2009, n.617 – Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008.

2.1) Relazione sui materiali

I materiali ed i prodotti per uso strutturale delle opere soggette al rispetto delle NTC devono corrispondere alle specifiche di progetto che provvedono alla loro identificazione e qualificazione con riferimento alle prescrizioni contenute nel Capitolo 11 delle NTC.

I materiali ed i prodotti di cui è prevista in progetto l’utilizzazione, devono essere altresì sottoposti alle procedure ed alle prove sperimentali di accettazione, prescritte nelle NTC. Esse devono essere dettagliatamente richiamate nella relazione sui materiali.

Attraverso una opportuna scelta dei materiali e un opportuno dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali misure di protezione e manutenzione, sin dal progetto ne va garantita la durabilità, definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture, essenziale affinché i livelli di sicurezza vengano conservati durante la vita dell’opera, indicandone gli accorgimenti adottati.

4.2 MATERIALI IN GENERE

I materiali occorrenti per la costruzione delle opere giungeranno da fornitori e località che l'Appaltatore riterrà di sua convenienza, purché, ad insindacabile giudizio della Direzione dei lavori, siano riconosciuti della migliore qualità e rispondano ai requisiti appresso indicati.

Quando la Direzione dei lavori riterrà qualche provvista non idonea ai lavori, l'Appaltatore dovrà sostituirla con altra che risponda ai requisiti voluti, ed i materiali rifiutati dovranno essere immediatamente allontanati dalla sede del lavoro o dai cantieri a cura e spese dell'Appaltatore.

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4.2.1 CALCESTRUZZO

Si farà uso di calcestruzzo confezionato con processo industrializzato (cioè prodotto mediante impianti, strutture e tecniche organizzate sia in cantiere che in uno stabilimento esterno al cantiere).

L’impianto per la produzione dovrà essere conforme alle prescrizioni relative al calcestruzzo confezionato con processo industrializzato di cui al paragrafo 11.2.8 delle NTC2008.

Gli impianti, inoltre, devono essere dotati di un sistema di controllo permanente della produzione, certificato da un organismo terzo indipendente riconosciuto. Il Direttore dei lavoro accerterà che i documenti di trasporto indichino gli estremi della certificazione

Nel caso in cui il calcestruzzo sia prodotto in cantiere occorre che, sotto la sorveglianza della Direzione dei Lavori, vengano prequalificate le miscele da parte di un laboratorio ufficiale (di cui all’art.59 del DPR 380/2001)

Sul calcestruzzo dovrà essere eseguito il controllo di accettazione secondo quanto previsto dal capitolo 11 delle NTC2008

4.2.1. MESSA IN OPERA

4.2.1.1.1 CLASSE DI RESISTENZA

La classe di resistenza viene definita in conformità alle Norme Tecniche e alla norma UNI EN 206-1: il primo termine definisce la resistenza caratteristica a compressione cilindrica (fck) mentre il secondo termine definisce la resistenza

caratteristica a compressione cubica (Rck). Le resistenze soddisfano i valori

minimi previsti dalla norma UNI 11104 per l’ambiente in cui è previsto che debbano lavorare i vari elementi strutturali.

4.2.1.1.2 CLASSE DI ESPOSIZIONE AMBIENTALE

Il calcestruzzo può essere soggetto ad azioni di degrado in funzione delle condizioni ambientali alle quali è esposto. A seconda di queste azioni (corrosione da carbonatazione, corrosione da cloruri, gelo/disgelo e attacco chimico aggressivo), la UNI EN 206-1 individua le classi di esposizione ambientale del calcestruzzo. Le classi di esposizione ambientale hanno determinato la scelta delle caratteristiche minime del calcestruzzo, la dimensione dei copriferri e la verifica dello stato limite di deformazione riportata nella relazione di calcolo.

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Classi di esposizione per calcestruzzo strutturale, in funzione delle condizioni ambientali secondo norma UNI 11104:2004 e UNI EN 206-1:2006 Classe esposizione norma UNI 9858 Classe esposizione norma UNI 11104 UNI EN 206 –1

Descrizione dell’ambiente Esempio

Massimo rapporto a/c Minima Classe di resistenza Contenuto minimo in aria (%)

1 Assenza di rischio di corrosione o attacco

1 X0

Per calcestruzzo privo di armatura o inserti metallici: tutte le esposizioni eccetto dove c’è gelo/disgelo, o attacco chimico.

