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NEL SETTORE AGROALIMENTARE

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(1)

LA TUTELA DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE NEL SETTORE AGROALIMENTARE

1 6 G I U G N O 2 0 2 2

RELATORI

AVV. ENZO BACCIARDI DOTT. GIANLUCA STATTI

DOTT.SSA MARIA VITTORIA PRIMICERI

INNOVARE IL SETTORE AGROALIMENTARE:

Export – digitalizzazione – sostenibilità

(2)

I SEGNI DISTINTIVI AD USO COLLETTIVO

I marchi collettivi, di certificazione, le DOP e le IGP, ovvero i segni destinati ad un uso collettivo, sono caratterizzati da:

1) fonti normative tra loro interferenti;

2) segni utilizzati da imprese indipendenti;

3) l’identificazione di prodotti/servizi non identici ma

con qualche caratteristica tipizzante comune

(3)

IL SEGNO COLLETTIVO ED IL MARCHIO INDIVIDUALE

I prodotti (o i servizi) seppur molto simili tra loro,

provengono da fonti differenti per cui è normale

che sul singolo bene presente nel mercato si

trovi il segno di uso collettivo ed anche il

marchio individuale del produttore.

(4)

Il segno collettivo fornisce al consumatore un’informazione diversa da quella del marchio individuale perché:

✔ può riferire ad una rete di imprese facenti parte di un unico centro direzionale;

✔ fornisce sempre un’informazione significativa,

ulteriore e diversa rispetto al messaggio

trasmesso dal marchio individuale ai fini del

processo di scelta del consumatore (sono detti

anche marchi di qualità e di garanzia).

(5)

IL SISTEMA DEI SEGNI AD USO COLLETTIVO

Il sistema dei segni ad uso collettivo è costruito su 2 sistemi normativi differenti:

✔ il primo prevede la distinzione tra:

a) segni di proprietà di associazioni di imprese destinati all’uso collettivo delle imprese associate (i marchi collettivi)

e

b) segni di proprietà di soggetti terzi indipendenti e dati in concessione ad imprese che si impegnano a rispettare certi disciplinari di produzione (i marchi di certificazione);

✔ il secondo prevede la distinzione tra:

a) segni disciplinati da norme di diritto privato (i marchi individuali, collettivi e di certificazione)

e

b) segni soggetti a forme varie di regolazione o vigilanza amministrativa

(6)

I MARCHI COLLETTIVI, DI CERTIFICAZIONE

E LA DISCIPLINA GENERALE DEI MARCHI

(7)

Ai marchi collettivi e di certificazione si applica la disciplina generale dei marchi, ciò significherebbe riconoscere una tutela non inferiore a quella adottata al marchio individuale

TUTTAVIA

la giurisprudenza è più incline ad una tutela

restrittiva, e a dare rilievo alla confondibilità quando

essa si traduce in una confondibilità sull’origine

associativa dei prodotti

(8)

DI CONSEGUENZA

si rischia di negare, ingiustamente, la tutela rafforzata spettante ai marchi di rinomanza.

Questa considerazione è di particolare importanza per gli elementi geografici

✔ perché quando sono contenuti in un marchio individuale devono considerarsi strettamente descrittivi per evitare vantaggi competitivi ingiustificati,

✔ ma quando il segno geografico è inserito in un marchio

collettivo o di certificazione, che è a disposizione di tutti gli

operatori del territorio, dovrebbe ammettersi una tutela

rafforzata quando c’è particolare enfasi alla componente

geografica.

(9)

ALCUNI ESEMPI DI MARCHI COLLETTIVI

E DI CERTIFICAZIONE

(10)

I MARCHI COLLETTIVI

TITOLARI: ASSOCIAZIONI DI IMPRESE.

DISTINGUONO I PRODOTTI O LE ATTIVITA’ DEGLI APPARTENENTI ALLE ASSOCIAZIONI DA QUELLI DI ALTRI OPERATORI ECONOMICI

(11)

I MARCHI DI CERTIFICAZIONE

TITOLARI: SOGGETTI INDIPENDENTI.

SVOLGONO LA FUNZIONE DI GARANTIRE L’ORIGINE, LA NATURA O LA QUALITA’ DEI PRODOTTI E DEI SERVIZI CONTRASSEGNATI DA TALI MARCHI, E SONO CONCESSI IN USO A TERZI PRODUTTORI/FORNITORI DI SERVIZI

(12)

LE BASI SULLE QUALI È COSTRUITA LA CATEGORIA DEI MARCHI COLLETTIVI E DI CERTIFICAZIONE SONO:

✔ la valorizzazione della particolare origine, qualità, provenienza geografica del prodotto/servizio;

✔ la dissociazione tra il titolare della privativa ed i soggetti abilitati ad utilizzare il marchio, oppure, nel caso di marchi collettivo, le condizioni di appartenenza all’associazione;

✔ la determinazione delle condizioni di utilizzazione del

segno indicate nel regolamento d’uso .

