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Le condizioni per la riabilitazione rispetto all estinzione ex art. 445, co. 2, c.p.p. TAR Sicilia Palermo sez. III sentenza del 4 agosto 2020 n.

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“Le condizioni per la riabilitazione rispetto all’ estinzione ex art. 445, co. 2, c.p.p.” – TAR Sicilia – Palermo – sez. III – sentenza del 4

agosto 2020 – n. 1754

Ai sensi dell’art. 179, c.p., diverse sono le condizioni per ottenere la riabilitazione

rispetto all’estinzione ex art. 445, co. 2, c.p.p., consistenti: nel decorso di un certo periodo di tempo (almeno 3 anni dalla espiazione / estinzione della pena e, in caso di condanna

condizionalmente sospesa, dallo stesso momento dal quale decorre il termine della

sospensione della pena), nella buona condotta, nella non sottoposizione a misure di sicurezza e nel pagamento delle spese processuali e degli obblighi risarcitori derivanti dal reato

(obbligazioni civili).

Pubblicato il 04/08/2020

N. 01754/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00831/2019 REG.RIC.

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 831 del 2019, proposto da -OMISSIS-,

rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Iellamo, con domicilio digitale come indirizzo da PEC estratto dai registri del Ministero della Giustizia;

contro

– l’Ufficio Territoriale del Governo di Palermo, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

– del decreto n. prot. -OMISSIS-, notificato in data 19 gennaio 2019, di reiezione

dell’istanza diretta alla revoca del provvedimento di detenzione armi e munizioni n. -OMISSIS-

;

– di ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di formale costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Palermo;

Vista l’ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, di reiezione della domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale da parte ricorrente, e di richiesta istruttoria;

Vista la documentazione depositata dall’Amministrazione resistente il 13 maggio 2019, in esecuzione dell’ordine istruttorio;

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Vista la memoria depositata dall’Amministrazione resistente il 3 febbraio 2020;

Vista l’istanza di passaggio in decisione depositata da parte ricorrente il 16 luglio 2020;

Visto il decreto n. 61 del 23 maggio 2019, di ammissione al patrocinio a spese dello Stato da parte della competente commissione;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84, co. 5, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito dalla 24 aprile 2020, n. 27;

Relatore la D.ssa Anna Pignataro all’udienza del giorno 20 luglio 2020, tenutasi

mediante collegamento da remoto in videoconferenza, tramite applicativo come indicato a verbale;

PREMESSO che, così come risulta dagli atti di causa:

– il Prefetto di Palermo, con decreto n. -OMISSIS-, revocò il decreto di approvazione a guardia particolare giurata, nonché la licenza di porto d’armi a tassa ridotta, già in possesso dell’odierno istante, per mancanza dei requisiti psico-fisici per lo svolgimento delle predette mansioni poiché questi fu riconosciuto, dal Dipartimento di salute mentale dell’A.U.S.L. n. 6 di Palermo, afflitto da una sindrome depressiva ansiosa con somatizzazione viscerale multipla dell’ansia; con successivo decreto n. -OMISSIS-, fece divieto di detenere armi e munizioni, sia per le ragioni già indicate nel precedente decreto n. -OMISSIS-, sia a seguito della

segnalazione da parte della Squadra Mobile della Questura di Palermo, dell’arresto del suddetto per il reato di peculato continuato in concorso e la sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari disposta dal G.I.P. del Tribunale di Palermo;

– il relativo procedimento penale si concluse con sentenza n. -OMISSIS-(divenuta irrevocabile il 9 luglio 2006) di applicazione della pena su richiesta consistente nella

condanna ad anni uno e mesi sei di reclusione per il reato di cui agli artt. 314 e 624 – 625, c.p., (peculato in concorso, peculato continuato in concorso, furto continuato in concorso), pena poi condizionalmente sospesa;

– con ordinanza n. -OMISSIS-, il G.I.P. del Tribunale di Palermo ha dichiarato estinto il reato e gli effetti penali della sentenza ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., essendo trascorsi cinque anni dalla definizione del procedimento di patteggiamento senza la commissione di altri reati;

– l’odierno istante ha quindi chiesto al Prefetto di Palermo la revoca dei predetti decreti n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-, sulla base di una nuova valutazione discrezionale della mutata situazione di fatto, allegando, al tal fine, la certificazione medica rilasciata dal Distretto sanitario 42 di Palermo, Unità Operativa di medicina legale e fiscale, attestante l’idoneità psico-fisica per il rilascio della licenza di porto d’armi, nonché l’ ordinanza n. -OMISSIS-, di estinzione del reato;

