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Capitolo II Attori del dialogo interreligioso istituzionale 2.1 Livello europeo: l'articolo 17 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea.

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Capitolo II

Attori del dialogo interreligioso istituzionale

2.1 Livello europeo: l'articolo 17 del Trattato sul

Funzionamento dell'Unione Europea.

Nella trattazione che segue si intende descrivere nel dettaglio l'articolo 17 TFUE nelle dimensioni che lo caratterizzano, cioè i suoi obiettivi, mezzi e risultati, e fornirne una lettura sistematica, alla luce degli orientamenti elaborati dalla Commissione Europea per la sua attuazione. Verranno analizzati i criteri di individuazione degli interlocutori, stabiliti dalla Commissione medesima, allo scopo di mantenere il dialogo aperto, trasparente e regolare e di valorizzare le diverse identità e gli specifici contributi. Successivamente verranno sviluppate alcune riflessioni intorno a tematiche connesse, nel quadro di un'analisi più completa possibile della norma in esame.

Essa verrà inquadrata in relazione ai principi di attribuzione, del rispetto delle identità nazionali e della libertà religiosa. A tal proposito si ragionerà su quale collegamento possa essere eventualmente stabilito tra le nuove competenze dell'UE in quest'ultimo settore e le azioni della medesima in materia di lotta alla discriminazione religiosa (articoli 10 e 19 TFUE), anche con riferimento ai diritti di libertà di religione (articoli 6 TUE e 9 Convenzione di Roma).

Seguirà la questione se il rapporto tra Stati e confessioni religiose in ambito europeo debba seguire le regole del principio di separazione o piuttosto di quello di cooperazione. Questa tematica verrà sviluppata sulla base della considerazione del ruolo della religione nello spazio pubblico europeo. Verrà ipotizzato un collegamento, in sede di

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applicazione di trattati, tra l'articolo 17 TFUE e l'articolo 11 TUE sulla democrazia partecipativa.

Infine ci si porrà nella prospettiva di “sfondamento” dell'orizzonte tradizionale della materia in oggetto, tra speranze e problemi emergenti, interrogandosi su quali iniziative concrete siano in grado di tradurre il dialogo di cui al III° paragrafo e con quali forme di coinvolgimento delle altre istituzioni dell'Unione dare effettiva realizzazione alle previsioni del trattato.

2.1.1. Obiettivi, mezzi, risultati.

L'articolo 17 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea1 recita:

1. L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale.

2. L'Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali. 3. Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni.

Lo sviluppo di questo principio è avvenuto in tre fasi.

1) Tra il Trattato di Maastricht del 1992 e il Trattato di Amsterdam del 1997 ha trovato formulazione nella Dichiarazione n. 112 annessa al

1 Gazzetta ufficiale n. C 326 del 26/10/2012 pp. 1 – 390, consultabile presso

http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A12012E %2FTXT (consultato il 29/03/2016).

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Trattato di Amsterdam sullo status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali, priva di efficacia vincolante propria di un trattato comunitario, ma dal rilevante significato politico.

2) Tra il Trattato di Amsterdam e il Trattato di Lisbona del 2007, il principio è stato completato dalla previsione di un dialogo aperto, trasparente e regolare tra l'Unione e gli enti identificati fin dalla Dichiarazione n. 11 ed è stato reso giuridicamente vincolante attraverso l'articolo 17.

3) Successivamente al Trattato di Lisbona e alla sua entrata in vigore nel 2009, si è avuta la prima applicazione del principio.

L'articolo 17 si struttura in tre dimensioni3:

• Obiettivi: cosa si propongono gli autori governativi e confessionali che hanno voluto questo articolo, quali interessi intendono proteggere e quali principi intendono promuovere.

• Mezzi: in che modo si ritiene che l'articolo 17 debba operare affinché gli obiettivi siano raggiunti.

• Risultati: cosa hanno prodotto le tre fasi, quale effetto ha avuto per ora l'articolo 17.

Gli obiettivi sono individuabili fin dalla proposta presentata congiuntamente il 27 settembre 2002 da Conferenza delle Chiese Europee (CEC), Commissione delle Conferenze Episcopali legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri. L'Unione europea rispetta ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali.

3 Questa impostazione è da attribuire a M. Ventura, L'articolo 17 come

fondamento del diritto e della politica ecclesiastica dell'Unione Europea,

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dell'Unione Europea (COMECE), Chiesa Cattolica e gran parte delle chiese ortodosse e protestanti europee, con cui tali soggetti avevano avanzato un progetto di norma costituzionale tripartita4. Tale formulazione costituisce punto di riferimento di questa trattazione perché coincide con il momento decisivo in cui il principio politico sancito nel Trattato di Amsterdam diviene norma di diritto dei trattati a Lisbona, per il suo valore di sintesi del percorso precedente e per le conferme successive. Una di queste è data dal documento comune sull'articolo 17 TFUE, in particolare sulla realizzazione del dialogo, approvato il 27 aprile 2010 dalla Plenaria della Comece e dal Presidium della CEC5.

Nella prima parte (non riprodotta nell'articolo 17) della proposta del 2002, l'obiettivo era proteggere l'autonomia confessionale e la libertà religiosa collettiva6, a compensazione della portata prevalentemente individuale della protezione della libertà religiosa assicurata dalla Carta di Nizza all'articolo 107. Ha trovato espressione, invece,

4 Proposals relating to Churches and Religious Communities in a Constitutional Treaty of the European Union, consultabile presso

http://www.comece.eu/dl/oupmJKJOmLkJqx4KJK/20020927PUBCONV _EN.pdf (consultato il 16/05/2016).

5 G. Long, La conferenza delle chiese europee (KEK) e l'attuazione del

Trattato di Lisbona, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (rivista

telematica www.statoechiese.it), 2011, p. 9.

6 “Proposals relating to Churches and Religious Communities in a

Constitutional Treaty of the European Union”, paragrafo I: The European Union recognises and respects the right of the churches and religious communities to freely organise themselves in accordance with national law, their convictions and statutes and to pursue their religious aims in the framework of fundamental rights.

7 Libertà di pensiero, di coscienza e di religione

I Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o

convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.

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nell'articolo 17, il riconoscimento dell'identità e del contributo specifico delle chiese8 e il dialogo aperto, trasparente e regolare dell'UE con esse, al fine di favorire la più ampia partecipazione dei cittadini e lo sviluppo del dialogo con la società civile organizzata, nel rispetto della specificità delle chiese e delle comunità religiose e delle loro varie strutture giuridiche9. Di interesse era, quindi, l'identificazione di quelle chiese e comunità religiose che, “attraverso il loro impegno locale, regionale, nazionale e internazionale in materia di politiche sociali, migrazione, aiuto allo sviluppo, peace-making, istruzione e cura pastorale, offrono un particolare contributo al dialogo dell'UE con la società civile, alla ricerca di valori nell'azione pubblica”10. Accanto a questo obiettivo ne era fissato un altro, quello di riconoscere lo sviluppo delle strutture del governo della religione nei vari sistemi giuridici degli stati membri nel corso della storia, che sono “riflesso della diversità e dell'identità nazionale, nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale”.

