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Oltre a questi aspetti si è ricercato la presenza in città di istituzioni attive ed economicamente ricche da poter supportare e favorire una attività di decorazione dei libri.

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INTRODUZIONE

L’intenzione che ha guidato la stesura di questa ricerca è stata quella di raccogliere ed analizzare lo stato degli studi sulla miniatura a Pistoia dal XII secolo alla metà del XIII secolo, per arrivare ad ipotizzare l’esistenza di uno scriptorium locale dedito alla copiatura dei manoscritti e alla loro decorazione.

In mancanza di documenti diretti che attestino storicamente l’esistenza di una simile istituzione, si è cercato di portare avanti un’ indagine che partendo dalle testimonianze artistiche presenti nei manoscritti riconducibili a Pistoia, considerasse anche degli aspetti complementari legati alla produzione libraria.

Si è analizzato il patrimonio librario della biblioteca della Canonica di San Zeno, documentata in epoca basso medioevale da diversi inventari; si è approfondita l’esistenza di una scuola per la formazione dei chierici e dei laici.

Oltre a questi aspetti si è ricercato la presenza in città di istituzioni attive ed economicamente ricche da poter supportare e favorire una attività di decorazione dei libri.

L’indagine è stata arricchita di un corredo fotografico che rappresenta una novità negli studi su questo argomento; esso testimonia la varietà delle forme decorative utilizzate nei manoscritti provenienti da Pistoia e in molti casi il loro rilevante valore artistico.

Come criterio di selezione dei manoscritti è stato scelto quello della

presenza al loro interno di iniziali miniate, siano esse ornate, illustrate o

figurate. Non sono stati pertanto oggetto diretto di questa indagine i codici

pistoiesi non decorati, con iniziali rubricate o filigranate che rappresentano

una parte importante dei manoscritti oggi rimasti.

(2)

Questa indagine sulla miniatura ha visto in primo luogo la necessità di una breve sintesi sulle vicende politiche, sociali e culturali che animarono Pistoia tra inizio del XII secolo e la fine del successivo. Il rinnovamento che caratterizza la città in questo periodo la mettono alla pari di altri centri toscani che hanno scriptoria cittadini documentati.

In questo periodo Pistoia vive una fioritura delle arti cosiddette “maggiori”

visibile prima di tutto nel rinnovamento delle chiese secondo le forme del Romanico, poi la stagione della scultura con l’importante ruolo svolto da Gruamonte e poi dai Bigarelli; infine la pittura che se pur con le poche testimonianze rimaste, dimostra una forte relazione con quello stile bizantino rintracciabile anche in certe illustrazioni dei manoscritti. Il fatto che si commissionassero opere d’arte di un certo valore anche a maestri importanti, dimostra sicuramente che a Pistoia era presente una certa sensibilità artistica, una sensibilità evidentemente necessaria per la commissione di manoscritti decorati.

Dopo aver delineato quello che doveva essere l’humus nel quale potrebbe collocarsi un locale scriptorium nel periodo Romanico, si è voluto raccogliere i contribuiti degli studiosi sulla miniatura pistoiese in modo da fornire una base critica aggiornata.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo alcuni storici locali aveva

cautamente ipotizzato l’esistenza di un centro di scrittura dei codici, ma

nessuno aveva preso in considerazione le miniature presenti nei testi. Gli

studi più completi sulla decorazione dei manoscritti a Pistoia rimangono

ancora oggi quelli di E.B. Garrison e di K. Berg pubblicati negli anni ‘50 e ‘60

del XX secolo. Entrambi parlano di una scuola pistoiese di decorazione

libraria, individuando delle caratteristiche locali nel tipo di scrittura usata e

(3)

nello stile di alcune iniziali. Pur riconoscendo il merito a questi due studiosi di aver per primi parlato di una scuola pistoiese di miniatura, è necessario ridimensionare il discorso della poca autonomia artistica di Pistoia. Infatti per entrambi gli studiosi questa città rimane un centro secondario e sostanzialmente dipendente dallo stile di altre città come Lucca e Firenze. A questi studi illuminanti non ne sono seguiti altri specificatamente dedicati alla miniatura a Pistoia, l’argomento è rimasto per lungo tempo nell’ombra. In alcune pubblicazioni di indagini di tipo archivistico e paleografico si accenna superficialmente all’ esistenza di uno scriptorium. Fa ben sperare in una nuova stagione degli studi sulla miniatura a Pistoia nel Romanico la tesi di laurea di Silvia Rondini sul Graduale III.R.69, Pistoia, Archivio Vescovile;

qui si ipotizza non solo una produzione pistoiese del manoscritto ma addirittura si identifica il luogo di realizzazione all’interno dell’ abbazia di San Bartolomeo in Pantano.

Per completare questa indagine è stata necessaria un’ analisi stilistica delle

miniature presenti nei codici ricondotti a Pistoia. In questi ultimi le iniziali

geometriche rappresentano la maggior parte delle testimonianze di

decorazioni, a scapito delle illustrazioni, presenti in numero più limitato. Sono

state individuate due tipologie di iniziali: le iniziali tracciate a penna, più

arcaiche e semplici probabilmente realizzate dagli stessi scriba, e le iniziali

geometriche colorate a pennello e più complesse nella decorazione, opera

invece di miniatori. Durante l’analisi delle varie forme di iniziali è emersa una

tipologia più legata a Pistoia: quella in cui le aste tendono ad assottigliarsi e

incurvarsi, dove le forme decorative vegetali sono piuttosto pesanti e

ombreggiate. Questa forma sembra prendere sviluppo dallo stile del cosiddetto

Maestro della Prima Bibbia Casanatense, che rappresenta l’artista di più alto

(4)

valore operante a Pistoia. Le testimonianze di questo maestro sono databili alla metà del XII secolo, quando si assiste a una fioritura della decorazione dei manoscritti pistoiesi.

Le diverse forme decorative presenti anche in uno stesso manoscritto mostrano l’attività di maestri diversi: alcuni locali e altri itineranti legati a influenze più lucchesi o fiorentine che dovevano essere chiamati alla decorazione di un solo manoscritto o a formare i miniatori locali.

Alla luce di tutti gli elementi emersi si è ipotizzato, come si dirà, di collocare uno scriptorium pistoiese all’ interno della Canonica di San Zeno e di datare la sua attività fra il primo quarto e la fine del terzo quarto del XII secolo. Molti dei manoscritti decorati sono testimoniati nel primo inventario dei tesori della Sacrestia di San Zeno, alcune personalità che operano come scriba ricoprono ruoli di prestigio all’interno della Canonica, l’istituzione stessa legata al vescovo godeva di un prestigio e di una prosperità economica tale da poter permettersi di mantenere un’attività di produzione libraria.

Potrebbero esserci del resto anche altre realtà dove collocare uno scriptorium, ma la mancanza di documenti o di studi specifici rende difficile questo discorso.

Se per l’identificazione di un luogo di produzione locale di manoscritti

restano ancora dei problemi aperti, rimane tuttavia il fatto che sono stati

ricondotti con certezza a Pistoia quaranta manoscritti attualmente conservati in

diverse biblioteche locali ed estere, come da elenco in appendice. Questo

stesso gruppo rappresenta una base di partenza per qualsiasi indagine vorrà

affrontare il tema della miniatura a Pistoia tra l’inizio del XII e la metà del

XIII.

(5)

Capitolo I

Storia di Pistoia nel Basso Medioevo dal XII al XIII secolo.

1.1 La città nel periodo comunale.

1.1.1. Crescita demografica e sviluppo urbanistico.

La città di Pistoia conobbe dal periodo ottoniano in poi un progressivo aumento della popolazione, dovuto non solo all’arrivo di lavoratori dalle campagne, che cercavano di affrancarsi dallo stato di servitù, ma anche di piccoli proprietari rurali che vedevano nella città un luogo dove meglio investire i loro capitali. La società urbana si trasformò in base all’attività che questi immigrati intrapresero: alcuni rimasero imprenditori agricoli e di fatto vivevano delle rendite fondiarie, altri dettero vita al ceto dei mercanti e dei banchieri, traino dell’economia pistoiese nei secoli successivi, o intrapresero attività artigiane. A questi nuovi ceti si aggiunsero quella dei giudici e notai che rivestirono un ruolo di punta nella società laica e che concorreranno alla nascita dell’istituzione comunale.

