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L'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di S.C.I.A.

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INTRODUZIONE

CAPITOLO I

DALLA DICHIARAZIONE INIZIO ATTIVITA' ALLA SEGNALAZIONE CERTIFICATA INZIO ATTIVITA'

1. L'evoluzione storica

1.1. I caratteri generali dell'art. 19 l. n. 241/1990 1.2. Il d.lgs. n. 35/2005 e seguenti interventi normativi 2. L'introduzione della S.C.I.A.: il d.l. n. 78/2010 2.1. Il campo di operatività della S.C.I.A.

CAPITOLO II

S.C.I.A.:DALLA SEMPLIFICAZIONE ALLA LIBERALIZZAZIONE

1. La natura della S.C.I.A.

1.1. La tesi della natura privatistica

1.2. La sentenza del Consiglio di Stato n. 717/2009 1.3. La tesi della natura pubblicistica

1.4. La sentenza del Consiglio di Stato n. 72/2010 2. L'evoluzione giurisprudenziale e normativa

2.1. L' Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: decisione n. 15/2011 2.2. Il d.l. n. 138/2011 e il nuovo comma 6-ter dell'art.19

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CAPITOLO III

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEL TERZO

1. La tutela del terzo leso dall'attività della D.I.A. 2. La differenza tra D.I.A. e il silenzio-assenso

3. La tutela del terzo leso dopo la pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 15/2011

3.1. La tutela del terzo leso dopo la l. n.148/2011 4. La S.C.I.A. e la potestà legislativa regionale 5. Conclusioni

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro avrà ad oggetto l’analisi dell’istituto della segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.), introdotta con il d.l 78/2010 per modificare la denuncia di inizio attività (d.i.a.) prevista all’art. 19 della Legge 7 Agosto 1990 n. 24.

La d.i.a. prima e la s.c.i.a. successivamente rappresentano una delle innovazioni previste dal Legislatore ed inserite nella più ampia riforma voluta con l’obiettivo di semplificare il funzionamento del sistema amministrativo, snellendo l’azione amministrativa e riducendo così gli adempimenti posti a carico dei cittadini con la graduale liberalizzazione delle attività private.

Nel primo capitolo, verranno esaminati tutti gli interventi legislativi che hanno caratterizzato il ventennio 1990-2010, a partire dall’introduzione dell’art. 19 con la L. n.241/1990 fino alle recenti legge n.148/2011 e legge n.72/2012, dedicando maggiore attenzione al decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modifiche nella Legge n.122/2010, che ha introdotto l’istituto della s.c.i.a.

Nel secondo capitolo, verrà affrontata la questione relativa alla natura della s.c.i.a., mettendo a confronto la tesi che vorrebbe questa come la dichiarazione di un privato e l’altra secondo cui si tratterebbe di un provvedimento amministrativo, che per anni ha tenuto banco sia in giurisprudenza che in dottrina.

Verranno dunque analizzati gli interventi normativi più recenti oltre che le più significative pronunce giurisprudenziali del Consiglio di Stato, come la n. 717/2009 favorevole alla tesi privatistica e la n. 72/2010, che al contrario vorrebbe riconoscere la natura di provvedimento amministrativo, fino all’intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria n.15/2011.

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Con questa pronuncia, infatti, l’Adunanza Plenaria ha risolto il problema a favore della tesi privatistica, ovvero, chiarendo che la s.c.i.a. deve essere considerata non come un istituto di semplificazione procedimentale bensì come elemento di liberalizzazione dell’attività privata.

Nel terzo capitolo, infine, verrà svolta un approfondita analisi in merito agli strumenti esperibili dal terzo leso della attività iniziata a seguito della presentazione di una s.c.i.a..

In un primo momento, come si vedrà, la s.c.i.a. dovrebbe essere assimilabile all’istituto del silenzio assenso, previsto all’art. 20 della L. n. 241/1990, nel senso di una equiparazione dell’inerzia della pubblica amministrazione protratta oltre un certo termine e, quindi, con la previsione di una diretta impugnabilità.

Ma a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato n. 15/2011, è stata rigettata questa visione a favore della contraria previsione di una tutela esperibile dinnanzi al giudice amministrativo al fine di inibire l’attività oggetto di s.c.i.a..

Seppur di fondamentale importanza la pronuncia dell’Adunanza Plenaria prevede un sistema di tutela troppo complesso.

Sarebbe infatti prevista la possibilità di esperire tre diverse azioni, ovvero una di annullamento ex art. 29 c.p.a., ( avverso il silenzio significativo negativo della Pubblica amministrazione), una’altra volta a condannare l’amministrazione competente ad adempiere, (ovvero volta ad adottare le misure necessarie alla cessazione dell’attività intrapresa con la s.c.i.a.).

In ultimo, una di accertamento dell’inesistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto di s.c.i.a..

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A fare chiarezza e, quindi a rendere meno complesso il sistema di tutela del terzo è intervenuto il Legislatore con l’introduzione dell’comma 6 ter dell’art. 19 L. 241/1990, prevedendo come unica forma di tutela del terzo una sola azione avverso il silenzio inadempimento della Pubblica amministrazione, esperibile ai sensi art. 31 c.p.a..

In conclusione attraverso il presente lavoro si vuole porre in evidenza, sulla base delle osservazioni e delle indagini come il Legislatore dopo, il chiarimento della Adunanza Plenaria n. 15/2011, ha stabilito che la s.c.i.a. deve essere ricondotta nell’ambito delle attività cosiddette liberalizzate ed ha previsto, al contrario, per il terzo leso la possibilità di esperire una sola azione avverso il silenzio, sicuramente più semplice di quella prospettata dalla giurisprudenza.

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CAPITOLO I

DALLA DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITA’ ALLA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA’

1.Evoluzione storica

Il ventennio 1990-2010 è caratterizzato da molteplici novità sul piano dell’elaborazione del principio di buon andamento dell’amministrazione con stretto riferimento ai profili organizzativi e funzionali.

E’ andata affermandosi, infatti, una nuova concezione diretta alla semplificazione generale ed alla trasparenza dell’attività dell’amministrazione pubblica, come risposta anche alla crescente richiesta di partecipazione del cittadino e delle imprese al processo decisionale.

Finalmente in linea con la Costituzione, dunque, è maturata l’idea della parità della posizione del cittadino, a cui vengono riconosciuti diritti, poteri e facoltà di fronte all’amministrazione.

Quest’ultima di conseguenza perdeva il suo originario compito esclusivamente ordinatorio, per rispondere alle eterogenee necessità dei portatori di valori e di interessi presenti nel sistema sociale, assumendo una nuova forma di organizzazione.

Questo lento processo è iniziato con la legge 7 Agosto 1990 n. 241 che, nel capo dedicato alla semplificazione amministrativa, disciplinava i diversi istituti ed i nuovi strumenti che favorissero il libero esercizio di attività produttive in chiave semplificativa.