Sulla base di queste riflessioni l'articolo 17 persegue un obiettivo strutturale e uno sostanziale. Quello strutturale consiste nel governare l'impatto del diritto dell'Unione sulla religione. Si articola in vari momenti11:

nazionali che ne disciplinano l'esercizio.

8 “Proposals relating to Churches and Religious Communities in a

Constitutional Treaty of the European Union”, paragrafo II: The European

Union respects the specific identity and the contribution to public life of churches and religious communities and maintains a structured dialogue with them.

9 “Proposals relating to Churches and Religious Communities in a Constitutional Treaty of the European Union”, paragrafo III: The

European Union respects and does not prejudice the status under national law of churches and religious communities in the Member States. The Union equally respects the status of philosophical and non-confessional organisations.

10 Cfr. Ventura, p. 296. 11 Cfr. Ventura, p. 297.

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1) governare l'impatto del diritto e delle politiche dell'Unione sulle chiese

2) subordinare l'impatto del diritto e delle politiche dell'Unione sulle chiese al rispetto delle specificità e identità delle chiese e del loro contributo alla società europea

3) tutelare l'autonomia delle chiese

4) promuovere il dialogo delle chiese e comunità religiose con le istituzioni dell'Unione

5) riconoscere le prerogative nazionali e la priorità del diritto dello Stato.

L'obiettivo sostanziale comporta il riconoscimento e il rispetto del significato vitale della religione in sé e di chiese e comunità religiose per la società nel suo complesso, per i valori e le identità su cui si fonda il vivere comune e per le relazioni dell'Unione con i cittadini, articolato, dunque, in:

1) valore della religione e delle chiese 2) loro specificità dottrinale e organizzativa

3) specificità del loro contributo alla società e alla politica europea 4) diversità europea di esperienze socio-politiche e di soluzioni giuridiche relative allo status delle chiese e della profondità storica della diversità

5) conseguenti identità.

Nel complesso si tratta di “obiettivi sfasati rispetto allo sviluppo multiculturale, multireligioso e transnazionale della società europea e alla dinamicità dello scambio tra diritti “domestici” e diritto

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europeo”12. Trovano le proprie “radici in una visione timorosa e schizofrenica dell'interazione tra attori religiosi e filosofici e UE”, in una concezione statica delle identità e delle tradizioni, nella soggezione davanti agli interessi nazionali, alle prerogative governative, nella contraddizione tra difesa dell'autonomia confessionale e politica ecclesiastica dei governi. Questi errori dipendono dal “presupposto che l'approccio europeo alla religione debba fondarsi su 3 dicotomie: 1) religioso-secolare, 2) europeo-nazionale, 3) maggioranze-minoranze”, che trovano espressione nell'articolo 17. Il I° paragrafo tutela il religioso contro il secolare, il II° protegge il secolare contro il religioso, a presidio del nazionale contro l'europeo e a difesa delle maggioranze, che hanno interesse a preservare lo status quo, contro le minoranze, che concepiscono l'istanza europea come una risorsa contro un assetto che penalizza. Gli obiettivi perseguiti dall'articolo 17 presentano, dunque, secondo Ventura, fondamentali deficienze e si presentano come insufficienti a rispondere allo sviluppo multireligioso e transnazionale della società europea.

I mezzi messi a disposizione degli obiettivi descritti sono due: la clausola in favore del diritto nazionale, di cui ai paragrafi I e II, e il dialogo aperto, trasparente e regolare tra UE e chiese e associazioni o comunità religiose e organizzazioni filosofiche e non confessionali, indicato al paragrafo III. Si rivelano problematici per tre ordini di ragioni.

Il precetto di cui ai paragrafi I e II si caratterizza per una incerta

determinazione: risulta “impossibile una individuazione

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ragionevolmente certa del mandato fatto all'Unione di rispettare e non pregiudicare lo status di cui gli attori godono negli stati membri in virtù del diritto nazionale”13. E' impossibile circoscrivere l'azione di

rispettare e non pregiudicare. Si tratta di una formula suggestiva poco

chiara, specialmente sul piano giuridico. “Rispettare” può significare “trattare con riguardo”; “non pregiudicare” può essere inteso come “non danneggiare”14. Secondo Mazzola, il I° comma non sembra implicare necessariamente un' incompetenza assoluta dell'Unione Europea in materia. “D'altronde, se così non fosse, la disposizione in tema di dialogo contenuta nel terzo comma sarebbe difficilmente giustificabile nella geometria generale della norma”. Alla incompetenza formale delle istituzioni dell'Unione rispetto alla regolazione del fenomeno religioso è stata contrapposta da Annichino una incidenza sostanziale15 “che viene di fatto a condizionare ambiti e azioni di singoli e di collettività che dovrebbero invece esserne esenti”. A parere di Lugato16, “rispettare” non significa solo “prendere atto” o “tenere conto”, ma “anche deferire alle normative nazionali radicate nelle tradizioni storiche, culturali e sociali locali, traendone le dovute

13 Cfr. Ventura, p. 299.

14 R. Mazzola spiega in tal modo questa formula, Confessioni,

organizzazioni filosofiche e associazioni religiose nell'Unione Europea tra speranze disilluse e problemi emergenti, in “Stato, Chiese e pluralismo

confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 3/2014, p. 4, che a sua volta rinvia a M. Parisi, Vita democratica e processi politici nella

sfera pubblica europea. Sul nuovo ruolo istituzionale delle organizzazioni confessionali dopo il Trattato di Lisbona, in “Stato, Chiese e pluralismo

confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 27/2013.

15 P. Annichino, Il Dialogo con i gruppi religiosi e le le organizzazioni non

confessionali nel Diritto dell'Unione Europea: a proposito di una recente pronuncia del Mediatore europeo, in “Quaderni di diritto e politica

ecclesiastica” 3/2013, p. 754.

16 M. Lugato, L'Unione Europea e le Chiese: l'art. 17 TFUE nella

prospettiva del principio di attribuzione, del rispetto delle identità nazionali e della libertà religiosa, in “Quaderni di diritto e politica

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conseguenze sul piano giuridico”. Dunque, “oltre che l'incompetenza dell'Unione ad agire in materia di status nazionale delle Chiese e delle associazioni o comunità religiose, i Trattati sanciscono l'obbligo per le istituzioni dell'Unione di esercitare le proprie competenze in modo compatibile con la riconosciuta necessità di non pregiudicare lo status nazionale delle Chiese e delle associazioni o comunità religiose, garantendo che su tale status non si produca un vulnus ad opera di normative o altri atti dell'Unione17”.

Mazzola prosegue: “(..) L'evoluzione della tutela dei diritti fondamentali all'interno dell'ordinamento dell'Unione e la progressiva influenza della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo hanno fatto sì che tra il diritto europeo ed il fenomeno religioso venisse a costituirsi una rete di relazioni ed influenze particolarmente complessa”18.

