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Introduzione VIAREGGIO TRA NOSTALGIA E STORIA

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Introduzione

V

IAREGGIO TRA NOSTALGIA E STORIA

UN PERCORSO NELLA MEMORIA

,

UN SALTO NEL TEMPO

Leggendo testi, articoli, libri su Viareggio si può avvertire, in chi li ha scritti, un certo radicamento nel passato, in quel tempo che se ne è andato e che si intuisce, con tristezza, non possa più tornare. Sfogliando quelle pagine, sembra di avvertire l’impressione di una vera e propria nostalgia verso gli anni trascorsi, gli anni che hanno visto la città nascere, poi svilupparsi e infine affermarsi e distinguersi tra l’Ottocento e i primi trenta anni del Novecento, dopo i fasti della Belle Époque. Titoli come La Viareggio che non c’è più,1 Una

rotonda sul mare…storia della Viareggio che fu…,2

Alla marina…passeggiate sul filo del

ricordo, ma non solo,3 Viareggio bella fata: ricordi preziosi, 4 sono di per sé già significativi e eloquenti. Se poi prendiamo i commenti di apertura di alcuni, capiamo meglio quale è lo spirito che li anima:

Ancora una volta l’amico Carlo Ranieri ha voluto dimostrare l’amore e l’attaccamento che nutre per la nostra città dando alle stampe un nuovo libro dedicato a Viareggio. Lo “stile” narrativo usato, esente da pignolerie formali e dalla ricerca di espressioni raffinate, ne fa una lettura gradevole e avvincente. L’autore più volte, con intelligente spregiudicatezza, si è valso anche dell’uso del gergo e del dialetto viareggino senza mai eccedere nella misura, conferendo così alla pagina una simpatica e colorita vivezza nostrana. Gli episodi e i temi che il Ranieri ci propone non hanno la pretesa di far parte della grande “Storia”, ma si limitano a descrivere - spesso con accenti commossi – momenti di vita dei nostri compaesani: una vita semplice, umile, quotidiana, nondimeno tanto ricca di umanità.5

E ancora:

[…] Questo raccontare di Viareggio e della Versilia, tramite un suggestivo connubio di immagini e lemmi, rivisita con occhio velatamente malinconico ed ironico, i luoghi della «vacanza» per eccellenza, […], delle luci sfolgoranti, dei panorami distensivi di mare, di lago e di monte, del marmo, dei cantieri, delle barche […]. Un libro scritto, quasi detto, con ‘non chalance’, come a sottolineare il carattere di quella ‘gente’ che abita vicino al mare […] e si sente anticonformista e insofferente a tutto ciò che è celebrazione, ufficialità, cerimoniale, compostezza, tanto care invece agli abitanti dell’entroterra e del capoluogo […].6

E infine:

“In queste mie sintetiche visioni e ricordi di un mondo che ormai è passato, ma che si riflette in maniera determinante su quello che deve venire…Non sono gli studi di uno storico, o la precisone di uno scrittore patentato…ma solo l’ironia e la fantasia di un uomo che ha sempre cercato di guardare tutte le cose sorridendo…” 7

1 G

IORGIO MICHETTI,La Viareggio che non c’è più, Viareggio, Baroni, 2002.

2 C

ARLO RANIERI,Una rotonda sul mare…storia della Viareggio che fu…, Viareggio, Tipografia Petrucci, 2002. 3 Alla marina, tra Lucca, Viareggio e la Versilia: passeggiate sul filo del ricordo, ma non solo; testi di Giorgio Michetti; fotografie di Annalisa Mariani e Riccardo Mazzoni, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, 2006.

4 E

TTORE CORTOPASSI,Viareggio bella fata: ricordi preziosi, Massarosa, Tipografia Massarosa Offset, 2009.

5 Cfr. l’ introduzione curata da Bergamini in C

ARLO RANIERI, Una rotonda sul mare, cit., p. 2 6 Cfr. la premessa di apertura in Alla marina, cit., p. 5.

