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La memoria è chiaramente lo strumento privilegiato per mettere in atto questa riflessione, per modularla nei versi e restituire all’umanità la speranza di un miglioramento etico e sociale.

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Conclusioni

Come abbiamo osservato nel primo capitolo la poetica del frammento hardiano permise al poeta di controllare il famoso sguardo idiosincratico sull’esistenza materiale. Hardy non finge, infatti, di non vivere in una condizione “dipendente” rispetto alla storia, e la sua poesia sfrutta al massimo questa presa di coscienza per valutare la possibilità di costruirsi una sua soggettiva ricostruzione del passato.

La memoria è chiaramente lo strumento privilegiato per mettere in atto questa riflessione, per modularla nei versi e restituire all’umanità la speranza di un miglioramento etico e sociale.

Per fare questo, siamo partiti dal valore dei monumenti, nei quali i sentimenti si annidano e emanano il senso di un passato collettivo;

abbiamo trattato il rapporto con Emma, per arrivare poi a congiungere la sua figura, “memoried” e “ghosted”, con una percezione più flessibile del tempo e dello spazio; e soprattutto abbiamo osservato quanto la prospettiva darwiniana sia stata fondamentale per sviluppare il senso di condivisione del passato nelle poesie “retroattive” (sulla guerra, sulla tradizione e sugli eventi storici).

Nel secondo capitolo abbiamo affrontato il tema del provincialismo per dimostrare che la “sympathetic appreciativeness of life” per Hardy corrispondeva anche al rispetto per le sue origini geografiche e sociali. Chiaramente questo principio si lega con la ricerca di uno stile letterario personale, nel quale, come dice Zolla, la poesia

“s’apparenta con l’immaginazione” solo se “la riproduzione coincide con la realtà”.

1

È, a nostro parere, proprio nella “scientific view” abbracciata da Leslie Stephen, che il poeta riesce a trovare la sua dimensione morale e artistica.

Accepting the scientific view, and therefore interrogating experience for what men have actually done, instead of interrogating our inner consciousness to find out what they should consistently do, we inevitably accept the conclusion that the virtuous instincts are the foundation, not the outgrowth, of the belief, and may therefore be expected to survive its destruction or transformation.

2

La “scientific view” stepheniana è alla base del “clear gaze”, o della “substance of life”, il cui scopo (la ricerca della realtà) negava sia falsificazioni linguistiche (come nel caso della polemica hardiana contro

1 E. Zolla, Storia del Fantasticare, Milano, Bompiani, 1964, p. 216.

2 L. Stephen, “Darwinism and Divinity”, Essays on Freethinking and Plainspeaking, London, Longmans, 1873, p. 107.

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l’idea che “truth is what will work” di William James), sia maschere atte a nascondere la “humiliating sorriness”

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che il tempo e gli eventi non mancano di far vivere all’umanità. Hardy aderisce a ciò che vede e riporta i dati registrati secondo modulazioni della memoria e della sua individuale interpretazione della storia.

Francesco Marroni, nella prefazione al suo studio La poesia di Thomas Hardy, parla della scelta intellettuale di Thomas Hardy come un segnale ampiamente evidente della sua non fiducia nella religione e nella società della sua epoca. Per questa ragione lo studioso italiano parla dell’immediata consapevolezza hardiana dell’importanza di concentrarsi nel lavoro e nell’impegno letterario.

Nei suoi versi il poeta drammatizza il ruolo precario e transitorio che il genere umano svolge in un mondo in cui caso e disarmonia sono i veri protagonisti. […]

Hardy si mostra in molte delle sue liriche alle prese con problemi filosofici che, quasi sempre, risultano senza via d’uscita – ad essere rappresentata è l’impossibilità di pervenire a una risposta che metta fine a incertezze e dubbi.

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Marroni, così facendo, dà quasi per scontato un aspetto molto denso di contraddizioni, che Hardy manifesta largamente nei romanzi e nelle poesie. La scelta della scienza e della filosofia, che dominarono nettamente su tutti gli altri interessi hardiani, è un punto cruciale dello studio su questo autore.