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A rappresentare a pieno questa nuova concezione è l'istituto della dichiarazione di inizio attività, ovvero la d.i.a., con cui veniva data la possibilità al privato di intraprendere una attività economica, semplicemente mediante la presentazione di una dichiarazione all'ufficio competente, lasciando poi il compito di operare le verifiche opportune, richieste dalla legge, circa la sussistenza dei presupposti e dei requisiti previsti, all'ufficio medesimo.1

L’istituto della d.i.a. comparve per la prima volta nel nostro ordinamento nell’art. 19 della legge n. 241/1990, inserito nel Capo IV, con il nome di denuncia di inizio attività, assumendo soltanto dalla modifica del 2005 la denominazione di dichiarazione di inizio attività.2

In questa sua prima versione, riscritto successivamente dall’art. 2, comma 11, l. n. 537/1993, l’articolo 19 ammetteva la denuncia di inizio di attività in casi piuttosto circoscritti, indicati tassativamente in un apposito regolamento oltre a contemplare talune ipotesi nelle quali era aprioristicamente esclusa.3

Dunque, nell’originario regime introdotto negli anni novanta, l’istituto disciplinava un particolare tipo di procedimento, ovvero, quello di tipo autorizzatorio, e perseguiva obiettivi distinti di liberalizzazione dei rapporti tra amministrazione e privati e di semplificazione dell’azione amministrativa.

Nella successiva serie di interventi, iniziati con il d.lgs. n. 35/2005, invece, l’istituto acquisiva vocazione tendenzialmente generale, di esercizio della funzione amministrativa ad iniziativa di parte.

1 L. D’Apollo, Dia, sequestri, condoni edilizi, sindacato del giudice sull'atto

amministrativo, reati. Aspetti sostanziali e processuali dei reati urbanistico-edilizi, Arti grafiche Piceno, Maltignano, 2008, p. 227;

2 F. Doro, Scia e Dia. Scia e Dia. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata

di inizio attività dopo i dd. ll. 78/2010, 70/2011, 138/2011e 83/2012, Exeo edizioni, 2012, p. 8;

3 F. Caringella, Compendio di diritto Amministrativo, Roma, Tipografia La Nuova

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In questo diverso modello, dunque, prefigurato dal nuovo articolo 19, per un verso, si moltiplicavano le occasioni offerte al privato di intraprendere l’attività programmata senza il previo consenso dell’amministrazione, malgrado questo fosse previsto per legge.

Per altro verso, però, le maggiori opportunità offerte al privato di prescindere dal consenso preventivo dell’amministrazione trovavano una serie di correttivi quali l’estensione dei poteri di vigilanza e repressione dell’amministrazione sull’attività intrapresa.4

A distanza di pochi anni il medesimo articolo risultava oggetto di ulteriori modifiche ad opera della legge n. 69/2009 e del d.lgs. n. 59/2010.

Il legislatore, probabilmente conscio della difficoltà di arrivare a determinare in via interpretativa il campo di applicazione dell’istituto, intervenne nuovamente ampliando le ipotesi di d.i.a. previste dalle varie discipline di specifici settori come commercio e telecomunicazioni, escludendone altri come asilo e cittadinanza.

Veniva così dettata una disciplina ad hoc che aveva ad oggetto le attività previste nel d.lgs. n. 59/2010, con il quale era stata data attuazione alla Direttiva 2006/123/CE, e regolati meglio i margini di intervento del legislatore regionale.5

Al culmine di tutti questi interventi, il legislatore con il d.l. n. 78/2010 ha ancora una volta riformulato l’art. 19 della l.241/1990, sostituendo la vecchia denuncia di inizio attività con la segnalazione certificata di inizio attività, ovvero s.c.i.a., un nuovo istituto corrispondente nella sostanza alla vecchia d.i.a., ma che si caratterizzava essenzialmente per una velocizzazione della procedura. 4 G. Vesperini, La denuncia di inizio attività ed il silenzio assenso, in astrid-online, p.

11;

5 F. Doro, Scia e Dia. Scia e Dia. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata

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Nel capo V della legge n. 241/1990, dedicato alla “Semplificazione della azione amministrativa”, venivano elencati gli strumenti, come l’autocertificazione (art. 18), la denuncia di inizio attività ( art. 19) e il silenzio assenso (art. 20), che concorrevano a realizzare l’obiettivo della semplificazione, soprattutto dell’attività cui era tenuto il cittadino che entrava in contatto con l’amministrazione.

Tra questi istituti era proprio nella denuncia di inizio attività che maggiormente si rilevava l’ effetto della nuova semplificazione.6

L’ articolo 19, infatti, nella originaria versione prevedeva che con regolamento adottato ai sensi del comma 2 dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono determinati i casi in cui l'esercizio di un' attività privata, subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, può essere intrapreso su denuncia di inizio dell'attività stessa da parte dell'interessato all'amministrazione competente.

In tali casi spetta all'amministrazione competente verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell'attività e la rimozione dei sui effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli dall'amministrazione stessa.

Con il regolamento di cui al comma 1 vengono indicati i casi in cui all'attività può darsi inizio immediatamente dopo la presentazione della denuncia, ovvero dopo il decorso di un termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità degli accertamenti richiesti.

Tale istituto consentiva ad un soggetto, attraverso la presentazione di una denuncia, di svolgere un’attività per la quale in 6 G. Vesperini, La denuncia di inizio attività ed il silenzio assenso, cit., p. 240;

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precedenza era previsto come necessario il previo rilascio di un’autorizzazione dalla Pubblica amministrazione competente.

Il provvedimento autorizzatorio veniva pertanto sostituito dalla denuncia stessa, che a sua volta doveva attestare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge per l’esercizio dell’attività richiesta.7

Il soggetto, così, comunicava alla Pubblica amministrazione che avrebbe iniziato una certa attività, se nel termine stabilito tra la comunicazione e l’inizio dell’attività stessa, l’amministrazione nulla avesse comunicato, l’attività sarebbe potuta iniziare, salvo un eventuale intervento successivo in autotutela.

Il particolare tipo di procedimento semplificato ed accelerato, dunque, rappresentava un istituto atipico, poiché non richiedeva l’emanazione di un provvedimento amministrativo.

Non vi era, quindi, alcun inizio di un procedimento amministrativo ordinario, ma soltanto la sua conclusione, ovvero, una successiva attività di inibizione e qualora risultasse necessario, di interruzione da parte della Pubblica amministrazione.8

Un meccanismo simile tuttavia non poteva certo trovare un’applicazione a tutto campo, in quanto non tutte le autorizzazioni si prestavano ad essere sostituite da una denuncia o da una dichiarazione dell’interessato, specie quegli atti di assenso che presupponevano un apprezzamento discrezionale da parte della Pubblica amministrazione.

Ecco perché nell’originario testo era previsto il rinvio ad un regolamento governativo che permettesse la determinazione dei casi in cui la d.i.a. avrebbe potuto trovare applicazione, distinguendo peraltro, 7 F. Doro, Scia e Dia. Scia e Dia.. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata

di inizio attività dopo i dd. ll. 78/2010, 70/2011, 138/2011e 83/2012, cit., p. 8;

8 V. De Gioia, I nuovi titoli abilitativi edilizi, Utet Scienze Tecniche, Torino, 2010, p.

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in relazione alla complessità degli accertamenti richiesti, i casi in cui l’attività poteva essere avviata immediatamente dopo la presentazione della denuncia o dopo il decorso di un certo termine.