E', inoltre, inafferrabile l'oggetto di tale azione, cioè lo status dei soggetti negli stati membri alla luce della clausola in favore del diritto nazionale19. “In senso ampio coincide con la materia religiosa, quindi andrebbe a estendersi a ogni ambito di azione dell'UE; in senso stretto assume un significato parziale, limitato a realtà religiose e ordinamentali, per cui la nozione stessa di status delle chiese nel diritto statale è intellegibile”. La norma, già impervia per i sistemi a diritto ecclesiastico speciale (Spagna, Italia, Germania e Austria), diventa sommamente problematica quando è riferita ai sistemi di diritto ecclesiastico nazionale che rifiutano forme di specializzazione normativa del relativo settore dell'ordinamento, preferendo rimettere al diritto comune l'intera disciplina giuridica del fenomeno religioso.

17 A tal proposito Lugato cita la direttiva 2000/78/CE sulla non discriminazione nel rapporto di lavoro (analizzata al paragrafo 2.1.3), p. 308.

18 Cfr. Mazzola, p. 5. 19 Cfr. Ventura, p. 299.

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Quindi, la nozione di status delle chiese, intesa in senso stretto, ha significato solo in alcuni sistemi nazionali, con sostanziose ambiguità e variazioni, e in senso ampio (cioè allargato a sistemi europei diversi) è concetto costretto a perdere significato o a sancire l'esistenza di un diverso tasso di prescrittività della norma in rapporto alla specialità della legislazione ecclesiastica nazionale.

Anche la clausola del dialogo pecca di indeterminatezza: è arduo determinare quali siano i soggetti del dialogo ed equilibrarlo con soggetti religiosi, non religiosi e anti-religiosi.

I mezzi si rivelano contraddittori. Il dialogo postula corresponsabilità tra Unione e soggetti confessionali e filosofici, dunque un rapporto bidirezionale in cui l'uno influenza l'altro, una relativizzazione delle prerogative degli Stati e del monopolio nazionale. La clausola favorevole al diritto nazionale, di contro, intende tagliare fuori l'Unione, consacrando una visione rigida e separata, ancorché inapplicabile, per l'indeterminatezza del suo oggetto.

“L'indeterminatezza e la contraddittorietà”, che caratterizzano la norma, creano il “risultato di un disegno troppo limitato negli obiettivi e in termini di tecnica normativa, propria del diritto degli Stati e di alcuni diritti degli Stati”. La formulazione, dunque, risulta inappropriata per un ente come l'Unione, che non è uno Stato, e per una dimensione europea che non può identificarsi soltanto con alcuni dei paesi che la formano.

In terzo luogo, costituisce espressione della “erronea convinzione di ritagliare il diritto ecclesiastico dell'UE per sottrazione, per eccezione, controcorrente rispetto al flusso dell'integrazione europea nella società e nel diritto”20.

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In definitiva, l'articolo 17, secondo Ventura, risulta essere “separato dal diritto dell'UE e dal diritto europeo dei diritti umani e incongruo con gli sviluppi di questi”.

I risultati ottenuti sono principalmente due.

Con l'articolo 17 si è dato voce a chi temeva l'uso delle istituzioni europee e del diritto dell'UE per imporre dall'alto un progetto contrario alla religione e alla diversità. Si tratta di un risultato simbolico e politico, non privo, però, di ricadute giuridiche. “Ciò che si intendeva scongiurare non si è prodotto”: “nessuna istanza dell'UE ha intrapreso azioni volte ad armonizzare programmaticamente i diritti ecclesiastici nazionali”.

Vi è stata comunque la produzione di un diritto e di una politica ecclesiastica21: l'articolo 17 “sovrintende, nella politica ecclesiastica dell'Unione, alla relazione complessiva dell'Unione con il fenomeno religioso”. Con esso sono state poste tre ipoteche sulla politica ecclesiastica europea22:

1) L'Unione deve elaborare interventi rispettosi della pari dignità di chiese, associazioni o comunità religiose da una parte e organizzazioni filosofiche e non confessionali dall'altra.

2) L'Unione deve riconoscere la specificità di questi soggetti e deve rispettare e non pregiudicare lo status giuridico determinato dal diritto degli stati membri.

3) L'Unione deve intrattenere un dialogo aperto, trasparente e regolare con i soggetti indicati al I° paragrafo.

21 Insieme di principi, dinamiche istituzionali, azioni, effetti in cui si concreta l'impatto dell'UE sul fenomeno religioso.

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Dunque, l'articolo 17 costituisce un “contributo fondamentale alla nascita di un vero e proprio diritto ecclesiastico dell'Unione Europea come esito di due processi distinti”23.

Da un lato costituisce “il prodotto paradossale del tentativo di preservare i diritti ecclesiastici nazionali”: comporta il divieto di de-specializzazione della materia ecclesiastica. Viene creato un “regime speciale per le confessioni, destinato a riflettersi anche sui diritti ecclesiastici nazionali di tipo strettamente separatista”. Viene imposto il concetto di diritto nazionale dei culti, privo di statuto e di valori omogenei all'interno dell'Unione. Dall'altro lato è “frutto del superamento dell'iniziale ispirazione dell'articolo 17 quale clausola limitativa dell'UE in virtù della forza espansiva della tutela dei diritti fondamentali e del crescente interesse delle varie parti per il dialogo”. Anche nella fondazione della politica ecclesiastica si ripropone, comunque, una certa contraddittorietà di tendenze ispiratrici. “Il diritto dell'UE protegge le prerogative nazionali e governative sullo status delle chiese”24, a ratifica della “disparità di trattamento giuridico degli attori religiosi, tipica dell'esperienza europea”. Lo sviluppo del “sistema europeo, social-politico e giuridico, che sfida il monopolio statual-nazionale, integrando diversi livelli di governo, difende l'autonomia della religione dai poteri civili e promuove eguaglianza e non discriminazione”.

“Per funzionare l'articolo 17 supera se stesso e produce una politica e un diritto ecclesiastico di cui sono protagonisti creativi le articolazioni dell'Unione, i governi, gli attori religiosi, la società civile”25.

23 E' questa la conclusione di M. Ventura, p. 302. La contraddittorietà della norma non le impedisce, dunque, di generare un diritto ecclesiastico dell'UE.

24 Cfr. Ventura, p. 294

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Per quanto concerne la formulazione dell'articolo 17, si può mettere a fuoco come la problematica sia stata male impostata dalle Chiese e dalle confessioni interessate26. “Invece di seguire il già tracciato e sperimentato percorso degli atti internazionali sui diritti umani e della Carta europea dei diritti dell'uomo, arricchito dalla giurisprudenza della Corte Europea, è stata impostata nell'ordinamento comunitario sulla falsariga dei sistemi nazionali, molto diversi tra loro (..) nel timore che la normativa di derivazione comunitaria potesse, in qualche modo, intaccare le situazioni in essere, spesso privilegiate, degli stati nazionali”27. Si è persa, così, un'occasione di innovare la condizione giuridica di chiese e comunità religiose. E' stata accettata una poco congrua parificazione tra comunità religiose e indefinibili comunità filosofiche. E' stata sancita l'intangibilità degli status nazionali, perdendo di vista l'originalità del sistema comunitario e perpetuando modelli non rispondenti al nuovo e importante, ma differenziato, ruolo che religioni e convinzioni svolgono in società europee profondamente trasformate.

