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Capitolo 1 Diritto Forestale Internazionale ed Europeo

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Capitolo 1

Diritto Forestale Internazionale ed

Europeo

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1.1. La tutela delle foreste nel diritto internazionale

E’ dalla fine degli anni ’70 e ancor più, poi, dagli anni ’80 del XX secolo che, all’affermarsi progressivo dell’esigenza e della necessità di tutela ambientale nonché, particolarmente, in concomitanza con l’elaborazione, nel Rapporto Brundtland del 1987, del concetto di sviluppo sostenibile1, si diffonde, sul piano internazionale, la preoccupazione per l’allarmante tasso di scomparsa delle foreste, figurante come causa della riduzione della biodiversità del pianeta, oltre che come minaccia per l’ambiente in cui l’uomo vive, per la fondamentale funzione ecologica-protettiva dalle stesse2.

Si acquisisce, così, la consapevolezza che la foresta non può più considerarsi soltanto, come fino ad allora si è fatto e in maniera esclusiva, come un bene produttivo ed economico, fonte di legname, cortecce, resine, funghi, castagne, fragole, mirtilli, ecc.; la foresta è anche, e soprattutto, un bene a rilevanza ambientale e, in quanto tale, va preminentemente tutelato3 piuttosto che, esclusivamente e incondizionatamente, sfruttato secondo la sua configurazione tradizionale.

Ebbene, inizialmente, la protezione delle foreste, invocata a livello internazionale, viene inserita nel più ampio contesto della tutela dell’ambiente4

, costruita sui principi affermatisi in seno alla Dichiarazione delle Nazioni Unite

1

Come è noto, il concetto di sviluppo sostenibile viene inteso come quella forma di sviluppo che riesce a soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, senza compromettere quelli delle generazioni future, e comporta, inevitabilmente, la ricerca di un bilanciamento tra fattori ecologici, economici e sociali, sul presupposto della stretta interrelazione che devono avere la protezione dell’ambiente e la crescita economica.

2

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, Manuale di diritto forestale e

ambientale, Giuffrè, 2008, p. 2.

3

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 2. 4

V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, Trattato di diritto

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3

sull’ambiente umano, tenutasi a Stoccolma dal 5 al 16 giugno del 1972, e alla Carta Mondiale della Natura del 19825. A tali principi6 gli Stati vanno progressivamente conformandosi, sia nella regolazione dei rapporti reciproci attinenti a questioni di rilevanza ambientale che nell’adozione delle misure di carattere ambientale sui rispettivi territori, e, seppur essi non facciano riferimento esplicito alle foreste e alla loro tutela, come è evidente, il degrado o il danno ambientali si riscontrano anche nell’attività di deforestazione, in un incendio o nello sfruttamento incontrollato delle foreste7.

All’inizio degli anni ’90, poi, allorquando ci si rende conto che le foreste contribuiscono in maniera significativa allo sviluppo sostenibile, esse divengono oggetto di un diritto internazionale autonomo rispetto a quello ambientale8. Difatti, progressivamente, gli Stati hanno accettato di collaborare nel perseguire azioni comuni e nel definire principi comuni che regolassero, specificamente, l’utilizzo e la protezione delle foreste localizzate nei rispettivi confini nazionali9.

Anche se ad oggi ancora non esiste un trattato internazionale sulla tutela forestale, un accordo, cioè, che

5

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 3. 6

I principi a cui ci si riferisce attengono: all’uso razionale delle risorse naturali nell’interesse delle generazioni presenti e future (principi 2, 3, 5, 17 della Dich. Stoccolma; preambolo e principi 4 e 10 della Carta Mondiale della natura); al dovere di conciliare lo sviluppo sociale ed economico con la necessità di preservare e migliorare l’ambiente (princ. 13, Dich. Stocc.; pr. 7 e 8, C.M.N.); al divieto di inquinare e il dovere di prevenire le attività che possono causare danni gravi ed irreparabili all’ambiente, in particolare oltre i confini nazionali (pr. 6 e 7 della Dich. Stocc.; pr. 11 e 12, C.M.N.); all’obbligo di risarcire i danni ambientali arrecati agli altri Stati (pr. 21 Dich. Stocc.); all’obbligo di collaborare tra gli Stati al fine di controllare, prevenire, ridurre ed eliminare gli effetti nocivi dell’inquinamento e del degrado ambientale (pr. 22, Dich. Stocc.; pr. 12 e 13, C.M.N.).

7 V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., pp. 3-4. 8

V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 89. 9

V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 89; A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 2.

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4

vincoli gli Stati firmatari a rispetto del suo contenuto, a partire dalla Conferenza sull’ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED- United Conference

Environment and Development), tenutasi a Rio de Janeiro,

dal 3 al 14 giugno del 1992, emerge una sensibilità crescente per la materia, estrinsecata con relativi frequenti

meeting internazionali, dichiarazioni di principio e

programmi di interventi concordati tra gli Stati10. In effetti, la dottrina11 considera la Conferenza come lo spartiacque tra il periodo degli anni ’70-’80, in cui, appunto, come si è detto, la tutela delle foreste non è oggetto di attenzione internazionale di per sé, e ad essa sono applicabili i principi generali dell’emergente diritto internazionale ambientale, e il periodo in cui le foreste, considerate bene-risorsa fondamentale per lo sviluppo sostenibile, diventano oggetto di un diritto internazionale forestale, autonomo da quello ambientale e nato, proprio, in seno alla stessa Conferenza.

1.1. La Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro

In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro, più di 170 paesi del mondo adottano una serie di importanti documenti relativi, direttamente o indirettamente, alla protezione delle foreste e in ragione

del fatto che queste costituiscono, ormai

imprescindibilmente, preoccupazione ed insieme interesse della comunità internazionale, in qualità, soprattutto, di

10

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., pp. 2-3. 11

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 3; L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 90.

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5

bene ambientale e di bene fondamentale per lo sviluppo sostenibile da garantire nel pianeta. Nello specifico, gli atti elaborati sono riferibili a due diverse tipologie: da un lato, veri e propri accordi internazionali, dunque, giuridicamente vincolanti per gli Stati che li ratificano, quali la Convenzione sulla Biodiversità (Convention on

Biological Diversity, da cui l’acronimo CBD) e la

Convenzione sui cambiamenti climatici (United Nations

Framework Convention on Climate Change, UNFCCC),

riguardanti la materia forestale solo indirettamente; dall’altro lato documenti cosiddetti programmatici, non giuridicamente vincolanti e tuttavia importanti sotto il profilo politico, rilevanti per il settore forestale12. A quest’ultima categoria sono riconducibili: in primis, il programma di azione per uno sviluppo globalmente sostenibili, noto come Agenda 21, che include un capitolo, l’undicesimo, dedicato alla lotta contro la deforestazione; in secondo luogo, la Dichiarazione di principi sull’ambiente e lo sviluppo e la comunemente detta Dichiarazione sulle foreste (nel suo titolo per esteso:

Non-legally Binding Authoritative Statement of Principles for a Global Consensus on the Management, Conservation and Sustainable Development of all Types of Forests).

La Convenzione sulla Biodiversità, in particolare, mira, evidentemente, alla conservazione della diversità biologica ma anche all’uso sostenibile delle componenti di quella e alla giusta ed equa divisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche mediante, tra l’altro, l’accesso adeguato a queste, il trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti, con riguardo per tutti i diritti

12

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 5; L. COSTATO- E ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 90.

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6

relativi ad entrambe, e finanziamenti necessari13. In quest’ottica di preservazione della diversità biologica, intesa, come noto, come la variabilità tra gli organismi viventi di qualsiasi origine, ed inclusa la diversità tra specie ed ecosistemi14, la Convenzione si affaccia anche ai beni forestali, rappresentanti, peraltro, uno dei più consistenti serbatoi della stessa.