Ne conseguiva che, in via generale, l’atto amministrativo di consenso all’esercizio di un’attività privata non era più necessario ove esso non richiedesse alcun esercizio di discrezionalità, neppure di tipo tecnico, né l’emanazione del provvedimento in sede istruttoria .9

In definitiva non si trattava, quindi, di accogliere o meno una domanda di parte ma vi era solo una dichiarazione privata da assoggettare a controllo.

In tal modo si rovesciò l’impostazione del progetto elaborato dalla «Commissione Nigro», che prevedeva una norma a contenuto generale con cui gli atti di assenso che presentavano certe caratteristiche venivano sostituiti dalla d.i.a., e rinviava ad un regolamento governativo la determinazione delle ipotesi in cui il regime autorizzatorio si sarebbe dovuto mantenere.10

Il risultato complessivo si rivelò deludente, così il legislatore nel tentativo di potenziare la portata innovativa dell’istituto, con la Legge 24 dicembre 1993 n. 537, all’art. 2 comma 10 sostituì l’intero testo dell’art. 19 della legge n. 241/1990.

L’originaria architettura dell’articolo 19 veniva, dunque, ridisegnata dalla legge n. 537/1993, la quale dava vita ad un primo significativo ampliamento dello spettro di applicazione dell’istituto, mutando alla radice la logica originaria della liberalizzazione.

Mentre alla stregua della formulazione originaria, la d.i.a. rappresentava una eccezione ammessa nei casi tassativamente indicati 9 G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 240 e ss.;

10 F. Doro, Scia e Dia. Scia e Dia. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata

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dal regolamento, con la novella del 1993, essa diventava la regola in tutte quelle materie previamente soggette a titoli autorizzativi vincolanti.

Da questo momento, alla normativa veniva assegnato il ruolo di fissare i casi eccezionali in cui l’istituto della denuncia di inizio di attività non trovava applicazione.11

Veniva così capovolta l’originaria impostazione della disciplina, poiché, le attività che potevano essere avviate con la d.i.a. non dovevano essere più individuate, ma erano tutte quelle che rientravano nella disciplina generale.

Il nuovo meccanismo modificato dalla nuova disciplina interveniva su vari profili di rilievo.

Innanzitutto l’individuazione dei casi di applicazione dell’istituto era rimessa all’art. 19 stesso che determinava i presupposti per la sostituzione dell’atto di consenso con la d.i.a., con conseguente diretta abrogazione del regime autorizzatorio incompatibile con tale liberalizzazione.

Più precisamente, detto meccanismo sostitutivo operava a condizione che il rilascio dell’atto di assenso dipendesse esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge e non fosse necessario l’esperimento di prove che comportassero valutazioni tecniche discrezionali.

Una seconda innovazione si ebbe dal punto di vista del momento in cui si sarebbe potuta iniziare l’attività che, poteva essere intrapresa immediatamente, e del termine entro cui la Pubblica amministrazione competente avrebbe potuto esercitare i propri poteri di verifica e di inibizione, che veniva fissato in sessanta giorni.

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Ciò comportava il superamento della precedente dicotomia tra attività che potevano essere iniziate immediatamente o solo dopo un certo lasso di tempo, e la conseguente tacita abrogazione delle norme del D.P.R. n. P.R. n. 300/1992, che si riferivano all’originario testo dell’articolo 19.

L’art. 2, comma 11, della legge n. 537/1993 prevedeva infine che con il regolamento governativo si sarebbero dovute individuare non più le ipotesi in cui la denuncia avrebbe dovuto trovare applicazione, ma le fattispecie in cui essa non avrebbe potuto trovare spazio, e in attuazione di tale previsione vennero emanati il D.P.R. n. 411/1994 e poi il D.P.R. n. 468/1996.

L’enorme numero delle esclusioni e le difficoltà di individuare in via interpretativa gli atti di assenso sostituiti impediva tuttavia di assoggettare alla nuova disciplina procedimenti di rilievo, spingendo il legislatore ad intervenire nuovamente, da un lato prevedendo il modello della denuncia di inizio attività in alcune discipline di settore, tra cui quello edilizio e, dall’altro, sostituendo nuovamente l’articolo 19 della legge n. 241/1990 con l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 35/2005 convertito nella legge n. 80/2005.12

1.2. Il d.lgs. n. 35/2005 e seguenti interventi normativi

Una seconda riformulazione dell’articolo 19 della l. n. 241/1990 è avvenuta ad opera dell’art. 1 del d. lgs. n. 35/2005, convertito nella 12 F. Doro, Scia e Dia. Scia e Dia. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata

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legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha introdotto radicali modificazioni dell’istituto della d.i.a..

I profili di maggior innovazione riguardarono soprattutto l’ambito di applicazione del nuovo regime, esteso anche agli atti abilitativi connotati da discrezionalità tecnica, la procedura di presentazione della dichiarazione, ovvero, il meccanismo di sostituzione con una dichiarazione a cui seguiva una comunicazione dell’interessato contestuale all’inizio dell’attività, ed infine il regime dei poteri successivi dell’amministrazione e la tutela giurisdizionale.

Il nuovo testo dell’articolo 19 confermava la generalizzazione della dichiarazione di inizio attività e prevedeva che questa potesse essere corredata da autocertificazioni, da certificazioni oltre che dalle attestazioni normativamente richieste.

Dunque l'Amministrazione competente poteva richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non fossero attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non fossero direttamente acquisibili presso altre Pubbliche amministrazioni.13

La nuova d.i.a., così si applicava a quei procedimenti di iniziativa di parte per i quali era previsto il rilascio di un provvedimento di consenso della Pubblica amministrazione competente in ordine ad una attività del privato, quale che ne fosse la qualificazione legislativa, ovvero, per “ ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale”.

Venivano meglio specificati i casi di esclusione, in quanto non bastava più che il rilascio degli atti autorizzativi non fosse sottoposto ad 13 E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit. , p. 383;

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alcun limite ma occorreva anche che non fossero previsti specifici strumenti di programmazione settoriale.

Con le novità introdotte dalla novella del 2005, veniva consentito di iniziare l’attività oggetto della dichiarazione decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all’Amministrazione competente, con l’obbligo dell’interessato di darne notizia a questa contestualmente all’inizio dell’attività.

Il potere di controllo della Pubblica amministrazione così, che era circoscritto alla verifica sull’eventuale carenza delle condizioni e delle modalità oltre che dei fatti legittimanti, doveva essere esercitato nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di avvio dell’attività.

In caso di accertamento positivo, era stabilito che l’amministrazione avrebbe potuto adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli suoi effetti, salvo che, dove ciò fosse possibile, l’interessato avrebbe provveduto a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dalla amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.14

Qualora fosse prevista l’acquisizione di pareri di organi o di Enti appositi, il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto dell’attività e di rimozione dei suoi effetti erano sospesi fino all’acquisizione degli atti costitutivi.

Questo termine non poteva superare i trenta giorni, decorsi i quali l’Amministrazione avrebbe adottato i provvedimenti indipendentemente dall’acquisizione del parere.

