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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

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Academic year: 2021

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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI MICROSPORUM CANIS

La microsporiasi felina è una dermatofitosi che non può essere trascurata per vari motivi:per l’alto rischio di zoonosi, per l’elevato impegno che richiede il trattamento dell’animale e dell'ambiente domestico, soprattutto per la volatilità delle spore, che contaminano l’ambiente domestico e provocano molto spesso delle ricadute negli animali e negli uomini; per i tempi lunghi richiesti dalla terapia e per i costi non propriamente modesti dei farmaci necessari alla cura.

Il fine della terapia è, quindi, quella di abbreviare la durata e l’entità dell’infezione, ridurre il rischio di contagio e, soprattutto per il gatto, evitare che il soggetto si trasformi in un portatore sano. Il trattamento convenzionale di tali infezioni, sia a livello sistemico che topico, si avvale di principi attivi che alterano il metabolismo fungino interferendo quindi nelle fasi del ciclo propagativo dei miceti. Tali molecole (griseofulvina, itraconazolo, terbinafina) devono essere somministrate per periodi lunghi in maniera continuativa, e nonostante ciò possono risultare inefficaci, in grado di provocare resistenza fungina o reazioni avverse, oltre ai problemi di gestione per il proprietario.

Per questo l’attenzione dei veterinari, ma anche quella dei proprietari, si sta rivolgendo verso le terapie non convenzionali, come omeopatia e fitoterapia: la miscela a base di oli essenziali di timo, origano e rosmarino da applicare topicamente sulle lesioni dell'animale si è mostrata particolarmente interessante nella pratica clinica associata alla terapia convenzionale, in quanto ha consentito la guarigione eziologica dei soggetti trattati in tempi più brevi rispetto al trattamento convenzionale da solo: ciò è particolarmente importante se si tiene conto che M. canis è un agente zoonotico di primaria importanza e che il contagio avviene per via diretta tramite le spore che un animale infetto rilascia nell'ambiente, per cui una risoluzione più veloce del problema consente pure una minor contaminazione ambientale.

Il trattamento ambientale svolge un ruolo chiave nel trattamento della microsporiasi felina: la miscela idroalcolica a base di oli essenziali di litsea, anice stellato, finocchio dolce e geranio ha mostrato avere una buona azione antimicotica sia in vitro che applicata agli ambienti contaminati e quindi può essere usate efficacemente come metodo alternativo per la decontaminazione degli ambienti dalle artrospore di tali funghi: ha infatti un odore gradevole e non presenta controindicazioni se usata in ambienti frequentati da uomini e animali, non è tossica o irritante e non danneggia le superfici trattate a differenza dei comuni preparati antifungini usati.

L’impiego degli oli essenziali nelle micosi superficiali ha dato risultati molto soddisfacenti: la diversa combinazione di tali principi dev’essere considerata un nuovo strumento per migliorare l’efficacia clinica del rimedio naturale.

In letteratura sono pochi gli studi effettuati sulla valutazione dell’azione antifungina degli oli essenziali, soprattutto contro dermatofiti. Alcuni lavori invece valutano anche i principali componenti degli oli essenziali (quali alcoli, aldeidi, fenoli..) noti per le loro proprietà antinfiammatorie e talvolta immunomodulanti e ritenuti responsabili in buona parte dell’attività

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antimicotica dell’olio.

L’olio essenziale di finocchio dolce e il suo componente principale, l’anetolo, sono stati testati contro Microsporum canis, Trichophyton mentagrophytes ed Epidermophyton floccosum (Mimica-Dukić et al., 2003); il carvacrolo provato su T. mentagrophytes (Mugnaini et al., 2013) è presente negli oli essenziali di santoreggia e timo bianco ed ha presentato un’efficace azione anche contro M. canis (Mugnaini et al., 2012). Altri oli essenziali come il geranio e i suoi componenti principali, citronellolo e geraniolo (Ben Hsouna et al., 2012) e l'olio essenziale di anice stellato e l’anetolo (Dzamic et al., 2009) risultano efficaci da test eseguiti su funghi non dermatofiti come Aspergillus sp., Fusarium sp., Alternaria sp.