Il culmine della crescita urbana avvenne nel primo quarto del XIII secolo, quando Pistoia risultava essere una delle città più popolate della Toscana

1

;

1 Lo studioso David Herlihy ha calcolato che Pistoia doveva avere nel 1219 , in seguito al giuramento di pace con Bologna, una popolazione di 11.000 abitanti, cifra considerevole perché maggiore di quella di Bologna . Per approfondimento vedi D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo e nel Rinascimento 1200-1430, Firenze, 1972 , pp. 90-91.

Sullo stesso argomento: P. Foschi, Il giuramento di pace dei cittadini bolognesi e pistoiesi del 1219,in “Bullettino Storico Pistoiese”(d’ora in poi BSP), XCVIII, Pistoia, 1996, pp.

25-48.

(6)

questo incremento di abitanti continuò anche nel secolo successivo

2

, anche se più lentamente rispetto ad altre città. Nel Trecento subì un duro arresto a seguito dei ripetuti assedi che Pistoia sopportò, delle carestie e della peste del 1348

3

.

Ai primi del XII secolo la città era ancora racchiusa dalle mura altomedievali

4

, ai quattro punti cardinali si trovavano le porte: a est quella intitolata a S. Pietro

5

, a nord quella di Sant’Andrea

6

anche se la chiesa omonima si trovava al fuori della cerchia muraria, a ovest quella lucchese e a sud quella Gaialdatica

7

. Successivamente fu aperta una quinta porta detta del Carcere

8

(poi Guidi) per ripristinare l’antico tracciato della via Cassia che permetteva di raggiungere Firenze. La crescita demografica ed economica portò a un’ intensa attività edilizia: si sostituirono le antiche abitazioni in legno con nuovi edifici in pietre e mattoni; si costruirono case torri e nuove chiese secondo i moduli di quella che verrà definita l’ architettura romanica.

2 La costruzione della terza cerchia di mura all’inizio del XIV secolo dimostra che gli abitanti dovevano essere aumentati, per altre indicazioni vedi G. Pinto, Pistoia alla fine del XIII secolo un profilo,I, in Statuti pistoiesi del secolo XIII, a cura di R. Nelli e G.

Pinto, Pistoia, 2002, p. 8 nota 24.

3 D. Herlihy, Pistoia, op. cit., p. 92.

4 Gli storici fanno risalire la costruzione di questo primo cerchio di mura al periodo longobardo quando la città divenne gastaldato. Il primo documento in cui si accenna alla presenza di mura è una charta dotis del 9 luglio 764 in Regesta Chartarum Pistoriensium (da qui in poi RCP), Alto Medioevo (493-1000), Pistoia, 1973, n. 9, dove si fa riferimento al monastero di San Bartolomeo come costruito fuori dalla mura della città. N. Rauty (a cura di), Storia di Pistoia vol.I. Dall’Alto Medioevo all’età precomunale 406-1105, Firenze, 1988, pp. 106-110. In generale sulla topografia di Pistoia vedi A. Chiappelli, Della topografia antica di Pistoia, BSP, XXXIII, Pistoia,1931.

5 Per le fonti sulle porte: nel X secolo sono testimoniate Porta Sancti Petri in RCP, Alto Medioevo, op. cit., 62, 940 giugno 24; Porta Lucense in RCP, Alto Medioevo, op. cit.,72, marzo 953. Su queste due porte cfr. N. Rauty, Storia di Pistoia I, op. cit, pp.257-258 .

6 Porta Sancti Andree in RCP, Enti ecclesiastici e spedali; secoli XI. e XII, Pistoia, 1979, 4 e 5 agosto 1175.

7 « Molino de porta Caldatica » in Libro Croce, a cura di Q. Santoli, Roma, 1939, cartula 111, luglio1045

8 Questa porta è attestata per la prima volta in una charta del 1044 « Monasterio Sancti Bartholomei qui est fundato edificato…porta qui dicitur Carcere » N. Rauty, Storia di Pistoia I,op. cit., p.332.

(7)

Già dall’inizio del Mille fuori dalle mura si formarono borghi satellite di importanza sempre maggiore, tra i quali il più antico fu quello di S.

Bartolomeo

9

sviluppatosi attorno all’importante abbazia e l’altro fu quello vicino alla porta Gaialdatica

10.

Attorno al 1140 il Comune decise di innalzare una seconda cerchia muraria

11

adatta ad accogliere i borghi e i monasteri extra moenia. Il perimetro delle nuove mura, rispetto ai tempi antichi, fu raddoppiato e permise di far fronte al crescente afflusso di popolazione dalle campagne. La costruzione della struttura difensiva fu uno sforzo collettivo sostenuto da un profondo senso civico, il risultato dovette essere notevole se, come osserva Dino Compagni, Pistoia era piccola ma « ben murata e merlata, con fortezze e con porti da guerra, e con gran fossi d’acqua; sì che per forza aver non si potea »

12

.

L’altro grande impegno collettivo fu quello della regimentazione delle acque nella zone intorno alla città

13

; i lavori si svolsero soprattutto a sud-est e portarono ad un aumento delle terre coltivabili , di energia idraulica e acqua utile al centro abitato anche se rimasero gravi problemi di inondazioni. Come

9 Il monastero di San Bartolomeo era stato fondato in epoca longobarda da Gaidoald, medicus regum, al tempo di re Desiderio in RCP, Alto Medioevo, op. cit., 10, 5 febbraio 767. Gli edifici di epoca longobarda si conservarono fino al XII secolo quando furono rinnovati. Lo sviluppo di un borgo intorno a questo monastero iniziò nel X secolo per la pressante crescita demografica.

10 Sulle caratteristiche di questo borgo e di eventuali altri agglomerati al di fuori delle mura della città Cfr. N. Rauty, Storia di Pistoia I, op. cit, p. 340-343.

11 La prima notizia relativa alla costruzione di questa seconda cerchia di mura si ricava da una chartula venditionis rogata «in loco Lamparia iuxta fossam novam Pistoriensis civitatis» in RCP, Vescovado : secoli XI e XII , a cura di Natale Rauty, Pistoia, 1974, 30, 29 gennaio 1148. Per gli storici sembra chiaro che prima di costruire le mura si iniziò con il tracciare il fossato lungo il perimetro per delimitare la zona urbana da quella extraurbana. La costruzione delle mura vere e proprie fu un’operazione che durò diversi anni, nello statuto del podestà (databile tra 1162-1180) si ordina di scegliere cinque uomini probi, uno per ciascuna porta, affinché seguano la riscossione dei tributi e i lavori per la costruzione delle mura che a quella data non erano conclusi . N. Rauty(a cura di) Statuti pistoiesi del XII secolo. Breve consulum [1140-1180]. Statutum potestatis [1162- 1180], Pistoia, 1996, pp. 276-277, note 127e 128.

12 D. Compagni, Cronica,Torino,1968, libro III, capitolo XIII.

13 N. Rauty, Sistemazioni fluviali e bonifica della pianura pistoiese durante l’età comunale, BSP, LXIX, Pistoia, 1967, pp.75-98,

(8)

in altre città anche a Pistoia furono gli ordini mendicanti a chiudere la stagione urbanistica comunale; le loro costruzioni non trovando lo spazio opportuno all’interno della seconda cerchia muraria si collocarono fuori di essa, negli spazi inedificati tra i nuovi borghi, diventando parte determinante della terza cinta edificata nel XIV secolo

14

.