Calcestruzzi con armatura o inserti metallici:in ambiente molto asciutto.

Interno di edifici con umidità relativa molto bassa.

Calcestruzzo non armato all’interno di edifici.

Calcestruzzo non armato immerso in suolo non aggressivo o in acqua non aggressiva.

Calcestruzzo non armato soggetto a cicli di bagnato asciutto ma non soggetto ad abrasione, gelo o attacco chimico.

- C 12/15

2 Corrosione indotta da carbonatazione

Nota - Le condizioni di umidità si riferiscono a quelle presenti nel copriferro o nel ricoprimento di inserti metallici, ma in molti casi su può considerare che tali condizioni riflettano quelle dell’ambiente circostante.In questi casi la classificazione dell’ambiente circostante può essere adeguata.Questo può non essere il caso se c’è una barriera fra il calcestruzzo e il suo ambiente.

2 a XC1

Asciutto o permanentemente bagnato.

Interni di edifici con umidità relativa bassa.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso con le superfici all’interno di strutture con eccezione delle parti esposte a condensa, o immerse i acqua.

0,60 C 25/30

2 a XC2

Bagnato, raramente asciutto.

Parti di strutture di contenimento liquidi,fondazioni.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso prevalentemente immerso in acqua o terreno non aggressivo.

0,60 C 25/30

5 a

XC3

Umidità moderata.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso in esterni con superfici esterne riparate dalla pioggia, o in interni con umidità da moderata ad alta.

0,55 C 28/35

4 a

5 b XC4

Ciclicamente asciutto e bagnato.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso in esterni con superfici soggette a alternanze di asciutto ed umido.

Calcestruzzi a vista in ambienti urbani. Superfici a contatto con l’acqua non comprese nella classe XC2.

0,50 C 32/40

3 Corrosione indotta da cloruri esclusi quelli provenenti dall’acqua di mare

5 a XD1 Umidità moderata.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso in superfici o parti di ponti e viadotti esposti a spruzzi d’acqua contenenti cloruri. 0,55 C 28/35 4 a 5 b XD2 Bagnato, raramente asciutto.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso in elementi strutturali

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industriale contenete cloruri (Piscine).

5 c XD3

Ciclicamente bagnato e asciutto.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso, di elementi strutturali direttamente soggetti agli agenti disgelanti o agli spruzzi contenenti agenti disgelanti.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso, elementi con una superficie immersa in acqua contenente cloruri e l’altra esposta all’aria. Parti di ponti, pavimentazioni e parcheggi per auto.

0,45 C 35/45 Classe esposizione norma UNI 9858 Classe esposizione norma UNI 11104 UNI EN 206 –1

Descrizione dell’ambiente Esempio

Massimo rapporto a/c Minima Classe di resistenza Contenuto minimo in aria (%)

4 Corrosione indotta da cloruri presenti nell’acqua di mare

4 a

5 b XS1

Esposto alla salsedine marina ma non direttamente in contatto con l’acqua di mare .

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso con elementi strutturali sulle coste o in prossimità.

0,50 C 32/40

XS2 Permanentemente

sommerso.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso di strutture marine completamente immersi in acqua.

0,45 C 35/45

XS3 Zone esposte agli spruzzi o

alle marea.

Calcestruzzo armato ordinario o precompresso con elementi strutturali esposti alla battigia o alle zone soggette agli spruzzi ed onde del mare.

0,45 C 35/45

5 Attacco dei cicli di gelo/disgelo con o senza disgelanti *

2 b XF1

Moderata saturazione d’acqua,in assenza di agente disgelante.

Superfici verticali di calcestruzzo come facciate e colonne esposte alla pioggia ed al gelo.

Superfici non verticali e non soggette alla completa saturazione ma esposte al gelo, alla pioggia o all’acqua.

0,50 C 32/40

3 XF2

Moderata saturazione d’acqua, in presenza di agente disgelante.

Elementi come parti di ponti che in altro modo sarebbero classificati come XF1 ma che sono esposti direttamente o indirettamente agli agenti disgelanti.

0,50 C 25/30 3,0

2 b XF3

Elevata saturazione d’acqua, in assenza di agente disgelante

Superfici orizzontali in edifici dove l’acqua può accumularsi e che possono essere soggetti ai fenomeni di gelo,

elementi soggetti a frequenti bagnature ed esposti al gelo.