Dai risultati ottenuti però la combinazione di più oli essenziali con maggiore efficacia fungicida sui miceli nelle prove singole sembra avere maggior efficacia anche in combinazione sotto forma di miscela mentre l’azione inibente è indifferentemente favorita dall’utilizzo di più oli essenziali efficaci insieme.

Le prove delle miscele sulle artrospore sono state eseguite sui peli di diversi gatti infetti da Microsporum canis aventi età, caratteristiche fisiche e sintomatologia diversa.

Pertanto tenendo conto di tale variabilità si può solo affermare che la miscele è risultata efficacie nell’eliminazione delle artrospore di M.canis, con una durata di trattamento sufficiente di un minimo di tre giorni ad un massimo di due settimane.

Si è cercato di impostare un protocollo per le prove simile al trattamento usato nell’ambiente: i peli sono stati nebulizzati una volta al giorno, invece di due come avviene nel protocollo ambientale, poi lasciati asciugare, tutti i giorni per tre settimane; infatti si deve tenere presente che la miscele in questo caso viene nebulizzata direttamente sulle artrospore localizzate sul pelo e che la componente idroalcolica evapora quando vengono lasciati asciugare i peli, ma la componente oleosa resta in buona parte sul pelo, mentre nell’ambiente le artrospore, presenti anche nell’aria, vengono colpite meno direttamente e quindi possono risentire in minor modo dell’azione della miscele.

Le prove con la miscele idroalcolica negli ambienti contaminati sono state eseguite in case di diverso tipo e dimensioni, abitate da gatti infetti da M.canis con diversa età e caratteristiche fisiche, con abitudini di frequentare più o meno le stanze, con sintomatologia variabile di gravità diversa, trattati differentemente a seconda delle esigenze. Inoltre in ogni caso è risultata diversa la carica micotica di M.canis trovata con il monitoraggio ambientale prima dell’inizio del trattamento. Successivamente i proprietari hanno effettuato le pulizie delle stanze e delle superfici in modo diverso secondo loro coscienza e abitudine, hanno limitato più o meno l’accesso a determinate aree all’animale e hanno effettuato il trattamento ambientale con la miscela spray fornita secondo le nostre indicazioni ma con possibile differente assiduità nei singoli casi.

Pertanto tenendo conto delle variabili in gioco si può affermare il suo utilizzo è risultato applicabile e sufficiente come trattamento per la decontaminazione ambientale da M.canis.

La programmazione del ciclo di trattamento ambientale con la miscele idroalcolica, che consiste nel nebulizzare le superfici due volte al giorno tutti i giorni per tre settimane consecutive, è risultata

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sufficiente per debellare l’infezione da M.canis in tre casi (vedi tabella 6, 7 e 11), quindi efficace per durata e somministrazione e utilizzabile come ciclo standard di base.

Sono serviti più cicli di trattamento ambientale in casi di infezione da M.canis in cui la carica micotica era molto elevata resistenti: sono stati necessari due cicli di trattamento ambientale nel caso riportato in tabella 10 e 4 cicli nei casi riportati in tabella 8 e 9. In tutti i casi comunque, già dal monitoraggio effettuato dopo il primo ciclo di trattamento ambientale, tendenzialmente appare diminuito il numero delle colonie di M.canis in molte sedi di prelievo.

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MALASSEZIA

Dai dati ottenuti dalle prove in vitro è emerso che gli oli essenziali che compongono il Malacalm®

presentano un range di efficacia nei confronti di M. pachydermatis compreso tra le diluizioni del 2% e del 6% per gli oli testati.

Per quanto riguarda gli oli essenziali Citrus aurantium, e Lavandula officinalis si sono dimostrati i più efficaci, con una MIC pari al 2%; mentre Mentha piperita e Origanum majorana hanno mostrato la stessa MIC al 4% e Origanum vulgare al 6%.