La Convenzione sui cambiamenti climatici, invece, dal canto suo, ha come obiettivo la stabilizzazione e la riduzione delle concentrazioni di gas-serra in atmosfera, effetti principali dell’attività antropica e causa di un generale surriscaldamento della Terra15. Dal trattato di per sé, seppur, come si è detto, giuridicamente vincolante, non conseguono, tuttavia, impegni stringenti per gli Stati, riferibili a scadenze temporali comuni ed anche obbligatorie; esso prevede, piuttosto, che ad imporre, agli Stati, limiti obbligatori di emissione dei gas-serra siano le sue previsioni di aggiornamento16, detti protocolli, adottati in seno alla Conferenza delle parti (COP), riunita annualmente per valutare le azioni precedentemente intraprese e i nuovi impegni da assumere, anche alla luce delle conclusioni dei rapporti dell’IPCC17

. Ecco, così, che il fondamentale strumento attuativo della Convenzione sarà, come verrà approfondito successivamente, il Protocollo di Kyoto, adottato nella COP 3 di Kyoto, nel 1997, e che, negoziato per il periodo 2008-2012 e una

13 V. http://europa.eu/legislation_summaries/development/sectoral_deve lopment_policies/|28102_it.htm, consultato il 3/09/2013. 14

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 5. 15 V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 6. 16

http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/special i/Durban/Negoziati.htm, consultato il 9/09/2013.

17

L’acronimo sta per Intergovernmental Panel on Climate Change: Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico e foro scientifico sul riscaldamento globale, dal 1988.

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7

riduzione del 5% delle emissioni di gas-serra, rispetto ai livelli del 1990, da parte dei Paesi industrializzati, riconosce nelle foreste un contributo essenziale per le politiche di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici, come fonti di carbonio e di energia rinnovabile. La Dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo è una semplice dichiarazione di principi; non comporta il sorgere di obblighi internazionali in capo agli Stati firmatari e eppure segna, secondo la dottrina18, una svolta importante nella cooperazione internazionale sulla tutela dell’ambiente: è, difatti, il frutto di negoziati e compromessi tra numerosi Stati, con posizioni ed interessi diversi e conflittuali, conciliabili, appunto, solo con un documento costruito su basi minimaliste. Si auspicava l’adozione della Carta della Terra, viene elaborata, invece, una Dichiarazione che, in 27 punti, definisce principi importanti in materia di ambiente e sviluppo, sostanzialmente riprendendo ed affinando quelli della Dichiarazione di Stoccolma, come una sorta di codice di comportamento etico ambientale per gli Stati di grande portata, seppur, appunto, riduttivo e non vincolante19. Ebbene, sul presupposto, da un lato, che «gli esseri umani sono al centro delle problematiche per lo sviluppo sostenibile» e «hanno diritto ad una vita sana e produttiva, in armonia con la natura» (Principio 1) e, dall’altro, che «gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse [tra cui, appunto, anche le foreste], in funzione delle rispettive politiche ambientali e di sviluppo, purché ciò non causi danni all’ambiente di altri Stati o di territori oltre i confini della giurisdizione nazionale» (Pr. 2), la Dichiarazione afferma, tra le altre cose, il principio di integrazione tra la tutela ambientale e il processo di

18

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 6. 19

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sviluppo, coerentemente con la soddisfazione delle esigenze delle generazioni presenti e future (Pr. 3, 4), il dovere di collaborazione tra gli Stati, il principio della responsabilità comune ma differenziata, nel ripristino della salute e dell’integrità dell’ecosistema terrestre (Pr. 7), la possibilità di partecipazione dell’individuo ai processi decisionali riguardanti l’ambiente (Pr. 10), la necessità per gli Stati di elaborare leggi sulla responsabilità civile e sull’indennizzo delle vittime dell’inquinamento e di altri danni ambientali (Pr. 13), l’applicazione del metodo precauzionale alla protezione dell’ambiente, per prevenire danni anche in assenza di certezza scientifica del loro manifestarsi (Pr. 15), l’internalizzazione dei costi ambientali e il principio “chi inquina paga” (Pr. 16), la sottoposizione alla valutazione di impatto ambientale delle attività con rilevante impatto negativo sull’ambiente (Pr. 17)20.

L’Agenda 21, invece, costituisce un vastissimo e completo programma d’azione da intraprendere nel XXI secolo21

, a livello globale, nazionale e locale, con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse operanti su un determinato territorio, in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull’ambiente22

, volto a realizzare la completa integrazione tra l’ambiente e lo sviluppo, in un ambito di generale cooperazione internazionale, come una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta23. Le tematiche affrontate esauriscono tutta la problematicità

20

V. http://www.un.org/documents/ga/conf151/aconf15126-1annex1.htm, consultato il 3/09/2013.

21 Difatti, la cifra 21, che fa da attributo alla parola Agenda, si riferisce al XXI secolo, in quanto temi prioritari di questo programma sono le emergenze climatico-ambientali e socio-economiche che l’inizio del terzo millennio pone, inderogabilmente, dinanzi all’umanità (v.

http://it.wikipedia.org/wiki/Agenda_21, consultato il 3/09/2013). 22

V. http://it.wikipedia.org/wiki/Agenda_21, consultato il 3/09/2013. 23

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ambientale del mondo e, nell’ottica dello sviluppo sostenibile, l’Agenda proietta l’uomo nel secolo a venire, fornendogli tutti gli strumenti necessari24.

L’Agenda, nello specifico, si articola in 4 sezioni, 40 capitoli e più di 100 aree programmatiche; le sezioni si riferiscono a:

1) dimensioni sociali ed economiche, con tematiche come la povertà, la sanità, l’ambiente, gli aspetti demografici, la produzione;

2) conservazione e gestione delle risorse, quali atmosfera, foreste, deserti, montagne, acqua, prodotti chimici, rifiuti;

3) rafforzamento del ruolo dei gruppi più significativi, quali donne, giovani, anziani, ONG, agricoltori, sindacati, settori produttivi, comunità scientifica;

4) mezzi di esecuzione del programma, come strumenti scientifici, formazione, informazione, cooperazione internazionale, strumenti finanziari, strumenti giuridici.

In particolare, il capitolo 11 del documento, dedicato alla “Lotta alla desertificazione”, propone una serie di interventi volti a promuovere un uso sostenibile delle foreste25. Tali misure, suddivise in 4 parti, riguardano26:

1) “il sostegno delle molteplici funzioni dei diversi tipi di foreste e terreni boscati”27;

24 V. http://it.wikipedia.org/wiki/Agenda_21. 25

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 7. 26

Sul Capitolo 11 di Agenda 21 v.

http://www.unep.org/Documents.Multilingual/Default.asp?documen tid=52, consultato il 3/09/2013.

27

Nello specifico, sul presupposto che le foreste assolvono ad un importante compito ecologico, economico, sociale e culturale e che i Paesi sviluppati devono affrontare gli effetti dell’inquinamento atmosferico e degli incendi sulle foreste, gli obiettivi da raggiungere, nell’ambito di questo primo tipo di misure, sono:

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10

2) “il rafforzamento della protezione, della gestione sostenibile e della conservazione di tutte le foreste e delle aree verdi degradate”28;

3) “la promozione di un uso efficiente e di valutazioni adeguate al fine di stimare il pieno valore dei beni e servizi offerti dalle foreste e dai terreni boscati”29;

4) “la determinazione e il rafforzamento delle capacità di programmazione, valutazione e

a) il rafforzamento e la razionalizzazione delle istituzioni nazionali e delle strutture amministrative relative alle foreste, consentendo loro di acquisire le conoscenze necessarie per la tutela e la conservazione dei beni in questione e di migliorare l’efficacia dei programmi e delle attività relative alla gestione e allo sviluppo sostenibile degli stessi, nonché espandendo il loro campo d’azione e favorendo la cooperazione e il coordinamento dei loro rispettivi ruoli, un efficace sistema di comunicazione e il decentramento del processo decisionale;

b) la promozione della partecipazione del settore privato (sindacati, cooperative rurali, giovani, donne, comunità locali, ONG) nelle attività forestali e la possibilità per lo stesso di accedere alle informazioni e alla formazione dei programmi relativi ai boschi;

c) la stabilizzazione, lo sviluppo e il sostegno di un efficace sistema di estensione delle foreste, nonché dell’istruzione pubblica per garantire conoscenza, apprezzamento e gestioni migliori delle foreste.