Hardy stesso vive la sua crescita intellettuale con grande solennità, già nella narrazione dell’episodio narrante il suo “disconoscimento religioso” con Leslie Stephen – quando quest’ultimo, appunto, lo convocò e, quella sera Hardy, di fronte al padre di Virginia Woolf (che tanto ha rappresentato per Hardy dopo l’improvvisa e dolorosa scomparsa di Horace Moule), abbandonò ogni àncora religiosa – possiamo cogliere l’importanza che il poeta inglese diede al conflitto scienza-religione. È un aspetto chiave; innanzitutto perché la scelta di Hardy sarà uno dei canali più percorsi della sua produzione lirica, e secondariamente perché è simmetricamente percorribile nei suoi appunti, e taccuini letterari. Lo studio delle radici pagane e cristiane dell’uomo, non fu una scelta ideologica, ma strutturò profondamente la sua teoria artistica.

Anche Ford Madox Ford aveva notato che nel passaggio da paganesimo a puritanesimo, le localities inglesi avevano perduto qualcosa di importante:

It is easy, in fact, to say that the turning of the agricultural districts to wool farming led inevitably to the evolution of the Puritan spirit, when you know that the

3 Life, p. 251.

4 F. Marroni, La Poesia di Thomas Hardy, op. cit., p. 7, pp. 26-27.

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Puritan spirit succeeded to the quasi-Catholic-quasi-Pagan phase of English medieval life.

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Peter Ackroyd si sofferma su queste radici, e riflette su questo importante passaggio, rintracciabile anche nelle forme dell’architettura inglese, quando dice che:

It has often been remarked that how the structure of English cathedrals is comprised of discrete parts; presbyteries and chapels and transepts are added without any attempt at uniformity in their arrangement, so that different styles and different periods can be observed side by side. […] The conservatism of English architecture has often been discussed, but it is the conservatism of organic form – literally the need to conserve itself as it develops according to its own laws of being. That is why it is also such a natural expression of native aptitude and sensibility.

If these churches are instinct with the spirit of place, then they may come alive.

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Nei Literary Notebooks troviamo una sequenza di annotazioni sulla religione e sulla storia inglese, che possono indirizzarci sul tipo di documentazione di cui Hardy si era servito per approfondire il tema Hellene-Hebrew:

1203

Religion. In England doubt is beginning to spread, even in secluded country-places, & among the lower middle class, which has so long remained thought-proof. … This awakening doubt comes to you [English] without transition &

preparation, thanks to the Evangelical movement, which has broken the historic thread between Hume’s thought & that of your thinkers of to-day.

1204

Wesley’s work was very similar to that of Rousseau, though done is another field & in a different way. Both reasserted the emotional side of our nature.

1205

Methodism was only the Wertherism of the uncultivated.

1206

High-church teaching, a wholesome corrective to the morbid introspection of the Evangelicals.

1207

Sceptics … who embraced the Roman faith, more out of a predilection d’artiste – it is A W. Schlegel’s own expression – than out of a deeper conviction.

1208

We hardly realize (in England) how entirely the rationalist element that Protestantism contains had destroyed the spiritual & intellectual foundation of the more positive part of the creed.

7

DeLaura spiega come questi elementi siano stati raccolti ed elaborati da Hardy per uno studio etico (antropologico) della storia umana:

At stake here are three crucial and interrelated themes of Hardy’s three

“modern” novels. There are, first, Hardy’s fumbling attempts to define and endorse a

“Greek” or “Hellenic” view of life, which is also somehow “natural”. This secular

5 F. M. Ford, The Spirit of the People: An Analysis of the English Mind, cit., p. 79.

6 P. Ackroyd, op. cit., p. 131.

7 Thomas Hardy’s Literary Notebooks (vol. I), cit., p. 134.

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ideal, varyingly Apollonian or Dionysian, derived from sources as diverse as Humboldt and Mill, is especially indebted to Arnold and Walter Pater; and this ideal – which partially overlaps an interest in Arnold’s doctrine of “culture” – is embodied in those “Arnoldian” young men like Clym Yeobright and Angel Clare about whom Hardy is most ambiguous. We are given to understand, especially in The Return, that the conditions of modern life have increasingly forbidden the flourishing of this ideal.

Second, there is the theme of “modernism” itself, the insistence on the distress and rootlessness of those whose intellectual honesty forces them to live without a sense of Providence. Here Hardy drew on Arnold’s description of the intellectual components of the modern situation, but he corrects the Arnold of the sixties by stressing, not the promise but the painfulness and (in a sense) the tragic waste and unfulfillment of those who “prophetically” live out the modernist premises. And there is, finally, the unrelenting attack on Christianity, the Churches, and their “redemptive theolatry”

enforced by the scientific and rationalist assumptions of the modern temper. But, as I hope to show, the attack is in a special sense directed against “neo-Christianity,” a compromising position with regard to the old theology, associated in England above all with Matthew Arnold.