L’ unica eccezione riguarda Helichrysum italicum, al quale non è stata riconosciuta alcuna attività inibente. Questo dato è compatibile con il fatto che questo olio essenziale, all’interno della miscela per il trattamento della dermatite da Malassezia, ha una funzione prettamente eudermica antinfiammatoria, antiallergica e antieritematosa; non ci si deve aspettare, dunque, di ritrovare in quest’olio essenziale un’ azione di inibizione della crescita dei lieviti, ma solo di ripristino dell’equilibrio dell’epidermide, agendo in sinergismo con gli altri oli presenti.

Questo fattore riveste particolare importanza, dal momento che M. pachydermatis è un commensale della cute, che soltanto in particolari condizioni si comporta da patogeno opportunista.

Inoltre la MIC molto bassa evidenziata per il Malacalm® nel suo complesso indica un’azione

sinergica del fitocomplesso: il sinergismo tra costituenti e diverse concentrazioni di oli essenziali è stato segnalato in recenti pubblicazioni inerenti diversi patogeni; la via di somministrazione preferenziale è quella topica nella quale gli oli sembrano anche favorire la penetrazione e l’assorbimento.

Per quanto concerne l’analisi del follow up prettamente sintomatologico la remissione completa dei sintomi si è avuta in 13 cani su 20 i restanti casi sono per lo più migliorati, e i sintomi che non sono scomparsi dopo il mese di trattamento si limitano all’alopecia, eritema, prurito, forfora.

Poiché l’alopecia si è ripresentata associata al prurito in un caso e all’eritema localizzato in un altro, è plausibile che la fase di crescita del pelo sia stata ulteriormente rallentata da queste alterazioni. La scomparsa completa della lichenificazione, iperpigmentazione, papule e odore rancido, palesa il ruolo della miscela non solo contro la Malassezia ma anche come agente eudermico grazie alla presenza dell’olio essenziale di elicriso e di mandorle dolci.

Si ritiene l’olio di mandorle dolci particolarmente indicato per il Malacalm®, non solo perché

valido eccipiente e veicolante, ma anche perché grazie alle sue proprietà lenitive ed emollienti facilita il ripristino dell’equilibrio cutaneo. In questo modo agisce in perfetta sinergia con le proprietà degli altri oli, che in una cute meno infiammata potranno svolgere al meglio la loro funzione antibatterica ed eudermica; inoltre ripristinando l’equilibrio dermico la Malassezia tenderà inevitabilmente a svilupparsi meno.

Per i soggetti che hanno seguito la terapia con Malacalm® il sintomo rimasto nella maggior parte

dei casi è quello del prurito, presente anche in 4 dei pazienti del gruppo di controllo e dei 17 che lo presentavano alla prima visita. Si deve considerare che prima del trattamento questi soggetti avevano zone di iperpigmentazione e in un caso anche lichenificazione associata. È verosimile,

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dunque, che a causa dell’alterazione dell’epidermide siano necessari per questi soggetti tempi risolutivi più lunghi.

L’eritema localizzato è stato riscontrato in soli 3 soggetti in cui erano presenti numerose pieghe cutanee. All’interno delle pieghe cutanee si crea il microclima adatto per la crescita di Malassezia, questo fatto richiederebbe un maggior scrupolo da parte del proprietario nell’applicazione del prodotto, o una ulteriore somministrazione rispetto alle altre aree; è possibile dunque che la persistenza di tale eritema localizzato, presumibilmente in queste zone, sia dovuta alla difficoltà di trattare la zona. L’alopecia è rimasta presente in 2 soggetti, contro i 14 iniziali: in questo caso si deve considerare che la fase di crescita del pelo richiede una tempistica maggiore rispetto alla guarigione di altre lesioni dermatologiche.

L’eritema diffuso si è ripresentato in un unico paziente il cui proprietario ha avuto difficoltà nell’essere costante nella terapia.