Il dialogo degli stati europei, quindi dell'UE, con le religioni è reso ancor più complicato dal fatto che sul territorio europeo ci sono ancora

zone di guerra di religione, nel quadro di confronti politici, economici,

strategici, simbolici in cui “la religione non è la vera o principale causa, ma solo un pretesto o l'elemento detonatore”28.

Interessante risulta, al II° paragrafo, la regolazione unitaria e paritaria

26 Riflessione di F. Margiotta Broglio, Religioni (e filosofie) nei trattati

dell'Unione, il Mulino, 2 /2012, p. 308.

27 Erano stati ipotizzati dalla CEC un maxi concordato o maxi intese tra confessioni e Unione.

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dello status di chiese e di organizzazioni filosofiche, che pone, quindi, sullo stesso piano diritti collettivi dei credenti e quelli dei non credenti (atei o agnostici). Secondo Parisi, “senza dubbio è da ritenersi positivo l'aver accomunato, nella veste formale d'interlocutrici, sia le Chiese che le organizzazioni non confessionali, senza differenziazione di sorta tra le une e le altre”29.

Per quanto riguarda l'impegno dell'Unione al rispetto della condizione giuridica prevista dalle legislazioni nazionali per chiese, associazioni o comunità religiose, organizzazioni filosofiche e non confessionali, “non è chiaro se il riferimento alle legislazioni interne escluda religioni o filosofie nuove provenienti da stati non membri e non è comprensibile perché l'espressione “non pregiudica” sia riferita solo alle confessioni religiose ma non alle organizzazioni filosofiche”30.

Il III° paragrafo è positivo, ma difficilmente applicabile: non è evidente l'oggetto del dialogo dato che il I° e il II° paragrafo della medesima disposizione, in contraddizione evidente, riservano alle legislazioni nazionali la tradizionale materia ecclesiastica (e filosofica). Da notare, comunque, come “non sia facile, all'interno delle competenze che il trattato riserva all'Unione, individuare le materie europee di interesse e competenza delle organizzazioni religiose o filosofiche che possano diventare oggetto di dialogo regolare”.

Se il III° comma dell'articolo 17 fosse stato collocato di seguito

29 M. Parisi, Vita democratica e processi politici nella sfera pubblica

europea. Sul nuovo ruolo istituzionale delle organizzazioni confessionali dopo il Trattato di Lisbona, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”

(rivista telematica www.statoechiese.it), 27/2013, p. 22. 30 Cfr. Margiotta Broglio, p. 309.

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all'articolo 1131 del Trattato sull'Unione Europea, il suo contenuto avrebbe avuto la medesima potenzialità di quello relativo alle

associazioni rappresentative e alla società civile con cui le istituzioni

dell'Unione mantengono il dialogo su “tutti i settori d'azione dell'Unione”, con la previsione di ampie consultazioni delle parti interessate, nel quadro della vita democratica dell'Unione. Vi è stata, invece, la volontà di mantenere chiese e organizzazioni non confessionali fuori dai meccanismi della democrazia partecipativa, sancita appunto dall'art. 11 TUE. Questa “scelta riduttiva”, fatta “in nome di una “specificità” religioso - filosofica voluta dalle religioni interessate, si è rivelata giuridicamente poco produttiva”32. Il rischio è lasciare le organizzazioni ai margini della vita democratica dell'Unione.

Non è chiaro “chi e in base a quali criteri determina quali chiese, associazioni, comunità, organizzazioni filosofiche o non confessionali hanno diritto a prendere parte al dialogo religioso o filosofico con l'Unione”. Non è comprensibile “in che modo si è proceduto alla selezione degli attori religiosi o filosofici collettivi e quali siano i requisiti di rappresentatività dei rispettivi enti per partecipare al dialogo con la Commissione europea”. C'è, dunque, necessità di definire i meccanismi procedurali e stabilire il dominio delle procedure negoziali.

E' stata abbandonata la strada degli approcci pan-concordatari a livello

31 I. Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative,

attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell'Unione.

II. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile.

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di UE per garantire meglio la libertà di religione, soprattutto sotto l'aspetto collettivo. D'altra parte pochissimi soggetti ecclesiastici sarebbero abilitati a stipulare convenzioni rette dal diritto internazionale come i concordati (solo la Chiesa Cattolica). Il Il° paragrafo dell'articolo 17 esclude ogni via concordataria europea, almeno per le tradizionali materie oggetto di accordi o convenzioni tra stati e Chiese: “lo status di chiese e comunità religiose resta regolato dal diritto nazionale”33.

Le chiese e le comunità religiose devono accettare “la sfida del confronto positivo con un' Unione laica, sempre più multietnica e pluralista in materia di religione e di credenza, con la sola ma efficace protezione dei diritti dell'uomo e senza fare più conto sui nazionalismi costituzionali”34.

2.1.2 Orientamenti per l'attuazione dell'articolo 17.

Il 20 luglio 2013 la Commissione Europea, ad opera del gabinetto Barroso, a seguito della decisione del Mediatore europeo del 25 gennaio 201335, ha fornito le linee-guida principali per la definizione del dialogo fra Commissione e gruppi religiosi e organizzazioni non confessionali, alla luce dei principi di apertura (articolo 1), trasparenza (articolo 2) e regolarità (articolo 3)36.

33 Cfr. Margiotta Broglio, p. 310.

34 Così conclude la sua analisi Margiotta Broglio, p. 311.

35 Vedi 2.1.6 Pronuncia del mediatore europeo in relazione all'articolo 17 TFUE.

36 La riflessione circa le linee-guida per l'attuazione dell'articolo 17 TFUE è di Marcello Toscano, La decisione del mediatore europeo del 25 gennaio

2013: un passo in avanti verso l'applicazione efficace dell'articolo 17 sul Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, in “Stato Chiese e

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L'articolo 1 al I° comma individua come interlocutori della Commissione i gruppi religiosi e le organizzazioni non confessionali riconosciuti o registrati come tali a livello nazionale e aderenti ai valori europei. Non è, dunque, previsto un riconoscimento ufficiale o la registrazione a livello europeo.

Questa formulazione desta qualche perplessità. Ci si chiede come ci si comporterà nel caso di gruppi religiosi o associazioni non confessionali che godono di uno status differente nei diversi Paesi e come verrà valutata, in base a quali standards e con quale metodo l'adesione ai valori europei. “Non si comprende la ragione per cui (..) si sia voluto ricorrere al filtro statale – che, in simili casi, può facilmente tramutarsi in un vero e proprio potere di veto alla rappresentanza organizzata di interessi in sede europea – anziché affermare chiaramente l'indubbia competenza dell'Unione a decidere in modo autonomo quali organizzazioni possano essere considerate interlocutori legittimi”37.

I gruppi e le diverse organizzazioni sono incoraggiati alla registrazione nell'apposito Registro (telematico) europeo per la trasparenza38. Esso è lo strumento di cui si sono dotati il Parlamento europeo e la Commissione, con il sostegno del Consiglio d'Europa, con lo scopo di informare i cittadini su quali organizzazioni, imprese e portatori di interessi intrattengono rapporti con queste istituzioni dell'Unione in modo da influenzarne i processi decisionali.