1.1.2. Pistoia e la rete viaria.

Situata a nord del bacino dell’Arno e alle pendici della catena appenninica Pistoia fu fin dalla sua fondazione un punto di controllo della viabilità transappeninica, fra il Valdarno e la pianura Padana. Per tutto il Medioevo ebbe una rete stradale ben fornita, rimasta efficiente fin dalla tarda antichità grazie all’azione di monasteri e ospizi nati lungo questi percorsi

15

. Fu il punto di convergenza di sei importanti itinerari

16

, che influirono in diversi modi sia sulla configurazione della diocesi che su quella del districtus comunale. Le strade che partivano dalla città raggiungevano cinque valichi: tre appenninici e due sul Montalbano; la sesta strada seguiva l’antico tracciato della via Cassia attraverso la campagna, congiungendo Pistoia con Firenze. Il primo itinerario partiva dalla porta Sant’Andrea e risaliva il torrente Brandeglio fino a San Marcello raggiungendo poi Modena e la Pianura Padana. Sempre dalla porta

14 Per l’insediamento degli ordini mendicanti a Pistoia vedi: L. Gai, Insediamento e prima diffusione degli ordini mendicanti a Pistoia, in: Gli Ordini mendicanti a Pistoia ( sec. XIII e XV), Atti del convegno di studi Pistoia 12/13 maggio 2000, a cura di R. Nelli, Pistoia, 2001, pp. 69-113.

15 E. Vannucchi, Chiesa e religiosità, in Storia di Pistoia vol. II. L’età del libero comune.

Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, a cura di G. Cherubini, Firenze 1998, pp.

360-361.

16 Sull’importanza geografica di Pistoia vedi: M. P. Puccinelli, La viabilità del contado Pistoiese in rapporto con i monumenti Romanici, in: Il Romanico Pistoiese nei suoi rapporti con l’arte Romanica dell’occidente in Atti del I convegno internazionale di Studi Medievali di storia e d’arte, Pistoia 27 sett.-3ott.1964, Pistoia, 1966, pp.193-211; anche D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo, op. cit., pp 37-42.

(9)

Sant’Andrea ci si immetteva sulla strada che raggiungeva il valico appenninico più importante: quello della Collina che conduceva a Bologna

17

, attraverso questa percorso passava anche gran parte del commercio per la Lombardia e per la Francia, a controllare questa via, il vescovo di Pistoia aveva costruito il castello di Sambuca fin dalla fine del Mille. Una terza strada era quella che da porta Guidi immetteva sulla via su cui sorgeva il monastero di Fonte Taona

18

, da lì si poteva raggiungere le valle del Bisenzio e il Mugello. I valichi sul Montalbano erano quello di Serravalle a ovest e di San Baronto a sud, il primo portava il viandante verso Pescia e Lucca, l’altro permetteva di arrivare sulle rive del Padule di Fucecchio e di lì all’Arno fino al porto di Pisa.

L’altra grande arteria medievale la via Francigena passava vicino ai confini di Pistoia, tra Altopascio e Fucecchio, e garantì quindi un accesso facilitato a Roma. Queste vie di comunicazione furono l’anima del sistema amministrativo, permisero a Pistoia di essere frequentata da mercanti di varie provenienze anche lontane, diventando centro di scambi economici e culturali

19

. Pistoia infatti come Lucca, Firenze e Siena si trovava in una posizione felice, su quel fascio di strade che portava a Roma; imperatori, pellegrini e mercanti facendo sosta lungo queste tappe potevano ammirare merci e cambiare le proprie monete favorendo l’economia locale

20

.

17 Questa strada era chiamata anche «Francesca della Sambuca» perché rappresentava un ramo secondario della via Francigena. R. Zagnoni, La strada «Francesca della Sambuca»

a nord di Pavana lungo la valle del Reno nel secolo XIII, BSP, XCVIII, Pistoia, 1996, pp.

139-152.

18 Per un’analisi dell’importanza strategica di questo monastero e dei suoi rapporti con impero vedi: L. Chiappelli, Per la storia della viabilità nell’alto Medioevo, BSP, XXIX, Pistoia, 1927, pp. 3-16.

19 Il geografo arabo Edrisi che visitò l’Italia tra il 1139 e il 1154 descrive Pistoia come una città commercialmente attiva e sulla via che porta alla Lombardia. R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, Firenze,1956, p. 1124.

20 Cfr. Storia di Pistoia II, op. cit., pp. 155-161

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1.2 Istituzione e politica del libero Comune.

1.2.1. Politica interna: dalla città vescovile al governo dei populares.

Nel corso del XI secolo il vescovo di Pistoia rafforzò il suo potere temporale all’ interno della città sfruttando la situazione di assenza di un rappresentante imperiale

21

e il prestigio morale di cui godeva nella civitas

22

. Tuttavia nel corso del XII secolo al potere vescovile si contrappose progressivamente quello delle istituzioni Comunali, che, nate grazie ad accordi con la chiesa locale

23

, se ne distaccarono fino ad assumere il potere politico sulla città

24

. I nuovi cittadini, specialmente quelli che disponevano di cospicue rendite fondiarie, avevano progressivamente riconosciuto autorità al vescovo e questo da parte sua aveva chiamato alcuni di loro a prestare collaborazione. Fu il vescovo Pietro (1086-1101) che in un momento critico della lotte per investiture, quando l’imperatore rilasciava privilegi alle città italiane per metterle contro al proprio capo spirituale, per evitare la rottura con la cittadinanza ne cercò la collaborazione. Chiamò alcuni cittadini fra i più

21 Le famiglie comitali dei Cadolingi, Guidi e Alberti si erano stabilite nel contado durante il XI secolo, solo i Cadolingi avevano costruito a Pistoia il castello di Ripalta al di fuori della prima cerchia di mura: «apud casa et castello suo Ripalta prope muro civitatis Pistoriae»in RCP, Alto Medioevo, op.cit., 110,1000 maggio e avevano svolto attività giurisdizionale fino al 1034 quando si trasferirono definitivamente nel castello di Fucecchio in RCP, Canonica, secolo XI, a cura di N. Rauty, Pistoia, 1986 , regesto n. 60, 1034 febbraio 14.

22 Sembra però che non abbia mai ricevuto i poteri pubblici su delega imperiale come altri vescovi della diocesi toscane. Tuttavia esercitava nelle terre di proprietà del vescovado, un potere del tutto simile a quello di un signore feudale. Cfr. Davidsohn, Storia di Firenze,I,op.cit. p. 539.

23Il vescovo avrebbe favorito l’istituzione del consolato in L. Chiappelli, Storia di Pistoia nell’alto Medioevo. Quesiti e indagini, Pistoia,1932, cap. VI. Mentre Natale Rauty ritiene che si tratti di una prima forma autonoma di governo, l’accordo poteva essersi realizzato con il Capitolo visto che il nuovo vescovo Ildibrando fu scelto nel collegio dei canonici vedi N. Rauty, Il potere temporale dei vescovi a Pistoia. I secoli XI e XII, in L’antico palazzo dei vescovi a Pistoia. Vol.I, Storia e restauro, Firenze,1981. Tuttavia lo studioso sembra tornare sull’ipotesi di un consenso vescovile alla nuova istituzione vedi Statuti pistoiesi del secolo XII, op.cit. p.78 .

24 Sui rapporti fra Comune e vescovo nel periodo preso in esame il testo più organico: S.

Ferrali, Le Temporalità del Vescovado nei rapporti col Comune a Pistoia nei secoli XII e XIII, estratto da Vescovi e diocesi in Italia nel medioevo (sec.IX-XIII), Padova,1964.

(11)

stimati, i cosiddetti «boni homines

25

», a difendere gli interessi della diocesi, ma permise a questi ultimi di porsi anche come rappresentanti della civitas

26.