0,50 C 25/30 3,0

3 XF4

Elevata saturazione d’acqua, con presenza di agente antigelo oppure acqua di mare.

Superfici orizzontali quali strade o pavimentazioni esposte al gelo ed ai sali disgelanti in modo diretto o indiretto, elementi esposti al gelo e soggetti a frequenti bagnature in presenza di agenti disgelanti o di acqua di mare.

0,45 C 28/35 3,0

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5 a XA1

Ambiente chimicamente debolmente aggressivo secondo il prospetto 2 della UNI EN 206-1

Contenitori di fanghi e vasche di decantazione.

Contenitori e vasche per acque reflue.

0,55 C 28/35

4 a

5 b XA2

Ambiente chimicamente moderatamente aggressivo secondo il prospetto 2 della UNI EN 206-1

Elementi strutturali o pareti a contatto di

terreni aggressivi. 0,50 C 32/40

5 c XA3

Ambiente chimicamente fortemente aggressivo secondo il prospetto 2 della UNI EN 206-1

Elementi strutturali o pareti a contatto di acque industriali fortemente aggressive. Contenitori di foraggi, mangimi e liquame provenienti dall’allevamento animale. Torri di raffreddamento di fumi di gas di scarico industriali.

0,45 C 35/45

*) Il grado di saturazione della seconda colonna riflette la relativa frequenza con cui si verifica il gelo in condizioni di saturazione: - moderato: occasionalmente gelato in condizione di saturazione;

- elevato: alta frequenza di gelo in condizioni di saturazione. **) Da parte di acque del terreno e acque fluenti.

4.2.1.1.3 CLASSE DI CONSISTENZA

Le classi di consistenza sono state stabilite ipotizzando l’utilizzo della pompa. Nel caso che, per motivi legati all’operatività, venga richiesto di utilizzare una classe di consistenza diversa da quella prescritta, può essere autorizzata dalla DL e annotata sull’apposito registro di cantiere, adducendo le motivazioni della variazione.

Il mantenimento della consistenza deve essere garantito per un tempo di almeno due ore dalla fine del carico dell’autobetoniera e comunque non meno di un’ora dall’arrivo dell’autobetoniera in cantiere, tempo in cui l’impresa deve completare lo scarico. Il fornitore di calcestruzzo e l’impresa devono programmare il getto in modo che il produttore cadenzi le consegne per dare il tempo necessario all’impresa di poter mettere in opera il materiale.

Sono da evitare interruzioni di getto superiori ad un’ora.

4.2.1.1.4 AGGREGATI

Gli aggregati devono essere marcati CE secondo la norma UNI EN 12620 con un livello di attestazione 2+ e devono essere conformi alla norma UNI 8520-2. Il diametro massimo dell’aggregato grosso prescritto tiene conto degli spessori, delle geometrie e dei copriferri e interferri degli elementi strutturali.

In funzione della disponibilità delle pezzature reperibili dai produttori di calcestruzzo in zona, sono accettabili solo diametri massimi minori o uguali a quelli prescritti.

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4.2.1.1.5 CLASSE DI CONTENUTO IN CLORURI

Tra quelle previste dalla norma UNI EN 206-1 viene prescritta la classe che prevede una presenza bassa di cloruri

4.2.1.1.6 COPRIFERRI

I valori dei copriferri sono stabiliti secondo la norma UNI EN 1992-1-1 (sezione 4), in funzione delle classi di esposizione ambientali.

Si specifica che il valore del copriferro è misurato dal filo esterno delle staffe, per cui se verranno utilizzati distanziatori fissati alle barre longitudinali occorrerà sommare al valore fornito anche il diametro delle staffe e il raggio della barra. Le tolleranze di esecuzione dei copri ferri sono quelle previste dalla norma EN 13670-2008, è stata considerata una tolleranza di 10 mm, come previsto dalla norma UNI EN 1992-1-1.

4.2.1.1.7 ESECUZIONE

L’esecuzione dell’opera deve essere conforme alla norma EN 13670:2008. A tal fine si prevede :

classe di esecuzione 1; classe di tolleranza 1.

In particolare si raccomanda di utilizzare casseforme di resistenza, rigidezza, tenuta e pulizia adeguate per ottenere superfici regolari e prive di difetti superficiali che possano incidere pesantemente sulla capacità del copri ferro di proteggere le armature, soprattutto per la presenza dell’ambiente marino in cui verrà costruita la struttura.