L' “Accordo tra il Parlamento europeo e la Commissione europea sul registro per la trasparenza delle organizzazioni e dei liberi

5/2014, p. 25.

37 Cfr. Toscano, pp. 28 – 29.

38 Registro europeo per la trasparenza di cui

http://ec.europa.eu/transparencyregister/public/homePage.do?locale=it#it

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professionisti che svolgono attività di concorso all'elaborazione e attuazione delle politiche dell'Unione europea39” all'art. 11 (Disposizioni specifiche) precisa che “il registro non concerne le chiese e le comunità religiose. Tuttavia, ci si aspetta che gli uffici di rappresentanza o gli organismi giuridici, gli uffici e le reti creati per rappresentarli nelle loro relazioni con le istituzioni dell'Unione europea, come pure le loro associazioni, procedano alla registrazione”. Tale attività è regolata mediante l'applicazione di un codice di condotta40. L'iscrizione risulta perciò promossa, ma resta facoltativa. “La registrazione è volontaria e non implica in alcun modo che il soggetto registrato abbia ricevuto una qualche forma di riconoscimento, approvazione o accreditamento da parte delle istituzioni europee”41.

Il II° comma dell'articolo 2 descrive l'oggetto del dialogo che “può riguardare ogni argomento rilevante nell'ambito dell'UE”42. E' previsto un ampio margine di discrezionalità della Commissione: (..) “la Commissione può decidere di proporre temi preminenti sui quali dialogare con diversi interlocutori nell'arco di un certo periodo”. Dunque, per ciò che riguarda quanto indicato da queste linee – guida, è soltanto la Commissione a decidere.

39 Firmato nel giugno 2011 e rivisto nell'aprile 2014, disponibile presso

http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?

uri=CELEX:32014Q0919%2801%29&from=it (consultato il 21/05/2016).

40 Di cui all'allegato III dell'Accordo tra il Parlamento europeo e la

Commissione europea sul registro per la trasparenza delle organizzazioni e dei liberi professionisti che svolgono attività di concorso all'elaborazione e attuazione delle politiche dell'Unione europea.

41 Così precisa l' “Avvertenza legale” disponibile presso

http://ec.europa.eu/transparencyregister/public/staticPage/displayStaticPag e.do?locale=it&reference=LEGAL_NOTICE (consultato il 21/05/2016). 42 Testualmente l'articolo 2 degli Orientamenti per l'attuazione dell'articolo

17 del TFUE da parte della Commissione europea, disponibile presso

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Il diniego di organizzare e co-organizzare uno specifico evento o la mancata partecipazione di qualche organizzazione o gruppo religioso ad un'iniziativa della Commissione non costituisce violazione dei rispettivi obblighi o un rifiuto del dialogo. “Il fatto che la Commissione scelga di non sponsorizzare una determinata iniziativa o che un interlocutore preferisca non partecipare a una determinata iniziativa proposta dalla Commissione non implica per nessuna delle due parti una violazione dei rispettivi obblighi o che esse non vogliano intavolare un dialogo”.

L'articolo 2 descrive il criterio della trasparenza: rimanda al sito web del Bureau of European Policy Advisors43 in cui sono disponibili i materiali degli incontri e le liste dei partecipanti, con un limite per l'accesso agli atti, dato dalle procedure per l'accesso ai documenti delle istituzioni previste dal regolamento 1049/200144.

Infine, l'articolo 3 enuncia il criterio della regolarità. Il dialogo è condotto attraverso contatti formali e informali con la Commissione, “sotto forma di corrispondenza scritta, riunioni o eventi specifici”45. Non viene fornita specificazione di ulteriori requisiti: l'articolo non contribuisce, in realtà, a chiarire e argomentare in merito alla regolarità del dialogo.

Toscano auspica che le modalità con le quali è condotto il dialogo istituzionale con le organizzazioni contemplate nella norma cambino registro e si orientino verso una nuova prospettiva che privilegi, più

43http://ec.europa.eu/dgs/policy_advisers/activities/index_en.htm

(consultato il 30/03/2016).

44http://ec.europa.eu/transparency/access_documents/ (consultato il 30/03/2016).

45 Orientamenti per l'attuazione dell'articolo 17 del TFUE da parte della

Commissione europea, disponibile presso

http://ec.europa.eu/archives/bepa/pdf/dialogues/guidelines-implementation-art-17.pdf (consultato il 25/05/2016).

(20)

che la loro capacità di “farsi sentire”, il loro apporto alla “ricerca di soluzioni alle questioni poste dalla sempre maggiore complessità del quadro giuridico e sociale dell'Europa”46.

“Si ha l'impressione che il documento lasci ancora scoperti alcuni nodi fondamentali dell'applicazione dell'articolo 17 III° paragrafo del TFUE”47. “Non sembra che le linee – guida della Commissione rappresentino un significativo passo avanti”48, anzi lasciano irrisolte questioni già viste. Si limitano a riprendere formalmente le definizioni di “aperto, trasparente e regolare” senza definirne ulteriormente la sostanza.

2.1.3 Prospettiva del principio di attribuzione e rispetto

delle identità nazionali e della libertà religiosa.

L'articolo 17 TFUE è inquadrabile alla luce di tre principi basilari dell'ordinamento dell'UE49:

1. principio di attribuzione

2. principio di rispetto delle identità nazionali degli stati membri 3. principio del rispetto dei diritti fondamentali e della libertà

religiosa

In base al II° paragrafo dell'articolo 5 TUE50, l'Unione dispone soltanto

46 Cfr. Toscano, pp. 25 – 26.

47 E' questa l' impressione di P. Annicchino, Dialogo con i gruppi religiosi e

le organizzazioni non confessionali nel Diritto dell'Unione Euroepa: a proposito di una recente pronuncia del Mediatore europeo, in “Quaderni

di diritto e politica ecclesiastica” 3/2013, p. 756. 48 Cfr. Toscano, p. 27.

49 Cfr. Lugato, p. 306.

50 In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei

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delle competenze che gli stati membri hanno ad essa attribuito. “Il trattamento delle chiese e delle organizzazioni religiose non è incluso fra le competenze conferite all'Unione”. In base al principio delle competenze di attribuzione, “l'Unione non può agire se non ove la relativa competenza sia ad essa attribuita dai trattati”; in ogni altro caso la competenza è nazionale51. Dunque, “l'Unione non ha competenza in materia di status di chiese e di associazioni o comunità religiose e, quindi, nella correlativa area decisionale, rispetta le determinazioni di ciascuno degli stati membri”52.

La riserva a favore dell'assetto nazionale relativo allo status delle chiese non è però sconfinata: sono stati previsti dei limiti tramite la configurazione di due criteri. Si tratta dell'identità e del contributo

specifico delle chiese, associazioni e comunità religiose di cui al

paragrafo III, costituenti la ragion d'essere del dialogo tra UE e tali enti. “La relazione giuridica tra l'Unione e gli attori religiosi” è informata, “da un lato, all'identità loro propria di istituzioni di protezione e promozione della religione, storicamente e politicamente radicate in uno specifico tessuto nazionale, rappresentative del sentimento religioso delle correlative collettività umane e luogo, non solo fisico, ma anche ideale, di espressione e di manifestazione di tale sentimento, e dall'altro, al contributo specifico che esse possono offrire, cioè ciò che di singolare sono in grado di apportare alla società, in conseguenza della speciale identità della quale sono espressioni”53. trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.