I consoli appaiono a Pistoia per la prima volta in un documento del 1105

27

. La città aveva trovato il momento favorevole per eleggere in modo autonomo i propri magistrati a seguito della morte del vescovo Pietro, avvenuta alla fine del 1104 a cui era seguita quella del preposto Ugo, comportando di fatto la mancanza di un’autorità. Tuttavia questi nuovi magistrati non furono delle personalità nuove, ma risultano appartenere a quel gruppo di fedeli cittadini a cui il vescovo aveva affidato un ruolo di rappresentanza nei decenni precedenti

28

. Il collegio dei consoli a Pistoia fu costituito da cinque membri

29

, a loro era affidato il potere esecutivo, giudiziario e di rappresentanza. Poi c’era l’assemblea (aringum)

30

il cui compito era eleggere i consoli. L’altro organo di amministrazione era il Consiglio comune (comune consilium), costituito da dodici a ventiquattro uomini, che aveva principalmente potere legislativo

31

. Nei decenni successivi a complicare la situazione del vescovo sopraggiunse la morte di Matilde nel 1115 e la politica di concessioni ai comuni che Enrico V aveva intrapreso. I consoli rassicurati anche da questa

25 N. Rauty, Storia di Pistoia I, op.cit., pp.293-294.

26 Nel placito del settembre 1104 alla presenza di Matilde, a difendere i diritti del vescovo di Pistoia sono presenti tre cittadini Bonetto, Placito e Raginiero tutti e tre definiti Pistorienses, indicazione che Rauty ha visto come elemento di identificazione degli stessi con la rappresentanza di tutta la città. «essi erano dunque legittimi rappresentanti della città che collaboravano con il vescovo, ma ormai su un piano di uguale dignità. » N.

Rauty, Pistoia nei secoli XI e XII, in Incontri pistoiesi di storia arte e cultura, n.3, Pistoia 1981, p.5.

27 « In presentia Ildibrandi electi,… et Bonecti et Placiti et Detisalvi et Gerardi et Guidonis consulum » viene rogato un atto di interesse patrimoniale della canonica in RCP, Canonica di S. Zeno Secolo XII, op.cit., 329, 1105 agosto.

28 Ad esempio Bonetto e Placito avevano partecipato al placito del 1104 cfr. supra nota 26.

29 N. Rauty a cura di, Statuti pistoiesi del XII secolo, op.cit, in Constitutum consulum 1117, capitolo 7

30 All’assemblea partecipava solo la parte di cittadini nobili, con rendite fondiarie,;

l’arengo eleggeva cinque cittadini che a loro volta avevano il compito di nominare i consoli. Ibidem

31 Cenni sui rappresentanti del consiglio in Statuti pistoiesi del secolo XII, p.75 e p.95.

(12)

situazione cominciarono un’opera di erosione dei privilegi vescovili arrogandosi ad esempio il controllo sul mercato cittadino

32

e rivendicando il potere di proteggere la Chiesa e i suoi beni

33

. Arrivarono ad affermare che il vescovo e tutto il clero si dovevano riconoscere soggetti alla legge civile

34

, creando di per sé la base per i contrasti che dureranno per tutto il secolo. Per questo il vescovo Ildibrando intorno al 1132

35

rilasciò un’amara confessione dove dichiarava la sua incapacità di difendere i possessi della Chiesa pistoiese perduti per l’opera malorum hominum

36.

Per quanto Ildibrando si fosse mostrato debole, il suo successore Atto

37

scelse la via della forza e arrivò a comminare la scomunica ai consoli. Nella domenica successiva all’epifania del 1138 il vescovo allontanò dalla chiesa i consoli Rainaldo e Monaco e il loro ministro Gerardisio, per aver preso possesso del campanile e saccheggiato il tesoro della cattedrale nel mese precedente ed essersi « fino ad oggi rifiutati di offrire una conveniente riparazione»

38

. Il provvedimento ebbe un effetto immediato, ci fu una riconciliazione seppur breve

39

, ma di fatto i contrasti

32 Il Diploma di Ottone III del 25 febbraio 998 aveva confermato il potere vescovile sul mercato che si svolgeva nella piazza antistante alla cattedrale «terram vacuam ubi mercatum est ipsius civitatis» per Diploma cfr. paragrafo successivo Configurazione della diocesi.

33 La tutela della Chiesa e della sua proprietà ecclesiastica significava anche una riduzione degli antichi diritti vescovili sulle terre e quindi nuovi motivi di contrasto. N.

Rauty a cura di, Statuti pistoiesi del XII secolo,,op.cit, p.79.

34 Per la richiesta di subordinazione degli enti ecclesiastici alla legge laica vedi Ibidem, Costitutum consulum 1117, cap. 1,p.42)

35 Si tratta del “Memoriale di Ildibrando” edito da R. Caggese, Note e documenti per la storia del Vescovado di Pistoia nel secolo XIII, BSP, IX, 1907, pp. 179-185.

36 Questi cittadini sembrano essere in antitesi con i boni homines che nei decenni precedenti si erano impegnati a difendere gli interessi vescovili. Cfr. supra.

37 Sulle relazioni fra il vescovo Atto e il Comune vedi S. Ferrali, Vita di san Atto.Monaco Vallombrosano e vescovo di Pistoia, Pistoia 1953, pp.35-39 specialmente pp. 35-36 nota 8. Sulla figura di San Atto vedi: A. Pratesi, Attone, in Dizionario Biografico degli Italiani, II, Roma 1962, p.266 sgg con ricca bibliografia.

38 In RCP,Canonica, secolo XII, op. cit., 418, 1138 gennaio 10.

39 Un riflesso di questa temporaneo accordo si può vedere in alcuni capitoli del breve consulum dove i consoli si impegnano a proteggere il tesoro«Thesaurus ecclesie Sancti Zenonis et Sancti Iacobi curam et studium habebo reinveniendi et conservandi et custodiam ad hoc imponam ut non perdatur» (Breve Consulum,B.28 )e a versare un

(13)

rimasero accesi per tutto il resto del XII secolo. Nelle vicende conflittuali fra vescovo e rappresentanti del Comune ci fu un momento di collaborazione che si realizzò con la costruzione della cappella di S. Iacopo e nella sua gestione

40

. Verso la fine del XII secolo la scelta dei consoli fu resa difficile dalle più forti lotte di classe e di parte

41

, mentre gli affari complicati di governo richiedevano una direzione unanime e qualificata. Così fu introdotto alla guida del Comune un nuovo singolo magistrato supremo: il podestà, che a Pistoia dal 1180

42

governò in maniera continuativa fino a sostituire la figura dei consoli. In questo periodo il Comune si appropriò maggiormente di diritti vescovili e imperiali, favorito in questa sua politica dalla vacatio imperii

43

tra la morte di Enrico VI (1197) al 1209 quando Innocenzo III scelse un nuovo imperatore; a rendere pubblico questa nuova presa di potere fu costruito a Pistoia il primo palazzo comunale

44

.

Le magistrature pistoiesi furono impegnate, fin dalla comparsa del consolato, nella redazione di uno ius proprium per poter meglio far fronte al governo della città; a compilare queste norme furono i giuristi che trasferirono le loro conoscenze di antiche norme adattandole alle esigenze del Comune. I

compenso per l’illuminazione della chiesa a modo di affitto per l’uso del vano del campanile (Breve Consulum,B.39.1 ) entrambi i capitoli in Statuti pistoiesi del sec.

XII,op.cit .

40 Non molto tempo dopo la dedicazione dell’altare e della cappella il comune pose sotto la propria tutela il luogo e i beni favorendo la costituzione dell’ Opera di San Jacopo a gestione mista (ecclesiastico e laico). Vedi paragrafo successivo.

41 La città ebbe alla metà del XII secolo un incremento demografico importante dovuto anche a disposizioni comunali che favorivano l’immigrazione in città di tutti gli abitanti del contado (Statutum potestatis, capitolo S.75); i nuovi ceti (populus) acquisteranno sempre più potere e raggruppati in associazioni rivendicheranno una partecipazione all’

attività politica della città. Un capitolo del Breve Consulum prevede che la maggioranza dei consoli doveva essere popolari (Breve consulum, B.713). Entrambi i capitoli in N.Rauty (a cura di),Statuti pistoiesi del sec. XII,op.cit .

42 In realtà compare un Gerardus vicecomes Pistoriensis potestas in due carte della canonica di Ssan zeno nell’ottobre del 1158. In anni successivi sono testimoniati ancora i consoli, questo farebbe ipotizzare un’alternanza delle due cariche. Per un elenco vedi N.