La forfora è stata riscontrata in visita di controllo in un Pastore Tedesco che ha mostrato anche la permanenza del prurito.

Per i soggetti di controllo l’alopecia è rimasta in 2 soggetti su 5 e, negli stessi, è stato nuovamente riscontrato anche eritema localizzato.

I dati di laboratorio del follow up clinico sono stati integrati con i dati di laboratorio: l'esame citologico tramite tamponi effettuati da rima buccale, orecchie, inguine, ascelle, spazi interdigitali e ungueali anteriori e posteriori. Solamente in 7 cani su 20, nella visita pre trattamento, è stata riscontrata la presenza di Malassezia nella rima buccale, dopo il mese di trattamento non c’è stata crescita di colonie nelle semine su terreno e neanche la presenza di Malassezia su vetrino; nella zona ascellare, 14 cani su 20, sono risultati positivi in sede di prima visita e in quella inguinale 18 su 20: in entrambi i casi alla seconda visita i dati di laboratorio hanno evidenziato l’assenza totale del lievito. Tutti i 20 pazienti hanno mostrato positività alla presenza di Malassezia nel padigione auricolare: l'evoluzione sintomatologica è stata omogenea in tutti i casi tranne in uno in cui non si è avuta diminuzione dei lieviti all'esame citologico.

Per gli spazi interdigitali anteriori, sui 20 casi presi in esame, solamente 1 non ha avuto positività ai test citologici e colturali alla prima visita: in 9 hanno poi riportato al follow up in laboratorio la completa scomparsa e 2 una riduzione di più del 50% delle colonie.

Per quanto riguarda i dati degli spazi interdigitali posteriori, palesano una situazione molto simile ai dati degli spazi interdigitali anteriori: in 8 hanno mostrato al follow up la completa assenza di crescita del lievito; dei restanti , 3 sono migliorati con riduzione di più del 50% delle colonie e 2 sono rimasti stabili o con minime variazioni.

In 7 pazienti su 20 non hanno mostrato presenza di Malassezia negli spazi ungueali anteriori I positivi ma con ridotto numero di lieviti sono 2, e dopo il mese di trattamento sono poirisultati negativi, in 11 mostravano abbondante presenza del lievito alla visita pre trattamento, mentre al follow up 9 hanno mostrato in sede di controllo totale assenza di Malassezia.

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con una ridotta presenza di Malassezia risoltasi completamente nell’arco del mese della terapia. In merito alle localizzazioni degli spazi interdigitali, sia anteriori che posteriori e spazi ungueali, è da considerare la difficoltà della somministrazione che richiede una maggiore attenzione da parte del proprietario, e la scarsa permanenza del prodotto in queste aree in particolar modo nei cani che vivono all’esterno, come anche il frequente leccamento delle zone stesse.

Considerando l'esame citologico delle diverse localizzazioni prese in esame, è più agevole verificare se vi sono delle zone che richiedono dei tempi di guarigione più lunghi ed eventualmente modificare il metodo di somministrazione del Malacalm®. I risultati migliori son stati ottenuti a

livello di rima buccale, inguine, ascelle e orecchie in cui si è avuta una remissione pari al 100% anche nei soggetti con lesioni conclamate da dermatite.

Le maggiori difficoltà sono state incontrate nel trattamento delle zampe: spazi interdigitali e ungueali hanno mostrato spesso in seconda visita eritemi e/o crescita colturale abbondante.

I proprietari in corso di anamnesi hanno confermato di avere avuto difficoltà durante la somministrazione nelle zampe, questo dato sommato al fatto che in questa sede si viene a contatto con batteri e sporcizia spiega forse la diversa evoluzione della sintomatologia.

Comparando i risultati ottenuti con la terapia convenzionale e con il trattamento fitoterapico, si nota come l’evoluzione sintomatologica sia abbastanza similare; ma nei tre mesi successivi è stato effettuato un nuovo follow up di tutti i casi sia di studio che di controllo: i soggetti che hanno ricevuto la terapia a base di oli essenziali, per quanto riguarda i casi con piena remissione sintomatologica, non si siano presentati recidive; mentre nei soggetti di controllo tutti hanno presentato recidive.

