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Per più di un secolo il lavoratore della terra ha cercato di scrollarsi di dosso il giogo padronale del barone e del suo esoso intermediario, il gabelloto.

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Conclusioni

Abbiamo attraversato, a volte a volo d’uccello a volte in modo più approfondito la problematica della questione agricola in Sicilia, soprattutto nell’ultimo secolo in cui i rivolgimenti sociali ed economici si sono susseguiti ad un ritmo impensabile in epoche precedenti ed abbiamo cercato di analizzare le variabili che hanno inciso sulla particolarissima evoluzione di un settore, quello agricolo, che ha sempre rivestito una importanza determinante nella vita dell’isola.

L’ organizzazione di questo settore produttivo, fino a metà del secolo scorso retriva ed arcaica, ha inciso nella carne viva del ceto agricolo creando atavici odi ed altrettanto ataviche soggezioni e diffidenze che il contadino siciliano è stato incapace di superare, come abbiamo più volte puntualizzato.

Per più di un secolo il lavoratore della terra ha cercato di scrollarsi di dosso il giogo padronale del barone e del suo esoso intermediario, il gabelloto.

Ha maturato, in decenni di lotta e sofferenza, conquiste e cocenti sconfitte, una

sicura coscienza sociale, ma il processo è stato lento e non uniforme, si è

disperso nei molteplici rivoli degli interessi personalistici e partitici fino a

quando quel mondo è stato sconvolto dal vento della storia che ha reso quasi

inutili gli sforzi di tante generazioni.

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Nel momento in cui la terra torna, bene o male, nella mani di chi la lavora ed ognuno può conquistare l’agognato pezzo di terra, le necessità produttive imporrebbero un cambio di prospettiva e i grandi latifondi che si sono frazionati necessiterebbero di ricomporsi in un sistema organizzativo che non sarebbe certamente quello feudale ma che, comunque , dovrebbe essere strutturato in grandi estensioni di proprietà cooperate a formare aziende moderne ed economicamente funzionali.

L’incapacità del contadino siciliano di superare diffidenza e paura di prevaricazioni ha impedito questa evoluzione necessaria ed irrinunciabile provocando, in un primo momento, l’impossibilità di creare con piccoli poderi strutture produttive in grado di assicurare anche il semplice sostentamento del nucleo familiare e poi, come conseguenza, l’abbandono dei fondi , l’emigrazione o l’inurbamento di chi fino ad allora aveva visto nel possesso della terra la sua unica speranza di una vita dignitosa.

La tendenza individualista del popolo contadino si coniugava negativamente

con un’azione governativa di propulsione e di sostegno economico timida e

confusa, con una iniziativa di legislazione che si trascinava per decenni prima di

arrivare a formalizzare leggi più o meno adeguate, ma quasi sempre

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insufficienti, generiche e che molte volte sfociavano semplicemente in affermazioni di principio.

Gli unici interventi di una qualche organicità, le leggi Gullo, conobbero vita travagliata e non poterono impedire rigurgiti conservatori da parte degli Agrari che con manovre assolutamente illegali, le svuotarono spesso di significato e di effettiva valenza.

Come afferma Giuseppe Palmieri « Solo con una considerazione storica sappiamo ora che tutti quegli sforzi non portarono effettivamente al rafforzamento del tessuto agricolo italiano, visto almeno in un’ottica di macroeconomia, e non impedirono la fuga dalle campagne; fenomeno che sarebbe stato evidente negli anni cinquanta e sessanta quando, malgrado ogni sforzo di bonifica e di distribuzione delle terre , molte aree, ossia molti poderi che avevano dato lavoro ad intere famiglie, si rivelarono, nel volgere di breve tempo , terreni marginali e quindi non sufficientemente produttivi. »

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Dunque, nonostante un secolo di fermenti e di lotte «…il mondo contadino è finito lo stesso e si parla ora di riaccorpamento dei fondi ai fini di creare aziende di dimensioni tali da poter conseguire “economie di scala”. E se la politica comunitaria intravede ora azioni per la valorizzazione delle produzioni

1 Giuseppe Palmieri, L’intervento pubblico nell’agricoltura siciliana e la fine del mondo contadino, in Rassegna siciliana di Storia e cultura, n.20 Dicembre 2003.

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tipiche e per la protezione di prodotti particolari…deve pur sempre dirsi che ciò è possibile in una visione correttiva di un andamento che ha avuto a base esclusivamente le leggi del mercato; mentre non vi è alcun dubbio che ormai anche l’agricoltura siciliana nel suo stato complessivo, è entrata in quella condizione che il Trattato comunitario definisce…l’intima connessione con l’insieme dell’economia, per cui sono ora le imprese agricole ad aver rilievo : come le imprese industriali»

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Questa è stata la malinconica conclusione di un’epoca storica cominciata come epica impresa ma che ragioni socio-psicologiche, insipienze e ritardi governativi ed inevitabili sorpassi storici hanno svuotato lentamente di significato e prospettiva, ma che, secondo me, sarebbe sbagliato sigillare in un capitolo storico chiuso perché l’agricoltura potrebbe ancora giocare un ruolo importante nell’economia di un territorio come la Sicilia che presenta grandi potenzialità in questo settore, purché gli interventi siano concepiti in un piano razionale ed a lunga scadenza, controllato con trasparenza e senza cedimenti colpevolmente paternalistici e soprattutto con interventi tempestivi, mirati e continuamente monitorati.

2 Ibidem

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