Per quanto riguarda la messa in opera (tolleranze, giunzioni, assemblaggio) e piegatura (temperatura minima, diametro dei mandrini, ecc.) delle armature, occorre attenersi alle prescrizioni riportate nel capitolo 6 della norma EN 13670:2008.

I lavori di preparazione ai getti dovranno essere completati, ispezionati e documentati come richiesto dalla classe di esecuzione.

Le superfici che vengono a contatto con il calcestruzzo fresco non devono avere una temperatura inferiore a 0°C affinché questo abbia superato la resistenza a compressione di 5MPa. Se la temperatura ambientale è prevista al di sotto di 0°C o al di sopra di 30°C al momento del getto o nel periodo di maturazione, occorre prevedere precauzioni per la protezione del calcestruzzo, come specificato nel paragrafo successivo.

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Il calcestruzzo deve essere compattato a rifiuto in modo che le armature vengano adeguatamente incorporate nella matrice cementizia, l’elemento strutturale assuma la forma imposta dalle casseforme e la superficie del getto sia priva di difetti superficiali.

Allo scopo occorre utilizzare vibratori ad ago da inserire ed estrarre verticalmente ogni 50 cm circa, facendo attenzione a non toccare le armature e ad inserire il vibratore ad una profondità tale da coinvolgere gli strati inferiori precedentemente vibrati.

Per la scelta effettuata delle classi di consistenza, la durata della vibrazione sarà relativamente bassa, tranne per la compattazione del calcestruzzo gettato in elementi particolari (pilastri, nodi travi-pilastri, pareti).

4.2.1.1.8 STAGIONATURA

Il calcestruzzo, dopo il getto, deve essere protetto contro la veloce evaporazione dell’acqua, dal gelo, dagli agenti atmosferici.

Eccetto che nel periodo invernale, è consentito utilizzare agenti antievaporanti, facendo attenzione a evitare le riprese di getto. In questo periodo, si prescrive l’utilizzo di teli di plastica, in modo da proteggere il getto, oltre che dall’evaporazione dell’acqua, anche dalle basse temperature. Nel periodo invernale, si consiglia di richiedere al fornitore di calcestruzzo un prodotto con bassi tempi di indurimento, in modo da accorciare i tempi di stagionatura

4.2.2 ACCIAIO

Non si devono porre in opera armature eccessivamente ossidate, corrose, recanti difetti superficiali, che ne menomino la resistenza o ricoperte da sostanze che possano ridurne l’aderenza al conglomerato

Si prevede l’impiego di acciaio B450 per le cui caratteristiche fisico-meccaniche si rimanda alla normativa vigente.

I controlli relativi ad identificazione, qualificazione ed accettazione dell’acciaio utilizzato saranno effettuati secondo quanto previsto al punto 11.3.2 delle NTC 2008 (Acciai per cemento armato).

(50)

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4.3 PRESCRIZIONI

In sede di progettazione si sono assunti convenzionalmente i valori nominali delle proprietà del materiale:

Normative di riferimento

UNI 11104 (prospetto

1)

UNI 11104 (prospetto 4) – UNI EN 2016-1

UNI EN 1992-1-1 Tipo Campi di impiego Classe di esposizione Classe di resistenza (Resistenza Caratteristica) Classe di contenuto in cloruri Contenuto minimi di aria (%) Dmax aggregato (mm) Classe di consistenza Rapport o max a/c Copriferr o nominale (mm) 1 Pali di fondazione XC2 C 25/30 (Rck 30) Cl 0.20 no 32 S4 0,60 75 2 Zattera di fondazione (spalla) XC3 C 35/45 (Rck 45) Cl 0.20 no 32 S5 0.55 50 2 Zattera di fondazione (pila) XC2 C 35/45 (Rck 45) Cl 0.20 no 32 S4 0.60 75 3 Muro frontale in elavazione (spalla) XC4+XF1 C 35/45 (Rck 45) Cl 0.20 no 32 S4 0.60 50 4 Muri di risvolto in elavazione (spalla) XC3 C 35/45 (Rck 45) Cl 0.20 no 32 S5 0.55 50 5 Fusto Pila XC4+XF1 C 35/45 (Rck 45) Cl 0.20 no 32 S5 0.55 50 6 Pulvino Pila XC4+XF1 C 35/45 (Rck 45) Cl 0.20 no 32 S5 0.55 50

4.3.1 CALCESTRUZZO NON ARMATO PER FONDAZIONI

4.3.1.1 CALCESTRUZZO

Calcestruzzo “a prestazione” (UNI EN 206-1) confezionato con sabbia naturale

o artificiale, per frantumazione di pietra calcarea, priva di materie organiche e di adeguata granulometria, con ghiaia ben assortita a spigoli vivi e con acqua limpida, dolce, esente da cloruri e da solfati.