(13)

I RIFERIMENTI NORMATIVI ITALIANI ED EUROPEI

In Italia, i marchi collettivi e di certificazione sono regolati dagli articoli 11 ed 11 bis del Codice di Proprietà Industriale, recentemente emendato dal D.lgs 15/2019 che ha recepito la Dir. U.E. 2015/2436.

NOVITA’ → Introduzione del marchio di certificazione la cui funzione in passato era svolta dal marchio collettivo.

In ambito europeo, le due tipologie di marchi sono regolate

dagli artt. 74-93 del Regolamento U.E. 1001/2017.

(14)

PRINCIPALE DIFFERENZA TRA EUROPA ED ITALIA

✔ in Europa, il marchio di certificazione non comprende la provenienza geografica dei prodotti certificati;

✔ in Italia, la provenienza geografica costituisce una delle funzioni del marchio di certificazione.

La ratio di questa scelta europea è normalmente ascritta ad una volontà di evitare la disponibilità di alternative al sistema europeo DOP-IGP.

Il risultato è che sul piano nazionale i segni geografici sono

ammessi sia come marchi collettivi che come marchi di

certificazione, mentre sul piano europeo possono essere

registrati solo come marchi collettivi.

(15)

ALCUNI TRATTI COMUNI DELLA DISCIPLINA ITALIANA ED EUROPEA

1. La domanda di registrazione del marchio collettivo e di certificazione dev’essere accompagnata dal deposito di un regolamento d’uso (artt. 75, 84 del Regolamento U.E. 1001/2017, ed articoli 11 co. 2, 11 bis co. 2 e 157 C.P.I.).

2. Il soggetto titolare del marchio ha l’obbligo, a pena

di decadenza, di far rispettare il regolamento alle

imprese che lo utilizzano (artt. 81, 91 del

Regolamento U.E. 1001/2017 ed articolo 14 co. 2 lett

c) C.P.I.).

(16)

3. E’ prevista una speciale forma di sanatoria per i casi di nullità dei marchi di certificazione e collettivi tramite una modifica in corso d’opera del regolamento d’uso che faccia venir meno la causa di nullità (artt. 76, 81, 82, 85, 91, 92 del Regolamento U.E.

1001/2017 ed articolo 25 co. 1 bis C.P.I.).

4. Non è permessa la conversione di una domanda di

registrazione da marchio collettivo a marchio individuale

e viceversa.

(17)

IL REGOLAMENTO D’USO DEVE ESSERE CHIARO, PRECISO E CONTENERE (articoli 75, 84 del Reg. U.E.

1001/17 e 157 del C.P.I.):

✔ le persone abilitate ad usare il marchio e/o le condizioni di ammissione e permanenza nell’associazione;

✔ lo scopo dell’associazione e le finalità del marchio;

✔ i criteri stilistici del segno (corrispondenza tra ciò che appare nel registro e ciò che viene effettivamente utilizzato nelle pratiche commerciali);

✔ le condizioni d’uso del marchio (che possono anche contenere condizioni sulle caratteristiche dei prodotti e possibilmente anche i riferimenti alle materie prime che li caratterizzano nonché le sanzioni in caso di utilizzo improprio del marchio ad esempio, diffida, censura, revoca all’uso del marchio);

✔ in che misura l’utilizzatore del marchio possa autocertificare il possesso dei requisiti per i marchi di certificazione (preferibile la previsione dei controlli a campione).

(18)

IL RUOLO DEGLI UFFICI MARCHI

L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (articoli 11, 11 bis, 170, 174

del C.P.I):

✔ verifica la presenza del regolamento d’uso che va integrato alla domanda entro due mesi dal suo deposito e riceve le sue eventuali modifiche;

✔ può respingere la domanda in caso di ingiustificato privilegio, ed in proposito ha la facoltà di confrontarsi con amministrazioni pubbliche, categorie ed organi interessati o competenti;

✔ ammesse le osservazioni di terzi contro la domanda di marchio

collettivo e di certificazione.

(19)

L’EUIPO

(articoli 7, 41, 42, 74, 75, 76, 77, 83, 84, 85, 86 del Reg. U.E. 1001/17):

✔ verifica la presenza del regolamento d’uso che va depositato contestualmente alla domanda;

✔ respinge la domanda quando confligge con una D.O. o I.G.;

✔ respinge la domanda quando il marchio collettivo rischia di indurre in errore il consumatore, in particolare quando:

a) la domanda non soddisfa le disposizioni dell’articolo 74 o dell’articolo 75 (ad esempio quando è stata depositata da una persona fisica non legittimata a divenire titolare di un marchio collettivo);

b) il marchio controverso non sembra un marchio collettivo, (ad esempio quando, analizzando il contenuto del regolamento d’uso, si apprende che il marchio verrà utilizzato come marchio individuale);

c) il regolamento è contrario all’ordine pubblico ed al buon costume;

✔ ammesse le osservazioni di terzi contro la domanda di marchio collettivo e di certificazione.