Rauty, Storia di Pistoia, vol. I,op.cit., p.25-27.

43 L.Gai, Il secolo XIII nella storia pistoiese, Pistoia, 1981, p.4.

44 Liber Censum, 7 settembre 1211 in Statuti pistoiesi del sec. XII,op.cit .

(14)

frutti del lavoro di questi professionisti sono: il Constitutum Consulum Comunis Pistorie del 1117

45

, il Breve Consulum del 1140 circa e il successivo Statutum potestatis definito entro il 1180

46

. In essi è possibile trovare norme del diritto romano, longobardo e di quello consuetudinario altomedievale

47

.

Il clima di rinnovamento sociale e l’incremento demografico furono accompagnati da una straordinaria crescita economica; molti cittadini ebbero modo di arricchirsi con i commerci e le attività bancarie. Questo nuovo ceto sociale chiamato populares, per differenziarsi dai maiores (nobili e cavalieri), cominciò a ricercare un ruolo attivo negli affari pubblici della città. I populares si organizzarono ben presto nelle corporazioni delle Arti , tra queste ebbe una posizione importante quella dei mercanti. I maiores contrapposero alle corporazioni una loro organizzazione politico-militare: la militia, ovvero l’insieme dei milites (cavalieri), avversi ai pedites (soldati a piedi che non potevano permettersi cavallo)

48

. Progressivamente nella gestione amministrativa del Comune presero parte le associazioni del popolo, fino a raggiungere una partecipazione maggioritaria al collegio dei consoli

49

. Si può dire che l’elemento più importante della vita politica comunale nel corso del XIII secolo fu la progressiva emersione di questo ceto sociale, che si contrappose alla nobiltà cittadina creando contrasti sempre più violenti. Per

45 Nell’ Ottocento venne datato al 1177 (Chiappelli), recentemente la datazione è stata spostata al 1117 da Natale Rauty e Giancarlo Savino in base a diverse argomentazioni.

Vedi Statuti del secolo XIl, op.cit, pp. 26-27 nota 92.

46 Per la datazione dei due statuti, vedi Ibidem, pp.17-27.

47 Per le fonti giuridiche vedi Ibidem, pp.43-71.

48 Vedi G. Cherubini (a cura di), Storia di Pistoia II, op. cit., pp.32-36.

49 Breve consulum, cap.71.3 in Statuti del secolo XII, op.cit..

(15)

gestire questi conflitti si scelse un podestà forestiero (1219)

50

, credendo che un professionista estraneo alle lotte interne della città avrebbe governato con equilibrio. Tuttavia nel 1236 scoppiarono a Pistoia notevoli disordini tra le corporazioni dei cavalieri e quelle del popolo; nel frattempo i primi avevano aderito al partito ghibellino mentre i secondi a quello guelfo. Le due fazioni elessero i propri podestà e i consoli determinando una situazione di contrasti che fu sedata solo dalla pace imposta dai fiorentini il 3 agosto del 1237, che almeno momentaneamente ebbe effetto di frenare l’affermazione del partito popolare

51

. A quella data i populares non erano ancora forti abbastanza da stabilire regimi permanenti così che probabilmente Pistoia sia passata solo nel 1250 sotto il regime popolare

52

. Si parla di un capitano del popolo e degli Anziani soltanto nel 1263

53

; sembra comunque che negli anni successivi il potere del capitano fosse subordinato a quello del podestà e del consiglio, perché ad esempio furono questi ultimi a giurare fedeltà a Carlo D’Angiò il 5 maggio 1267

54

. Intorno agli anni ‘70 del Duecento il capitano risulta l’

unico portavoce delle istanze popolari

55

, che di fatto arrivarono solo allora a una partecipazione più attiva al governo della città .

50Cfr. Storia di Pistoia II, op. cit., pag. 46. Sul ruolo del podestà forestiero vedi anche Herlihy, Pistoia, op.cit., pp. 241-242.

51 L.Gai, Il secolo XIII nella storia pistoiese, op.cit., pag.3

52 Dopo la morte di Federico II (1250) la parte guelfa si rafforzò e in alcune città toscane, come per esempio a Firenze si istituirono regimi popolari guelfi. Davidsoh, Storia di Firenze, II, op. cit., pag. 535 e sgg.

53 Cfr. Storia di Pistoia II, op. cit., pag. 48

54 D. Herlihy, Pistoia, op.cit., pag. 243.

55Q. Santoli, Liber Censum del Comune di Pistoia , Firenze, [s.n.] 1905, pp. 356-357.

(16)

1.2.2. La conquista del contado.

Il regime consolare dopo aver rafforzato le proprie istituzioni nella città, si impegnò in una politica di consolidamento nel territorio circostante, che di fatto determinò un rafforzamento della stessa istituzione comunale. L’intento era quello di ricostituire l’unità fra città e diocesi che si era interrotta in epoca ottoniana e che invece assicurava al centro urbano le materie prime per la sussistenza e il commercio, gli uomini da impiegare nell’esercito e una rete viaria per i traffici. La testimonianza più antica sul districtus

56

pistoiese

57

è contenuta nel Constitutum Consulum dove si parla della una zona di quattro miglia intorno alla città. Il Comune cominciò ben presto ad allargare i propri orizzonti oltre questa fascia nel territorio più ampio chiamato comitatus

58

, dove i signori laici

59

ed ecclesiastici, il vescovo e il Capitolo, avevano possedimenti e giurisdizione. Questi determinati a non perdere i privilegi acquisiti nel tempo ostacolarono in maniera forte l’operato del Comune. Le prime difficoltà che il Comune trovò furono le signorie laiche rappresentate dalle tre grandi famiglie comitali: i conti Guidi, gli Alberti e i Cadolingi che avevano proprietà sull’Appennino, il Montalbano e la valle dell’Ombrone. Un ostacolo maggiore all’espansione comunale nel contado fu rappresentato dal vescovo che aveva a Pistoia fin dall’Alto Medioevo un rapporto molto stretto con il territorio

60

e alle soglie del XII secolo si trovava a possedere di vasti

56 Il districtus era il territorio extraurbano sottoposto alla giurisdizione del Comune.

(Constitutum consulum 1117,1).

57 L’ unico studio organico sul districtus del Comune di Pistoia è ancora quello di Q.

Santoli, Il distretto pistoiese nei secoli XII e XIII, BSP,V,Pistoia,1903,pp.113-163.

58 Il comitatus era l’antico territorio amministrativo di origine carolingia.

59 I tre importanti feudatari laici erano: i conti Alberti, Guidi e Cadolingi di Fucecchio. Per un elenco dei possedimenti di queste famiglie comitali cfr. Q. Santoli, Il distretto, op.cit.,pp.116-117; oppure N. Rauty, Storia di Pistoia I, op.cit.,pp.273-279.

60 Cfr Paragrafo successivo 1.3.1. Configurazione della Diocesi, in particolare il Diploma di Ottone III del 25 febbraio 998.

(17)

fondi e castelli dislocati in tutta la diocesi

61

. L’ altra istituzione religiosa che nel periodo godeva di prosperità economica era la Canonica di San Zeno, che in seguito al flusso ingente di donazioni dalla metà del XI secolo, aveva acquisito un’ importanza pari a quella degli altri grandi proprietari terrieri

62

.