8

Lo studioso americano spiega che il termine “modernismo” nacque originariamente come una parola religiosa, anche se la sua etimologia è poco chiara. Il modernismo nasce, infatti, “spontaneamente” verso la fine dell’Ottocento, e ha i suoi leader in Italia (Romolo Murri e A.

Fogazzaro), in Francia (A. F. Loisy, M. Blondel, E. I. Mignon, L.

Laberthonnière e E. Le Roy), e in Inghilterra, nelle isole britanniche in realtà, (F. von Hügel e G. Tyrrell). Tuttavia, è soprattutto in Francia che si creano i gruppi più resistenti di “modernisti”. Nasce come movimento interno alla Chiesa Cattolica Romana, e aspirava a mettere in stretta relazione il credo cattolico con il moderno afflato filosofico, con la storia, con le scienze e quelle sociali. Leone XIII (Papa dal 1878-1903) aveva in simpatia questo movimento, sebbene non ne avesse grande conoscenza, mentre Pio X lo condannò nel 1907, dichiarandolo fondamentalmente come una sintesi di dottrine eretiche (il decreto ‘Lamentabili’ e l’enciclica ‘Pascendi’). Il movimento fu dichiarato perciò impraticabile (1910, ‘Sacrorum Antistitum’), e fu imposto che le idee da esso propagate non venissero più fatte circolare. I preti che ne facevano parte furono scomunicati, mentre i laymen, come von Hügel e Blondel, rimasero immuni.

8 La citazione prosegue così: “This is the position of Angel Clare, that “sample product of the last five- and-twenty years,” a disciple of Mill and Arnold, whose sin, like that of the later Arnold, is precisely his imperfect modernism, his slavery on the ethical sphere to “custom and conventionality.” Tess, especially, becomes a demand for greater honesty in confronting (to use Arnold’s own youthful phrase) “the modern situation in its true blankness and barrenness, and unpoetrylessness.” This, Hardy, insists, requires a rejection of all comforting theistic palliatives – whether that associated with Wordsworth, and of the liberal Anglicans derived from Coleridge through Thomas Arnold, or the more recent and dangerous compromise of theological “modernism” stemming from Matthew Arnold and others”, D. DeLaura, ‘“The Ache of Modernism” in Hardy’s Later Novels’, in Twentieth Century Interpretations of Tess of the d’Urbervilles, cit., pp. 86-87.

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Nel breve periodo di esistenza, i modernisti, tuttavia, non avendo un programma comune, differivano molto gli uni dagli altri. Le idee fondamentali possono riassumersi nel modo seguente:

1) Abbracciare la Bibbia totalmente, senza restrizioni storiche o formulazioni metaforiche.

2) Rifiutare “l’Intellettualismo” e abbracciare l’ideale di una filosofia d’azione (Blondel). Molto apprezzato il pragmatismo di William James, e l’Intuizionismo di H. Bergson. Vivere la religione nella vita e non in un sistema intellettuale.

3) Approccio teleologico alla storia, non limitato nelle origini, ma diffuso nel flusso continuo.

Queste condizioni rendono più chiaro il carattere di Sue Bridehead, e aiutano a decifrare le ragioni delle sue scelte finali. Hardy però non segue le dinamiche moderniste, crea, al contrario, un percorso personale, nettamente più interessante, che abbiamo affrontato nel terzo capitolo.

L’idea di cultura di Pater e Arnold acquista un fascino sempre più spirituale, religioso. Così per loro la “historic religion” aveva la stessa funzione della cultura secolare. Newman si era occupato a lungo di come affiancarsi, con la sua esperienza religiosa, all’agnosticismo e all’espandersi dei dubbi generati dalla scienza. Infatti, il suo più grande seguito lo ebbe nella difesa dell’etica cristiana e del sentimento cristiano, che DeLaura intercetta negli scritti degli ultimi vent’anni della vita e della produzione di Matthew Arnold. Allo stesso modo, Hardy nota la stessa biforcazione, quando scrive: “The besitting sin of modern literature is its insincerità. Half its utterences are qualified, even contradicted, by an aside, and this particularly in morals and religion. When dogma has to be balanced on its feet by such hair-splitting as the late Mr. M. Arnold’s it must be in a very bed way.”

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Lo stesso discorso vale per la “grazia religiosa” di Walter Pater.