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Queste premesse e ammissioni ci trasmettono una duplice volontà, da una parte riportare alla luce il passato, e dall’altra mantenere in vita, con toni colloquiali e familiari, la memoria, il ricordo, serbatoio di un’autenticità in pericolo di estinzione o non più rintracciata nel presente. Le parole che gli autori di quei testi dedicano alla città e ai suoi abitanti rudi ma gioviali, sono ricche di amore, ma anche di malinconia e ci lasciano in dono, rubandoli all’oblio, momenti e scene della Viareggio di una volta: quella salottiera e magica delle estati primo-novecentesche o degli anni Trenta trascorse lungo la Passeggiata e nei suoi storici locali, e quella della vita vissuta nei quartieri più popolari, nelle “viareggine”,8

nel porto, o tra le vie e i cantieri della darsena. Si lodano le grandi conquiste che gli abitanti, col loro particolare spirito libero, creativo e ambizioso, sono riusciti a ottenere quando ancora tutto era da costruire, condannando, all’opposto, le scelte sbagliate effettuate nella modernità, fase in cui una certa ansia di creare e innovarsi è decaduta.

Proseguendo in un prima ricerca bibliografica, un approccio preliminare e più leggero per addentrarci, da profani, nei meandri della città e capire meglio la sua storia, è possibile imbattersi in diverse pubblicazioni fotografiche impegnate a immortalare angoli e persone di una Viareggio che, vedendola in quegli scatti in bianco e nero, non sembra più nemmeno quella attuale. A Viareggio con il treno dei ricordi 9 di Francesco Bergamini, o Il canale

Burlamacca dalla Torre Matilde al mare 10 curato da Paolo Fornaciari, sono un esempio per cogliere, in modo diretto, i luoghi caratteristici, scoprendoli come erano prima e poterli confrontare così con il loro stato attuale . Infatti qui si raccolgono repertori di foto d’archivio di pionieri dell’arte fotografica viareggina e non viareggina, come Brogi, Magrini, Alinari, Cortopassi e sono un salto nella memoria e nella storia, ideali viaggi che ci fanno rivivere, da seduti, spazi cittadini cancellati, persi, o modificati. Di fronte agli occhi sfilano i simboli della Viareggio vecchia, le darsene, la Torre Matilde, il Fortino, e, come attinti da romanzi d’avventura e di pirati, i grandi velieri che l’hanno resa famosa in tutto il mondo. Insieme ad essi rivivono persone che percepiamo diverse da noi e lontanissime: i calafati e i segantini intenti a costruire imbarcazioni nei cantieri, i “funari” e le tessitrici di vele in via Coppino, gli

8 Tipiche abitazioni a due piani della Viareggio popolare già rintracciabili nel ‘600. Studi e fonti storiche su questo particolare tipo di abitazione nell’ambito degli sviluppi urbanistici e topografici della citta sono: CENTRO

DOCUMENTARIO STORICO DI VIAREGGIO,Viareggio dal XVI al XVIII secolo: formazione urbana e tipologie edilizie, “Quaderno n. 8”, Massarosa, Tipografia Massarosa Offset, 1999; MARTA GENTILI, Viareggio, la nascita

di una città eCLAUDIO GHILARDUCCI,Lo sviluppo urbano della città di Viareggio nel XVII secolo e il primo piano regolatore, entrambi in AA.VV., Mirabilia maris: visioni cartografiche e resoconti di viaggio. Le marine

lucchesi tra XVI e XVIII secolo; catalogo a cura di Anna Vittoria Bertuccelli Migliorini e Susanna Caccia, Pisa,

ETS, 2006, pp. 103-105 e pp. 113-117. 9 F

RANCESCO BERGAMINI, A Viareggio con il treno dei ricordi, Viareggio, Pezzini, 1992.

10 Il canale Burlamacca dalla Torre Matilde al mare: un percorso fotografico nella storia e nella memoria, a cura di Paolo Fornaciari, Viareggio, Pezzini, 2005.