(20)

LA DISCIPLINA DEL MARCHIO COLLETTIVO

IL MARCHIO COLLETTIVO TRASMETTE ALL’ESTERNO:

✔ l’appartenenza ad un’associazione di imprese aventi comuni caratteristiche;

✔ le caratteristiche comuni delle imprese che possono

andare dalla provenienza geografica, all’adesione ad un

codice etico, al rispetto degli standard qualitativi di certi

prodotti ecc...

(21)

Il Regolamento deve precisare ex art. 157 co. 1 bis del C.P.I. ed art. 75 del Reg. U.E. 1001/17:

✔ il nome del richiedente;

✔ lo scopo dell’associazione;

✔ i soggetti legittimati a partecipare all’associazione, le eventuali autorizzazioni per aderirvi e dei soggetti abilitati ad utilizzare il marchio;

✔ le condizioni d’uso del marchio;

✔ i prodotti o i servizi contemplati.

(22)

IL PRINCIPIO DELLA PORTA APERTA

Il marchio collettivo prevede una corrispondenza necessaria tra la partecipazione all’associazione e la facoltà d’uso del segno.

L’articolo 2570 del Codice civile prevede che: mentre di regola i marchi convenzionali vengono adottati da un singolo titolare, il carattere fondamentale del marchio collettivo è invece che il segno venga utilizzato da una pluralità di imprenditori diversi dal titolare e legittimati ad usarlo.

L’articolo 11 co. 1 del CPI prevede che:

Le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti possono ottenere la registrazione di marchi collettivi che hanno la facoltà di concedere in uso a produttori o commercianti.

(23)

ECCEZIONE per i marchi collettivi geografici:

….qualsiasi soggetto i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto sia a fare uso del marchio, sia a diventare membro dell’associazione di categoria titolare del marchio, purché siano soddisfatti tutti i requisiti di cui al regolamento….

ex articolo 11 co. 4 del CPI.

Anche a livello europeo il principio della porta aperta è espressamente imposto per i marchi geografici ai sensi dell’articolo 75 co. 2 del Regolamento U.E. 1001/2017.

….Il regolamento d'uso di un marchio di cui all'articolo 74, paragrafo 2, autorizza le persone i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione a diventare membri dell'associazione titolare del marchio.

(24)

LE ASSOCIAZIONE DI MARCHI COLLETTIVI NON GEOGRAFICI POSSONO COSTITUIRSI COME GRUPPI CHIUSI?

Alcuni operatori ritengono che debba applicarsi la

libera adesione ai regolamenti anche nei confronti dei

marchi collettivi non geografici e che il rifiuto di

ammissione all’associazione di un nuovo

operatore suonerebbe come un’illecita

discriminazione anticoncorrenziale.

(25)

CHI PUO’ DEPOSITARE UN MARCHIO COLLETTIVO

EUIPO → l’articolo 74 del Regolamento U.E. 1001/2017 dispone che:

possono depositare un marchio collettivo le associazioni di imprese (fabbricanti, produttori, prestatori di servizi, commercianti) dunque qualsiasi forma organizzativa che consenta una partecipazione associativa (consorzi, reti d’imprese dotate di soggettività giuridica).

È prevista una deroga all’articolo 7 paragrafo 1 lettera C), dato che un marchio collettivo può essere costituito da segni ed indicazioni che, nel commercio, possono servire a designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi.

LIMITAZIONI → un marchio collettivo Europeo non autorizza il titolare di vietare ad un terzo l’uso nel commercio di siffatti segni o indicazioni, purché detto uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale;

in particolare un siffatto marchio non deve essere opposto ad un terzo abilitato ad utilizzare una denominazione geografica.

(26)

ITALIA → l’articolo 11 co. 1 C.P.I. dispone che:

Le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti, escluse le società di cui al libro quinto, titolo quinto, capi quinto, sesto e settimo, del Codice Civile, possono ottenere la registrazione di marchi collettivi che hanno la facoltà di concedere in uso a produttori o commercianti.

Il legislatore italiano ha quindi introdotto una serie di precisazioni

prevedendo che i titolari del marchio collettivo possano essere le

persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di

categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o

commercianti.

(27)

SONO ESCLUSE:

Le società di cui al libro quinto titolo quinto, capi quinto, sesto e settimo del Codice civile che sono:

✔ le società per azioni;

✔ le società in accomandita per azioni

✔ le società a responsabilità limitata.

(28)

SONO AMMESSE:

1) LA SOCIETA’ DI PERSONE E LE SOCIETA’ DI COOPERATIVE, il che si trasfonde in una irragionevole esclusione delle società di capitali.

2) LE SOCIETA’ CONSORTILI, essendo regolate dall’articolo 2615 ter del Codice civile, non rientrano nei titoli esclusi dall’articolo 11 C.P.I., dunque sono ammesse anche se costituite in forma di società di capitali funzionalmente adatte a rappresentare una certa categoria o un programma produttivo.