14 Codice commentato dell’azione amministrativa, a cura di Maria Alessandra Sandulli,

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In ultimo veniva comunque fatto salvo il potere dell’Amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi dell’art. 21 quinques e 21 nonies Legge n. 241/1990 e, al fine di eliminare incertezze sul riparto di giurisdizione, inoltre veniva prevista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per ogni controversia relativa all’applicazione della normativa in tema di d.i.a..15

I successivi interventi del 2009 e del 2010 si ritennero necessari perché il d.l. n. 35/2005, aveva notevolmente inciso sulla efficacia della d.i.a., attribuendole in via generale solo un’efficacia differita, che andava a modificare la precedente tipologia di efficacia.

La versione originaria dell’articolo 19 della legge n. 241/1990, infatti, stabiliva un tipo di d.i.a. ad efficacia immediata, previsto per le attività cui poteva darsi inizio immediatamente dopo la presentazione della denuncia e un altro per attività cui può darsi inizio dopo il decorso di un termine fissato.

Il secondo tipo ovvero ad efficacia differita si riferiva particolari categorie di atti, bisognosi di complessi accertamenti, definito ad efficacia differita.

La questione della efficacia andava a legarsi strettamente con la questione della ripartizione di competenze tra Regioni e Comuni.

Infatti, alcune Regioni, per certi tipi di procedimenti di loro competenza, scelsero di ristabilire la d.i.a. ad efficacia immediata, mettendo in difficoltà i Comuni che già applicavano su identici procedimenti la d.i.a. ad efficacia immediata, creando irrisolvibili conflitti di competenze.

Nel 2009, così, risultò necessario reintrodurre, mediante la legge n. 69, le due tipologie di d.i.a. ulteriormente corrette poi dal d.lgs. n. 59/2010.

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Con il primo intervento normativo del 2009, in attuazione della Direttiva 2006/123/CE, la dichiarazione di inizio attività aveva avuto ad oggetto l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi richiamati nella predetta direttiva, l’attività sarebbe potuta iniziare dalla data di presentazione della d.i.a., salvo l’emanazione del motivato provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività che doveva essere assunto entro il termine di trenta giorni.

Il d.lgs. n. 59/2010 interveniva a chiarire i molti dubbi creati dalla normativa precedente, in due momenti diversi.

In un primo momento, caratterizzato dalla generale applicazione di una d.i.a. ad efficacia differita, l’attività dichiarata poteva iniziare decorsi trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, previa comunicazione all’amministrazione competente.

Successivamente, si reintrodusse una d.i.a. ad efficacia immediata, potendo l’attività essere iniziata dalla data di presentazione della denuncia, mantenendo un’ apposita disciplina prevista per appositi settori di d.i.a. ad efficacia immediata.

Il correttivo risultò ancora insufficiente a risolvere il problema, così dopo poco si ritenne necessario emanare il d.l. n.78/2010 che trasformava dichiarazione in segnalazione certificata di inizio attività e reintroduceva la sola efficacia immediata.16

2. L’introduzione della S.C.I.A: il d.l.78/2010

Il comma 4 bis dell’articolo 49, d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modifiche nella legge n.122/2010, ha interamente sostituito l’articolo 19 l. n. 241/1990, eliminando dal nostro sistema l’istituto della dichiarazione di inizio attività e introducendo al suo posto la segnalazione certificata di inizio dell’attività ovvero s.c.i.a..

16 C. Fachini, La segnalazione certificata di inizio attività, in Azienditalia, n. 11/2011,

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Con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio dell’attività veniva consentito che l’attività potesse essere avviata subito, per il solo fatto della avvenuta comunicazione della segnalazione, venendo eliminato quel termine dilatatorio previsto affinché la Pubblica amministrazione potesse esercitare i suoi poteri di controllo ed inibitori.17

Con la s.c.i.a. si andava a sostituire ogni atto di autorizzazione, ogni licenza, ogni concessione non costitutiva, ogni permesso, ogni nulla osta, comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale.

Al fine di potenziarne l’efficacia, la segnalazione certificata di inizio d’attività, oltre ad essere corredata dalle dichiarazioni previste dal d.p.r. 445/2000, poteva anche essere corredata da una serie di osservazioni, pareri tecnici e certificazioni rilasciate da tecnici abilitati, dirette a facilitare il potere di controllo successivo esercitato dall’Amministrazione preposta.

Venivano previsti, tuttavia, limiti all’applicazione di questo nuovo istituto ovvero il rilascio doveva dipendere esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge o dagli atti amministrativi a contenuto generale, in assenza di limiti espressamente previsti o specifici strumenti di programmazione settoriale richiesti per il rilascio degli atti stessi, rimanendo esclusi i casi in cui sussistevano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

Venivano esclusi, altresì, gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia,

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all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco.18

In ultimo la nuova disciplina non si applicava alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, comprese quelle regolate dal d.lgs. n. 385/1993 e dal d.lgs. n. 58/1998.

Nell’ambito di applicazione, risultavano confermate, quindi, le previsioni secondo cui il rilascio dell’atto di assenso sostituito poteva dipendere dall’accertamento di presupposti e di requisiti previsti non solo dalle leggi, ma anche da atti amministrativi a contenuto generale, mentre veniva solamente ritoccato l’elenco dei settori esclusi.

In caso di accertata mancanza dei requisiti richiesti dalla Pubblica amministrazione, però, nel termine di giorni sessanta potevano essere adottati motivati provvedimenti di divieto della prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi della stessa, salvo che l’interessato, ove ciò risulti possibile, non si conformi alla normativa vigente entro un termine fissato dalla stessa amministrazione, che non potrà comunque essere inferiore a trenta giorni.

Ne consegue che anche per il nuovo istituto è previsto che il potere amministrativo non intervenga più ex ante per autorizzare lo svolgimento di un’attività privata, ma dovrà essere esercitato soltanto ex

post per verificare se l’attività che il denunciante si propone di svolgere

è conforme alle prescrizioni legali e se il privato è in possesso dei requisiti prescritti per svolgerla ed eventualmente per conformare o inibire le attività poste in essere contra legem.

Come anticipato, quindi, decorso il termine di sessanta giorni per l’adozione dei provvedimenti, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza 18 F. Doro, Scia e Dia. Scia e Dia, cit., p. 19 e ss;

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pubblica o la difesa nazionale, previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.

Anche per l’ istituto della s.c.i.a. rimane per l’Amministrazione competente il potere di assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi dell’art. 21 quinques e 21 nonies della l. n. 241/1990.19

Quest’ultimo non risulta un potere di controllo finalizzato al riscontro della sussistenza e legittimità delle condizioni che legittimano l’esercizio dell’attività economica, ma deve configurarsi come un potere discrezionale e non vincolato che la Pubblica amministrazione può esercitare qualora valuti, a posteriori, la propria azione illegittima o inopportuna.

L’effetto raggiunto non risulta quindi quello di liberalizzare il regime di determinate attività, quanto, piuttosto, quello di introdurre un sistema complesso di deroghe, a loro volte oggetto di importanti eccezioni , all’ordine legale dei rapporti tra amministrazione e privato.

2.1.Il campo di operatività della S.C.I.A.

L’intento della s.c.i.a., in tutte le sue modificazioni, secondo l’idea del Legislatore, è quello di promuovere il tempestivo ed efficace esercizio dell’iniziativa economica da parte del privato.