La prospettiva, brillantemente fornita da DeLaura, consiste nell’aver visto una parziale riscoperta e un ritorno alle origini dello sconfessato passato cattolico da parte dell’Inghilterra protestante.

It is probably Newman who, above all, accounts for Arnold’s and Pater’s calling for a “Catholic” religious humanism, even though no longer on the basis of belief in Newman’s sense of the term. To that extent, the Tractarians, and especially Newman after the publication of the Apologia in 1864, were important agents in putting an end to “Protestant” England, though its successor was not an England any of the principals in this book would have approved – for reasons similar to those later voiced by T.S. Eliot in his sociological essays. It is tempting to say that if there had not been the “miracle” of Newman – the subtle defender of religious orthodoxy who was also the adequate definer of a humanist consciousness – Late Victorian literary

9 Life, p. 215.

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life might well have been less “religious” than it was, and that without him it is impossible otherwise to account for the precise religious tone suffusing much of the work of the period.

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“Theological humanism”,

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così DeLaura chiama l’influenza intellettuale che si respirava a Oxford; un’attrazione che in Arnold e in Pater si spiega molto bene una volta posta in relazione al carisma che in quel periodo Newman esercitava nella torre d’avorio universitaria più famosa d’Europa.

Newman was attractive to Arnold because he provided the fullest definition and exemplification of the highest, most complex use of the human faculties, a complex of values both men saw as increasingly under attack from an insurgent scientific naturalism and a newly refurbished rationalism. Newman was thus the supreme practitioner of that refined intellectual and spiritual perception that is the link between Arnold’s intellectual and religious writings. […] Pater found in Newman the fullest formulation of the psychological grounds of faith and the cat of belief – one- half of his final, awkwardly maintained dualism. He was responding, again, to / Newman’s prophetic sense of the special character of any apologetic adequate to the needs of the nineteenth century, a sense first clearly enunciated in the Introduction to the Development of Christian Doctrine (1845). Further, Newman had worked out a

“personalist” theory of literature which best embodied Pater’s idea of the special function of literature in modern times. And finally, to both Arnold and Pater, Newman had presented the image of European – and Christian – civilization as an enduring source of value satisfying the permanent ethical and aesthetic needs of man:

in effect, the basis of a culture superior to the anarchic individualism of the nineteenth century.

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Hardy era esattamente al polo opposto. Parlando di Tess e Jude, De Laura dice:

The result is that an unexamined and simplistic primitivism underlies the poignant personal failures of the two novels. For all is expressed contempt for a Wordsworthian benevolence and theism in Tess, a theism which often enough in the nineteenth century supported Christian feeling and morality, Hardy’s deep feeling for

the rightness of man in his “natural” environment and folkways is supported by a stubborn and sentimental residue of the Wordsworthianism he intellectually rejected.

The Wordsworthian “feeling-tone” becomes a shadow- providentialism suffusing the novels almost against Hardy’s will.

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Pur riconoscendo a DeLaura il merito di aver approfondito alcune importanti influenze letterarie, crediamo che non sia possibile parlare dell’ascendente wordsworthiano ponendolo in primo piano. Certo Hardy ebbe a cuore l’eredità romantica, e adottò “that form of romanticism

10 D. DeLaura, introduzione di Hebrew and Hellene, cit., p. xiv.

11 Ibidem, p. xiv.

12 Ibidem, pp. xv-xvi.

13 D. DeLaura, ‘ “The Ache of Modernism” in Hardy’s Later Novels’, in op. cit., p. 91 (corsivi miei).

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which is the mood of the age”. Notevole e toccante è la scena in cui Hardy ricorda d’aver percepito la presenza spettrale di Wordsworth nella King’s Chapel di Cambridge: “lingering and wandering on somewhere alone in the fan-traceried vaulting”.

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Tuttavia, come ricorda Blunden, vi era una differenza sostanziale fra la lingua delle Lyrical Ballads e quella di Hardy; mentre per Wordsworth bisognava utilizzare un inglese il più possible vicino a quello parlato (“really spoken by men”

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), per il poeta di Upper Bockhampton “in order to be understood, writers should be obliged thus slightingly to treat varieties of English which are intrinsically as genuine, grammatical and worthy of the royal title as is the all-prevailing competitor which bears it, whose only fault was that they happened not to be central and therefore were worsted in the struggle for existence, when a uniform tongue became necessity among the advanced classes of population”.