3) LE PERSONE GIUDICHE DI DIRITTO PUBBLICO: lo Stato, le

regioni (Made in Lombardia, Made in Lazio), le province, i

comuni, gli enti territoriali locali ecc….

(29)

LA DISCIPLINA DEI MARCHI DI CERTIFICAZIONE

L’ articolo 11 bis co. 1 del C.P.I. dispone che:

sono marchi di certificazione quei segni la cui funzione è di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi.

L’articolo 83 del Regolamento U.E. 1001/2017 dispone che:

sono marchi di certificazione i segni idonei a distinguere i prodotti o i servizi certificati dal titolare del marchio in relazione al materiale, al procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione del servizio, alla qualità, alla precisione o altre caratteristiche, ad eccezione della provenienza geografica, da prodotti e servizi non certificati.

(30)

IN EUROPA SONO DUNQUE VIETATI I MARCHI DI CERTIFICAZIONE GEOGRAFICI

La ratio del divieto di registrare marchi di certificazione europei sta nella volontà di tutelare il sistema delle DOP/IGP.

Sono esclusi anche i richiami geografici indiretti (ad esempio è stata respinta la domanda di marchio di certificazione “Approved by the Animal Protection Denmark”

perché il regolamento d’uso faceva riferimento

all’allevamento di animali in territorio danese).

(31)

IN ITALIA SONO AMMESSI I MARCHI DI CERTIFICAZIONE GEOGRAFICI

In Italia sono ammessi alla registrazione i marchi di

certificazione geografici ai sensi dell’articolo 11 bis co. 4

C.P.I. perché il recepimento della direttiva UE 2015/2436,

che ha prodotto le modifiche del C.P.I. del 2019, ha

permesso ai legislatori degli Stati Membri la facoltà di

scegliere (quello tedesco, ad esempio, si è uniformato al

regolamento Europeo 1001/2017).

(32)

A livello nazionale la restrizione la troviamo nell’oggetto della certificazione:

UE → …..in relazione al materiale, al procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione del servizio, alla qualità, alla precisione o altre caratteristiche….

ITA →….in relazione all’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi

In realtà è una limitazione solo letterale perché termini tipo

“natura o qualità” del prodotto vanno interpretati in modo

sufficientemente ampio .

(33)

CHI PUO’ DEPOSITARE UN MARCHIO DI

CERTIFICAZIONE

(34)

A LIVELLO EUROPEO ED ITALIANO NON CI SONO LIMITI

L’articolo 83 del Regolamento U.E. 1001/2017 dispone che:

può essere titolare ogni persona fisica o giuridica, tra cui istituzioni, autorità ed organismi di diritto pubblico.

Il titolare può essere anche un’associazione (inclusa quella di

consumatori), che pure è legittimata a depositare marchi

collettivi, potendo peraltro prevedere delle distinzioni tra

utilizzatori soci e non soci.

(35)

L’articolo 11 bis co. 1 dispone che:

possono essere titolari di un marchio di certificazione le persone fisiche o giuridiche, tra cui istituzioni, autorità ed organismi accreditati ai sensi della vigente normativa in materia di certificazione…

Il testo attribuisce a tale indicazione un carattere

esemplificativo, pertanto la disciplina interna

deve essere equiparata a quella europea.

(36)

PRINCIPIO DI NEUTRALITA’

IL TITOLARE NON PUO’ SVOLGERE UN’ATTIVITA’

DI PRODUZIONE DI BENI O SERVIZI DEL TIPO CERTIFICATO (pena il rigetto della domanda o la decadenza del titolo).

Non è richiesto che il titolare del marchio sia un

organismo di certificazione ai sensi della normativa

ISO 9001.

(37)

È ammesso il trasferimento del marchio di certificazione ad altro soggetto legittimato (articoli 89 ed 83 del Regolamento U.E. 1001/2017).

Nel diritto Europeo ed in quello nazionale non è

previsto un controllo di merito dell’Ufficio sull’idoneità

del cessionario allo svolgimento delle funzioni di

certificazione.

(38)

Il Regolamento deve precisare ex art. 157 co. 1 ter del C.P.I. ed art. 84 del Reg. U.E. 1001/17:

✔ il nome del richiedente;

✔ una dichiarazione attestante che il richiedente soddisfa le condizioni di cui all’articolo 11 bis;

✔ la rappresentazione del marchio;

✔ le caratteristiche certificate;

✔ le condizioni d’uso del marchio di certificazione da parte dei soggetti abilitati;

✔ le persone legittimate;

✔ le modalità di controllo che possono essere delegate anche a soggetti terzi, sotto la supervisione del titolare del marchio e possono essere realizzati anche per campione.

IL PRINCIPIO DELLA PORTA APERTA non è espressamente sancito come per i marchi collettivi ma deve ritenersi applicabile anche in questo campo per evitare discriminazioni concorrenziali.