Il processo di espansione territoriale fu lento e graduale, si realizzò in modo omogeneo intorno al districtus seguendo le direttrici stradali principali; le strategie furono diverse, dalla pressione militare a quella diplomatica fino all’acquisto in contanti dei possedimenti. In molti territori si creò una situazione di conflitto di giurisdizione, fra quella vescovile e quella comunale, gli abitanti infatti più volte lamentano di essere soggetti alle due autorità contemporaneamente e questo significava doppi tributi e servizi da espletare che gravavano pesantemente sulla loro condizione

63

. I contrasti con il vescovo continuarono almeno fino ai primi decenni del XIII secolo per la giurisdizione su alcuni territori. Una ricca documentazione ci testimonia le

61 Per il dominio feudale dei vescovi, da distinguere da quello temporale, ci sono due diplomi di privilegi che permettono di ricostruirne la consistenza. Quello di Enrico IV ( 8 ottobre 1196).e quello di Onorio III ( 17 luglio 1218).Il dominio feudale dei vescovi di Pistoia comprendeva: il castello di Sambuca e la corte di Pavana, castelli di Lamporecchio, Orbigliano, Montemagno, Celle, Batoni, Castra, Quarrata, Buriano, Vinnacciano,Momigno, Fagno, Vignano, Petrolo, Saturnana. Il vescovo aveva diritti di pesca nel Padule con la Pieve di Massa Piscatoria, riceveva l’omaggio di due lontani territori in Maremma Peretulo e Torsciano. Tuttavia su queste due pievi è poco chiara vedi N. Rauty, Storia di Pistoia I, op.cit. p.248 e sgg.

62 Secondo Milo la Canonica in quel momento godeva di una prosperità economica che lo differenziava dagli altri proprietari terrieri che avevano, invece, indebolito le proprie sostanze tra la fine del XI secolo e l’inizio del successivo. Vedi Y. Milo, From imperial hegemony to the commune: reform in Pistoia’s cathedral chapter and its political impact, in: Istituzioni ecclesiastiche della Toscana Medievale, Lecce,1980, p.103 nota 42.

63 Ad esempio gli abitanti di Lamporecchio e Orbignano nel 1216 si rifiutarono di rendere gli omaggi ei servizi al vescovo perché vivevano una situazione di doppia giurisdizione.

Il vescovo Soffredo aprì un contenzioso che chiamò in causa molte personalità importanti, si concluse temporaneamente solo nel dicembre 1223 quando il nuovo vescovo Berlinghieri accettò le condizioni poste dal Comune cioè di rinunciare ai diritti feudali su Lamporecchio. La contesa si riaccende nel 1279, il vescovo porta la questione di fronte al legato della Sede Apostolica in Toscana, ma poi è costretto ad accettare un compromesso che di fatto sarà una capitolazione; infatti ogni diritto vescovile deve cessare su queste terre e deve andare al Comune di Pistoia. Il vescovo ricette un indennizzo per le spese del processo e fu costretto a « perpetuum silentium». S. Ferrali, Le temporalità del Vescovado, op.cit, p.37

(18)

fasi di questo conflitto che in alcuni casi richiese l’intervento papale

64

e che si concluse nel 1279

65

. Attorno al 1180 i confini corrisposero già a quelli documentati un secolo dopo: a nord il districtus si estendeva oltre il crinale appenninico, nella valle della Sambuca sul versante adriatico a est comprendeva la Val del Bisenzio fino a Seano, a sud si spingeva da Carmignano oltre il Montalbano fino alla pieve di San Martino in Campo, a ovest da Lamporecchio lungo la valle della Nievole fino a Marliana

66

. Il processo di espansione territoriale si concluse con una serie di acquisti: il Comune comprò dai conti Guidi il Castello di Larciano (1226), ma non riuscì ad avere quello di Montemurlo che fu venduto ai fiorentini

67

. Solo alla metà del Duecento, dopo un secolo dalla costituzione del libero Comune, Pistoia riuscì a sottomettere alla sua diretta giurisdizione il territorio che in gran parte coincise con la stessa diocesi

68

. A testimonianza della definitiva conquista fu redatto il Liber focorum districtus Pistorii

69

la cui datazione, presumibilmente fra gli anni 40 e gli anni 50 del Duecento, è ancora controversa; al suo interno contiene una definizione dei confini del districtus utile alla trattazione.

64 Il dissidio è testimoniato dal 1132, una bolla papale di Urbano III del 1187 conferma il possesso dei beni al vescovo, anche i diplomi di Federico Barbarossa (1155) e di Enrico VI (1196)ribadiscono i possedimenti vescovili.

65 Vedi sopra nota 65.

66 Questa estensione coincide per la quasi totalità con il territorio diocesano già delineato in epoca ottoniana, non ne fa parte la pieve di Massa Piscatoria che si trovava al di là del Padule di Fucecchio. Cfr. paragrafo La diocesi.

67 R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, op.cit.,p.91.

68 R. Nelli e G. Pinto ( a cura di), Statuti pistoiesi del secolo XIII, vol.I, Pistoia, 2002, p.3.

69 Si tratta di una relazione in cui vengono elencati i focolari del contado in base alla quale era ripartita la tassazione del Comune. Dal censimento risulta escluso il territorio di Sambuca acquisito in epoca successiva. I fuochi sono raggrupati in quattro comuni, come le porte della città e da questa descrizione si possono ricavare i confini del distretto. Per la datazione e i contenuti vedi D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo, op. cit. p.48 e pp.76-79

(19)

1.2.3. Politica esterna: contrasti con altri Comuni e rapporti con l’

impero.

I grandi conflitti fra papato e impero furono motivo di divisione all’interno delle città italiane e ne dettarono le alleanze o le guerre; per Pistoia furono determinanti i rapporti che si tennero o si allentarono con le quattro città confinanti: Firenze, Lucca, Pisa e Bologna. A queste vanno aggiunte Siena, con cui Pistoia interagì in alcune circostanze; Modena, con la quale aveva rapporti a causa dei confini e della viabilità, e Prato che, staccatasi dal territorio diocesano pistoiese, stava rivendicando la propria autonomia

70

. Nel 1154 i Comuni di Prato e Firenze, impegnati in una politica di espansione territoriale, assalirono il castello di Carmignano

71

desiderosi di conquistare un importante punto di controllo sul Montalbano e sulla pianura. Tuttavia non vi riuscirono perché Pistoia intanto si era strategicamente alleata con il conte Guido Guerra e con Pisa; questo fu uno degli ultimi successi per i pistoiesi

72

. Pistoia si mantenne sempre diffidente nei confronti di Firenze e in molte occasioni le due città si trovarono in campi avversi, anche perché la prima vedeva nell’ascesa della seconda una possibile minaccia per la propria indipendenza

73

. Stretta ad est da Firenze e a ovest da Lucca, Pistoia si schierò con il partito filoimperiale

74

e trovò un’alleata in un'altra città toscana: Pisa. Il loro legame rinsaldato con l’adesione alla causa imperiale si rafforzò con rapporti commerciali sempre più stretti che portarono Pistoia a utilizzare

70 I primi contrasti risalgono agli inizi del XII quando sembra che il vescovo Ildibrandndo abbia partecipato con esercito di Matilde alla distruzione del castello imperiale di Prato.

Cfr. R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, op.cit. p. 532.

71 La notizia è riportata dagli storici locali uno per tutti: J.M. Fioravanti, Memorie storiche della città di Pistoia, Lucca, 1758, p.188.

72 R. Davidsohn, Storia di Firenze,I,op.cit.,pp.668-669

73 G. Cherubini(a cura di), Storia di Pistoia II, op.cit. pp.36-37.

74 Per la fedeltà di Pistoia all’imperatore Barbarossa Vedi Statuti pistoiesi del XII ,op.cit p.88-89

(20)

moneta pisana (e non più lucchese) e usufruire del porto pisano per i propri traffici

75

. Pistoia e Pisa non aderirono alla lega antimperiale, capeggiata da Firenze, e costituita alla fine del XII secolo per questa loro posizione furono ricompensate da Federico Barbarorossa che non tolse loro la giurisdizione sul contado

76

. Nella guerra con Montecatini i lucchesi si schierarono contro Pistoia sancendo la fine di un’ alleanza molto antica

77

; il trattato di pace del 1179 bloccò l’espansione di Pistoia verso ovest , fermandola al medio corso della Nievole. Nel secondo decennio del XIII secolo Pistoia dovette affrontare una nuova guerra per difendere il castello di Sambuca, che si trovava lungo il crinale appenninico lungo la via della Collina; mentre il Comune di Bologna confinante con questo castello desiderava riportare la linea di confine a quella naturale del crinale. Nell’agosto del 1211 l’esercito dei bolognesi attaccò il castello di Sambuca, ma fu respinto; gli abitanti ribelli in quanto alleati ai bolognesi furono costretti a giurare fedeltà ai magistrati pistoiesi invece che al vescovo che era ancora formalmente signore del castello

78

. L’estate successiva i bolognesi minacciarono di nuovo la fortezza; si tentò di risolvere il conflitto ricorrendo a una soluzione diplomatica: fu chiamato l’arcivescovo Lotario di Pisa a fare da arbitro nella contesa che di fatto non si realizzò; solo nell’ottobre 1219 fu stabilita la pace definitiva

79

. Da quel momento Bologna

75 La moneta pisana è usata dal 1176 « dare penam bonorum Lucensis seu Pisanorum…», tutti gli atti precedenti testimoniano moneta lucchese. In RCP, Vescovado, op. cit. 40,1176 febbraio 13.