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uomini in bicicletta sulle strade ancora fangose dell’interno; ed ancora, i pescatori sulle

bilancie abbarbicate alle banchine della foce del Burlamacca o sulle tartane di ritorno in porto,

fino ai signori in completo e cilindro, e alle signore bene, con abiti ampi e cappelli appariscenti, a spasso, come in un défilé, sul molo. In queste istantanee, così come nelle parole di scrittori legati al proprio paese, la storia viene eternata, diviene davvero immortale e i luoghi, il paesaggio continuano a vivere come in un’opera d’arte, come se il tempo si fosse fermato.

E a questo scopo vuole contribuire anche una silloge scritta e illustrata dal titolo Cara

Viareggio, 11 dedica e regalo “al proprio luogo natìo” curata dal Centro Documentario Storico cittadino, in cui si collezionano le parole di alcuni degli scrittori più noti di Viareggio, unite ai disegni di altrettanti pittori, in un connubio tra pittura e scrittura che è una delle cifre più significative della città e del territorio versiliese.

Qui, esponenti di primo piano della cultura viareggina, Mario Tobino, Luisa Petruni Cellai, Giuliano Bimbi, Silvio Micheli, Carlo Pellegrini, Leone Sbrana, tratteggiano, affiancati da riproduzioni di opere artistiche di Lorenzo Viani, Moses Levy, Serafino Beconi, Renato Santini, scorci di realtà, con i suoi usi, riti e figure tipiche, ormai perduti. Chi ripropone la realtà marinara, chi quella mondana e balneare, ossia le due peculiari facce della città che, insieme, contribuirono a renderla un simbolo di cultura in tutto il mondo.

Da queste brevi citazioni e dagli esempi rapidamente percorsi, tutti affidati a personalità locali, si può intuire come Viareggio e i viareggini vivano dei ricordi del passato e della propria storia. E tali ricordi o sono avvolti da una sorta di romanticismo poetico oppure espressi con realismo e senza idealizzazioni, o ancora in modo scanzonato e ridanciano. Se delle prime due maniere si faranno espressione, rispettivamente, due degli autori affrontati nel presente percorso, della terza è sicuramente padre l’ultimo chansonnier locale, Egisto Malfatti (1914-1997). Alle sue canzonette e alle sue rime baciate in vernacolo e con la tipica parlata viareggina, egli affida la memoria di una giovinezza lontana e perduta con una galleria di personaggi tipici, conosciuti realmente e poi trasformati in macchiette, caricature e allegorie. Ma soprattutto, attraverso le sue parole, imbevute di un amore profondo per la propria città, egli vuole preservare il patrimonio culturale della sua comunità sentito in via d’estinzione per la trasformazione della società e la scomparsa degli ultimi testimoni di un’epoca. Questo bagaglio, fatto di linguaggio colorito, di gesti, di modi di dire e di battute salaci, prende vita nella voce e sulle corde della chitarra e, tra una risata e l’altra, ci fa scoprire il volto più popolaresco della città, cancellato dal tempo. In verità, la Viareggio che lui canta in

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canzonette come Viareggio timida o Viareggio amore mio (mi riordo) è quella di cinquant’anni prima e non era certo da santificare: non c’erano bagni in casa, non esistevano servizi di riscaldamento, non c’era cibo a sufficienza e si moriva presto. Egisto Malfatti fa però di quella povertà un vanto. La rivaluta come espressione di una familiarità perduta e di un’epoca in cui c’era più fiducia nel prossimo e più solidarietà tra concittadini.

Forse questo suo essere un inguaribile nostalgico ha reso lui e altri cantori e scrittori che hanno seguito questa strada miopi di fronte al futuro, ancorati alla memoria di ciò che fu, ma, in realtà, non si può dar loro torto, perché fin dagli albori i primi abitanti di quella che ancora era una landa malarica e invivibile hanno lottato per la loro affermazione, poi, più tardi, per la loro indipendenza contro la dittatura, mentre, nelle alte sfere, si gettavano le basi e si preparava il terreno per quello che sarebbe accaduto al volto dell’antico borgo: la nascita, seppur tra alti e bassi, della prestigiosa “Perla del Tirreno”, la quale verrà a stridere con un lato più povero, quello “di là dal molo”, della darsena e dei quartieri più vecchi.