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Su questo punto le posizioni di Hardy e Wordsworth sono totalmente agli antipodi, e ciò mette in luce ancora una volta il carattere darwiniano dominante nei pensieri del nostro poeta. Inoltre, se per Wordsworth “the manners of rural life germinate from those elementary feelings”,

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l’opera di Thomas Hardy si concentra invece sull’evoluzione degli “elementary feelings” in “modern nerves”.

Il senso di integrità, e forse anche di onestà intellettuale, vista l’accusa di “insincerity”, condussero Hardy a ripensare e elaborare l’idea che un uomo di buon senso non potesse più credere nella Cristianità, soprattutto dopo Darwin; l’agnosticismo, perciò, diede a Huxley, Darwin, e molti altri, la sensazione di potersi esprimersi liberamente senza incorrere nel rischio di sottovalutare la tradizione religiosa inglese, a differenza del culto cieco che fecero del cristianesimo Arnold e Pater.

18

Come rivela DeLaura:

14 Life, p. 141.

15 W. Wordsworth, Prefazione Lyrical Ballads (1800), London, Methuen, 1965, p. 254.

16 Hardy citato in Blunden, Thomas Hardy, cit., p. 45.

17 W. Wordsworth, Prefazione Lyrical Ballads, cit., p. 245.

18 Come spiega DeLaura: “This culture conflict as it is worked out in Arnold and Pater is not a thrice- told tale. Indeed, its full implications can only be grasped in a very long look ahead to our present situation, a look we seem even today scarcely prepared to take. For the full dimensions of secularity in the modern world, especially as it has exhibited itself in phenomena of the mid-twentieth century like religious and aesthetic existentialism and “secular” Christianity, are the long-delayed fruits of

“Modernist” speculation in the late nineteenth century. The importance of the Christian-pagan theme in Arnold and Pater is its inconclusiveness. Despite his avowed agnosticism, his pose of empiricism, and his resistance to the transcendental and metaphysical, Arnold persistently appeals to a covert supernaturalism in the religious writings and in the literary writings of the final decade, whether in his periphrases for God or in his generally unrecognized openness to the “mystery” of existence and to a universal morality of history. In the final reckoning he confessed his inability to fuse reason and faith, ideas and morality, in a higher, post-Christian synthesis. For Pater there is a similar exhaustion of thought after the careful irresolution of Marius, and his subsequent failure to define the “mixed”

culture he aspired to, or what the “third condition” of man, transcending historic dualism, might be.

The “failure” of Arnold and Pater is significant because they insist, in effect, that a “religious” reading of human nature involving a complex vision of man’s permanent moral and aesthetic needs is requisite in any adequate modern humanism”, DeLaura, Hebrew and Hellene in Victorian England, cit., p. xvii.

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[I] t has recently been shown that the loss of religious faith in such representative early Victorian agnostics as F. W. Newman (John Hanry Newman’s brother), J. A. Froude (brother of Newman’s close friend, Hurrell Froude), and George Eliot was not due, in the first place, to the usually suggested reasons – the rise of evolutionary theory in geology and biology and the Higher Criticism of the Bible.

Instead, in each life the dominant factor was a growing repugnance towards the

ethical implications of what each had been taught to believe as essential Christianity

– especially the set of interrelated doctrines: Original Sin, Reprobation, Baptismal Regeneration, Vicarious Atonement, Eternal Punishment. Only after this alienation was fixed did the sceptical trio show serious interest in the Higher Criticism (as support for attacking offensive orthodox teachings) and evolution (as indicating a

way of life more in harmony with the meliorist ethic of the age).19

L’arte per l’arte inglese non era poi così lontana dall’estetica hardiana, che in più voleva mettere in luce un forte tessuto connettivo fra strumento e opera. L’altro canale fu la figura dell’umanità – per Hardy l’umanità e l’uomo sono due figure ricorrenti, la prima appare più estesamente nei romanzi, mentre l’altra nelle poesie. Queste due costanti presenze conferiscono ai testi una veridicità riscontrabile anche nell’uso del tono colloquiale e nello stile dialogico nella lirica.