(39)

RAFFRONTO TRA MARCHI COLLETTIVI E

MARCHI DI CERTIFICAZIONE

(40)

FUNZIONE DI CERTIFICAZIONE

Il marchio collettivo, seppur in modo meno ampio

rispetto all’altro, offre una funzione di certificazione

perché l’informazione di appartenenza

all’associazione molto spesso fornisce al

consumatore qualche elemento significativo

sulle caratteristiche delle imprese partecipanti e

dei loro processi produttivi.

(41)

DIFFERENTE GOVERNANCE

Nel marchio collettivo il controllo è affidato

all’autogoverno associativo mentre nei marchi di

certificazione vige la determinazione di un

soggetto terzo indipendente.

(42)

IL MARCHIO COLLETTIVO È PORTATORE DI

UN’INFORMAZIONE DINAMICA collegata

all’esistenza di un accordo di cooperazione in

atto fra diverse imprese che produce una

governance cooperativa in ordine all’uso del

segno.

(43)

IL MARCHIO DI CERTIFICAZIONE È PORTATORE DI UN’INFORMAZIONE PIU’

STATICA ma anche di maggior garanzia ed

attendibilità grazie al fatto che l’informazione

data al mercato non è gestita dai soggetti

fruitori del marchio, ma da un soggetto

differente.

(44)

I PUNTI CRITICI:

DISTORSIONE DELLA CONCORRENZA

Irregolarità, disfunzioni e discriminazioni nell’applicazione del regolamento d’uso da parte del soggetto titolare del marchio, (circostanze che peraltro possono dar luogo a specifiche cause

di decadenza).

DIFFICOLTA’ DI COOPERAZIONE

Incongruenze tra il marchio e la strategia imprenditoriale dei vari

soggetti coinvolti.

(45)

(Segue)

I PUNTI CRITICI:

VERIDICITA’ DELL’INFORMAZIONE

Incongruenze tra il marchio e la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli elementi negativi.

IMPARZIALITA’

Sono necessarie le garanzie di indipendenza, competenza ed

imparzialità.

(46)

CONSIDERAZIONI RIASSUNTIVE SUI MARCHI COLLETTIVI E DI CERTIFICAZIONE

1) necessarie regole e vigilanze accurate;

2) necessario il rigore della reputazione perché se il marchio raggiunge un certo successo, tende ad assumere una valenza monopolistica nel suo segmento di mercato generando rischi di abusi e discriminazioni ai danni dei non aderenti;

3) concorrenza interna dettata dall’impiego di marchi individuali dato che i soggetti interessati a queste due tipologie di marchi possono comunque decidere di ricorrere ai marchi individuali e regolarne l’uso con le relative licenze, affrontando oneri inferiori e maggiore libertà di azione per conseguire risultati simili a quelli che potrebbero ottenere con la registrazione e la gestione di un segno di uso collettivo;

4) volgarizzazione o carattere distintivo debole;

5) si applicano le regole della decadenza per non uso (l’uso effettivo deve essere effettuato da un soggetto legittimato all’uso del marchio);

6) si applicano le regole del secondary meaning;

(47)

(Segue) CONSIDERAZIONI RIASSUNTIVE SUI MARCHI COLLETTIVI E DI CERTIFICAZIONE

7) tutela limitata nel tempo nel senso che i titoli devono essere rinnovati alla naturale scadenza decennale versando le relative tasse governative presso gli enti amministrativi competenti (UIBM / EUIPO o altri uffici marchi di altri paesi esteri);

8) si applicano le ordinarie norme sulla nullità, decadenza ed illiceità dell’uso ingannevole (anche se è previsto un ravvedimento operoso qualora il titolare modifichi il regolamento d’uso nel punto contestato);

9) si applica una specifica causa di decadenza per illeceità sopravvenuta;

10) no al marchio di fatto;

11) ammessa l’adozione di termini descrittivi in funzione distintiva, circostanza in linea di principio proibita per i marchi individuali, ma la tutela allargata è riservata solo alle DOP/IGP (evocazione);

12) delimitazione dell’ambito dell’esclusiva alla falsa impressione che il suo utilizzatore appartenga all’associazione titolare del marchio collettivo, o abbia ottenuto la certificazione, in caso di marchio di certificazione (da qui la mancanza di tutela nel caso in cui, per qualsiasi ragione, questo rischio non sussista);

13) non sono protetti quando il segno in conflitto utilizza componenti generiche del

(48)

LA POCA APPETIBILITA’ DEI MARCHI COLLETTIVI E DI CERTIFICAZIONE

Totale depositi marchi nel periodo 01/01/2021 – 31/12/2021:

Collettivi

o UIBM - 187 o EUIPO - 77

Certificazione o UIBM - 36 o EUIPO - 113

Marchi individuali o UIBM – 71.138 o EUIPO – 161.835

*Dati estrapolati in data 8 marzo 2022.

(49)

LE DENOMINAZIONI DI ORIGINE E LE INDICAZIONI GEOGRAFICHE

Sono segni distintivi ad uso collettivo espressivi di un particolare legame tra il prodotto che contraddistinguono ed il territorio dal quale il prodotto proviene, con la differenza che per le IGP il legame con il territorio è più allentato rispetto alle DOP.