28

Si tratta delle misure riferibili alle attività di riabilitazione, afforestazione, riforestazione, nonché ad ogni altra attività di recupero delle foreste, nella consapevolezza che tali beni siano minacciati dal degrado incontrollato e dalla conversione delle terre ad altri usi più consoni ai bisogni umani, come l’espansione della coltivazione, nonché dalla mancanza di un controllo adeguato degli incendi forestali e delle misure di anti-bracconaggio, dal disboscamento e dallo sfruttamento eccessivo dei pascoli e che l’impatto della perdita e del degrado delle foreste si manifesti come erosione del suolo, perdita della diversità biologica, danni agli habitat delle specie selvatiche e degrado della qualità della vita.

29

Tale tipologia di misure, invece, si fondano sulla convinzione che le ampie potenzialità delle foreste non siano ancora pienamente sviluppate e che la gestione sostenibile delle stesse possa contribuire all’incremento dell’occupazione e del reddito delle popolazioni interessate, attraverso la promozione, tra le altre, delle attività di eco-turismo e di gestione dell’offerta di materiale genetico.

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11

osservazione sistematica delle foreste e dei relativi programmi, progetti ed interventi”30

.

Nel complesso, l’Agenda, secondo la dottrina31

, pur presentando molti punti deboli, costituisce, sorprendentemente, il primo passo delle amministrazioni pubbliche verso la sensibilizzazione alla valutazione dei costi-benefici connessi all’adozione di specifiche iniziative economiche e sociali, che tengano conto della necessità di proteggere le risorse naturali nell’interesse delle generazioni presenti e future.

La Dichiarazione delle foreste rappresenta, infine, il primo esempio di consenso globale in materia di foreste, sebbene il suo lungo e complesso titolo32 sia espressione della difficoltà con cui gli Stati redattori abbiano raggiunto un accordo in merito33.

Fra i tanti insuccessi della Conferenza di Rio, la dottrina ricorda proprio la mancata firma di una convenzione che regolasse l’uso del patrimonio forestale mondiale come il maggiore34. L’obiettivo originario dell’Onu era, appunto, quello, l’adozione, cioè, di un atto sulle foreste che impegnasse giuridicamente gli Stati firmatari; sennonché, durante i lavori preparatori, affioreranno forti contrasti specie in relazione al diritto di taglio delle stesse: tenace sarà, infatti, l’opposizione dei Paesi del Sud del mondo, possessori di un immenso serbatoio di risorse riferibile proprio allo sfruttamento dei propri patrimoni forestali. Ciò costringerà, appunto, ad optare per una dichiarazione

30

Infine, queste ultime misure previste si fondano sulla necessità di procedere a realistici programmi di lungo periodo per la conservazione, la gestione e la rigenerazione del settore.

31

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 8. 32

Non-legally Binding Authoritative Statement of Principles for a

Global Consensus on the Management, Conservation and Sustainable Development of all Types of Forests.

33

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., pp. 8-9. 34

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12

di intenti, enunciante 15 principi sulla tutela delle foreste e, sostanzialmente, frutto dell’applicazione alle foreste dei principi internazionali statuiti dalla Dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo per la tutela dell’ambiente, in generale35.

Scendendo nel dettaglio, il documento si apre con un preambolo in cui il tema forestale viene riconosciuto come connesso ai problemi e alle opportunità ambientali e di sviluppo e, in particolare, al diritto ad uno sviluppo socio-economico sostenibile: le foreste sono, difatti, beni essenziali per l’economia e, allo stesso tempo, per la preservazione di tutte le forme di vita. L’obiettivo guida perseguito è relativo alla gestione, alla conservazione e allo sviluppo sostenibile delle foreste ed anche alla promozione della multifunzionalità e della complementarietà degli usi delle stesse36.

Al Principio 1, riprendendo il Principio 2 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, si riconosce che gli Stati hanno «il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse naturali secondo le proprie politiche ambientali ed hanno la responsabilità di garantire che le attività svolte sotto la loro giurisdizione non arrechino danni all’ambiente di altri Stati o di altri territori aldilà della propria giurisdizione»37.

La Dichiarazione indica, poi, i criteri a cui si dovranno ispirare le politiche nazionali di gestione sostenibile delle foreste, nell’ottica di perseguire un uso razionale del suolo e di mantenere il valore multifunzionale di tali risorse. Tra quelli, in particolare: l’adozione di misure volte a

35

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 9. 36

Sulla Dichiarazione sulle foreste v.

http://un.org/documnets/ga/conf151/aconf15126-3annex3.htm, consultato il 4/09/2013.

37

V. http://un.org/documents/ga/conf151/aconf15126-3annex3.htm, consultato il 4/09/2013.

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13

proteggere le foreste dagli effetti nocivi dell’inquinamento e dagli incendi (Principio 2b); la necessità di fornire informazioni tempestive, affidabili e precise sulle foreste e sugli ecosistemi forestali, nonché quella di assicurare un processo decisionale informato (Principio 2c); la partecipazione delle comunità locali, industrie, ONG ed individui alla programmazione e all’attuazione delle politiche forestali (Principio 2d); l’esigenza di favorire la cooperazione internazionale in materia di foreste (Principio 3b); il riconoscimento alle foreste, da parte delle legislazioni nazionali, della funzione di protezione dei diversi e fragili ecosistemi e, in generale, della biodiversità (Principio 4); lo sviluppo di politiche forestali che consentano alle comunità, presenti nelle foreste, di avere un profitto da tali risorse, adeguati livelli di sussistenza e benessere, come incentivo per la gestione sostenibile di esse (Principio 5a); il considerare le foreste come fonte di produzione di energia rinnovabile (Principio 6a); l’adozione di un metodo di analisi dei costi-benefici ambientali ed economici (Principio 6c); il riconoscere le foreste come fonte per la produzione di materie prime (Principio 6d), nonché di beni e servizi (Principio 6e); il prevedere, nell’ambito delle politiche nazionali, azioni volte alla riabilitazione, riforestazione, afforestazione e alla lotta alla deforestazione (Principi 8, 10); il ricorso alla valutazione d’impatto ambientale per ogni azione da intraprendere (Principio 8h); il favorire ricerca scientifica, inventari e valutazioni forestali, come pure lo sviluppo tecnologico per l’applicazione di quelli nell’ambito della gestione forestale sostenibile (Principio 12); la tutela e il sostegno delle capacità acquisite dagli indigeni, nonché delle conoscenze locali nella conservazione e nello sviluppo sostenibile delle foreste (Principio 12d); la

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14

facilitazione del libero commercio internazionale dei prodotti forestali, fondato sulla non discriminazione (Principio 13); l’incorporazione dei costi e dei benefici del mercato dei prodotti forestali (Principio 13c); l’abbandono delle politiche fiscali, commerciali ed industriali comportanti un degrado delle foreste e l’incoraggiamento, piuttosto, di quelle favorenti, anche, se del caso, con incentivi, la loro gestione sostenibile e la conservazione (Principio 13e); la rimozione delle misure volte a limitare e/o vietare il commercio internazionale di legname o di altro prodotto forestale (Principio 14); il controllo delle sostanze inquinanti per la salute del bosco (Principio 15).