Il tono colloquiale poi ben si sposa con l’anelito costantemente filosofico dei suoi studi, anche in quelli più approfonditi sulla metrica e sul lessico. Nel secondo volume dei Literary Notebooks, leggiamo una citazione da Coventry Patmore, che Hardy aveva ben presente quando scriveva:

2322

The metrical & musical element … commonly assumes conspicuousness … in speech … in prop

n

. to the amount of emotion. …

Metre, in the primary degree of a simple series of isochronous intervals marked by accents, is as natural to spoken language as an even pace is nat! …to walking Now as dancing is no more than an increase of the element of measure which already exists in walking, so verse is but an additional! degree of that metre wh. is inherent in prose speaking …

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La lingua deve appartenere al luogo e al tempo dei disegni poetici e narrativi di Hardy; il lessico apparentemente stridente delle sue poesie non era altro che il frutto di un esercizio duro e serrato della memoria linguistica, della genesi e dell’utilizzo delle parole.

Le opinioni di Walter Benjamin nel suo saggio “Sulla lingua degli uomini e sulla lingua in generale”, come abbiamo potuto vedere, sono di una eccezionale aderenza alla dimensione che Hardy seppe ritagliare nei suoi studi umanistici.

19 DeLaura, Hebrew and Hellene in Victorian England, cit., p. 13.

20 The Literary Notebooks of Thomas Hardy (vol. II), cit., p. 191.

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In buona sostanza, secondo Hillis Miller, Hardy scelse l’immortalità dell’opera e la vita-reliquia dei suoi ricordi; però, forse, per l’immortalità dell’arte e la reliquia artistica, Hardy aveva progetti ben più grandi. Infatti, l’elemento che sfugge al tutto, preda della morte e del destino, diventa una “traccia” significativa soprattutto se riesce a umanizzarsi (“memoried”), a quel punto assume anche connotazioni proprie, diviene l’altro e, crea l’interlocutore cui Hardy dona le sue visioni più “shaped” (così nasce la lingua del dialogo anche in poesia).

Dalla pubblicazione dell’Origine delle specie in poi, il concetto di tempo si trovò in bilico (“Imperfection is a condition of time” ricorda Levine

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) e frenava l’uomo, anche nelle sue previsioni. Oltre a tutto ciò, illudeva l’umanità di poter sconfiggere la sorte; allora a che pro vivere e interrogare la natura muta e ostile che ci circonda?

Bisognava interrogare la natura, ma in realtà, la poesia di Hardy interroga le radici umane: i “primitive feelings” e i “modern nerves”. Il poeta osserva la realtà, dunque la geografia del Wessex, la vita di campagna, ma anche i testi che lo avevano formato intellettualmente, così come il suo rapporto inquieto con Emma. Dai suoi numerosi dubbi Hardy ricava la consapevolezza dell’importanza del consorzio umano, e non è un dato trascurabile, vista l’ondata eugenetica che aveva investito gli interessi vittoriani. “Humanity appears upon the scene, hand in hand with trouble”, come dice il titolo di un capitolo di The Return of the Native, il suo romanzo più simbolico.

Dai rustics Hardy impara a non nascondere le proprie debolezze, a non giustificare le proprie pulsioni mascherandole pericolosamente, e questo dona alla sua poesia peculiarità irreperibili nei versi inglesi di altri poeti a lui contemporanei.

Chiaramente la memoria, in un mondo che sta abbandonando definitivamente le campagne, gioca un ruolo decisivo; il tempo preferito è infatti quello “accaduto”, “finito”. L’uomo narra meglio il passato che un presente vago e indistinto; Hardy inoltre è una voce instancabile delle sue memorie, essendo stato capace di narrarsi fin sul punto di morte. Il nostro poeta ha scelto, “re-inventato”, il tempo accaduto, creando griglie di letture inserite negli specchi delle sue annotazioni. L’auto-citazione alla base dell’autobiografia crea il tempo della narrazione, e risulta palese la volontà hardiana di puntare l’obbiettivo fisso su un evento e un luogo capitale. La storia e la microstoria sono raramente vicini, e il suo compito sembra essere stato quello di mostrarli l’una contenente l’altra.

Anche Charles Darwin può essere visto come uno studioso del passato, delle cui tracce i fossili hanno le forme più interessanti. Come ricorda George Levine:

21 Levine, Darwin and the Novelists, cit., 112.

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He [Darwin] had the power to imagine what wasn’t there and what could never be seen, and he used analogies and metaphors with subtlety and profusion as his imagination actually defied the experience that Baconian theory privileged. As we follow him through his long argument, he seems to be counterintuitive of often as he is the merely sensible ordinary man took such pains to be. He had a way to organize the facts – with sets of assumptions that belonged both to him and to the scientists who preceded him as well as to the culture of large, and with a theory that could not, in Baconian terms, be proved.