Il nuovo istituto infatti permette al privato l’esercizio dell’attività economica non appena ne sia avvenuta la comunicazione 19 E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit. p. 386;

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all’amministrazione pubblica competente e a prescindere dalla diversa natura dell’attività stessa, superando così la precedente distinzione tra una d.i.a./s.c.i.a. ad efficacia istantanea e una d.i.a./s.c.i.a. ad efficacia differita.

Per effetto dell’art. 49 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, la nuova disciplina sulla s.c.i.a. si sostituiva a quella già esistente in ambito di iniziativa privata, stabilita in materia di d.i.a., modificando non soltanto la normativa statale previgente ma anche quella regionale.

Risultarono così necessari ulteriori interventi normativi come la legge n. 148/2011, che all’art. 3 stabiliva per Regioni, Province e Comuni l’obbligo di adeguare i propri statuti, entro il termine del 30 settembre 2012, al principio secondo il quale l’iniziativa economica privata doveva essere libera.

Con questa disposizione veniva permesso tutto ciò che non era espressamente vietato dalla legge nei casi in cui sussistevano vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario o dagli obblighi internazionali oppure nei casi di contrasti con i principi fondamentali della Costituzione con conseguenti danni alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale.

Non solo, ma anche nel caso di disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali e dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale, oltre che disposizioni concernenti le attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.

Dopo pochi mesi, però, risultò necessario tornare sull’argomento.

L’articolo 1 della legge n. 27/2012 autorizzava, infatti, l’Esecutivo all’emanazione di decreti diretti a abrogare sia le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni e licenze propedeutiche all’esercizio dell’attività economica, sia quelle che ponevano divieti e

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restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche.

Sempre la stessa normativa imponeva di interpretare restrittivamente e tassativamente le norme e i divieti concernenti l’esercizio dell’attività economica che non erano state oggetto di abrogazione, riservando all’Esecutivo il potere di individuare le attività per le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione e disciplinando i termini e le modi per l’esercizio dei poteri di controllo dell’amministrazione.

Veniva confermata inoltre l’esclusione di tutti quegli atti imposti dalla normativa comunitaria, con cui il Legislatore intendeva riferirsi non a quei provvedimenti il cui rilascio a favore del cittadino veniva reso obbligatorio dalla normativa comunitaria, bensì a quei procedimenti per i quali la normativa comunitaria richiedeva una conclusione con provvedimento espresso, col risultato che le esclusioni dovevano essere verificate in concreto, esistendo ipotesi in cui la Comunità non esige un provvedimento espresso.20

Un ulteriore particolare settore di applicazione della s.c.i.a. era quello dell’edilizia secondo cui la segnalazione si sostituiva alle denunce di inizio attività con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, erano alternative o sostitutive al permesso di costruire.

La medesima disposizione, introducendo il nuovo comma 6 bis, andava a prevedere il dimezzamento dei tempi per i controlli dell’Amministrazione competente sugli interventi realizzati con la s.c.i.a..

A completamento della normativa in materia sono state successivamente previste particolari tutele per gli interventi realizzati 20 F. Doro, Scia e Dia. Scia e Dia. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata

di inizio attività dopo i dd. ll. 78/2010, 70/2011, 138/2011e 83/2012, cit., 2012, p. 19 e ss;

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all’interno di particolari zone che i Comuni stessi avevano l’obbligo di individuare e determinare le aree in cui non risultava applicabile l’istituto della s.c.i.a..

Anche nella attuale formulazione dell’articolo 19 rimane irrisolto il problema della discrezionalità tecnica a causa della mancata riproduzione dell'inciso presente nella formulazione del 1993, in virtù del quale l’accertamento dei presupposti per il rilascio dell’atto dell’assenso doveva avvenire senza apposite prove che comportassero valutazioni tecniche discrezionali.

L’eliminazione di tale inciso poteva essere spiegata agevolmente da chi riteneva applicabile la s.c.i.a. alle solo ipotesi di accertamento tecnico, ritenendo che la soppressione derivasse dalla distinzione tra accertamento tecnico e discrezionalità tecnica.

Al contrario, veniva sostenuto che con questa abrogazione il legislatore avesse voluto ricomprendere tra gli atti sostituibili con s.c.i.a. anche quelli che richiedevano valutazioni espressione di discrezionalità tecnica.

Fra le due possibili soluzioni interpretative della norma risulta da preferire quest’ultima, altrimenti il nuovo istituto avrebbe un campo di applicazione più circoscritto della precedente d.i.a. , in chiaro contrasto con l’intenzione perseguita dal Legislatore. 21

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CAPITOLO II

S.C.I.A.: DALLA SEMPLIFICAZIONE ALLA LIBERALIZZAZIONE

1. La natura della S.C.I.A.

I tratti essenziali del nuovo modello della segnalazione certificata di inizio attività, introdotto con il d.l. n. 78/2010, rilevano negli ambiti dell’applicabilità dell’istituto, degli effetti e dei controlli da parte della Pubblica amministrazione competente successivi all’inizio dell’attività.

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Esaminando il comma primo dell’articolo 19, sin da subito, si nota che l’oggetto della s.c.i.a. è il medesimo della d.i.a., ovvero, riguarda ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi.

Con la riformulazione dell’articolo vengono risolte alcune questioni fino ad adesso insolute, come quella relativa all’applicabilità dell’istituto a seguito della verifica dell’accertamento dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge.

Nel caso in cui la verifica dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge avvenga in maniera automatica e, cioè senza che sia necessario intervenire con interpretazioni discrezionali da parte della Pubblica amministrazione, è applicabile il nuovo istituto.

Al contrario, nei casi in cui per verificare i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, sarà necessaria un’ulteriore valutazione di merito, entrando così nel campo della discrezionalità amministrativa e della discrezionalità tecnica, la segnalazione certificata non sarà applicabile.

Pertanto, non potrà essere applicata in tutti quei casi in cui esistano elementi di valutazione discrezionali nell’accertamento della corrispondenza alla legge del progetto che si vuole realizzare o dell’attività che si vuole iniziare.

Qualora, però, si rinvengano situazioni in cui gli interessi generali, che devono essere contemperati con l’interesse di chi chiede un’autorizzazione o altro atto di consenso, i primi andranno considerati e, se a ciò non provvede la legge, dovrà provvedervi la Pubblica

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amministrazione, che in questo caso è chiamata ad esercitare la propria discrezionalità tecnica e amministrativa.

Un’ altra questione irrisolta risulta legata all’efficacia della segnalazione certificata di inizio attività.

Il comma secondo del medesimo articolo, infatti, stabilisce che l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’Amministrazione competente.

A differenza della d.i.a., che aveva efficacia differita, la s.c.i.a. ha unicamente efficacia immediata.

La semplificazione è notevole, perché oltre a consentire l’avvio immediato dell’attività, elimina l’obbligo della comunicazione ulteriore, da inviare all’amministrazione competente, contestualmente all’inizio effettivo dell’attività.

In ultimo, il comma terzo del medesimo articolo disciplina l’attività di controllo che deve essere svolta dalle Pubbliche amministrazioni competenti.

La formulazione risulta analoga alla precedente con alcune innovazioni.22

Il d. lgs. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, ha espressamente stabilito che nella s.c.i.a. deve essere indicato il tipo di attività che si vuole attivare deve essere corredata dagli elaborati tecnici necessari a consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione, nonché la conformità della stesse alle regole derivanti dalle norme e, eventualmente, da atti amministrativi generali contenenti i presupposti ed requisiti per il lecito svolgimento.