1.2. Le foreste nel panorama internazionale dopo la Conferenza di Rio de Janeiro

A seguito della Conferenza di Rio, e specificamente nel 1995, l’incarico di seguire il processo di attuazione dell’Agenda 21 viene demandato alla Commissione dell’Onu per lo sviluppo sostenibile (United Nations

Commission on Sustainable Development, UNCSD). A

sua volta, questa istituisce, quale suo organo sussidiario, il Gruppo intergovernativo sulle foreste (Intergovernmental

Panel on Forest, IPF), creato con mandato a termine per il

periodo 1995-1997 e, poi, sostituito, per il periodo 1997-2000, dal Forum intergovernativo sulle foreste (Intergovernmental Forum on Forest, IFF), con il compito specifico di promuovere l’attuazione sia del Capitolo 11 dell’Agenda 21, dedicato, appunto, alla lotta contro la deforestazione, sia della Dichiarazione sulle foreste38, e di rappresentare un tavolo di trattativa e di coordinamento

38

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., pp. 10-11; L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, vol. 2, p. 91.

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15

delle politiche di gestione forestale sostenibile, sino a formulare una proposta per l’adozione di uno strumento giuridicamente vincolante per la protezione delle foreste. A tali organismi partecipano, oltretutto, anche le ONG39. Ebbene, tre, in pratica, sono i campi di intervento della materia forestale che il Gruppo intergovernativo e il Forum, poi, prospettano come oggetto delle iniziative di regolamentazione: il commercio internazionale, la gestione forestale sostenibile, le problematiche ambientali40. In realtà, l’attività di questi si conclude con un’intensa opera di approfondimento delle questioni relative alla cooperazione internazionale in materia forestale e con l’elaborazione di 270 proposte di azione, non giuridicamente vincolanti41 ma, secondo la dottrina42, quantomeno politicamente imprescindibili, per gli Stati. A seguito di tali insoddisfacenti risultati, la Risoluzione 2000/35 del Consiglio Economico e Sociale dell’Onu propone la nascita di nuovi strumenti di ulteriore impulso ai negoziati nel settore forestale: si istituisce, così, come organo sussidiario del Consiglio, il Forum delle Nazioni Unite sulle foreste (United Nations Forum on forests, UNFF) che, con sessioni annuali, esamini gli strumenti di attuazione globale dei documenti sulle foreste della Conferenza di Rio, promuova la gestione, la protezione e lo sviluppo sostenibile di tutti i tipi di foreste, sostenendo l’implementazione degli accordi in materia e l’assunzione di un impegno giuridicamente vincolante, basato sul

39

V. A. HOFFMAN, Linee di politica delle risorse forestali, FrancoAngeli, 2012, p. 21.

40

L’IFF utilizza il termine track per indicare questi tre “sentieri di sviluppo”, appunto, questi tre gruppi di iniziative intraprese nell’ambito dell’attività normativa forestale internazionale (v. A. HOFFMAN, cit., p. 21).

41

V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 91. 42

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16

capitolo 11 dell’Agenda 21, sulla Dichiarazione sulle foreste e sull’esito dei lavori dell’IFF43

.

L’UNFF, in realtà, non si è mai dimostrato in grado di funzionare perché sulle decisioni hanno prevalso sempre forti interessi economici che gli hanno impedito di divenire, effettivamente, uno strumento politico in grado di influenzare in alcun modo le politiche forestali nazionali44.

A distanza di quindici anni dalla Conferenza di Rio, il tentativo di concludere un accordo internazionale sulle foreste risulta, così, nuovamente fallito: difatti, nell’aprile del 2007, il Forum delle Nazioni Unite sulle foreste, nella sua VII sessione, è riuscito ad elaborare solamente un nuovo documento di intenti, il Non Legally Binding

Instrument on all Type of Forests (strumento giuridicamente non vincolante per tutti i tipi di foreste, NLBI), approvato, poi, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre del 200745, e un Programma di lavoro pluriennale, per il periodo 2007-201546. Tale documento è ritenuto, al momento, il solo accordo stipulato sulla gestione dei boschi e il più alto atto di politica forestale, a livello internazionale, destinato ad esercitare un notevole impatto sulla cooperazione multiregionale in materia forestale e sulle politiche forestali nazionali, fornendo un contesto di riferimento valido almeno fino al 201547. Esso è finalizzato infatti a rafforzare, entro il 2015, la cooperazione internazionale nell’ambito sia della gestione sostenibile delle foreste, sia

43

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 11; L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 91.

44

V.

http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2006/1/unff.p df, consultato il 7/09/2013.

45

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 11. 46

V. A. HOFFMAN, cit., p. 21. 47

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17

della ricerca, sia della promozione del commercio dei prodotti forestali48, sia dell’accesso e dello scambio relativo alla tecnologia innovativa e al know-how, specie nei Paesi in via di sviluppo49.

Ancor più nello specifico, l’atto, muovendosi dalla preoccupazione, da un lato, per i consistenti fenomeni di deforestazione e degradazione delle foreste del Pianeta e, dall’altro lato, per il basso tasso di afforestazione, recupero della copertura forestale e riforestazione, riconosce l’impatto che i cambiamenti climatici hanno sulle foreste e sulla loro gestione e, di contro, l’importante contributo che le foreste possono dare alla lotta ai cambiamenti climatici, in conformità a quanto affermato nel Protocollo di Kyoto del 199750. Individua, poi, come obiettivi primari ed innovativi il rafforzamento della cooperazione internazionale e la lotta alla povertà e appone come termine per la realizzazione degli obiettivi globali, indicati al IV paragrafo del documento, e per la ristrutturazione dell’intera politica forestale mondiale il 201551.

I 4 obiettivi sono:

1) invertire la tendenza alla perdita del manto forestale in tutto il mondo, attraverso la gestione sostenibile delle foreste, il rispristino, l’afforestazione, la riforestazione e l’incremento dell’attività di prevenzione del degrado delle stesse;

2) potenziare i benefici sociali ed economici dei boschi, anche migliorando i mezzi di sussistenza

48

V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 91. 49

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 12.

50 V. http://www.un.org/esa/forests/pdf/ERes2007_40E.pdf, consultato il 20/09/2013.

51

V. http://www.un.org/esa/forests/pdf/ERes2007_40E.pdf, consultato il 20/09/2013.

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delle popolazioni la cui economia e il cui sostentamento dipende dalle foreste;

3) aumentare significativamente la superficie delle foreste protette in tutto il mondo e delle foreste gestite in modo sostenibile, nonché la percentuale dei prodotti ottenuti dalla gestione sostenibile delle foreste;

4) invertire la tendenza di riduzione dell’assistenza pubblica alla gestione sostenibile delle foreste e, parallelamente, aumentare i finanziamenti destinati a tale scopo52.

L’accordo sottolinea, inoltre, il ruolo basilare dei programmi forestali nazionali in materia di attuazione della gestione forestale sostenibile, specie in riferimento all’adozione delle misure ambientali e alla promozione ed implementazione di sistemi volontari di certificazione e nell’ottica, appunto, di incoraggiare nei privati e nei proprietari delle foreste un tale tipo di gestione53. Gli Stati, nel perseguire gli obiettivi indicati, vengono invitati ad adottare una serie di misure che, seppur meno generiche rispetto ai principi sulle foreste affermati nel 1992, per l’assenza di vincolatività giuridica dell’atto e il linguaggio utilizzato, degradano, comunque, a meri criteri di riferimento per gli Stati54. Ad ogni modo, in capo a questi coesistono il diritto sovrano di utilizzare le proprie risorse forestali e la responsabilità di garantire la conservazione e la gestione sostenibile di quelle e di non causare, con le proprie attività, danni all’ambiente di altri Stati o di zone fuori la giurisdizione nazionale55 e, tra questi, secondo

52

V. http://www.un.org/esa/forests/pdf/ERes2007_40E.pdf, consultato il 20/09/2013.

53 V. A. HOFFMAN, cit., p. 22; A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 12. 54

V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 12. 55

Cfr. 4° punto del Preambolo e 2° paragrafo del Principio 2b del Non

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19

parte della dottrina, il documento porrebbe l’accento sulla seconda56.