51 Articolo 4 II° paragrafo TUE: L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati

membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali.

52 Cfr. Lugato, p. 307. 53 Cfr. Lugato, pp. 309-310.

(22)

Di conseguenza, “l'Unione deve, sulla base dell'articolo 17, deferire alla disciplina nazionale lo status degli enti religiosi nella misura in cui ciò sia necessario per garantirne l'identità e consentire loro di fornire il proprio contributo specifico al processo di integrazione”.

E' richiesta una “reciproca autolimitazione”54. “L'Unione rispetta e non pregiudica lo status nazionale degli attori religiosi, demandato per ragioni storiche, politiche, sociali e culturali agli status nazionali. Lo stato membro rispetta la normativa comune, anche qualora possa divenire rilevante per settori che permangono nel proprio potere decisionale, rivendicando in materia di trattamento di enti religiosi solo quelle deroghe ammissibili, effettivamente necessarie per garantirne l'identità e per consentire ad esse di svolgere la loro specifica missione”.

La Direttiva 2000/78/CE55 sulla non discriminazione nel rapporto di lavoro stabilisce che le chiese e le altre organizzazioni, la cui etica sia basata sulla religione o sulle convinzioni personali, possano mantenere differenze di trattamento basate proprio sulla religione o sulle convinzioni personali, senza che questo sia considerato discriminatorio, laddove “(..) per la natura di tali attività e per il contesto in cui vengono espletate, la religione e le convinzioni personali rappresentano un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell'attività lavorativa, tenuto conto dell'etica dell'organizzazione (..)56.

“L'ambito di applicazione della deroga al principio di non discriminazione per motivi religiosi a favore di chiese ed enti, è

54 Cfr. Lugato, p. 311.

55 In Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, L. 303/16, 2.12.2000, disponibile presso http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do? uri=OJ:L:2000:303:0016:0022:it:PDF (consultato il 30/03/2016).

(23)

definito in termini restrittivi”57. La deroga è limitata ai “casi strettamente limitati” ove la disparità di trattamento è giustificabile in quanto si tratti di un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa e la sua finalità sia legittima e proporzionata.

In tema di non discriminazione l'art. 10 TFUE58 statuisce che “l'Unione, nella realizzazione delle sue politiche e delle sue azioni, sia impegnata nel combattere le discriminazioni basate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. (..) L'assunzione del fattore religioso come oggetto di potenziali discriminazioni trova, poi, nell'art. 19 TFUE59 una solida base giuridica per la realizzazione di interventi comunitari finalizzati a contrastare le diverse forme di arbitraria differenziazione”60.

Come stabilito dall'articolo 4 II° paragrafo TUE, l'Unione rispetta l'identità nazionale degli stati membri e le funzioni essenziali dello stato. “Le strutture politiche e costituzionali che fondano l'identità nazionale dello stato membro devono essere rispettate dall'UE, pur nell'avanzare e nell'approfondirsi dell'integrazione. (..) Il rispetto delle

57 Cfr. Lugato, p. 311.

58 Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione

mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.

59 I. Fatte salve le altre disposizioni dei trattati e nell'ambito delle

competenze da essi conferite all'Unione, il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.

(24)

identità nazionali deve essere, quindi, necessariamente contemperato con l'appartenenza a un' organizzazione integrata come l'UE, a cui gli stati membri hanno trasferito progressivamente non poche delle competenze statali, nel quadro dell'adesione al pluralismo, che da sempre la caratterizza. (..) Man mano che l'integrazione procede si riduce lo spazio entro cui l'identità nazionale potrà legittimare rivendicazioni degli stati membri volte a sottrarli agli standards comuni”61.

L'articolo 2 TUE62 stabilisce che l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Vi rientrano indiscutibilmente la religione e il diritto di libertà avente per oggetto la religione. Il suo rilievo, insieme alla cultura e all'umanesimo, trova riconoscimento nella genesi dei valori comuni agli stati membri su cui l'Unione si fonda63. Le eredità religiose, quindi, hanno avuto riconoscimento e protezione a livello di diritto primario, attraverso il rinvio alla Carta dei diritti fondamentali dell'UE (articolo 6 TUE64). Costituiscono, perciò, “parte del patrimonio

61 Cfr. Lugato, p. 313.

62 L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della

libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

63 Nel preambolo del TUE si fa riferimento all'ispirazione tratta dai governi degli stati membri, nel compiere la strada dell'integrazione europea, alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto.

64 L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata

(25)

nazionale proprio di ogni stato membro, diverso in ciascuno, e articolato anche attraverso le chiese, associazioni o comunità religiose”65.

Ai fini dell'attuazione delle libertà di religione nel continente europeo si rivela efficace e ancora vitale l'art. 966 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione) della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU)67. Per quanto attiene specificamente alla libertà di religione68 questa norma garantisce “il libero esercizio della il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. I diritti sanciti diventano, quindi vincolanti per le istituzioni

comunitarie e per gli stati, in sede di applicazione del diritto dell'UE. Le

disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.

II. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.

III. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.

65 Cfr. Lugato, p. 317.

66 I. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di

religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

II. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.

67 Firmata a Roma il 4 Novembre 1950.

68 L'analisi dell'art. 9 CEDU è di M. Parisi, Linee evolutive

dell'interpretazone giurisprudenziale dell'art. 9 della Convenzione di Roma. Sviluppi e prospettive per il diritto di libertà religiosa nello spazio giuridico europeo, in “La libertà di manifestazione del pensiero e la

libertà religiosa nelle società multiculturali”, a cura di N. Fiorita e D. Loprieno, Firenze University Press, Firenze, 2009, pp. 247 s.

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manifestazione esteriore delle convinzioni religiose e del credo, in forma individuale o collettiva, in privato e in pubblico, lasciando alla discrezionalità dei singoli la scelta fra le diverse forme di realizzazione concreta della spiritualità”69.

Anche l'articolo 1070 della Carta di Nizza sancisce il diritto alla libertà religiosa, la cui determinazione implica necessariamente “il riconoscimento delle chiese, associazioni e comunità religiose che hanno una propria condizione giuridica a dimensione nazionale, diversa in ogni stato membro, sostanzialmente volta ad assicurarne l'autonomia, intesa come condizione essenziale per lo svolgimento della missione loro propria”71.

La religione come fonte dei valori fondativi dell'Unione, da un lato, e la libertà religiosa come diritto fondamentale dell'ordinamento dell'UE, dall'altro, permettono di ricostruire le finalità dell'articolo 17: protezione e promozione della libertà religiosa, diritto fondamentale tra i diritti fondamentali. L'obiettivo è apprestare strumenti idonei di protezione di un diritto fondamentale, ponendo in capo all'Unione e agli stati membri, ciascuno per quanto di propria competenza, la correlativa responsabilità.