“In tutta la sua storia Viareggio ha sempre dato prova del coraggio e dell’intraprendenza”, 12

così può giustamente affermare chi la città la conosce bene perché c’è nato nel lontano 1918. Giovanni Pieraccini in un percorso riassuntivo e incisivo sull’evoluzione di Viareggio, dalla palude malarica ai tempi moderni, mostra le iniziali sfide con la natura e le successive battaglie politiche dei viareggini di una volta, il loro spirito impavido e anarchico, mantenutosi nel corso degli anni, ma con una carica sempre meno forte, fino al suo esaurimento. E questo deperimento, da cui il Pieraccini vede una possibile ripresa, è probabilmente rintracciabile nella decadenza della loro vera anima, quella votata alla marineria.

Uno degli autori affrontati, Mario Tobino, in tutte le sue opere, indugia molto su questa dimensione del passato che non c’è più. È un passato glorioso di cui l’autore avverte il declino e di cui egli si vuole farsi portavoce per evitare che si disperda senza lasciare traccia. Oltre che nei suoi libri dedicati alla sua vita e alla città, anche negli articoli giornalistici in cui il suo cuore si apre al ricordo, o nelle interviste rilasciate, il parlare batte, quasi martellante, sulla perdita delle due realtà più vere che caratterizzavano Viareggio negli anni andati: la grande marineria velica e il turismo balneare ancora d’élite appartenente all’epoca Liberty, il tutto condotto con l’ausilio della sua memoria e costantemente ammantato da un forte lirismo e da un alone quasi fiabesco e favoloso. La citazione riportata di seguito è una sua ammissione che bene sintetizza, a mio avviso, l’obiettivo prefissato, ossia ricordare per non dimenticare in un

12 G

IOVANNI PIERACCINI,Dalla palude all’informatica, in IDEM,Storie di Viareggio e della Versilia, Viareggio,

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presente che tende a cancellare, a far morire – e il senso di una morte incombente è un elemento che troveremo molto presente in questo autore – ciò che c’è stato ieri, esaltando solo l’hic et nunc, mentre quello ieri costituisce l’identità di una generazione e di un popolo:

Il mio desiderio è ricordare una Viareggio scomparsa a coloro che oggi hanno il sorriso della gioventù e sono avvinti dalla credenza che quel loro stato sia immortale, eterno il felice presente. Il mio compito, oggi che ho capelli diradati, il cuore spesso affannante, le palpebre che tendono ad abbassarsi, è dimostrare a quelli anziani come me di non essere passati invano, e nello stesso tempo indicare ai giovani quanto è sacra la vita.13

Lorenzo Viani, l’altro autore esaminato, seppur con toni assai diversi, diversissimi direi, mostra un certo attaccamento ad un mondo che egli sente in via di scomparsa, ma non fa cenno a quello patinato della bella località marina. Si tratta del mondo di coloro che lui chiamerà vàgeri, “gente d’onore e di rispetto”, marinai, navarchi e calafati della Darsena, ma anche diseredati e vagabondi che affollavano le strade e i quartieri più popolari. Con uno stile tutto suo, e con un recupero fiero e significativo del gergo marinaresco e vernacolare, accompagnato parallelamente da una pittura violenta e incisiva, santificherà nelle sue prose come nelle pitture questa razza umana, estremizzandone i tratti, spesso caricandola eccessivamente, con l’obiettivo di far diventare i suoi rappresentati degli eroi misérables. Così dice in una delle tante dichiarazioni del suo stile artistico, professione di poetica non solo da pittore, ma anche da scrittore:

Il mio mare è quello che sa di pece, d’aringhe, di musciame, di tonnina, il mare che frange tra ripe lutulenti, mare torbato dagli spurghi delle fiumane e delle chiaviche. Gli uomini di questi dipinti sono […] combusti, salcigni. Di fuori cotti dal salmastro, di dentro cotti dal “Crepa”, una miscela tra zucchero scuro e vino “Cancarone”. Gente che giura nella tempesta e spergiura alla Taverna. Non il mare climatico, quella tal lavanda di ametista e benzoino, bleu oltremare, e biacca stemprata col giallo canarino. Non ombrelloni parasole.14

Di fronte al processo di spersonalizzazione che inizierà significativamente con lo sviluppo del turismo balneare borghese e con l’avvento del progresso simboleggiato dalla sostituzione della vela col motore, la sua prosa rivendica il legame inscindibile con un altro universo, l’universo da cui egli stesso proviene, quello degli ultimi, della miseria, della lotta continua contro la penuria e la fame, del duro lavoro e dei sacrifici che esso comporta. Riscoprire e rivalutare i dimenticati, gli offesi o i vinti, così come la Viareggio vecchia e marinara considerata autentica, ancora in possesso della sua identità, risponde ad un bisogno di rivolta contro i ricchi e i benpensanti e, allo stesso tempo, non è mai operazione condotta con freddo distacco, né con la pratica dell’evocazione affettuosa di memoria. Viani non si pone

13 M

ARIO TOBINO,Sulla spiaggia e di là dal molo, Milano, Mondadori, 2011, p. 147.

14 L

ORENZO VIANI, Autopresentazione, in Mostra Viani: Piazza Shelley Viareggio, luglio-settembre 1930, Montecatini, Tip. Benedetti e Nicolai, 1930, pp. 12-14. Ora in LORENZO VIANI, Scritti e battaglie d’arte; a cura di Marcello Ciccuto e Enrico Lorenzetti, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2009, pp. 285-289.

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dall’esterno per narrare, non è un cantore della città, ma un protagonista delle sue periferie, ed è sempre empaticamente coinvolto nelle vicende sociali di cui parla, perché quelle sono le realtà che conosce, le sue, le sole in cui sia cresciuto e maturato. Non a caso di fronte ad una modernità incombente che rischia di distruggere spazi ancora naturali e incontaminati, una parte dell’anima della città, scriverà un articolo, protestatario e parossistico, dal titolo già significativo Edificare o tritolare? 15 Con un linguaggio polemico lancerà un invito a ritornare ad una dimensione più ordinaria della propria storia collettiva e individuale denunciando le deleterie trasformazioni urbanistiche che hanno annullato la Viareggio di prima “quando sul mare non c’era altro che poggi scoscesi; pa[gl]iola e camucioli”:

[…] Viareggio si trova ora a scegliere: o città industriale o commerciale con rete di tram e sviluppo del suo porto con grandi impianti di fabbriche in cui i suoi uomini possono vivere nella sana operosità, attiva e febbrile, mondandoli della scorza dell’affitta camere e del servitore; o grande stazione balneare pulita, seducente, festosa, spendiosa, splendidissima, non frequentabile dagli spilorci, dai gretti, dai cervelli borghesi in tasche proletarie. Nel primo caso, che è il più bello, bando inflessibile a tutti i covi di sfaccendati pseudo intellettuali, alle colonie artistico rurali invernali, alle celebrità unite agli albergatori, impiantare fabbriche di concimi chimici negli hotel e spiantare tutti i bagnetti. […] O nell’altro tritolamento simultaneo della stazione del Tram e del Cantiere Ansaldo, stendere un grande ponte levatoio nella direzione del Viale Carducci; questo indirizzarlo dritto come una spada sulla pineta dei Borboni….e svelgere tutto ciò che si oppone allo sviluppo di questo segno rettilineo; case, cantieri, alberi, ville, far violentemente un viale senza precedenti. Espropriazione assoluta e senza discussioni dei piccoli agglomerati di bagni, concludendoli in grandi stabilimenti festosi. Una di queste due decisioni, presa con pugno saldo e tenace può liberare Viareggio dal pericolo di essere nell’inverno ritrovo di mezzi intellettuali odiosi e nell’estate un carnaio osceno che abbrustolisce sul mare.