Il Forum delle Nazioni Unite sulle foreste si è riunito, poi, per la sua ottava sessione, dal 20 aprile al 1° maggio del 2009, a New York City. In tale occasione, si è ulteriormente sottolineato il grave rischio a cui i cambiamenti climatici, la crisi finanziaria e uno sviluppo non sostenibile stanno esponendo le foreste, quale risorsa naturale mondiale di valore inestimabile57, giungendo, in conclusione, all’adozione della Risoluzione “Draft

Resolution on forests in a changing environment, enhanced cooperation and cross-sectoral policy and programme coordination, regional and sub-regional inputs”58.

La risoluzione59 in questione, tra le altre cose, incoraggia gli Stati membri dell’UNFF a rafforzare l’attuazione della gestione sostenibile delle foreste, nell’ambito delle sfide poste a quelle dai cambiamenti climatici, dalla deforestazione e dalla perdita di copertura forestale e biodiversità e, allo stesso tempo, del loro contributo alla lotta di tali fenomeni. Si invita, inoltre, ad una più

consistente collaborazione internazionale e

all’integrazione di tutte le politiche rilevanti per le risorse forestali, coerentemente anche con i piani nazionali di sviluppo e di riduzione della povertà60.

56

Così L. PASQUALI, Ricercatore universitario presso il Dipartimento di Giurisprudenza di Pisa.

57 V.

http://www.cmcc.it/it/articolo/1-maggio-2009-unff8-8a-sessione-del-forum-delle-nazioni-unite-sulle-foreste-new-york-usa, consultato il 9/09/2013.

58 Traduzione propria: “Foreste in un ambiente che cambia, maggiore cooperazione e coordinazione delle politiche e dei programmi multi-settoriali ed input regionali e subregionali”.

59 La Risoluzione è reperibile su

http://www.un.org/esa/forests/pdf/session_documents/unff8/Draft _Res_W61.pdf, consultato il 10/09/2013.

60

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20

In conclusione, se delle ragioni del fallimento dell’UNFF si è detto, manca da riscontrarlo nelle scarse partecipazioni ai questionari inviati agli Stati da parte del Segretariato dell’organismo, per acquisire tutte le informazioni necessarie ad avviare il processo di revisione e riforma, e nel mancato impegno di informare l’ufficio stesso relativamente ai progressi realizzati in ambito forestale61. A livello internazionale, dunque, dalla Conferenza di Rio, nonostante l’intensa opera di sensibilizzazione svolta per rendere gli Stati consapevoli della necessità di tutelare il patrimonio forestale, non si è ancora giunti alla conclusione di un accordo giuridicamente vincolante in materia e, in dottrina, non manca chi62, proprio in ragione di ciò, sottolinea il rischio che le Dichiarazioni di principio, susseguitisi nel tempo, possano rilevarsi un mero palliativo, soprattutto per le implicazioni di carattere politico ed economico connesse al problema della tutela delle foreste. Sullo scenario internazionale, così, si è ipotizzato di rimediare con o l’elaborazione di un nuovo accordo sulle foreste, o l’adozione di una convenzione vincolante sulle foreste, o la conclusione di una convenzione quadro sulle foreste con specifiche regionali, o la creazione di un protocollo alla Convenzione sulla Biodiversità, vincolante sulle foreste, o la continuazione dell’UNFF, o, infine, il potenziamento dell’organizzazione ambientale dell’Onu con componente la FAO63

. Non riuscendo a propendere per nessuna, in particolare, di quelle, è opportuno, per lo meno, soffermarsi sulla FAO,

61 V.

http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2006/1/unff.p df, consultato il 7/09/2013.

62 V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit., p. 92. 63

http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2006/1/unff.p df, consultato il 7/09/2013.

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21

in qualità di ulteriore importante tassello della politica forestale internazionale delle Nazioni Unite.

La Fao ( acronimo di Food and Agriculture Organization

of the United Nations; in italiano: Organizzazione delle

Nazioni Unite per l’alimentazione e per l’agricoltura) è un’agenzia delle Nazioni Unite, fondata nel 1945, con il mandato di sviluppare in tutto il mondo i settori dell’agricoltura produttiva e dell’alimentazione, accrescendo i livelli di nutrizione e riducendo la fame cronica,di migliorare la vita delle popolazioni rurali e di contribuire alla crescita economica mondiale64. Tra i suoi obiettivi strategici vi è anche la gestione sostenibile delle foreste del mondo e uno degli otto Dipartimenti in cui la Fao si articola, il Dipartimento Forestale, volge specificamente la sua azione alla materia forestale. Esso, in particolare, aiuta i paesi membri dell’ONU a gestire le proprie foreste in maniera sostenibile, bilanciando gli aspetti sociali ed ambientali delle foreste con i benefici economici del commercio dei prodotti in esse presenti, dei quali si favorisce anche un’equa distribuzione65

.

La Fao, nel complesso, e, per ciò che ci riguarda particolarmente, il suo Dipartimento forestale fungono da

forum neutrale dove gli Stati si incontrano anche per

negoziare accordi e per discutere le politiche da adottare in materia forestale, peraltro sulla base dei dati che gli Stati elaborano con il suo aiuto e delle informazioni che essa stessa raccoglie anche su foreste e risorse forestali. Essa fornisce, per giunta, assistenza tecnica e consulenza perché gli Stati sviluppino e realizzino programmi nazionali forestali efficaci. E ancora, la Fao sviluppa

64 http://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_delle_Nazioni_Unite_p er_l’alimentazione_e_agricoltura, consultato il 10/09/2013. 65 ftp://ftp.fao.org/DOCREP/fao/011/i0765i/I0765I14.PDF, consultato il 10/09/2013.

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direttive per la gestione forestale attraverso ampi procedimenti di consultazione con i compartecipi in tutte le regioni del mondo. Le direttive più comuni riguardano la gestione degli incendi, il tema della foresta come la più importante fonte di bioenergia rinnovabile, la salvaguardia della salute delle foreste anche per mezzo di strategie che controllino insetti dannosi e malattie66.

Il lavoro forestale della Fao e del suo Dipartimento forestale viene svolto prevalentemente nell’ambito di sei Commissioni regionali che raggruppano Paesi di zone omogenee e si riuniscono periodicamente; la Commissione forestale europea è quella che interessa l’Italia. Il forum di dialogo forestale più importante è rappresentato, però, dal Comitato delle foreste, o COFO, che ogni due anni richiama i responsabili nazionali del settore a studiare e pubblicare lo “Stato delle foreste del mondo”, o SOFO, anche attraverso il commento delle statistiche raccolte, l’analisi delle problematiche del momento e la delineazione di possibili strategie e soluzioni politiche per affrontarle.

La Fao conduce periodicamente, inoltre, una Valutazione sulle condizioni delle risorse forestali del globo, il FRA, in stretta integrazione con la Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite e sempre con l’obiettivo di fornire informazioni di qualità sullo stato delle risorse forestali mondiali facilitando un miglioramento delle politiche forestali67. In tale contesto, oltre a rapporti, pubblicazioni ed articoli sul sito Web della Fao riguardanti le risorse forestali, è da evidenziarsi ancora l’Unasylva, giornale della Fao redatto con la

66 ftp://ftp.fao.org/DOCREP/fao/011/i0765i/I0765I14.PDF, cit. 67

http://www.corpoforestale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/ID Pagina/382, consultato il 10/09/2013.