L’attestazione dei requisiti è sempre necessaria, risolvendosi in via generale nell’allegazione di dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti agli alti. 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del presidente della repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di attestazioni, asseverazioni di tecnici abilitati negli ambiti di cui la 22 C. Facchini, La segnalazione certificata di inizio attività, cit., p. 15;

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disciplina di settore lo prevede, ovvero di dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese negli ambiti di competenza a quest’ultima riservati e con riguardo alle attività di impresa individuate ai sensi del regolamento di attuazione dell’art. 38, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112.23

L’Amministrazione competente che esegue i controlli, può avvalersi anche della collaborazione delle Pubbliche amministrazioni responsabili dei pareri sostituiti da autocertificazioni e asseverazioni, benché tale avvalimento non sia esplicitato dalla disciplina della s.c.i.a..24

Per l’esecuzione dei controlli quindi è previsto il termine di giorni sessanta e non più solo di trenta, come stabilito dalla disciplina precedente.

Se dai controlli dovessero risultare, inoltre, la carenza dei requisiti e dei presupposti oggetto della segnalazione e delle autocertificazioni, attestazioni e documentazioni allegate, entro sessanta giorni, l’Amministrazione competente è chiamata ad adottare provvedimenti motivati di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.

A completamento della nuova disciplina, il successivo comma quarto, mantiene fermi gli eventuali diversi termini, previsti dalle leggi vigenti, per l’avvio dell’attività e per l’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività, generalizzando il termine di sessanta giorni.

La novità introdotta dalla nuova disciplina della s.c.i.a. consiste nella previsione della rimozione dei soli effetti dannosi e non di tutti gli effetti prodotti dall’attività illegittimamente avviata.

La Pubblica amministrazione quindi dispone di tre differenti poteri.

23 Anna Maria Sandulli, Codice commentato dell’azione amministrativa, cit., P. 759; 24 C. Facchini, La segnalazione certificata di inizio attività, cit., p. 16 e ss;

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Per sessanta giorni a decorrere dal ricevimento della comunicazione di avvio dell’attività l’Amministrazione competente gode di un potere inibitorio, ovvero, verifica la sussistenza ed i presupposti normativi per l’esercizio dell’attività oggetto di segnalazione, laddove il controllo abbia esito negativo, emette un motivato divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti ovvero, nei limiti in cui sia possibile, invita l’interessato a conformare l’attività ed i suoi effetti alla normativa vigente entro un termine stabilito dall’amministrazione, comunque non inferiore a trenta giorni.

Venuto meno il potere inibitorio, residua, poi, il generale potere repressivo degli abusi previsto dall’art. 21, L. 241/1990 , il cui comma 2

bis dispone che restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e

controllo sull’attività soggette a ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività.

La Pubblica amministrazione dispone infine anche del potere di autotutela.

L’articolo 19 al comma 3 nella sua attuale formazione, prevede che è fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi dell’art. 21

quinques e 21 nonies.

Nell’ottica della restrizione dei margini per autotutela, la riforma del 2010 ha stabilito che decorso il termine di sessanta giorni per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3, alla Pubblica amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei provati alla normativa vigente.25

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Dunque, il Legislatore ha voluto applicare il principio di proporzionalità nell’adozione di atti ablatori, ritenendo sufficiente stabilire il divieto di prosecuzione dell’attività, senza stabilire la rimozione degli effetti da essa prodotti, a meno che non risultino dannosi.

E’ così applicato il generale principio di proporzionalità di matrice comunitaria che richiede che ogni misura adottata dalla Pubblica amministrazione, che vada ad incidere su posizioni private, debba essere proporzionata a quanto richiesto dagli obiettivi perseguiti.

In questo caso, infatti, il legislatore ha ritenuto che provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività siano sufficienti a tutelare l’ordinamento, di fronte ad attività avviate illegittimamente, a parte il caso limite in cui gli effetti provocati siano dannosi.

All’Amministrazione competente rimane così la possibilità, applicata nella generalità dei casi, di non prescrivere l’interruzione dell’attività, ma di richiedere all’interessato di conformare l’attività alle norme, stabilendo un periodo congruo, non inferiore a trenta giorni, in base alla complessità degli adempimenti, quando tale conformazione sia possibile.

Quindi, se la conformazione non interverrà nei termini stabiliti, comunque prorogabili a discrezione e dietro richiesta motivata e giustificata, l’Amministrazione competente procederà poi a comunicare il divieto di prosecuzione dell’attività e a rimuovere gli effetti dannosi.

Il nuovo testo prevede che i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti dannosi possono sempre essere adottati in tutti quei casi in cui le dichiarazioni sostitutive di certificazione e gli atti di notorietà risultano false o mendaci, con la applicazione di apposite sanzioni penali.

Ciò significa che non costituiscono motivo sufficiente per la revoca del provvedimento, che si è formato con la decorrenza dei sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a., sopravvenuti motivi di

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pubblico interesse o un mutamento della situazione di fatto o una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, basati su interessi generali diversi da quelli sopra descritti.

Altrettanto, per l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo, che si è formato con la decorrenza dei sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a., non è sufficiente la verifica della semplice illegittimità, questa condizione deve anche creare un pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.

Questi limiti, quindi, impongono al responsabile del procedimento un esame accurato e conclusivo entro i sessanta giorni a disposizione per effettuare i controlli e adottare i provvedimenti conseguenti.26

La natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività è ancora attualmente oggetto di un animato dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, innanzitutto, sulla difficoltà di individuare in maniera univoca quella che è definibile la ratio dell’istituto e dalla necessità di individuare i modi ed i tempi della tutela che deve essere riconosciuta al terzo che si ritenga leso dalla condotta dell’amministrazione.

E’ in atto, dunque, una contrapposizione tra chi ritiene che la s.c.i.a. si concretizzi in un vero e proprio strumento di liberalizzazione di determinate attività private e chi, invece, la considera un mero istituto di semplificazione del procedimento amministrativo riducendolo, così, alla sola fase essenziale.

Si è così, da un lato, parlato, di un procedimento semplificato ed accelerato, e dall’altro, si è affermato che la s.c.i.a. costituisce una forma di liberalizzazione amministrativa, ossia di eliminazione o riduzione degli ostacoli di ordine amministrativo che si frappongono allo svolgimento di attività private.27

26 C. Facchini, La segnalazione certificata di inizio attività, cit., p. 12;

27 T. D’Ambrosio, L’istituto della segnalazione certificata di inizio attività alla luce

dei recenti interventi giurisprudenziali, in rivista online

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1.1.La tesi della natura privatistica

La qualificazione della segnalazione certificata di inizio attività come della d.i.a., risulta ancora oggi non ben definita.

Non risulta ben chiaro infatti l’intento perseguito dal Legislatore ovvero se sia stato quello di disporre una misura di liberalizzazione in relazione a determinate attività private oppure di disciplinare una forma di semplificazione dei procedimenti autorizzatori.

L’individuazione di detta funzione, e dunque delle finalità dell’istituto, ha dato adito a diverse ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali.