Per quanto riguarda i funghi l’adattamento di un micete ad uno specifico ospite può influenzare l’esito di un trattamento: di solito un patogeno è più difficilmente eradicabile dalla specie serbatoio, come può avvenire nel caso della microsporiasi felina; nel caso di un opportunista quale Malassezia, invece la terapia ha lo scopo di contenere il numero di lieviti.

In questo caso il trattamento ideale si articola attraverso una duplice azione, antimicotica e restituiva del microhabitat cutaneo. Fallimenti terapeutici in corso di dermatiti/otiti da Malassezia sembrano dovuti più ad un inadeguato riconoscimento e correzione dei fattori predisponenti, che a una vera resistenza da parte del lievito.

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LIEVITI

Esistono molti studi sulla suscettibilità agli antimicotici dei lieviti isolati dall'uomo; tuttavia la letteratura offre poche indagini relative ai lieviti potenzialmente patogeni isolate nelle feci degli animali domestici e alla loro sensibilità in vitro ai farmaci antifungini.

L'elevata positività dei campioni rende difficile risalire agli eventuali fattori ambientali o alimentari che possono essere associati alla presenza di lieviti nel tratto gastro-enterico degli animali sani: il ritrovamento di specie fungine diverse in animali il cui ambiente di provenienza, la dieta e il contatto con altre specie fosse lo stesso, conferma questa evidenza.

Tutti i lieviti identificati sono ritenuti contaminati ambientali e molti di essi vivono comunemente come saprofiti su cute e mucose o nel cavo orale dell'uomo.

Le specie appartenenti al genere Candida spp sono diventate una delle più comuni cause di infezioni nosocomiali del sangue oltre un ventennio fa (Banerjee et al., 1991)

La frequenza di candidemia e candidosi invasiva continua ad aumentare in tutto il mondo (Pfaller e Diekema 2012); secondo uno studio internazionale sulla prevalenza e sugli esiti delle infezioni Candida spp rappresenta la terza causa più comune in 1265 unità di terapia intensiva e la seconda nelle unità di terapia intensiva in Nord America e in Europa occidentale (Vincent et al., 2009). Tra più di 100 specie finora descritte 20-30 sono implicate nelle infezioni cliniche umane: sebbene circa il 95-977% di tutte le infezioni invasive micotiche da candida siano causate da 5 specie (C. albicans, C. glabrata, C. parapsilosis, C. tropicalis e C. krusei) l'elenco delle specie segnalate continua a crescere. C. albicans è la specie più comunemente isolata da materiale clinico e generalmente è responsabile del 90-100% delle infezioni delle mucose e per il 40-70% degli episodi di candidemia (Pfaller e Diekema, 2007).

La quasi totalità dei lieviti isolati è considerata patogena nei soggetti a rischio, motivo per cui il contatto ravvicinato con gli animali potrebbe essere un fattore di rischio per le persone immunocompromesse che hanno una più alta probabilità di contrarre infezioni opportunistiche. La tipizzazione delle specie di lieviti implicati in tali infezioni e la ricerca nell'ambito della sensibilità/resistenza ai farmaci ad attività antifungina da parte di tali patogeni vogliono offrire, insieme all'adozione di adeguate misure di prevenzione delle malattie zoonotiche, un valido contributo al miglioramento del rapporto uomo-animale.

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ASPERGILLI

Gli studi condotti in Europa hanno mostrato costante associazione tra l'alto numero di terapie fallimentari e l'utilizzo talora senza controllo e intensivo di formule anticrittogamiche in campo agricolo. Ad oggi l'emergenza dei trattamenti terapeutici fallimentari non trova una continuità statistica tale da imporre certezze deduttive sulle cause.