76Pistoia e Pisa furono le uniche città toscane a essere risparmiate da questa decisione.

R. Davidsohn, Storia di Firenze,I, op.cit. p.851.

77 L’alleanza con Lucca e poi con Pisa fu importante per le influenze artistiche che queste due città esercitarono su Pistoia. L’accordo militare tra Lucca e Pistoia risaliva al 1171 in Statuti del secolo XII, op.cit., p.144, nota 37.

78 Questo fatto ci dimostra che a quella data il Comune esercitava poteri sul territorio che di fatto erano riservati al vescovo da molti secoli. Infatti il castello era in costruzione già nel 1055 cfr. RCP, Vescovado, op. cit., 8,1055 luglio.

79 R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, op.cit. pp.38-39.

(21)

non rappresentò una vera minaccia per Pistoia, anzi cominciarono dei rapporti di collaborazione specialmente nel campo del diritto

80

.

Pistoia continuò sulla linea di appoggio alla politica imperiale come aveva fatto nei decenni precedenti , cercando nel nascente partito ghibellino protezione da Firenze con cui dalla metà del XII secolo si era aperta una crisi politica e militare con scontri sulla linea di confine. Nel Duecento si susseguirono una serie di sconfitte che portarono al dominio formale di Firenze sulla nemica. Alla fine Pistoia si trovò da sola a fronteggiare l’assalto fiorentino; in questo ultimo fu cinta d’assedio e cercò aiuto nelle antiche alleate Siena e Pisa, ma di fatto queste non mandarono truppe sufficienti per sconfiggere i fiorentini. A questo punto la città per scongiurare la distruzione scelse di trattare la resa che fu sancita dalla pace del 21 dicembre 1228

81

. Pistoia di fatto non subì danni materiali, ma rinunciò formalmente alla sua politica esterna perché per l’avvenire non avrebbe potuto fare guerra o pace senza il consenso di Firenze, inoltre fu lasciato integro il dominio del Comune di Pistoia sul territorio salvo che si distruggesse la rocca di Carmignano.

Non molti anni dopo, nel 1251, Pistoia ghibellina tentò di contrastare Firenze accordandosi con Pisa e Siena in una lega antiguelfa. Ben presto Firenze venuta a sapere dell’alleanza fece scoppiare la guerra, si ristabilirono i fronti di alleanze già conosciuti: Firenze, Lucca e Prato fronteggiarono la Lega. I fiorentini combatterono nei territori pistoiesi fin dall’inizio, ma non riuscirono a concludere le spedizioni; ai primi di giugno del 1253 i guelfi pistoiesi fuoriusciti dalla città si unirono alle truppe fiorentine e assediarono

80 I rapporti furono soprattutto in campo giuridico.

81 Scrive Lucia Gai « Da questo momento la città perdente entrò nell’orbita fiorentina e dovette fare i conti con la più potente rivale tutte le volte che tentò con vario successo di distaccarsene». L. Gai, Il Secolo XIII, op. cit. pp.2-3.

(22)

Pistoia ad est, mentre da ovest avanzavano i lucchesi stringendo in una morsa la città ; fino a ottobre le truppe rimasero nella pianura provocando distruzioni e saccheggi

82

. L’anno seguente i pistoiesi stremati chiesero la pace a Firenze che fu conclusa a Empoli nel febbraio 1254

83

. In base ad essa venne creata un’alleanza difensiva fra i contraenti: ai pistoiesi si faceva divieto di ricostruire la rocca di Carmignano e si imponeva di far rientrare i guelfi fuoriusciti dalla città per metterli a capo del governo.

Il predominio fiorentino cominciò da questo momento a essere sempre più forte e ne è specchio il fatto che da allora il podestà pistoiese fosse scelto fra una rosa di Firenze

84

.

Dopo la pace di Empoli cominciò il declino dell’autonomia comunale pistoiese, che indebolita da continue lotte interne fra fazioni non poteva far fronte alla crescente potenza fiorentina. Pistoia si trovò impotente, le alleate ghibelline Pisa e Siena si mostrarono lontane. Nel 1257, dopo l’incoronazione di Manfredi, Firenze distrusse il castello di Montale e quello imperiale del Belvedere

85

. Pistoia ghibellina tentò in ultima sorte un’alleanza con Siena, approfittando della sconfitta dei guelfi fiorentini a Montaperti. Fu l’ultima manifestazione del ghibellinismo a Pistoia , perché appena sei anni dopo Carlo D’Angiò ricostituì in Toscana la lega guelfa; Pistoia fu costretta a passare definitivamente nell’orbita di Firenze e della parte guelfa, questo fu di per sé un rivolgimento sentito da molti come la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova

86

.

82 R. Davidsohn, Storia di Firenze,II, op.cit., pp.542-547.

83 Ibidem. p.585

84 G. Cherubini (a cura di), Storia di Pistoia II, op.cit. p.57 note 92 e 93.

85 L. Gai, Secolo XIII, op.cit., p.7.

86 Ibidem ,pp.2-3.

(23)

1.3 Storia della Chiesa pistoiese dal XII secolo alla metà del XIII secolo.

1.3.1. Configurazione della Diocesi.

Il territorio sul quale il vescovo esercitava la giurisdizione spirituale all’inizio del XII secolo corrisponde a quello già definito nel diploma di Ottone III del 25 Febbraio 998

87

e rimarrà tale, a parte poche perdite, fino alla metà del Settecento. Da questo documento sappiamo che la diocesi pistoiese si estendeva a nord oltre il crinale appenninico, a est comprendeva la valle del Bisenzio con la città di Prato, a sud invece arrivava fino al corso dell’Arno includendo tutto il Montalbano; a ovest il confine fu più irregolare: vi appartenevano i territori della Val di Lima, i corsi dei fiumi Pescia e Nievole e la pieve di Massa Piscatoria

88

situata nel Padule. Quello che mutò nel basso Medioevo fu la configurazione interna: da 19 pievi

89

del periodo ottoniano si passò a 36, come vengono enumerate nella Bolla di Onorio III. Le cause principali di questo cambiamento furono determinate dalla crescita demografica e dalla nascita di nuovi agglomerati urbani. Nel diploma di Ottone III sono confermati al vescovo anche ingenti beni fondiari: la piazza

87 Il diploma originale è andato perduto, una copia dei primi del XII secolo è conservata nell’ Archivio di stato di Firenze. Tutti gli storici locali ne hanno parlato: F.A. Zaccaria , Anecdotorum Medii Aevi, maximam partem ex archivis Pistoriensibus collectio, Torino, 1755 , p.287; J.M. Fioravanti, Memorie storiche della città, op.cit., p. 250 sgg ; Quinto Santoli propose la data del 25 febbraio 998 non ancora confutata, cfr. Q. Santoli, Un diploma di Ottone III in favore di Antonino vescovo di Pistoia, BSP, III Pistoia 1901, pp.21-23.

88 E’ possibile che la « plebs de Massa » col suo territorio fosse unita anticamente con la diocesi di Pistoia da una striscia di territorio attraverso la Cerbaia di Lamporecchio o il Padule, tuttavia non ci sono documenti. Rimane il fatto della sua importanza a livello strategico e stradale, perché era situata in un punto di attraversamento del Padule (unico modo di arrivare all’ Arno e quindi al mare). Questa pieve passò sulla fine del XVIII secolo alla diocesi di Pescia. E. Repetti, Dizionario storico geografico della Toscana, III, Firenze, 1839, 173 sgg.