In particolare, vi è una corrente maggioritaria che colloca la s.c.i.a. tra gli istituti di semplificazione procedimentale e che propende quindi per il suo inquadramento tra le misure di liberalizzazione di attività economiche private, precedentemente sottoposte ad atti di autorizzazione.

Dalla tesi che qualifica la s.c.i.a. come un atto del privato sia dal punto di vista formale che sostanziale, dunque, discende la conseguenza secondo cui la legittimazione all’esercizio dell’attività non è fondata su

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un atto di consenso della Pubblica amministrazione, ma trova la propria fonte direttamente nella legge.

Il privato sarebbe, infatti, titolare di una legittimazione ex lege allo svolgimento dell’attività.

Nello specifico, la legittimazione del privato all’esercizio dell’attività non sarà più fondata su di un atto di consenso della Amministrazione competente, ma secondo una legittimazione prevista per legge, ovvero, in forza della quale il soggetto è abilitato allo svolgimento dell’attività direttamente dalla legge, la quale disciplina l’esercizio del diritto eliminando l’intermediazione del potere autorizzatorio della Pubblica amministrazione.

L’amministrazione si rivelerà, quindi, non già titolare di una potestà pubblica, quanto mera destinataria di un atto del privato.28

Questa tesi troverebbe conferma anche nel testo dell’articolo 19 della l. n. 241/1990, poiché essa parla della facoltà del privato di iniziare l’attività decorsi trenta giorni, senza che l’Amministrazione competente abbia emesso un provvedimento di diniego, infatti, la norma richiamata non stabilisce espressamente che il silenzio dell’amministrazione equivale ad un provvedimento di accoglimento.

Sennonché, la particolare natura dell’istituto rende ambiguo lo stesso testo normativo, il quale se da una parte sembra avvalorare la tesi privatistica, dall’altra sembra sconfessarla, prevedendo espressamente la facoltà per la Pubblica amministrazione, scaduto il termine di legge, di procedere in autotutela, così dando ad intendere che un provvedimento amministrativo è stato emesso.

Secondo una prima considerazione, dunque, il Legislatore avrebbe indicato espressamente la facoltà per la Pubblica amministrazione di agire in autotutela, prevedendo appunto questa facoltà, come si può dedurre dai principi generali contenuti negli artt. 21

quinquies e 21 nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241.

28 T. D’Ambrosio, L’istituto della segnalazione certificata di inizio attività alla luce

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Al contrario, secondo un’altra considerazione, questa espressa previsione sarebbe da collegarsi alla volontà del Legislatore di applicare l’autotutela anche ad un istituto, come quello della s.c.i.a., al quale l’autotutela non sarebbe applicabile, per l’assenza di un provvedimento amministrativo, nemmeno silenzioso.

I sostenitori della tesi privatistica accolgono la considerazione secondo cui evidentemente, poiché non è stato emesso alcun provvedimento, l’espressa previsione dell’autotutela è manifestazione della volontà del Legislatore di consentire l’applicazione dell’istituto al di fuori dei casi nei quale è ordinariamente consentito.

Stabilito in un primo momento che la s.c.i.a. era un atto del privato, ne conseguiva che non essendo stato emesso alcun provvedimento da parte della Pubblica amministrazione competente, anche dopo il mancato esercizio del potere, questa avrebbe potuto comunque intervenire ordinando la riduzione in pristino della situazione giuridica del destinatario.

Era questa l’interpretazione che i sostenitori di questa teoria davano all’articolo 19 nella sua originaria formulazione.

Successivamente, però, con le modifiche apportate dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 e l’introduzione della espressa facoltà per la Amministrazione competente di provvedere in autotutela decorso il termine di legge, è stato chiarito che non risulta più ragionevolmente ipotizzabile che, anche dopo la decorrenza del termine di legge, questa conservi il potere di intervenire.

Sennonché, questa espressa previsione del potere della Amministrazione di attivare il potere di autotutela, in quanto contrastante con quanto sopra, è sembrata un rinnegamento da parte del Legislatore della tesi della natura privatistica della d.i.a..29

29 R. Chieppa – V. Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Giuffré, Milano, 2007,

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Come detto, dunque, non vi è possibilità alcuna di istruire un processo impugnatorio, per la mancanza del suo oggetto tipico ovvero l’atto amministrativo.

In tal caso l’ individuazione degli strumenti di tutela processuale del terzo diventa cosa complessa.

Mancando un provvedimento da impugnare, la tutela del terzo viene tradizionalmente ricondotta nei binari del giudizio sul silenzio, riconoscendo al terzo la titolarità di un’azione volta ad accertare l’obbligo per l’Amministrazione competente di esercitare i poteri che avrebbe dovuto esercitare ma non ha esercitato.

Sul punto si segnalano posizioni diverse sull’individuazione del potere oggetto dell’azione, se il generale potere repressivo sanzionatorio, se il potere inibitorio, ovvero entrambi.

In un primo momento si è ipotizzato che il privato potesse inoltrare una diffida all’Amministrazione competente per attivare l’esercizio di poteri inibitori, evitando il consolidarsi di una s.c.i.a. basata su presupposti errati.

La diffida del terzo era funzionale, evidentemente, ad ottenere un provvedimento dall’amministrazione, a questo punto, impugnabile, ovvero un inadempimento, anch’esso contestabile secondo schemi usuali, seguendo il rito del silenzio inadempimento.

Tuttavia, è andata affermandosi l’idea che l’applicazione del rito del silenzio all’omesso esercizio del potere inibitorio doveroso è resa problematica dalla circostanza che il silenzio-rifiuto postula, sul piano strutturale, la sopravvivenza del potere al decorso del tempo fissato per la definizione del procedimento amministrativo, mentre, nella specie, lo spirare del termine perentorio di legge implicava la definitiva consumazione del potere in esame.

In altre parole, nel silenzio-inadempimento lo spirare del termine di legge non conclude il procedimento, ma accentua il dovere della Amministrazione competente di porre fine all’illecito comportamentale

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permanente, al contrario di quanto accade nella situazione dove l’inerzia dell’amministrazione, che si protragga oltre i confini di cui dell’articolo 19, conclude il procedimento estinguendo il potere amministrativo di divieto.

Vi è poi la ricostruzione secondo la quale il rimedio avverso il silenzio non significativo serbato dall’Amministrazione competente dovesse essere rivolto al mancato esercizio dei poteri di autotutela previamente sollecitati dal terzo.

Cioè, quest’ultimo avrebbe dovuto proporre istanza di autotutela alla Amministrazione competente, poi, solo successivamente, gli sarebbe consentito di impugnare il provvedimento conseguente all’istanza di autotutela di fronte al giudice amministrativo con l’azione nei confronti del silenzio rifiuto disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a..

Tuttavia, la possibilità di tutela del terzo attraverso questa complicata procedura non è veramente effettiva, poiché in seguito all’istanza di autotutela del terzo non vi è un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione ed il terzo subisce in più un allungamento dei tempi di tutela.

Infatti, l’amministrazione non ha un vero e proprio obbligo di provvedere sanzionabile dal giudice amministrativo, in quanto, in sede di autotutela la prima è titolare di potere discrezionale circa la valutazione della prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del privato.

Ne discende che, anche a seguito di una istanza di autotutela, il terzo potrebbe trovarsi senza un provvedimento da impugnare davanti al giudice amministrativo, al fine di vedere tutelata la sua situazione soggettiva.