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collaborazione di esperti sulle foreste e pubblicato in inglese, francese e spagnolo dal 1947; esso rappresenta il più antico giornale forestale del mondo multilingue68. La Fao collabora anche nell’organizzazione di altre grandi iniziative forestali: il Congresso Forestale Mondiale e il Partenariato Collaborativo sulle Foreste (CPF). Quella dei Congressi è un’attività di rilievo internazionale che ha rappresentato il primo momento di dialogo mondiale in materia forestale: il suo avvio ha preceduto di vari decenni quello delle grandi Convenzioni e degli accordi ambientali e forestali.

Il primo Congresso Forestale Mondiale è stato organizzato a Roma nel 1926 e tenuto in lingua inglese, con il coinvolgimento di governi, università, società civile e settore privato sul tema delle attività correlate alle foreste, con accento particolare alla selvicoltura. Da allora i Congressi sono stati organizzati ogni sei anni circa; il Paese che lo ospita è scelto dalla Fao e dai suoi Stati membri, con rotazione della sede tra le varie regioni del mondo.

Il Congresso è preparato dalla Fao e da un Comitato organizzatore del Paese ospitante e registra contributi tecnico-scientifici di esperti mondiali riuniti in una Commissione. I risultati di tale occasione di discussione e di confronto vengono di solito riassunti in una Dichiarazione Finale e, portati all’attenzione della Conferenza Fao, possono divenire oggetto di una sua risoluzione volta a sostenerli69. L’ultimo, il XIII Congresso Forestale Mondiale si è svolto, dal 18 al 23 ottobre del 2009, a Buenos Aires con il titolo “Sviluppo

68 V. supra nota 66. 69

www3.corpoforestale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagin a/1426, consultato il 10/09/2013.

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forestale: un equilibrio vitale”70. Nel corso del Congresso sono stati affrontati sette temi e quarantadue sottotemi specifici; si è trattato principalmente del legno come fonte di bio-energia, della gestione sostenibile delle foreste e del cambiamento climatico71. Proprio su quest’ultima problematica emergente, è stata redatta, nell’ambito del Congresso, una Raccomandazione tecnica da presentare a Copenaghen nel dicembre successivo, in occasione della quindicesima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sui Cambiamenti Climatici e delle trattative sull’accordo con cui sostituire, alla scadenza nel 2012, il Protocollo di Kyoto; il Congresso di Buenos Aires rappresentava, infatti, l’ultimo momento di dialogo e di concertazione forestale prima di tale appuntamento72. Il Partenariato Collaborativo sulle Foreste, invece, è un gruppo di quattordici organizzazioni internazionali leaders attive in ambito forestale; tra le altre, vi partecipa il Segretariato della Convenzione sulla Diversità Biologica, quello del Forum delle Nazioni Unite sulle Foreste e della Convenzione quadro sui Cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, nonché la Fao, in qualità di sopraintendente. Suo obiettivo è la promozione della gestione sostenibile di tutti i tipi di foreste e il rafforzamento, a tal fine, dell’impegno politico a lungo termine73.

Per mobilitare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle problematiche forestali, l’Assemblea Generale delle nazioni Unite, al pari di quanto già effettuato per altre risorse naturali, ha proclamato il 2011 “Anno Internazionale delle foreste”. L’iniziativa era volta a

70 Trad. di “Forests in Development: a vital balance”.

71 www.fao.org/news/story/it/item/36157/icode/,consultato l’1/10/2013.

72 V. supra nota 69.

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25

diffondere la conoscenza delle azioni globali a sostegno della gestione sostenibile delle foreste, della protezione e della valorizzazione di alberi e foreste e individuava il Segretariato del Forum delle Nazioni Unite sulle Foreste come punto di contatto competente per coordinare l’attuazione di tale iniziativa. Sul tema “Forest for People” si è incoraggiata la comunicazione pubblica sulle funzioni economiche e sociali svolte dal bosco74.

1.1.3. Il Protocollo di Kyoto e il suo seguito

Il progredire della Convenzione quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite viene garantito, come accennato, dalla sua Conferenza delle Parti (COP,

Conferenze of the Parties), organo formato dai

rappresentanti di tutti i Paesi firmatari della Convenzione che si riunisce annualmente dal 1992 per promuoverne e controllarne l’applicazione e per adottare nuovi impegni. In tale contesto, il provvedimento più significativo è quello adottato alla COP3, a Kyoto nel 1997, che vede l’approvazione di un Protocollo, il Protocollo di Kyoto, e l’inizio di un lungo e complesso processo di determinazione di regole internazionali legalmente vincolanti nell’attuazione e nel controllo delle politiche nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra75. L’attinenza del Protocollo con la materia forestale e la necessità di una sua analisi approfondita si giustificano

74 http://www.corpoforestale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/I DPagina/2099, consultato il 14/09/2013. 75 http://www.researchgate.net/profile/Davide_Pettenella/publicatio n/228698774_Inquadramento_generale_del_protocollo_di_kyoto._O pportunit_e_limiti_per_il_settore_forestale/links/02bfe51113513839 ed000000.pdf, consultato il 28/09/2013.

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26

con il fatto che lo stesso viene coinvolgendo, in maniera consistente, il settore agricolo-forestale nelle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Ebbene, il Protocollo, in particolare, nella lotta contro il surriscaldamento planetario, prevede obblighi di limitazione e di riduzione delle emissioni di sei gas ad effetto serra: biossido di carbonio (CO2), metano (CH4),

protossido di azoto (N2O), idrofluorocarbori (HFC),

perfluorocarburi (PHC), esafluoro di zolfo (SF6).

Sul presupposto del principio di “responsabilità comuni ma differenziate” degli Stati previsto dalla UNFCCC76

, gli Stati inclusi nell’Allegato I della Convenzione quadro, ovvero quelli industrializzati77, si impegnano complessivamente, nel primo periodo di impegno78 previsto dal 2008 al 2012, per una riduzione delle emissioni totali dei gas serra detti del 5% rispetto ai livelli di emissione nel 199079. In particolare, l’Unione Europea, che ha ratificato il Protocollo nel 2002, si è impegnata complessivamente a ridurre le sue emissioni dell’8%, eccetto Polonia ed Ungheria, per le quali si prevede il 6%, e Malta e Cipro, che non configurano nell’Allegato I della Convenzione; l’Italia, nell’ambito della ripartizione degli impegni tra gli Stati dell’Unione, si è ambiziosamente

76 United Nations Framework Convention on Climate Change, Convenzionequadro sui CambiamentiClimaticidelleNazioni Unite; Principio 1: “The Parties should protect the climate system for the

benefit of the present and future generations of humankind, on the basis of equity and in accordance with their common but differentiated responsibilities and respective capabilities.”.

77

In realtà, tra questi, non hanno ratificato il Protocollo gli Stati Uniti e l’Australia. Non sono stati invitati a ridurre le loro emissioni, invece, i Paesi in via di sviluppo, proprio per non ostacolare ulteriormente la loro crescita economica, con oneri particolarmente gravosi come quelli stabiliti.

78

In verità, già anteriormente al 2008, gli Stati contraenti si erano impegnati ad ottenere, entro il 2005, in una sorta di “fase sperimentale”, concreti progressi nell’adempimento degli impegni assunti e a fornirne le prove.

79

Come anno di riferimento per le emissioni di HFC, PFC e SF6 , gli Stati hanno potuto adottare il 1995.