Dunque, “il diritto alla libertà religiosa costituisce un altro imprescindibile parametro di riferimento per l'interpretazione

69 M. Parisi, Linee evolutive dell'interpretazone giurisprudenziale dell'art. 9

della Convenzione di Roma. Sviluppi e prospettive per il diritto di libertà religiosa nello spazio giuridico europeo, in “La libertà di manifestazione

del pensiero e la libertà religiosa nelle società multiculturali”, a cura di N. Fiorita e D. Loprieno, Firenze University Press, Firenze, 2009, p. 253. 70 I. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di

religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.

(27)

dell'articolo 17 TFUE, sia rispetto ai limiti dell'azione dell'UE che abbia un impatto sullo status delle chiese, associazioni o comunità religiose, sia nel rispetto delle prerogative degli stati membri in tale ambito”72. La norma è da collocare in un'ottica pluralista: la libertà religiosa protegge non solo le diverse espressioni della religione, ma anche il diritto a non avere religione.

Attraverso il dialogo e l'influenza reciproca, in materia religiosa, tra prassi e giurisprudenza degli stati membri e a livello di UE si verifica un inevitabile processo di cross-fertilization, di “coesistenza di autorità decisionali, al fine di garantire nella maniera più effettiva la libertà religiosa, in armonia con le esigenze che maturano nel corpo sociale. (..) La deferenza verso l'assetto nazionale dei rapporti stato – chiese, associazioni e comunità religiose, codificata dall'articolo 17, si inserisce in modo coerente nei Trattati”. Costituirebbe la proiezione del riconoscimento del rilievo delle eredità religiose nella genesi dei valori comuni della costruzione europea e di quello dell'identità e del contributo specifico delle istituzioni, enti e comunità religiose. Andrebbe ad accreditare opportunamente, come elemento delle identità nazionali, “le scelte relative al loro status effettuate a livello nazionale, in conformità alle tradizioni culturali, storiche, sociali e politiche locali sussunte nei processi di autodeterminazione democratica propri di ognuno di essi”. Infine, conclude Lugato, delineerebbe i “criteri per l'individuazione dei limiti entro i quali la libertà di ogni stato membro di autodeterminarsi sullo status degli enti può legittimamente esplicarsi in modo da garantire il pluralismo e il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento dell'Unione”.

2.1.4 Separazione o cooperazione: presenza della

(28)

religione nello spazio pubblico europeo. Il caso

dell'Islam.

Tra i vari effetti della globalizzazione possiamo individuarne uno riguardante il rapporto tra Stati e confessioni religiose nell'ambito europeo: “il rimescolamento della gerarchia e della competenza delle fonti”73 normative europee e transnazionali”. I diritti religiosi si vedono ridischiudere l'ingresso negli ordinamenti statali attraverso “il corridoio aperto della soft law”. Di conseguenza vengono rimessi in discussione gli schemi rigidi della separazione e della cooperazione. Ci si chiede, allora, come disciplinare ad esempio i rapporti con i cittadini di fede islamica e le loro organizzazioni. Si è ricorsi in molti casi a moduli convenzionali a latere rispetto a quelli costituzionalmente previsti (si pensi nel nostro paese alla Consulta islamica e alla Carta dei valori74).

E' da rilevare che “i paesi concordatari o a religione dominante introducono nel sistema elementi di separazione, mentre quelli separatistici si avviano verso forme di riconoscimento pubblico e di sostegno delle confessioni”75. E' in atto una fase di avvicinamento reciproco dei sistemi statuali di relazioni con le confessioni religiose, in virtù della costruzione dell'identità europea76. Anche in quei paesi rigorosamente separatisti, si pensi ad esempio alla Francia e al suo modello di laïcitè77, una riflessione sulla collocazione dell'elemento

73 Lo sostiene N. Colaianni, Stato e confessioni religiose in Europa tra

separazione e cooperazione (Interventi di Nicola Colaianni, David Garcìa–Pardo, Cesare Mirabelli), in “Quaderni di diritto e politica

ecclesiastica” 2/2009, p. 287.

74 Di questi strumenti si tratterà al paragrafo 2.2. sugli attori nazionali. 75 Cfr. Colaianni, p. 288.

76 Parla di convergenza dei modelli “estremi” di relazione verso il centro Giuseppe Casuscelli, Stati e religioni in Europa: problemi e prospettive, in “Stato Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2009, p. 4.

(29)

religioso nella formazione del legame sociale risulta ormai inevitabile e necessaria. Willaime precisa che “laïcitè, which must not be identified with the French system of church–state relations, is a European value78. (..) The construction of Europe cannot be accomplished via the generalised acceptance by other countries of one national model or another; this process is constantly on the lookout for subtle balances and compromises within the framework of respect for a few fundamental principles. Laïcitè is one of these principles. Not, however, laïcitè via the regulation of religion and the status of schooling as they have been institutionalised in France, but laïcitè as the respective autonomy of political and religious systems, dissociation of citizenship and religious affiliation, implementation of the right to worship freely – or not to worship at all – and respect for human rights”.

“La questione religiosa travalica se stessa (..): consente di evidenziare un certo numero di poste in gioco presenti nel progetto di una costruzione culturale dell'Europa che sia in grado di sostenere la nascita di una vera e propria cittadinanza europea”79.

Punto iniziale della riflessione è innanzitutto la presa d'atto della avvenuta secolarizzazione dell'Europa come tratto ineluttabile della

modernità80. Il paradigma della secolarizzazione ha subito un'importante revisione negli anni Settanta, quando si è andata (ri)affermando una forte presenza dell'elemento religioso sulla scena

e religione.

78 J. Willaime, European integration, Laïcité and Religion, in “Religion,

State and Society” , (rivista telematica

http://www.tandfonline.com/loi/crss20), 37/2009, p. 24.

79 D. Hervieu-Léger, La religione nella formazione del legame sociale

europeo, in “Europa laica e puzzle religioso. Dieci risposte su quel che

tiene insieme l'Unione”, a cura di K. Michalski e N. zu Fürstenberg, Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 47.

(30)

pubblica. “La proliferazione di nuovi movimenti religiosi, registrata dalla fine degli anni Sessanta in poi, ha consentito di rilevare quanto la credenza rimanga estremamente vivace nelle società europee”. Il legame con le istituzioni religiose ed ecclesiastiche (cd deregulation della religione istituzionale) si è indebolito. “Nelle società europee moderne, e specificamente in Europa, le identità religiose sono sempre più spesso delle identità scelte personalmente”81. Definisce bene lo stato della secolarizzazione in Europa la formula di Grace Davis

believing without belonging, che, rovesciata in belonging without believing, descrive ancor meglio il rapporto degli europei con la

religione. “Questo modo di appartenere senza credere fa da contraltare all'espansione delle credenze che non richiedono alcuna appartenenza. L'identità religiosa comune degli europei si delinea oggi attraverso l'avvento generalizzato di un individualismo spirituale che sconvolge i dispositivi istituzionali della trasmissione delle identità religiose”. Ma la questione più interessante non è tanto il progressivo indebolimento della religione, quanto il fatto che esso venga interpretato ricorrendo al

paradigma della laicizzazione e che sia “accompagnato da un'auto –

comprensione laicista che interpreta l'indebolimento come normale e progressivo”82. “L'identità laica, condivisa dalle élites europee e dalla gente ordinaria, trasforma la religione e l'identità cristiana in questioni spinose e complesse quando si tratta di definire l'identità culturale dell'Unione”. Ne sono esempi le questioni del dibattito dell'ingresso della Turchia nell'Unione, da un lato, e dell'integrazione degli immigrati non europei, dall'altro83.