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Allo stesso tempo Levine distingue Hardy, definendolo come un autore “self-conscious about his philosophical and scientific sources”.

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In Hardy c’è, del resto, anche la tensione, e il conseguente scetticismo, per le teorie Spencer, a causa della sua visione della vita sulla terra quasi anti-darwiniana (“proclaiming the necessity of competitive struggle between individuals, tribes, nations, and races as a requisite for social progress”).

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Questa fu una delle derive di maggiore influenza fra le forme di darwinismo vittoriano (in totale opposizione con le posizioni, o, forse, proprio con la figura dell’uomo che al contrario proponeva Thomas Henry Huxley), che si ritrova perfettamente nel costante rifiuto che Hardy opponeva all’idea “del più adatto”: “The doctrines of Darwin require adjustments largely; for instance, the survival of the fittest in the struggle for life”.

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Quando Gabriel Oak perde il gregge per una distrazione, il pastore deve imparare la keen lesson che andare contro la natura, infrangere le sue leggi, è un prezzo che l’uomo non può permettersi: ma è proprio questo che fanno perpetuamente i personaggi dei romanzi di Hardy, come dei Sisifo post-industriali. L’osservazione hardiana ci parla di un’azione che va contro il prestabilito, perché fa parte di uno scenario sostanzialmente ignoto, da rifare, non solo socialmente, ma anche più politicamente e culturalmente. Bisognava volgersi verso le teorie di Darwin e Huxley per imparare a osservare gli eventi e a cercare in essi le sintesi dei nostri stati passati, e le risposte ad alcuni dei nostri dubbi.

The trick, as Darwin’s own self-effacing strategies attest, is to avoid the exposure and thus the vulnerability that the act of observing normally if ironically entails. The peculiar Darwinian wrinkle in the scientific preoccupation with observation is that the observer becomes vulnerable, particularly because – as Darwin extends the rule of science from inorganic to organic phenomena – the observer also becomes the observed. […] The lay model for understanding the natural and human world before Darwinism was natural theology in any of its various forms, the Darwinism could indeed be seen as a radical dislocater of the culture’s understanding of nature of the self.

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22 Levine, Darwin and the Novelists, cit., pp. 2-3.

23 Ibidem, p. 2.

24 Ibidem, p. 10.

25 Life, p. 259.

26 Levine, Darwin and the Novelists, cit., pp. 15-16.

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È sempre la teoria di Darwin che permette il salto per comprendere

“the other side”, che spinge a andare oltre le apparenze ripugnanti, oltre le nozioni date per scontate, oltre le premesse religiose; Hardy afferra questa angolatura e la fa sua in molte poesie, non rifiutando neppure il grottesco che anzi ingloba e rende chiave di lettura per molte riflessioni.

Se l’uomo sarà mai capace di far fruttare il senso di altruismo e solidarietà che lo accomuna a tutti gli esseri viventi, allora potrà anche accettare “the other side of common emotions”, e, allo stesso tempo, comprenderà meno ansiosamente le “impressions” piuttosto che le

“convictions” sia riguardo la vita terrena che quella ultra-terrena.

‘The war of nature’ does conclude the Origin, but Darwin’s theory is also antistruggle, anti-individualist. Darwinian organicism became a biological justification of the moral predominance of altruism, that term borrowed from Comte’s positivism, but extended by G. H. Lewes and George Eliot.

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Hardy s’impegnò a ricercare la “beauty in ugliness”,

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soprattutto smettendo di dedicarsi alla religione; cambia così anche la sua dipendenza dalla rêverie, che in gioventù è in generale molto diffusa. Il nostro autore usa la memoria, potremmo dire, razionalmente, valutandone sempre gli aspetti preziosi e carichi di emozioni, ma non diventandone mai una preda.

Il suo ricordare nasce dall’atto di disattenzione, infatti, questa perdita d’attenzione è stata uno degli ingredienti più caratteristici del Romanticismo. La “recollection in tranquillity” di Wordsworth, quando il poeta amava catturare l’emozione e goderne in tranquillità, posticipava l’attimo del ricordo, volontariamente, quasi indicando un abbandono ricercato nell’attesa. Una volta a casa, magari, Wordsworth sprigionava quell’attimo e ne sentiva l’emozione e il ricordo insieme, quasi liberando un’immagine prima di verbalizzare l’emozione (che non suona come una melodia del passato, poiché quasi non v’è nota di rimpianto).