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27

impegnata per una riduzione del 6,5%, rispetto sempre ai livelli di emissione dei gas detti nel 1990. Per l’entrata in vigore del Protocollo si prevedeva la ratifica necessaria di non meno di 55 Stati firmatari e che ad essi fosse imputabile almeno il 55% delle emissioni inquinanti; questa condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004 con l’adesione e la ratifica della Russia, la quale si stimava producesse da sola il 17,6% delle emissioni. Il Protocollo, a seguito di ciò, è entrato in vigore il 16 febbraio 2005; ad oggi, 174 Paesi, contribuenti al 61,6% delle emissioni globali di gas serra, lo hanno ratificato o comunque hanno avviato le procedure per farlo80.

Gran parte dell’obiettivo di riduzione dei gas ad effetto serra deve realizzarsi intervenendo nei settori ad alto consumo di combustibili fossili (industria, energia, trasporti, costruzioni, ecc.), che sono causa principale di essi; ciò mediante, in particolare, l’aumento dell’efficienza degli impianti con l’uso di nuove tecnologie meno impattanti e politiche di riduzione del consumo energetico81. Con il Protocollo di Kyoto, però, anche il settore agricolo-forestale viene coinvolto, come preannunciato, nelle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici, riconoscendo nelle piante veri e propri carbon sink82.

L’UNFCCC definisce i carbon sink, letteralmente pozzi di assorbimento di carbonio, come qualsiasi attività, processo o meccanismo di rimozione o di sequestro di biossido di

80 http://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_Kyoto, consultato il 29/09/2013. 81 http://www3.corpoforestale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/ IDPagina/4685, consultato il 2/10/2013. 82 http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, consultato il 28/09/2013.

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28

carbonio (CO2) dall’atmosfera83.Grazie all’azione di essi

la CO2 può esser rimossa dall’atmosfera e trasformata,

giungendo a non esplicare più nell’atmosfera la sua “capacità serra”. Un carbon sink è quindi un sistema che trattiene CO2 in quantità maggiore rispetto a quella che

eventualmente rilascia. Le piante, assorbendo anidride carbonica (CO2) durante il processo di fotosintesi,

immagazzinano e fissano il carbonio nel legno e nel suolo, che si trasformano in vere e proprie riserve di carbonio (carbon stocks) sulla superficie terrestre, rilasciandolo poi in atmosfera o nel suolo solo alla loro morte, quando decomposte, ma con un bilancio comunque negativo delle emissioni dei gas-serra, nell’ambito della realizzazione dell’obiettivo del Protocollo.

Accanto alle misure di contenimento e di riduzione della produzione di gas-serra, sono così previste all’art.3 del Protocollo una serie di misure in campo agricolo-forestale, denominate attività di “uso del suolo, cambio d’uso del suolo e selvicoltura” o LULUCF (land use, land-use

change and forestry); gli assorbimenti carboniosi, ad esse

collegate, possono esser inclusi dagli Stati vincolati al Protocollo, secondo precise regole di contabilizzazione e secondo tetti massimi di sfruttamento, nei bilanci nazionali dei gas-serra a compensazione di una quota delle emissioni nazionali di tali gas clima-alteranti84. In particolare, l’art. 3.3 del Protocollo impone di conteggiare, nell’ambito delle variazioni permanenti nell’uso del suolo, le attività di Afforestazione e di Riforestazione (Afforestation, Riforestation- AR) come assorbimenti di carbonio nei bilanci nazionali, al netto delle emissioni

83 Art. 1.8, UNFCCC: ‹“Sink” means any process, activity or mechanism

which removes a greenhouse gas, an aerosol or a precursor of a greenhouse gas from the atmosphere›.

84

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29

legate ai processi di Deforestazione (Deforestation- D)85; queste ultime attività che riducono i carbon sinks dovranno, infatti, esser sottratte dalla quantità di emissioni che gli Stati possono emettere nell’ambito del loro periodo di impegno. Per essere ammissibili, le attività LULUCF devono rispondere a due condizioni:

1. aver avuto inizio obbligatoriamente dopo il 1990, assunto come anno base per i conteggi;

2. essere state indotte dall’uomo

(directhuman-induced), devono cioè essere intenzionali e

conseguenti ad interventi diretti, volontari, non naturali.

Non si è scelta la metodologia del conteggio totale (full

carbon accounting) delle variazioni di carbonio legate al

cambio d’uso del suolo, ma un conteggio parziale che limitasse il contributo delle attività agro-forestali, per non allontanarsi dalle finalità del Protocollo che richiede lo sviluppo di specifiche politiche nazionali di abbattimento delle emissioni86. L’art. 3.4 estende, inoltre, il ruolo delle attività LULUCF ad una ulteriore serie di interventi nel settore agricolo-forestale, che vengono classificate come

attività addizionali e che i Paesi possono conteggiare su

base volontaria87.

La Conferenza delle Parti a Kyoto ha demandato a successive COP la responsabilità di adottare le definizioni, le norme e le linee guida da seguire in materia di attività LULUCF, le modalità per conteggiare tali attività. Alla COP7, tenutasi a Marrakesh, si è arrivati ad una precisa

85 http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, consultato il 28/09/2013. 86 http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, cit. 87 www.reteclima.it/carbon-sink-lulucf-protocollo-di-kyoto-e-carbon-offset/, cit.

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definizione di foresta e di tutte le misure LULUCF88, con l’individuazione di quattro attività addizionali: la Gestione Forestale (Forest Management-FM), la Gestione delle Coltivazioni (Cropland Management-CM), la Gestione dei Pascoli (Grazing Land Management-GM) e la Rivegetazione (Revegetation-RV)89.

Ogni Paese poteva liberamente includere o non contemplare nei propri bilanci una o più delle quattro attività dell’art 3.4 del Protocollo di Kyoto e, conseguentemente, contabilizzare o meno le variazioni degli stocks di carbonio ad esse collegate. La decisione di quali attività addizionali eleggere era da effettuarsi entro il 2006, dando, inoltre, una definizione precisa di esse e chiarendo gli interventi che classificano ciascuna90. Il Governo italiano, similmente a quasi tutti i governi europei91, ha deciso di avvalersi della sola Gestione Forestale, come misura complementare per il raggiungimento degli obiettivi fissati a Kyoto92. La Gestione Forestale, negli Accordi di Marrakesh, è intesa in senso molto ampio con il riferimento ad un sistema di pratiche gestionali finalizzate al miglioramento delle funzioni ecologiche (compresa la diversità biologica), economiche e sociali delle foreste93. Per l’Italia tali pratiche si identificano principalmente nell’allungamento

88 v. The Marrakesh Accords, K.1, Annex A, 1.(a)- (h), su unfccc.int/cop7/documents/accords_draft.pdf. 89 V. supra nota 86 90 http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, cit. 91 www.reteclima.it/carbon-sink-lulucf-protocollo-di-kyoto-e-carbon-offset/, cit. 92 http://www.sisef.it/forest@/pdf/?id=efor0460-0004, consultato il 2/10/2013.

93 Unfccc.int/cop7/documents/accords_draft.pdf, The Marrakesh

Accords, K.1, Annex A, 1 (f): ‹ “Forest Management” is a system of practices for stewardship and use of forest land aimed at fulfilling relevant ecological (including biological diversity), economic and social functions of the forest in a sustainable manner›.

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dei turni, nell’invecchiamento e nella conversione dei cedui, nella riduzione degli incendi e nell’aumento della densità dei boschi94. Per i crediti95 afferenti la Gestione Forestale si prevede un tetto massimo del 15%; non esiste un limite, invece, per le altre attività96.

Le attività LULUCF possono esser realizzate anche all’esterno del territorio nazionale attraverso progetti che seguono le regole dei cosiddetti “Meccanismi Flessibili”. Si tratta di strumenti di mercato finalizzati principalmente all’abbattimento dei costi delle strategie di mitigazione e che dovrebbero facilitare i Paesi nel raggiungimento degli obiettivi ambientali prefissati97.