81 Cfr. Hervieu-Léger, p. 50.

82 Sull'intreccio tra identità laiche e identità cristiane interessante la riflessione di J. Casanova, Religione, identità laiche e integrazione in

Europa, in “Europa laica e puzzle religioso. Dieci risposte su quel che

tiene insieme l'Unione”, a cura di K. Michalski e N. zu Fürstenberg, Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 71.

(31)

Sulla prima questione si può dire che finora il rifiuto dell'Europa si è ufficialmente fondato sullo scarso rispetto dei diritti umani da parte della Turchia, ma “ci sono segni abbastanza evidenti che l'Europa, estremamente laica, sia ancora troppo cristiana per immaginare un paese musulmano all'interno della Comunità europea”84. Il dibattito pubblico sulla questione dell'ammissione della Turchia ha mostrato che, in realtà, “è l'Europa il paese diviso, profondamente diviso riguardo alla propria identità culturale, incapace di rispondere alla domanda se l'unità europea, e quindi i propri confini interni ed esterni, dovrebbero essere definiti dalla comune eredità cristiana e dalla civilizzazione occidentale o dai valori moderni e laici del liberalismo, dei diritti umani universali, della democrazia politica e del multiculturalismo inclusivo”.

Per quanto riguarda l'accoglienza degli immigrati, in Europa si tende ad accostare come sinonimi immigrazione e Islam. “L'immigrato coincide con “l'altro” dal punto di vista religioso, razziale e socio-economico”85. Se le società dell'Europa occidentale sono profondamente secolarizzate e, quindi, tollerano e rispettano la libertà religiosa individuale, maggiore difficoltà si incontrano sul piano della vita pubblica e nell'organizzazione delle identità collettive. “L'alterità religiosa e le rappresentazioni pubbliche organizzate dai musulmani diventano motivo di ansia, non solo perché si tratta di una religione non cristiana e non europea, ma – cosa ancora più importante - anche perché quella religiosità è altra rispetto alla laicità europea”. Religione e identità confessionali pubbliche giocano un ruolo importante nel processo di integrazione dei nuovi immigrati, spesso posto in secondo piano rispetto alla convulsa e fallimentare politica di gestione della “emergenza immigrazione”.

84 Cfr. Casanova, pp. 75 – 76. 85 Cfr. Casanova, pp. 78 – 79.

(32)

Se si volge, per un attimo, l'attenzione oltre oceano, si può notare come, quasi sorprendentemente, le identità religiose e collettive siano state uno dei modi principali per strutturare il pluralismo interno della società americana. “La classica spiegazione della vitalità della religione86 americana è la separazione tra Stato e Chiesa (“Wall of Separation”87). La mancanza di un supporto statale ha costretto le Chiese americane a confrontarsi tra loro, e la competizione rende sempre più vitali le istituzioni”88.

Tornando all'Europa, “i problemi posti dall'annessione degli immigrati musulmani vengono consciamente o inconsciamente associati alle spinose questioni riguardanti il ruolo della religione nella sfera pubblica, che le società europee ritengono di aver già risolto, secondo la norma liberale laica della privatizzazione della religione”89. Gli europei liberali laici tendono a disapprovare le sfacciate espressioni di bigotteria razzista e di intolleranza religiosa, ma, quando si tratta di Islam, mostrano i limiti e i pregiudizi della tolleranza secolarizzata. “La formula politicamente corretta tende a seguire linee del tipo: Diamo il benvenuto a qualsiasi immigrato indipendentemente dalla razza e dalla religione, a patto che rispetti e accetti le nostre moderne, liberali, secolarizzate norme europee”90. “La spiegazione razionale che circola tra i liberali a sostegno delle restrizioni al libero esercizio della religione è in genere espressa in termini di emancipazione delle

86 Interpretando il testo, “religione” è da intendere come religiosità.

87 Formula che C. Taylor, Ambivalenza della religione e identità politica, in “Europa laica e puzzle religioso. Dieci risposte su quel che tiene insieme l'Unione”, a cura di K. Michalski e N. zu Fürstenberg, Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 99, ricoduce a Thomas Jefferson.

88 P. L. Berger, Integrazione religiosa ed europea: osservazioni

dall'America, in “Europa laica e puzzle religioso. Dieci risposte su quel

che tiene insieme l'Unione”, a cura di K. Michalski e N. zu Fürstenberg, Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 90.

89 Cfr. Casanova, p. 79. 90 Cfr. Casanova, p. 82.

(33)

ragazze dalla discriminazione di genere e dal controllo patriarcale”. L'esempio più lampante a tale proposito riguarda la Francia91 : con la legge 228 del 2004 è stato vietato l'uso del velo e di altri simboli religiosi all'interno degli edifici scolastici, “facendo prevalere il principio di laicità e la neutralità dello spazio pubblico sul diritto di libertà religiosa individuale e il significato discriminatorio e segregazionista del velo su ogni diverso valore che esso (..) può esprimere”92. “Il velo è generalmente considerato un segno di svilimento dell'identità femminile, simbolo dell'inferiorità della donna rispetto all'uomo”93. A riguardo di ciò, Fiorita precisa che “il riferimento al dettato coranico ci rivela che il testo sacro impone alle donne (ma anche agli uomini) solo un abbigliamento pudico ed un generico velo, senza peraltro prevedere alcuna sanzione nel caso di trasgressione dell'obbligo. (..) In alcuni paesi mussulmani il velo rappresenta una tradizione culturale, strettamente intrecciata all'elemento religioso, che da secoli è utilizzata per simboleggiare la subordinazione della donna all'uomo, la sua esclusione dalla sfera pubblica attraverso la negazione del suo volto, il controllo della sua sessualità attraverso la mortificazione della sua bellezza”94.

91 Con la sentenza pronunciata per il caso S.A.S. c. Francia (n. 43835/11), la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha ritenuto che la legge francese dell’11 ottobre 2010 che proibisce l’occultamento del volto negli spazi pubblici non determina una violazione della Convenzione europea dei diritti umani e specificatamente del diritto al rispetto della vita privata, del diritto alla manifestazione del proprio credo religioso e del diritto a non subire discriminazioni.

92 Così ci spiega la legge 228/2004 N. Fiorita, Libertà religiosa e società

multiculturali: il caso del velo islamico, in “La libertà di manifestazione

del pensiero e la libertà religiosa nelle società multiculturali”, Firenze University Press, Firenze, 2009, p. 94.

93 Questa riflessione sul ruolo del velo è di N. Göle, Nuovi musulmani e

sfera pubblica europea, in “Europa laica e puzzle religioso. Dieci risposte

su quel che tiene insieme l'Unione”, a cura di K. Michalski e N. zu Fürstenberg, Marsilio Editori, Venezia, 2005, p. 143.

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