Il calcestruzzo dovrà avere le seguenti caratteristiche:

(51)

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4.3.2 CALCESTRUZZO ARMATO PER OPERE STRUTTURALI

(PALI)

4.3.2.1 CALCESTRUZZO

Calcestruzzo “a prestazione” (UNI EN 206-1) confezionato con sabbia naturale

o artificiale, per frantumazione di pietra calcarea, priva di materie organiche e di adeguata granulometria, con ghiaia ben assortita a spigoli vivi e con acqua limpida, dolce, esente da cloruri e da solfati.

Il calcestruzzo dovrà avere le seguenti caratteristiche:

Resistenza caratteristica a compressione a 28 gg. Rck>= 300 kg/cm2;

Diametro massimo dell’inerte 32 mm;

Rapporto acqua/cemento 0.60;

Classe di consistenza allo scarico (UNI EN 206-1): S4

Tipo e classe di resistenza del cemento (UNI ENV 197/1): CEM ii/B-M – Classe

di resistenza 42.5R, cemento portland composito.

Per la struttura in oggetto è previsto l’utilizzo in classe di esposizione “XC2” (UNI EN 206-1);

Per assicurare una adeguata protezione alle barre di armatura deve essere garantito un ricoprimento di 75 mm per i pali e le opere di fondazione contro terra.

E’ inoltre vietata qualsiasi aggiunta di acqua in cantiere, il raggiungimento della prescritta lavorabilità deve essere assicurato con l’eventuale aggiunta di additivo fluidificante.

4.3.2.2 ACCIAIO

Acciaio per c.a. ad aderenza migliorata del tipo B450C (ex Feb44k), saldabile, con le seguenti caratteristiche meccaniche:

fyk ≥ 4300 kg/cm2

ftk ≥ 5400 kg/cm2

allungamento uniforme al carico max eSU,K>7.5

Dato l’impiego in zona simica si richiede, inoltre, che l’acciaio rispetti i seguenti limiti:

(52)

[Antonio Navazio – Università di Pisa – a.a. 2106-2017] Pagina 52 4.3.2.3 VALORI DI CALCOLO 4.3.2.3.1 CALCESTRUZZO Tipologia C25/30 Resistenza di calcolo: fcd = 141,70 kg/cm2 fctd = 12,02 kg/cm2 Resistenza a trazione: fctm = 25.6 kg/cm2 fcfm = 30.7 kg/cm2

Coeff. sicurezza parziale per il calcestruzzo 1.5

Modulo elastico E = 300000 kg/cm2

Modulo di elasticità trasversale G = 150000 kg/cm2

Coefficiente di Poisson υ = 0.0

Densità ρ = 2500 kg/m3

Coefficiente di espansione termica lineare α = 10x10-6 per °C-1

Resistenza caratteristica cubica Rck = 300 kg/cm2

Resistenza caratteristica cilindrica fck = 249 kg/cm2

Resistenza cilindrica media fcm = 329 kg/cm2

4.3.2.3.2 ACCIAIO Tipologia B450C Tensioni caratteristiche: fynom = 4500 kg/cm2 ftnom = 5400 kg/cm2 Resistenza di calcolo: fyd = 3913 kg/cm2

Coeff. sicurezza parziale per l'acciaio 1.15

Modulo elastico E = 2100000 kg/cm2

Modulo di elasticità trasversale G = 800000 kg/cm2

Coefficiente di P0isson υ = 0.3

Densità ρ = 7850 kg/m3

4.3.3 CALCESTRUZZO ARMATO PER OPERE STRUTTURALI

IN ELEVAZIONE

4.3.3.1 CALCESTRUZZO

Calcestruzzo “a prestazione” (UNI EN 206-1) confezionato con sabbia naturale

o artificiale, per frantumazione di pietra calcarea, priva di materie organiche e di adeguata granulometria, con ghiaia ben assortita a spigoli vivi e con acqua limpida, dolce, esente da cloruri e da solfati.

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