I risultati ottenuti durante lo studio offrono una panoramica epidemiologica significativa, se ripresi con i risultati recenti condotti al Nord Italia (Prigitano et al., 2014; Tortorano et al., 2012), permettendo una visione d'insieme del fenomeno delle resistenze ai triazoli in Italia soprattutto in campo ambientale ma anche clinico.

La mancanza di campioni di origine umana probabilmente ci porta a divergere dai risultati sia del Nord Italia che del Nord Europa fin ad ora ottenuti. Nella maggior parte degli studi condotti in Europa sono stati indagati campioni provenienti contemporaneamente sia da casi clinici umani sia da casi ambientali.

Il numero dei casi ambientali esaminati ci permette di segnalare l'assenza di resistenze tra gli isolati di A. fumigatus, il che differisce da quanto osservato al Nord Italia dove viene riportata di recentissimo l'identificazione di 9 ceppi resistenti di A. fumigatus ottenuti da 47 campioni ambientali i cui substrati erano non dissimili trattandosi di colture di vario genere (Prigitano et al., 2014; Tortorano et al., 2012). I campioni prelevati descrivono in maniera significativa l'epidemiologia ambientale, soprattutto se riferiti alle zone del Centro e del Sud dell'Italia, poiché provenienti anche da zone ad alta intensità animale, considerando così ambiente, agricoltura e popolazione animale viva come un solo “environment”.

Lo studio comunque è stato condotto ponendo l'attenzione su tutta la flora isolata del genere Aspergillus. In tal modo è stato possibile esaminare la sensibilità di diverse specie all'itraconazolo, posaconazolo e voriconazolo. Più volte è stato riscontrato un rapporto di commensalismo sia al Centro che al Sud Italia tra diverse specie di aspergilli: interessante è la presenza concomitante in zone vicine tra loro di A. fumigatus con ceppi di A. niger, A. flavus e A. terreus invece resistenti. Probabilmente ciò e dovuto a fenomeni di promiscuità tra animali e ambiente diversi ma vicini: il territorio di Livorno e le zone del siracusano, essendo entrambe zone sia di transito che di riposo che i volatili utilizzano durante le tratte migratorie, hanno offerto dati epidemiologici convergenti non differendo nei risultati, avendo dato entrambi i territori substrati con elevato indice di commensalismo ed elevata frequenza di resistenze, talora associate alla semplice coesistenza con A. fumigatus, sebbene quest'ultimo apparso dalle prove come sensibile.

Non è un caso quindi il rilievo di questo fenomeno anche in virtù di recenti indagini tramite le quali si dà credito al trasporto di microrganismi filamentosi come segnalato in uno studio condotto sulle migrazioni (Alfonzo et al., 2013).

Oltre a confermare sicuramente la relazione tra ceppi resistenti in ambiente vegetale con volatili, non si esclude la possibilità di resistenze dovute a meccanismi di adattabilità genetica nei confronti degli azoli usati in campo agricolo o medico.

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I risultati ci portano tra l'altro anche a suggerire di allargare in Italia l'interesse sulle resistenze verso più specie del genere Aspergillus: recenti indagini ultimate in Puglia agli riportano infatti l'importanza delle altre specie del genere Aspergillus in ambito clinico, talora presenti nello stesso campione o soggetto, ed il cui potenziale patogeno di ogni singolo isolato rimane confermato, ma ad oggi tutt'altro che chiarito nelle cinetiche di sinergismo che potrebbero crearsi in soggetti sani, immunocompromessi, trattati e naive (Carpagno et al., 2014).

Visti i risultati ottenuti al nord Italia, il fenomeno potrebbe diffondersi anche nelle zone investigate. Una rete di sorveglianza nei punti critici, quali zone di passaggio e di sosta di uccelli migratori potrebbe essere utile; proprio dai punti sentinella potrebbero emergere i primi fenomeni di resistenza, ovviamente in associazione con il continuo monitoraggio in ambito nosocomiale senza tralasciare l'importanza dei trattamenti effettuati in campo agricolo che dovrebbero venir monitorati e gestiti con maggior attenzione.

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