Hardy ha un rapporto diverso con la rêverie, poiché al contrario egli risponde con l’amarezza e il rimpianto (echeggiando “Il passero solitario” di Leopardi: “Ahi pentirommi, e spesso, / Ma sconsolato, volgerommi indietro”). Benché entrambi congelino l’emozione, Hardy mirava ad un arte che intensificasse l’espressione conservata nel ricordo (“my art is to intensify the expression of things”), mentre a Wordsworth bastava catturarne un’eco. Come si nota in “Overlooking the River Stour”:

And never I turned my head, alack,

27 Ibidem, p. 102.

28 Life, p. 213.

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While these things met my gaze

Through the pane’s drop-drenched glaze, To see the more behind my back. … O never I turned, but let, alack, These less things hold my gaze!

Lo sguardo interno che si sofferma sui ricordi imprigiona i suoi ragionamenti, e mostra “the written marks of [people’s] habits, vices, passions, and memories” così come Hardy dice che sia capace di sprigionare il freddo.

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Il segreto era anche l’aspetto della natura; da madre protettrice, per Hardy, agnostico e rêveur, diventa un mondo insidioso e primitivo, che ha il compito di incorniciare le vite impulsive e drammatiche dei suoi personaggi. Essa è complessa, varia e drammatica, come se non fosse vera, ma perfidamente immaginata.

Hardy nei moti dell’anima vede sempre un corrispondente esterno, un’associazione e un’identificazione sofferta con il landscape. Le correspondances di Baudelaire, del resto, cominciano in un bosco, con un tempio e un linguaggio muto da decifrare. Il paesaggio lirico deve adeguarsi al bisogno umano e letterario al fine di esprimere al meglio la nostra coscienza.

Il fatto che Hardy amasse usare la prolessi (e perciò anche l’analessi), ci dice che queste due strade gli permisero di dilungarsi oltre il presente, presentando e sbirciando le fasi periferiche che si pongono, rispetto al presente, in tempi deformati. Il dualismo materia-ricordo, o tempo-materia, al contrario, non piacque al nostro poeta, il quale rimprovera questa tendenza a Bergson. Hardy si prefiggeva di unire volontà e percezione. Ragione e sostanza sono la sua coppia preferita, del resto, l’inanimato che prende corpo è il suo incontro prediletto.

Si potrebbe quasi trovare nell’osservazione minuziosa del poeta una sorta di lotta contro l’abbandono e la fantasticheria. L’astrazione per Hardy non ha in sé quel fascino che le fu dato dai poeti romantici; in realtà, il nostro poeta sostituì l’atto di disattenzione con l’osservazione, che essendo il suo opposto conduce alla coscienza, nonché ai nervi più nascosti della nostra identità. Come dice Zolla:

Il male è il sogno in cui si muove l’uomo, l’irrealtà, l’immaginario. Da questo sogno l’uomo deve destarsi, per vivere nel reale che Dio gli porge. Il male è assenza di realtà: nasce quando ci si abbandona al demonio, il retore astuto che nutre di fantasticherie. L’interpretazione banale che la predicazione contro il day-dreaming, ovvero contro la delectatio morosa, matrice del peccato e dell’irrealtà, sia improntata a sdegno della fantasia creatrice, ma il combattimento puritano contro l’immaginazione non è cosa diversa dalla “ripuliture delle porte della percezione”.

30

29 Life, p. 177.

30 Zolla, Le Origini del Trascendentalismo, cit., p. 15.

(13)

Hardy esprime il senso di una poesia che, come scrive Louis MacNiece, sia “a constant inter-relation of abstract and concrete”:

“abstract realism” come lo definisce lui stesso.

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L’importanza del suo rapporto con la materialità dell’arte e del momento tecnico, contenuto anche nella definizione di “technicist”, indicava, oltretutto, il potere che l’arte acquisiva grazie alla memoria e che le permetteva di trascendere i limiti umani. Hardy infatti riconosceva all’opera d’arte (anche grazie al concetto ruskiniano di bellezza invariabile), qualsiasi essa fosse, un’immortalità esprimibile umanamente soprattutto nel rapporto fra poeta/versi, o scultore/statua. Per Hardy, del resto, il Gotico non poteva essere sostituito da uno stile che, come prima qualità, non avesse quella di “saper aspettare”.

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31 Life, p. 177.

32 Leggiamo in T. Hardy, Jude the Obscure: “They [mouldings] had done nothing, but wait, and had become poetical”, cit., p. 100.

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