– il Prefetto di Palermo, con decreto n. -OMISSIS-, ha respinto però la predetta richiesta di revoca, confermando la permanenza del giudizio di inaffidabilità del richiedente alla luce del parere contrario espresso dalla Questura di Palermo, con la nota n. -OMISSIS-, con ampio richiamo ai principi giurisprudenziali espressi in materia secondo i quali il privato non vanta alcuna posizione di diritto soggettivo al rilascio delle autorizzazioni in materia di porto d’armi, trattandosi di atti rilasciati in eccezione al generale divieto posto dalle norme vigenti, che presuppongono un accertamento altamente discrezionale circa l’affidabilità e la prospettiva del futuro non abuso, nell’ottica della prevalente tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica;

CONSIDERATO che l’odierno ricorrente, con atto notificato il 19 marzo 2019 e depositato

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il 16 aprile 2019, ha impugnato, al fine dell’annullamento previa adozione di misura cautelare, il diniego di revoca, e la conseguente conferma a seguito della rinnovata istruttoria, dei decreti prefettizi in epigrafe, deducendone l’illegittimità per i motivi di:

1) “Eccesso di potere per istruttoria incongrua, lacunosa ed erronea e per motivazione altrettanto incongrua ed erronea. Violazione e falsa applicazione T.U. delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18.6.31 n.773)” poiché non sarebbe stata compiuta alcuna valutazione del fatto di reato contestato, risalente a oltre tredici anni addietro e, quindi, facendo sostanziale applicazione dell’automatismo preclusivo escluso dall’intervenuta estinzione del reato e dalla conseguente riabilitazione ex art. 178 c.p..

La motivazione del diniego, peraltro, doveva essere più rigorosa in ragione dello svolgimento del lavoro di guardia giurata con mansioni ausiliarie in qualità di operatore di - OMISSIS- presso l’Istituto di Vigilanza privata “-OMISSIS-

2) “Falsità ed inesistenza di presupposti. Istruttoria incongrua, lacunosa ed erronea.

Violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 43 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza di cui al R.D. 18.6.1931 n.773. Eccesso di potere. Motivazione erronea, incongrua, illogica e non adeguata”, poiché sarebbe comprovata la sua natura di persona mite e laboriosa nonchè la condotta irreprensibile nell’esercizio delle funzioni lavorative, attraverso la lettera di

referenze dell’Istituto di Vigilanza privata “-OMISSIS-S.r.l.”, depositata in atti;

CONSIDERATO che:

– l’amministrazione prefettizia si è costituita in giudizio con atto di mera forma;

– con ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, è stata respinta la domanda cautelare e

disposta a carico dell’Amministrazione l’esibizione del parere contrario contenuto nella nota n. -OMISSIS-della Questura di Palermo, richiamato per relationem a supporto della

motivazione del provvedimento impugnato, eseguita dall’Amministrazione obbligata mediante deposito documentale del 13 maggio 2019;

– con memoria del 3 febbraio 2020, l’amministrazione resistente ha contestato le tesi difensive di parte ricorrente e chiesto il rigetto del ricorso siccome infondato;

– all’udienza del 20 luglio 2020, la causa è stata posta in decisione;

RITENUTO che il ricorso è infondato.

Va ricordato, innanzitutto, che per effetto della modifica introdotta dall’art. 3, comma 1, lett. e), del D.lgs. 10 agosto 2018, n. 104, il testo del comma 2, dell’art. 43, del T.U.L.P.S.

(che originariamente prevedeva: “La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi“) a decorrere dal 14 settembre 2018, è riferito anche

“ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione”.

A seguito del nel nuovo regime – applicabile alla fattispecie per cui è causa – all’Autorità di p.s. spetta il potere di valutazione discrezionale originariamente limitato “ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi” (in ordine al quale era già intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 440 del 1993) anche nei confronti dei “soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione“: l’Amministrazione, pertanto, potrà sempre fondare sui precedenti penali una prognosi di inaffidabilità del richiedente, malgrado l’intervenuta estinzione del reato e dei suoi effetti penali.

La modifica normativa del 2018 è stata ispirata dall’orientamento giurisprudenziale che si era andato formando in anni recenti e che negava il carattere preclusivo, rispetto al rilascio della licenza di portare armi, di una condanna per uno dei reati di cui al primo comma del citato art. 43 del T.U.L.P.S., nel caso in cui successivamente fosse intervenuta la

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riabilitazione.

Secondo tale orientamento “la condanna, per quanto remota e superata dal

provvedimento ricognitivo dell’estinzione del reato, non perde la sua rilevanza in senso assoluto, ma proprio per effetto della riabilitazione essa non innesca alcun automatismo preclusivo, potendo semmai essere posta a base di una valutazione discrezionale, che tuttavia deve tenere conto di ulteriori elementi, come la condotta successiva alla commissione del reato” (cfr. T.A.R .Piemonte, Torino, sez. I, 25 maggio 2018, n. 648).

Va ancora ricordato che in materia è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 109 del 2019 alla quale è stata sottoposta la questione di legittimità costituzionale dell’art.