Il Protocollo, nello specifico, individua tre Meccanismi Flessibili:

1. l’Attuazione Congiunta (Joint Implementation, JI), prevista all’art. 6 del Protocollo, consente ai Paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro Paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti congiuntamente con il Paese ospite;

2. il Meccanismo di Sviluppo Pulito (Clean

Development Mechanism, CDM), all’art.12 del

Protocollo, consente ai Paesi dell’Allegato I della UNFCCC, Paesi industrializzati e ad economia in transizione, di realizzare progetti nei Paesi in via di

94

http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/Kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, consultato il 28/09/2013.

95 Per credito è da intendersi il risultato di un’attività che vede gli assorbimenti di carbonio maggiori delle emissioni su un’unità di terra; viceversa, per i debiti le emissioni di carbonio maggiori degli assorbimenti su un’unità di terra.

96 v. supra nota 91. 97

http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, cit.

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sviluppo che producano benefici ambientali, in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra, e di sviluppo economico e sociale nei Paesi ospiti, generando crediti di emissione per i Paesi che promuovono tali interventi;

3. il Commercio delle Emissioni (Emission Trading, ET), previsto dall’art. 17, consente lo scambio di crediti di emissione tra i Paesi dell’Allegato I; un Paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas-serra superiore al proprio obiettivo può cedere tali crediti ad un Paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra98.

I progetti JI e CDM possono consistere in attività LULUCF, ma gli Accordi di Marrakesh hanno previsto che i progetti CDM possano interessare, nel settore agricolo-forestale, solo le attività di afforestazione e di riforestazione e con un limite sugli obblighi complessivi di riduzione. I progetti, inoltre, devono aver avuto inizio dopo il 2000 e devono promuovere un assorbimento di carbonio superiore a quanto sarebbe avvenuto in assenza del progetto stesso. Sono esclusi dalle strategie relative alle attività forestali gli interventi di prevenzione della deforestazione99.

Le metodologie di contabilizzazione per le attività LULUCF vedono due approcci diversi: il net-net

accounting per la rivegetazione, la gestione delle

coltivazioni e per la gestione dei pascoli e il gross-net

accounting per la gestione forestale e le attività dell’art. 98 http://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_Kyoto, consultato il 29/09/2013. 99 http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, cit.

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3.3 del Protocollo. La dottrina osserva che con una stessa metodologia di contabilizzazione per tutte queste attività si sarebbe verificata una forte sproporzione tra la quantità dei crediti generabili da esse100.

Il net-net accountingconfronta le variazioni degli stocks di carbonio avvenute nel periodo di impegno con quelle dell’anno di riferimento all’interno delle stesse aree. Viene, così, prodotto un credito se nelle zone interessate dall’attività c’è stato un assorbimento netto di emissioni. Il gross-net accounting, invece, considera esclusivamente le variazioni di stocks di carbonio dovute alle differenze tra le emissioni e gli assorbimenti all’interno del periodo di impegno, senza che queste siano confrontate con le variazioni di stocks nell’anno di riferimento. In questo caso, si ha un credito se l’attività LULUCF porta ad un eccesso degli assorbimenti rispetto alle emissioni, a prescindere da quale fosse il flusso nel anno di riferimento e prima dell’avvio dell’attività. L’adozione di tale approccio consente ad un’attività di produrre crediti anche se gli assorbimenti tendono a diminuire nel tempo.

Per la Gestione Forestale si è adottato il gross-net

accounting perché l’altro approccio è stato ritenuto troppo

svantaggioso per i Paesi in cui le foreste si trovano prossime allo stato massimo di estensione e di stock ottimale (stato di saturazione), con capacità di assorbimento di carbonio destinata a culminare nel breve periodo101. Anche l’adozione del gross-net accounting, però, genera problemi: una parte considerevole delle variazioni degli stocks utilizzabili nei bilanci nazionali derivano non solo da interventi intenzionali, ma anche da

100 V. supra nota 99. 101

http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, cit.

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interventi indiretti e naturali e da interventi diretti dell’uomo effettuati prima del 1990 e come tali da escludere. Ed è proprio per questo che si è posto un tetto massimo all’utilizzo della gestione forestale102

.

Le attività LULUCF hanno sostanzialmente due svantaggi rispetto alle misure di contenimento e di riduzione delle emissioni dei gas-serra in altri settori: la “saturazione” e la “non permanenza” degli interventi.

La “saturazione” avviene con il raggiungimento del potenziale massimo biologico di carbonio sequestrabile da una foresta o da un suolo agricolo. Essa è condizionata dalla limitata disponibilità dei terreni e dalla quantità di carbonio che può esser immagazzinato o protetto per unità di superficie. Le misure LULUCF, almeno nei Paesi occidentali, sono, così, impiegate nel breve-medio periodo, anche perché i costi marginali per unità di carbonio fissabile nella biosfera tendono ad aumentare con il ridursi delle aree di intervento disponibili per nuove piantagioni e per l’incremento degli stocks medi unitari. A sua volta, la “non permanenza” (o potenziale reversibilità) consiste nel fatto che l’immagazzinamento del carbonio nella biosfera può essere reversibile, potendo il carbonio ritornare in atmosfera a causa di incendi, degradazione delle foreste, tagli, riconversione, ecc. Per risolvere quest’ultima questione, il Protocollo ha imposto il principio “once Kyoto land, always Kyoto land”secondo il quale, una volta inserite delle aree nei propri sistemi di contabilità per l’applicazione degli art. 3.3 e 3.4 , i Paesi dell’Allegato I hanno l’obbligo di monitorare costantemente gli assorbimenti e le emissioni. Nell’ambito dei progetti CDM, invece, la potenziale reversibilità è stata risolta introducendo i crediti temporanei: alla scadenza del

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progetto o quando le quantità di carbonio fissate siano liberate nuovamente nell’atmosfera, il Paese investitore che ha usato quei crediti nei bilanci nazionali dovrà acquisirne dei nuovi realizzando un nuovo progetto, o acquistando crediti sul mercato o riducendo le emissioni interne103.

In conclusione, i carbon sinks del Protocollo di Kyoto rappresentano un’efficace forma di contrasto ai cambiamenti climatici, seppur in forma integrativa e secondaria rispetto alla riduzione delle emissioni prevista come primaria e principale strategia mitigativa e da attuare nei settori ad alto consumo di combustibili fossili (industria, energia, trasporti e costruzioni), con l’uso di tecnologie meno impattanti e di politiche di riduzione del consumo energetico104.

L’Italia, nell’ambito dell’attuazione del Protocollo di Kyoto e del suo impegno di riduzione delle emissioni dei gas-serra al 6,5% rispetto ai livelli del 1990, nel periodo 2008-2012, ha raggiunto una riduzione addirittura del 7%. Il dato emerge dal “Dossier Kyoto 2013”, realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. Ciò è stato frutto, secondo tale studio, in primis, della crisi economica: la riduzione della produttività ha portato con sé una riduzione dei consumi energetici. Si è rilevato, però, anche un netto miglioramento delle performance ambientali del sistema economico nazionale: si sono, infatti, registrati nel periodo 2008-2012 tassi crescenti di riduzione delle emissioni dei gas-serra e dei consumi energetici per unità di PIL. Il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo è stato frutto, inoltre, di politiche e misure di settore, come

103 http://carbonpro.progetti.informest.it/docs/public/Kyoto_protocol /pettenella_zanchi.pdf, consultato il 29/09/2013. 104 www.reteclima.it/carbon-sink-lulucf-protocollo-di-kyoto-e-carbon-offset/, consultato il 2/10/2013.

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