Quando non è ulteriormente specificata, il termine indicazione

geografica sta a dimostrare INDICAZIONE GEOGRAFICA E

DENOMINAZIONE D’ORIGINE .

(50)

POSSIAMO RIASSUMERE 4 TIPOLOGIE DI INDICAZIONI GEOGRAFICHE:

1) INDICAZIONI GEOGRAFICHE E DENOMINAZIONI DI ORIGINE QUALIFICATE NELLE QUALI SUSSISTE IL NESSO TRA LE QUALITA’ DEL PRODOTTO E L’AREA GEOGRAFICA DA ESSA EVOCATA, E SONO REGISTRATE;

2) INDICAZIONI GEOGRAFICHE E DENOMINAZIONI DI ORIGINE QUALIFICATE NELLE QUALI SUSSISTE IL NESSO TRA LE QUALITA’ DEL PRODOTTO E L’AREA GEOGRAFICA DA ESSA EVOCATA, MA NON SONO REGISTRATE;

3) INDICAZIONI GEOGRAFICHE E DENOMINAZIONI DI ORIGINE SEMPLICI, CHE SI LIMITANO AD EVOCARE UNA CERTA PROVENIENZA GEOGRAFICA DEL PRODOTTO;

4) INDICAZIONI GEOGRAFICHE E DENOMINAZIONI DI ORIGINE GENERICHE CONSIDERATE DAL CONSUMATORE COME IL NOME COMUNE DI UN PRODOTTO SEPPURE ESSO COSTITUISCA PURE IL NOME DI UN’AREA GEOGRAFICA.

(51)

LE INDICAZIONI GEOGRAFICHE E LE

DENOMINAZIONI DI ORIGINE PROTETTE

(52)

ASSICURANO VANTAGGI CONCORRENZIALI ED ECONOMICI A CHI PUO’ ACCEDERE ALLA PROTEZIONE PERCHE’

✔ connotano una specifica funzione di garanzia qualitativa del prodotto;

✔ generalmente il pubblico è disposto a pagare un premium price in relazione ad un prodotto che presenta determinate caratteristiche e qualità derivanti essenzialmente dal luogo di produzione;

✔ le caratteristiche delle produzioni sono spesso supportate da

investimenti di carattere promozionale ed attrattivo.

(53)

IL SUCCESSO DELLE DOP ed IGP in Italia

DOP → indica che il prodotto che stiamo per andare ad acquistare è realizzato con materie prime di un luogo ben specifico, inoltre viene anche trasformato, lavorato ed elaborato nell’area indicata sull’etichetta.

IGP → indica che almeno una fase di produzione di quel

prodotto deve essere fatta nella zona indicata

nonostante la materia prima possa non provenire dalla

zona di produzione IGP.

(54)

L’accesso alle DOP ed IGP è un diritto consentito a tutti gli operatori interessati della zona una volta che siano soddisfatti: a) il rispetto dei disciplinari, b) il rispetto della provenienza presso l’area territoriale di riferimento o la presenza dei fattori ambientali caratterizzanti.

Storica contrapposizione di interessi tra quei paesi fortemente caratterizzati da tradizioni produttive locali ed i Paesi privi o quasi di simili tradizioni.

L’Italia è il paese Europeo con il maggior numero di DOP ed IGP.

Oggi il registro delle indicazioni geografiche dell’UE contiene quasi 3.500 nomi di vini, bevande spiritose, prodotti agricoli ed alimentari.

In Emilia-Romagna, nel 2020, il valore economico complessivo generato dalle DOP/IGP è stato pari a 3.265 milioni di Euro.

(55)

LE FONTI NORMATIVE INTERNAZIONALI

(56)

CONVENZIONE DI PARIGI

La Convenzione d’Unione di Parigi per la protezione

delle proprietà industriali del 20 luglio 1883 (CUP) →

punisce la falsa indicazione di provenienza come

illecito a prescindere dalla natura del prodotto.

(57)

ACCORDO DI MADRID

L’Accordo di Madrid relativo alla repressione delle

indicazioni di provenienza false o fallaci, sottoscritto il

14 aprile, 1891 da alcuni Paesi aderenti alla CUP, tra i

quali l’Italia → anche qui si punisce la falsa

indicazione di provenienza come illecito a prescindere

dalla natura del prodotto.

(58)

ACCORDO DI LISBONA

L’Accordo di Lisbona del 31 ottobre, 1958 prevede un sistema avanzato di tutela delle denominazioni di originepresuppone il riconoscimento e la protezione delle denominazioni nei paesi di origine riconosciute e protette nel loro paese di origine nonché la loro registrazione presso l’OMPI (l’Ufficio dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Industriale).

Concetto di milieu (ambiente) → quando un prodotto ha

qualità o caratteristiche che dipendono esclusivamente o

essenzialmente dalla sua provenienza geografica, compresi i

fatturi naturali (composizione del terreno, particolari

microclimi) ed umani (manodopera specializzata) di quel luogo.