Non è parsa convincente neanche la considerazione secondo cui l’ attivazione del rito del silenzio rifiuto al fine di contrastare l’omessa adozione dei provvedimenti sanzionatori, richiamato dall’art. 21 della

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legge n. 241/1990, è soggetto a stringenti limiti che lo rendono inidoneo a soddisfare, in modo effettivo e pieno, la posizione del terzo.

Deve essere considerato, in particolare, che la legislazione di settore consente all’Amministrazione competente l’adozione di sanzioni pecuniarie che, per loro natura, sono inidonee a soddisfare l’interesse del terzo ad ottenere una misura che impedisca l’attività denunciata e neutralizzi gli effetti dalla stessa già prodotti.

L’altra soluzione ipotizzata è quella di ammettere l’azione di accertamento, che consente di mantenere la qualificazione della s.c.i.a. come atto privato ammettendo contestualmente una tutela diretta del terzo, senza introdurre ulteriori accorgimenti.

Una volta ammessa la possibilità di esperire l’azione di accertamento, anche le finzioni interpretative cui si è dato corso vengono a perdere la loro ragion d’essere e il percorso ricostruttivo sostanziale e processuale della s.c.i.a. si mantiene pienamente fedele alla ratio che ha portato all’introduzione dell’istituto che consiste nella liberalizzazione dell’attività.30

30 E. Giardino, La natura giuridica della Dia e la tutela del terzo, in Giornale di diritto

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1.2. La sentenza del Consiglio di Stato n.717/2009

La tesi sulla natura privatistica della s.c.i.a., che si rinviene in una recente pronunzia del Consiglio di Stato, Sez. VI, la n.717 del 9 Febbraio 2009, qualifica la denuncia di inizio attività come un mero atto di un privato, che non ha alcun valore provvedimentale né produce alcun implicito assentimento da parte della pubblica amministrazione.

Il Consiglio di Stato sul tema della natura giuridica della d.i.a. ha seguito un orientamento secondo cui la d.i.a. si tradurrebbe direttamente nell'autorizzazione implicita all'effettuazione dell'attività in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero agire innanzi al giudice per chiedere l'annullamento della determinazione

formatasi in forma tacita.

Si tratterebbe, quindi, di un istituto del tutto peculiare, comunque assimilabile ad una istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine di legge, provoca la formazione di un “titolo”, cioè di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza, che rende

lecito l'esercizio dell'attività.

Secondo questa impostazione, la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della

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presentazione della denunzia. Diversi gli argomenti invocati a sostegno di questa posizione. In primo luogo, un forte indizio a favore della tesi provvedimentale è oggi offerto dalla previsione espressa del potere dell'amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies.

Tale riferimento all’autotutela sembra, invero, presupporre un provvedimento, o comunque un titolo, su cui sono destinati ad incidere i provvedimenti di revoca o di annullamento, quali atti di secondo grado. Come è stato rilevato, inoltre, se è ammesso l'annullamento d’ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere consentita l'azione di

annullamento davanti al giudice amministrativo.

Ulteriori elementi a sostegno della natura provvedimentale si ricavano, con particolare riferimento alla d.i.a in materia edilizia, da alcune norme contenute nel testo unico dell’edilizia (approvato con

D.P.R. n. 380/2001).

Viene, in primo luogo, in considerazione il comma 2-bis dell'art. 38 che, prevedendo, la possibilità di “accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo”, equipara detta ipotesi ai casi di “permesso annullato”, avallando l’idea che la d.i.a. sia un titolo

suscettibile di annullamento

Sulla stessa linea si pone l'art. 39, comma 5-bis, che consente l’annullamento straordinario della d.i.a. da parte della Regione, confermando, così, che la d.i.a. viene considerata dal legislatore come un titolo suscettibile di essere annullato (in sede amministrativa e, quindi, a maggior ragione, in sede giurisdizionale). Rilevante, infine, è l’art. 22 il quale stabilisce che il confine tra l’ambito di operatività della d.i.a. e quello del permesso di costruire non sia fisso: le Regioni possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4), ed è comunque fatta salva la facoltà dell'interessato di chiedere il

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rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi

assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7).31

Per la tesi in esame, una simile previsione dimostrerebbe che d.i.a. e permesso di costruire sono di titoli abilitativi di analoga natura, che si diversificano solo per il procedimento da seguire. Sarebbe, allora, irragionevole, oltre che lesivo dell'effettività della tutela giurisdizionale, pensare che il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda del tipo di titolo abilitativo, che può dipendere da una scelta della parte

o da una diversa normativa regionale.

Sarebbe, invece, preferibile ritenere che il formarsi di un determinato titolo abilitativo, o di un altro, non comporti alcun cambiamento sotto il profilo della tutela del terzo e del conseguente intervento del giudice, in alcun modo limitato dalla decadenza del

potere di intervento dell'amministrazione.

La tesi appena esposta, seppure spinta dal pregevole intento di evitare che l’introduzione della d.i.a. possa avere l’effetto di diminuire le possibilità di tutela giurisdizionale offerte al terzo controinteressato, si presta, tuttavia, ad alcune considerazioni critiche. Innanzitutto, dalla formulazione letterale dell’art. 19 l. n. 241/1990, che rappresenta la norma generale cui fare riferimento per la disciplina e la ricostruzione dell’istituto, emerge in maniera chiara come la d.i.a. venga dal Legislatore nettamente contrapposta al provvedimento amministrativo: è prevista proprio la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione comunque denominata (il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti o presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione per il rilascio). Già da questo primo dato normativo, si evince, quindi, che la principale caratteristica e la vera novità dell’istituto consiste proprio nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di 31 Cfr,, Consiglio di Stato, Sez. VI, n.717 / 2009;

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autorizzazione con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l’esercizio delle stesse non è più necessaria l’emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione.

Come è stato bene evidenziato in dottrina, per effetto della previsione della d.i.a. la legittimazione del privato all’esercizio dell’attività non è più fondata, infatti, sull’atto di consenso della Pubblica amministrazione, secondo lo schema “norma-potere-effetto”, ma è una legittimazione ex lege, secondo lo schema “norma-fatto-effetto”, in forza del quale il soggetto è abilitato allo svolgimento dell’attività direttamente dalla legge, la quale disciplina l’esercizio del diritto eliminando l’intermediazione del potere autorizzatorio della

Pubblica amministrazione.

A seguito della denuncia, il soggetto pubblico verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti.

Gli unici provvedimenti rinvenibili nella fattispecie sono quelli meramente eventuali che la Pubblica amministrazione può emanare nel termine di legge per impedire la prosecuzione dell’attività o per imporre la rimozione degli effetti, ovvero quelli adottati in “autotutela” successivamente alla scadenza di questo termine. Il potere di verifica di cui dispone l’amministrazione, a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo, non è finalizzato all’emanazione dell’atto amministrativo di consenso all’esercizio dell’attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall’interessato rispetto ai canoni

normativi stabiliti per l’attività in questione.

Con la d.i.a, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell’autoresponsabiltà dell’amministrato che è legittimato ad agire in via autonoma valutando l’esistenza dei presupposti richiesti

dalla normativa in vigore.

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