Infine anche il terzo autore affrontato, Silvio Micheli, ci immerge – e questo è un termine calzante e adatto in tutti i sensi nel suo caso – in una Viareggio che è stata grande, quella dei palombari. È nella zona più marinara della città che nascono gli uomini dell’Artiglio, i coraggiosi “aratori del mare”, i quali contribuirono ad aggiungere un tassello significativo all’epopea dei viareggini naviganti e esploratori del mondo. Al loro fianco il Micheli, senza mai travalicare la realtà e la verità storiche, inserisce nel suo repertorio anche racconti che accolgono fra le pagine i valorosi marinai della darsena, “i corsari buoni”, quegli eroici capitani e marittimi che dopo aver solcato i mari di quasi tutto il globo terrestre, progressivamente, si sono come estinti, snaturati, o piegati al turismo diffusosi sulla terraferma, il quale li ha resi non più uomini di mare ma uomini di costa: bagnini, affittacamere, camerieri.

Tutto questo ampio preambolo giustifica la funzione della prima parte del presente contributo, a sua volta articolata in due capitoli, uno storico e l’altro storico-culturale. Nel primo il fine è ripercorrere la storia di Viareggio per comprendere quale è stato il suo grande passato e, contemporaneamente, cogliere il momento della cesura, quella fase in cui l’ambiente,

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ORENZO VIANI, Edificare o tritolare?, in «La difesa di Viareggio», I, 3, 27 aprile 1919. Ora in LORENZO

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espressione di una cultura popolare e tradizionale, viene meno, entra in crisi e progressivamente si dissolve. Studiare l’antichità e i tempi più recenti ci consente di risalire alle diverse tappe che hanno visto, prima il borgo nascere, poi diventare città, luogo di villeggiatura aristocratica e infine “Perla del Tirreno”, località balneare per eccellenza, presa in breve tempo e velocemente nel turbine della mondanità di massa. Quest’ultimo passaggio, in particolare, è la chiave per comprendere come un mondo come quello marinaro viene meno e, di conseguenza, perché esso venga rievocato dagli scrittori locali. Inoltre, fare un excursus storico ci può far cogliere e penetrare più in profondità un romanzo come Sulla spiaggia e di

là dal molo di Tobino, tentativo di recuperare momenti del passato affiancandoli al presente e

conservandoli in vista del futuro. Infine, è necessario anticipare che nel tracciare un quadro generale della storia di Viareggio, le citazioni e gli inserti ricavati dai tre autori e già inseriti fin dall’inizi ci possono fornire subito un assaggio del rapporto che essi instaurano col passato, coi suoi fatti e i suoi personaggi, dai tempi più lontani ai più moderni. Ci mostrano come gli scrittori si muovano nella e con la storia, riportandoci i loro sguardi su eventi e luoghi della città di ieri e di quella a loro contemporanea.

Passando al secondo capitolo, Viareggio e la Versilia tra fine ‘800 e ‘900: un crocevia di

artisti e uomini di cultura, esso si presenta come un focus su una delle due anime della città

che vengono a formarsi col progredire degli anni e a imporsi nel periodo aureo della località tirrenica, cioè, per la dirla con Tobino, quella “sulla spiaggia”, il macrocosmo cosmopolita della vita letteraria, artistica e teatrale protagonista indiscussa su quel palcoscenico architettonico che fu la Passeggiata con i suoi locali e i grandi stabilimenti balneari. Un tale approfondimento ci mostrerà la differenza tra questo ambiente e l’altro volto di Viareggio, quello “di là dal molo”, il microcosmo della darsena e della Viareggio vecchia che si animerà nelle pagine degli scrittori e che era separato, ma intimamente unito al primo dal canale Burlamacca, spartiacque e confine non solo fisico, ma anche ideale.