(59)

Il Sistema di Lisbona è stato integrato con l’Atto di Ginevra entrato in vigore il 26 febbraio, 2020 con l’adesione dell’Unione Europea al Regolamento UE 2019/1753.

Le denominazioni di origine e le Indicazioni Geografiche

del Sistema di Lisbona sono tutelabili purché siano state

registrate presso l’OMPI e dunque rientrano nella

categoria delle indicazioni geografiche qualificate.

(60)

In particolare, nell’articolo 2 dell’Atto di Ginevra è considerata:

DENOMINAZIONE D’ORGINE PROTETTA → qualsiasi denominazione protetta nella parte contraente che sia costituita dal nome di una zona geografica oppure che contenga tale nome e che sia utilizzata per identificare un prodotto che ne è originario, laddove la qualità o i caratteri del prodotto siano dovuti essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico inteso come insieme di fattori naturali ed umani che ha conferito al prodotto la sua reputazione (torna il richiamo al milieu AMBIENTE).

INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA → qualsiasi indicazione protetta nella parte contraente d’origine che sia costituita dal nome di una zona geografica oppure contenga tale nome che identifichi un prodotto che ne è originario quando una data qualità, reputazione o altri caratteri specifici del prodotto siano essenzialmente attribuibili all’origine geografica.

(61)

ACCORDO TRIP’S del 1994

L’Accordo TRIP’S, adottato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio il 15 marzo 1994, dedica gli articoli 22 e seguenti alle indicazioni

geografiche, definendole unitariamente come:

1) le indicazioni che identificano un prodotto in quanto originario di una zona geografica alla quale siano essenzialmente attribuibili:

a) una determinata qualità;

b) la notorietà;

c) una caratteristica del prodotto.

La tutela delle indicazioni geografiche, che prescinde dalla sua registrazione, è assicurata dall’accordo TRIP’S in presenza di un legame tra il prodotto ed il luogo di origine anche soltanto sulla notorietà del prodotto.

(62)

LA DISCIPLINA EUROPEA

✔ Regolamento UE 1151/2012. Anche qui requisito milieu geographique ma più forte rispetto ai TRIP’S perché c’è un sistema di esame preventivo del paese d’origine ed un sistema di opposizione.

La tutela prescinde dall’inganno e si estende a qualsiasi impiego commerciale diretto ed indiretto, imitazione, evocazione ecc….

✔ Regolamento UE 1308/2013 recante l’organizzazione comune nei mercati agricoli ed alimentari.

✔ Regolamento UE 215/2014 concernente la definizione, la designazione, la presentazione, l’etichettatura e la protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti vitivinicoli aromatizzati.

✔ Regolamento UE 787/2019 relativo alla definizione, designazione e presentazione di bevande spiritose.

(63)

LA DISCIPLINA ITALIANA

In Italia, l’Accordo TRIP’S è stato trasfuso negli articoli

29 e 30 del CPI con l’esplicito riferimento ai fattori

naturali, umani e di tradizione anche se il nostro

codice di C.P.I. ne fa menzione già nell’articolo 1 e

nell’articolo 2 dato che sono segni distintivi e non

marchi.

(64)

L’articolo 29 CPI dice che:

sono protette le indicazioni geografiche e le

denominazioni di origine che identificano un paese,

una ragione o una località, quando siano adottate

per designare un prodotto che ne è originario e le

cui qualità, reputazione o caratteristiche sono

dovute esclusivamente all’ambiente geografico

dell’origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e

di tradizione.

(65)

L’articolo 30 CPI dice che:

salva la disciplina della concorrenza sleale, salve le convenzioni internazionali e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede, è vietato, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico, o quando comporti uno sfruttamento indebito della reputazione della denominazione di origine protetto, l’uso di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine, nonché l’uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo d’origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da una indicazione geografica.

La tutela di cui al comma 1 non premette di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica del proprio nome o del nome del proprio dante causa nell’attività medesima, salvo che tale nome sia usato in modo da ingannare il pubblico.

(66)

In Italia il milieu geographique ha un’interpretazione più restrittiva nel senso che:

può ritenersi sussistente soltanto nel caso in cui le particolari condizioni ambientali (e dunque il prodotto stesso con le sue caratteristiche) siano improducibili altrove e le tecniche di lavorazione non siano attuabili o non sia altrettanto valide in ambienti differenti (S.C.

10/09/2002 n. 13168 e S.C. 28/11/96 n. 10587).

(67)

Non si parla di registrazione in linea con quanto prevede il considerando 17 del Reg. U.E. 1151/2012 che circoscrive l’ambito di applicazione delle D.O. e I.G. ai prodotti per i quali esiste un legame intrinseco tra le caratteristiche del prodotto o dell’alimento e della sua provenienza geografica

TUTTAVIA

si verifica un problema di coordinamento con il

considerando 24 del Reg. U.E. 1151/2012 che parla

espressamente di registrazione.