89 Per l’elenco delle pievi vedi S. Ferrali, Pievi e parrocchie nel territorio pistoiese, in Il romanico pistoiese nei suoi rapporti con l’arte romanica dell’occidente , Atti del I Convegno Internazionale di studi del Centro di studi storici di pistoia, Pistoia,1966, pp.238-240.

(24)

del mercato attigua alla cattedrale, le due ville di Pavana e di Ronco e una serie di curtes dislocate in tutto il territorio

90

. Questo patrimonio si era costituito in periodo altomedievale per le donazioni degli imperatori e in seguito fu accresciuto da interventi papali. Il vescovo basava la gestione delle sue proprietà sul sistema del livello: come i conti cedevano ai loro vassalli i feudi così il vescovo concedeva a livello ai piccoli signori rurali i terreni, assicurandosi in questo modo non solo una buona gestione delle proprietà ma creandosi anche un gruppo di persone a lui fedeli

91

. Si arrivò a concedere a livello anche i benefici ecclesiastici come le decime della parrocchie e le pievi stesse: questa pratica è testimoniata a partire dalla metà del XI secolo e sarà condannata dal movimento riformatore della Chiesa. A Pistoia erano presenti due insediamenti monastici quello dei benedettini nell’abbazia di San Bartolomeo, di antichissima fondazione, che ricopriva un ruolo economico e ecclesiale importante nella città, e quello dei Vallombrosani in San Michele in Forcole nato nel periodo della riforma.

1.3.2. La Chiesa di Pistoia fino all’età della riforma gregoriana.

In generale si può dire che la Chiesa pistoiese uscì dalla crisi del XI secolo senza i contrasti forti che si verificarono nella vicina Lucca

92

; questo grazie a una politica equilibrata perseguita dai vescovi e una decisa aderenza al partito

90 Solo alcune delle pievi nominate erano incluse nel territorio di dominio feudale dei vescovi, se lo fossero state tutte quelle nominate nel Diploma l’autorità dei conti feudali sarebbe stata presochè nulla. S. Ferrali, La temporalità del Vescovado, op. cit, p.374 nota 1.

91 Nel Memoriale del vescovo Ildebrando (cfr supra nota 35) è contenuto un inventario delle rendite e degli amministratori dei beni; l’immagine che si ricava da questo documento è quella di un vescovo senza i severi diritti giurisdizionali, perché i coltivatori sono ormai degli uomini liberi che possono far valere i loro diritti.Cfr. S. Ferrali, La temporalità, op.cit., p.377 .

92 A Lucca era avvenuta una vera spaccatura fra vescovo e Canonica, il primo appoggiava la riforma, la seconda si era schierata con l’imperatore Enrico IV. R. Davidsohn, Storia di Firenze I, op.cit. pp.386-401.

(25)

della riforma dei canonici. Nella prima metà del XI secolo i vescovi pistoiesi non erano immuni da quella pratica di simonia condannata dai riformisti, ma è necessario considerare che a quella data questa ultima era molto diffusa e non ancora condannata ufficialmente. Le concessioni livellarie servivano al vescovo non solo per l’amministrazione del patrimonio, ma anche per creare una serie di fiduciari a lui legati a cui far riferimento in caso di necessità ; la procedura poi degenerò al punto che i vescovi non esitarono a concedere benefici ecclesiastici come altri tipi di incarichi. Nel 1024, ad esempio, il vescovo Guido allivellò a un laico metà della chiesa di San Michele Arcangelo in Forcole compresi i diritti di sepoltura

93

. Questa serie di cessioni ebbero il duplice svantaggio di mettere in cattiva luce l’integrità morale del vescovo, ma anche di portere a un dissesto patrimoniale del Vescovado, perché pochi di questi amministratori si rivelerano oculati

94

. Quindi anche a Pistoia alla metà del XI secolo la Chiesa era caratterizzata da una generale decadenza dei costumi e dalla corruzione: in documenti si parla esplicitamente di figli di ecclesiastici e anche i canonici non furono esenti da tale degrado morale

95

. Tra il 1057 e il 1067 non si hanno documenti sul vescovado pistoiese, questo ha fatto ipotizzare ad alcuni studiosi una possibile vacanza della sede vescovile

96

. Sicuramente tale mancanza testimonia un periodo di incertezza ipotesi rafforzata dal fatto che nello stesso periodo nella Canonica

93 F. A. Zaccaria, Anecdotorum,op.cit., p317-318

94 Già il vescovo Leone nel 1084 parla del degrado che affligge la chiesa di San Michele in Forcole, Fantappiè attribuisce la decadenza alle usurpazioni dei proprietari. R.

Fantappiè, La chiesa di San Giovanni Forcivitas e i suoi rapporti con la prepositura di Prato, BSP, LXXIII, 1971, pp. 80-81 nota 4.

95 L’arcidiacono Atto aveva un figlio (RCP, Canonica, Secolo XI, a cura di Rauty, Pistoia,1986, 291,1099giugno) e anche il primicerio Guido.

96L Chiappelli , Storia di Pistoia nell’alto medioevo, op.cit., pp.118-119e 190-191. Yoram Milo non rifiuta l’ipotesi di Luigi Chiappelli, ma dichiara che la mancanza di documenti non può essere la solo prova per un a vacanza vescovile. Y. Milo, From Imperial hegemony to the comune, op.cit., pag.89-90 nota 7.

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non si elesse il preposto della canonica, fatto che accentua la mancanza di guide spirituali alla città.

La decisione di un rinnovamento attraverso un’adesione alla riforma fu presa dalla Canonica autonomamente

97

, cioè senza l’ingerenza del vescovo pistoiese, ma probabilmente sotto influenza di Giovanni Gualberto, fondatore dell’ordine dei Vallombrosani

98

, e animatore del rinnovamento nella vicina Firenze.

A Pistoia i canonici ripristinarono la regola della vita comune secondo le formulazioni del Sinodo Lateranense del 1059, attuando come primo passo per il recupero di dignità e prestigio degli ecclesiastici

99

. Tuttavia non tutte le disposizioni furono accolte: ad esempio il divieto di beni personali non fu sottoscritto; per dimostrarlo si può ricorrere al testo della Regula Aquisgranensis che fu trascritto tra l’XI ed il XII secolo nel codice C. 115 della biblioteca dei canonici di San Zeno dove si ammette il diritto al possesso di beni personali

100

.

Nel 1067 fu eletto il vescovo Leone

101

, all’inizio sembrò voler proseguire con la pratica delle concessioni

102

, per poi passare verso la fine del suo mandato dalla parte di Matilde di Canossa e del movimento riformatore

103

.

97 «The institution of the vita comune in Pistoia may have been a spontaneous internal development, within the cathedral charter, parallel to the contemporary reform trends current in the church in general and especially in the neighbouring diocese of Florence»

Y. Milo, From imperial hegemony, op.cit., pag.95.

98A Pistoia gestirà tre monasteri vedi Ibidem , pp. 94-95

99 Per l’anno di ripristino della vita in comune, Cfr. N. Rauty, Storia di Pistoia I, op.cit, pag. 309. Milo, From Imperial hegemony to the commune, op.cit.,pag. 102

100«Quamquam enim canonicis, quia in sacris canonibus illis prohibitum non legitur, liceat linum induere, carnibus vesci, dare et accipere proprias res» in N. Rauty, Storia di Pistoia I, op.cit., pag.311

101 L. Chiappelli, Storia di Pistoia Alto, op.cit., p.155

102 Concesse a un laico la pieve di celle con i suoi benefici in RCP, Vescovado, op.cit.,10, 1067.

103 Davidsohn parla di un cambiamento netto nella politica del vescovo Leone, da simoniaco a sostenitore della Riforma negli ultimi anni della vita. Cfr. R. Davidsohn ,

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