Questa dimensione umana, quella dei “darsenotti” come venivano chiamati allora, emergerà nella seconda parte, La Viareggio che non c’è più di Viani, Tobino e Micheli, in cui entriamo nella parte più viva del lavoro, l’analisi e il confronto tra i tre scrittoti. Ognuno, col suo stile, si fa rappresentante del mondo marinaro e popolare. La marina di Viareggio coi suoi bastimenti, i velieri, coi caratteristici personaggi, marinai e costruttori, e coi suoi luoghi tipici, il porto, il molo, la darsena, le strade e i vicoli che conducevano al vecchio mercato all’ombra della secolare Torre Matilde, diventano terreno fertile per una produzione letteraria che proprio da questi posti, dal mare e dalla sua gente, trae ispirazione e alimento. Ecco spiegato il titolo del contributo, Viareggio, il mare e la sua gente: storia culturale e letteraria della città

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nel Novecento, che, oltre a sintetizzare le due anime del lavoro, una storico-culturale e l’altra

squisitamente letteraria, mette in luce, nella sua prima parte, i tre ingredienti attraverso i quali i tre scrittori esaminati impastano e amalgamano, ciascuno alla propria maniera, i loro racconti o romanzi. Chi in modo più elegiaco e romantico, Tobino, che a tratti subisce l’influenza letteraria di autori come Hemingway o Conrad; chi con violenza espressionistica e senza idealizzazioni, Viani, che spesso ci lascia in bocca un retrogusto amaro e salmastroso; chi realisticamente e con occhio da cronista, Micheli, il quale, oltre a documentare con una vera e propria inchiesta i fatti tragici che coinvolsero la nave recuperi Artiglio, si abbandona anche a momenti di rimpianto per un’epoca lontana, filtrata attraverso i racconti degli ultimi capitani…

“Ai nostri tempi…”Cominciano sempre così. Ora sono vecchi, alcuni toccano i novanta, altri li passano. Gente che ascolta il mare se ringhia, scuotendo il capo come se avessero ancora figli o nipoti a lottare dove già loro lottarono, oceano o mediterraneo in tempesta.

Sono gli ultimi capitani dell’epoca della vela, gente che ha navigato dentro e fuori lo Stretto: i loro racconti seguono precise rotte, ogni parola è una cosa in un linguaggio di nomi e di date.

[…] “Ai nostri tempi…” Così le storie dei padri, così le storie dei nonni che sono le loro a cavallo del secolo. Allo stesso modo devono essere giunte a noi le storie dei primi uomini narrate attorno al selvaggio fuoco da campo.

Qui ardono solamente le luci di bordo veleggiando a malora tra i Capi crocisegnati: “Occhio fratello, qui frangenti, là traversie, la patria è ancora lontana, tocca la bussola, tre colpetti prima di metterti alla cappa con la trinchetta al vento…” Attraverso la lunga notte del tempo trascorso gli uomini hanno memorie scandite con il ritmo profondo di un rosario delle cose che trattano direttamente con la vita, con le parole essenziali degli ex-voto di quell’epoca per noi romanzesca.16

Un’epoca davvero romanzesca che Tobino, Viani, Micheli, ci restituiscono con intensità e sentimenti multiformi, proiettandoci però allo stesso modo in una realtà diversa e che non c’è più, con cui possiamo anche sognare perché muovendoci oggi tra quelle strade e in quegli stessi luoghi di cui loro ci parlano non riusciamo più a vedere velieri, marinai, pescatori, calafati e tutta quella realtà semplice che viene descritta. Ai nostri occhi sembra quasi impossibile che sia esistita e solo le loro pagine ce lo attestano facendosi scrigno di memoria.

16S

ILVIO MICHELI, La rotta del tramonto, introduzione a Le storie dei corsari buoni. I marinai viareggini, Viareggio, Mauro Baroni Editore, 1996, pp. 11-12.

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