(68)

Di conseguenza la tutela delle I.G. non registrate si riferisce a quelle semplici, per le quali si parla di mera evocazione di una provenienza geografica purché non si pongano in contrasto con gli obbiettivi del Reg. U.E. 1151/2012 e non impediscano la libera circolazione delle merci in ambito europeo.

La portata applicativa degli articoli 29 e 30 del C.P.I. appare problematica rispetto alle I.G. non registrate.

Si può ipotizzare un ricorso alla disciplina all’articolo 2598 del

Codice Civile n. 2 (appropriazione di pregi), ma volendo

concedere un’estensione di tutela alle indicazioni geografiche

semplici, potremmo arrivare anche al 2598 n. 3 (concorrenza

parassitaria) e 2598 n. 1 (imitazione servile).

(69)

OPPOSIZIONE ALLE DOMANDE DI MARCHI E NULLITA’ DELLE REGISTRAZIONI DI MARCHI

CONFLIGGENTI CON DOP E IGP

(70)

La riforma del C.P.I. del 2019, con particolare riferimento all’articolo 177 CPI lett. d-bis e lett. d-ter, ha esteso la legittimazione a presentare l’opposizione amministrativa contro i depositi dei marchi anche ai soggetti titolari di una domanda per DOP o IGP non ancora concessa all’atto dell’avvio dell’opposizione.

In Europa l’articolo 8 co. 6 lett. i) e ii) del Regolamento U.E.

2017/1001 legittima qualsiasi persona autorizzata ad utilizzare una DOP o IGP registrata anteriormente al marchio a presentare un’opposizione contro una domanda di marchio europeo.

Il conflitto tra marchi DOP, IGP e marchio è anche motivo di nullità del marchio registrato ai sensi degli articoli 25 e 14 del C.P.I. ed articolo 7 lett j) del Regolamento U.E. 2017/1001.

(71)

RAFFRONTO CONCLUSIVO TRA DOP, IGP,

MARCHI COLLETTIVI E DI CERTIFICAZIONE

(72)

✔ I segni ad uso collettivo rappresentano un sistema di protezione funzionale alla comunicazione di indicazioni di origine veritiere al fine di garantire una scelta consapevole del consumatore.

✔ Le IGP e le DOP non rischiano di decadere per carenza d’uso.

✔ Le IGP e le DOP non sono soggette a rinnovi.

✔ Le IGP e le DOP non sono trasferibili e non possono essere date in licenza.

✔ Le IGP e le DOP proteggono interessi pubblici e non privati.

✔ Le IGP e le DOP, i marchi collettivi e di certificazione devono essere registrati.

(73)

✔ Il controllo delle IGP e delle DOP spetta ad organismi esterni ai consorzi (la ratio dovrebbe essere quella di evitare che i consorzi adottino una sorveglianza poco rigorosa).

✔ La IGP e le DOP non sono soggette a sopravvenuta volgarizzazione.

Ove la registrazione venga concessa non potrà ritenersi denominazione generica del prodotto che contraddistingue sino a che sarà protetta nella parte contraente.

✔ La registrazione garantisce alle denominazioni di origine ed alle indicazioni geografiche una protezione omogenea che va oltre l’inganno o la confusione al pubblico, configurandosi come illecite anche operazioni di mero agganciamento parassitario, in particolare la protezione si estende anche a qualsiasi imitazione o stile, genere, tipo, ed anche quando la reale origine è iscritta nel prodotto.

(74)

✔ La registrazione garantisce alle denominazioni di origine ed alle indicazioni geografiche una protezione omogenea che va oltre l’inganno o la confusione al pubblico, configurandosi come illecite anche operazioni di mero agganciamento parassitario, in particolare la protezione si estende anche a qualsiasi imitazione o stile, genere, tipo, ed anche quando la reale origine è iscritta nel prodotto.

✔ Per i marchi collettivi e di certificazione la giurisprudenza è più incline ad una tutela restrittiva, dato che la confondibilità tra i segni ha rilievo solo quando si traduce in confondibilità sull’origine associativa dei prodotti. Si priva così la tutela rafforzata spettante ai marchi di rinomanza.

✔ La protezione accordata dal marchio collettivo e di certificazione può essere più ampia rispetto a quella garantita dalle DOP e IGP sotto il profilo merceologico, non essendo limitata alle produzioni agroalimentari.

(75)

✔ I marchi collettivi e di certificazione nascono da un atto di autonomia privata (la domanda di registrazione ed ancora prima l’istituzione del gruppo di imprese destinate ad utilizzare il segno – per i marchi collettivi), mentre le IGP e le DOP hanno una fonte normativa di origine internazionale, europea od interna, che assegna la riserva di utilizzazione a favore di certe imprese ad esclusione di altre.

✔ La registrazione di una denominazione di origine ed indicazione geografica non pregiudica i diritti sui marchi acquisiti in buona fede per effetto dell’uso, e per contro è previsto il rifiuto della registrazione di un marchio successivo o la sua invalidazione in caso di conflitto con la DOP/IGP.

(76)

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