43, primo comma, lett. a), del T.U.L.P.S., che esclude il rilascio della licenza di portare armi nei confronti di “chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione“. La Corte ha dichiarato non fondata la questione affermando che: “Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che

richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica (su tale dovere, ex plurimis, sentenze n. 115 del 1995, n. 218 del 1988, n. 4 del 1977, n. 31 del 1969 e n. 2 del 1956): beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi.

Non può, di conseguenza, ritenersi manifestamente irragionevole una disciplina, pur particolarmente severa come quella ora all’esame, che sancisce un divieto assoluto di concessione della licenza di porto d’armi anche nei confronti di chi sia stato condannato per furto e abbia ottenuto la riabilitazione, dal momento che tale delitto comporta pur sempre una diretta aggressione ai diritti altrui, che pregiudica in maniera significativa la sicurezza pubblica e al tempo stesso rivela una grave mancanza di rispetto delle regole basilari della convivenza civile da parte del suo autore.

Resta naturalmente libero il legislatore, entro il limite della non manifesta

irragionevolezza, di declinare diversamente il bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco, ad esempio attraverso previsioni – come quella introdotta con il già citato D.Lgs. n. 104 del 2018, della quale i ricorrenti nei giudizi a quibus potranno ora avvalersi reiterando le rispettive domande alle questure competenti – che attenuino la rigidità della preclusione, allorché sia intervenuta la riabilitazione del condannato“.

Orbene, nel caso di specie, il provvedimento impugnato dà ampia illustrazione delle ragioni di fatto – non coincidenti con la mera condanna per il predetto reato ostativo – che giustificano la prognosi sfavorevole cui l’Amministrazione è giunta, espressione quest’ultima di una valutazione discrezionale che non si espone ai rilievi di illogicità e travisamento mossi dal ricorrente.

Ma ciò che è dirimente è la circostanza che parte ricorrente, contrariamente a quanto affermato in ricorso, non ha dimostrato in giudizio – mediante deposito del relativo

provvedimento del Tribunale di Sorveglianza – di avere chiesto e ottenuto la

riabilitazione ex art. 178, c.p., e, dunque, manca l’elemento che tipicamente evidenziava la

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ritenuta incongruità di un automatismo che, prima della modifica del 2018, la giurisprudenza aveva cercato di superare attraverso un’interpretazione “costituzionalmente orientata” (ma poi non avallata dalla Corte costituzionale).

E’ noto, infatti, che il provvedimento di riabilitazione pronunciato dal Tribunale di

Sorveglianza, rispetto all’estinzione pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari, ex art.

445, co. 2, c.p.p., implica un più approfondito esame della condotta del soggetto e una favorevole considerazione del percorso rieducativo del condannato, con il riconoscimento della meritevolezza del beneficio, valutazione discrezionale del tutto assente nella pronuncia di estinzione (in tal senso, v. Corte di Cassazione, sentenza n. 51115 del 2013).

A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 179, c.p., diverse sono le condizioni per ottenere la riabilitazione rispetto all’estinzione ex art. 445, co. 2, c.p.p., consistenti, infatti: nel decorso di un certo periodo di tempo (almeno 3 anni dalla espiazione / estinzione della pena e, in caso di condanna condizionalmente sospesa, dallo stesso momento dal quale decorre il termine della sospensione della pena), nella buona condotta, nella non sottoposizione a misure di sicurezza e nel pagamento delle spese processuali e degli obblighi risarcitori derivanti dal reato (obbligazioni civili).

Nella vicenda in esame, perciò, non sussistono i presupposti giuridici per accogliere il ricorso, fermo restando che il ricorrente potrà presentare una nuova istanza (che la

Prefettura e la Questura dovranno vagliare esercitando il potere discrezionale attribuito loro dalla nuova formulazione dell’art. 43, comma 2, T.U.L.P.S.) non appena sarà eventualmente avviato, e se concluso in senso favorevole, il procedimento di riabilitazione innanzi al

competente Tribunale di sorveglianza.

RITENUTO, in conclusione, per le ragioni esposte, che il ricorso in quanto infondato va rigettato.

RITENUTO che le spese di lite possono essere eccezionalmente compensate, in ragione della recente evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia;

RITENUTO, infine, che, non rivenendosi la manifesta infondatezza, va confermata in via definitiva l’ammissione di parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, già

provvisoriamente disposta dalla competente Commissione ex art. 14, disp. att., c.p.a.;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ammette in via definitiva parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente, sussistendo i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del

Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2020 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, co. 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 e dai decreti del Presidente del T.A.R. Sicilia n.

31 del 6 aprile 2020 e n. 38 del 21 aprile 2020, con l’intervento dei magistrati:

Maria Cristina Quiligotti, Presidente

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Anna Pignataro, Consigliere, Estensore Calogero Commandatore, Referendario

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