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Capitolo 2

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Capitolo 2

Tasso: tra misoginia e filoginia

2.1Il padre di famiglia

Per Tasso la relazione tra maschile e femminile si conformerà nei termini di una sofferta contraddizione che è riscontrabile in un dittico formato dal dialogo Il padre di famiglia e dal Discorso sulla virtù femminile e donnesca.

Il padre di famiglia, pubblicato nel 1582 e dedicato al cardinale Scipione Gonzaga,

prende spunto da un ricordo autobiografico, l’incontro con un proprietario terriero che ospiterà il poeta per la notte nella sua confortevole dimora di campagna.

In pochi tratti si impostano il clima psicologico dell’episodio e le proiezioni simboliche di cui viene investito nella pagina, il contrasto tra il destino di erranza dello <<sconosciuto peregrino, nemico di principe e di fortuna>> solo e senza riparo, contro un cielo livido di tempesta, e il miraggio di un rifugio, di una serena cerchia familiare di affetti, di una signorile sicurezza economica.

In particolare le pagine sulla donna riproducono assai da vicino la tradizione ispirata al pensiero aristotelico sulla inferiorità di natura del sesso femminile, sia nei modelli (la madre di famiglia partecipa alla cena solo dopo esserne stata autorizzata e si ritira poi subito senza prendere parte alla conversazione) che nei precetti teorici, simili a quelli della satira ariostesca, la concessione di vesti adeguate al rango sociale o di qualche misurata frequentazione pubblica alla moglie, e altri topoi come l’importanza dell’onestà materna e della parità di condizione economico-sociale, o la salvaguardia del ruolo della moglie di compagna e non di serva.

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Nel Padre di famiglia gli sposi saranno consorti, ossia condivideranno affetti e beni di fortuna, in un rapporto però non paritario:

[…] niuna differenza di nobiltà può esser sì grande che maggior non sia quella che la natura ha posta fra gli uomini e le donne, per le quali naturalmente nascon lor soggette1.

Cosi Tasso, soffermandosi su un tema che gli sta molto a cuore, quello della famiglia e del rapporto tra i coniugi, offre una serie di consigli riguardanti soprattutto il maschio, com’è normale in un’opera destinata ad un gentiluomo, ma, data l’interrelazione fra i coniugi, si estendono anche ai comportamenti che la donna deve tenere verso il marito, verso i figli e verso la famiglia.

Tasso offre il suo contributo al dibattito sulle virtù della buona moglie.

Tra gli elementi importanti che vanno considerati nella scelta della moglie emerge per primo quello riguardante la condizione sociale che non può essere diseguale:

sì come due destrieri o duoi buoi di grandezza molto diseguali non possono esser ben congiunti sotto un giogo stesso, così donna d’alto affare con uomo di picciola condizione, o, per lo contrario, uomo gentile con donna ignobile non ben si possono sotto il giogo del matrimonio accompagnare2.

Nel caso in cui la donna fosse di rango superiore, l’uomo deve ricordarsi di onorarla più di quanto farebbe con la donna di ceto inferiore e altrettanto la donna deve ricordare che non c’è differenza di nobiltà più grande di quella che la natura ha posto fra uomo e donna.

1 Torquato Tasso, Dialoghi, edizione critica a cura di Ezio Raimondi, Firenze, Sansoni, 1958, vol.II, tomo I, p. 355.

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Ma quando pur avvenga che per qualche accidente di fortuna l’uomo tolga donna superiore per nobiltà in moglie, dee, non dimenticandosi però d’esser marito, più onorarla che non farebbe una donna d’eguale o di minor condizione, ed averla per compagna ne l’amore e ne la vita, ma per superiore in alcuni atti di pubblica apparenza, i quali da niuna esistenza sono accompagnati; quali sono quegli onori che per buona creanza si sogliono fare altrui. Ed ella dee pensare, che niuna differenza di nobiltà può esser sì grande, che maggiore non sia quella che la natura ha posta fra gli uomini e le donne, per li quali naturalmente nascono lor soggette3.

A questo punto non è da sottovalutare l’idea che la donna, se di rango superiore, potrebbe diventare arrogante pregiudicando così il primato dell’autorità del marito, un paradosso grazie al quale la parità sociale garantisce la disparità sociale. Nel caso in cui la donna fosse di ceto inferiore, Tasso puntualizza che il matrimonio ha la funzione di annullare le diseguaglianze, così scrive:

Ma se l’uomo torrà in moglie donna di condizione inferiore, considerar dee ch’il matrimonio è agguagliator di molte disagguaglianze, e ch’egli tolta l’ha non per serva ma per compagna de la vita4.

Altro criterio imprescindibile nella scelta della moglie è la giovinezza: l’età della donna deve essere inferiore a quella del marito, perché in «quell’età giovenile la donna è più atta a generare, ma anco perché secondo il testimonio d’Esiodo può meglio ricever e ritener tutte le forme de’ costumi ch’al marito piacerà d’imprimerle»5

,dunque in primo luogo perché più adatta alla generazione dei figli, e in secondo luogo perché facilmente più educabile e più rispettosa dell’autorità del marito.

3Ivi, p. 355. 4 Ivi, p. 355. 5 Ivi, p. 355-356.

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[…] dovrebbe sempre l’uomo ecceder la donna di tant’anni […]

Or s’avverrà che ’l marito con le condizioni già dette tolga la moglie, molto più agevolmente potrà in lei esercitar quella superiorità che da la natura a l’uomo è stata concessa; senza la quale a le volte avviene che egli così ritrosa e inobbediente la ritrovi […]6

In queste sentenze dunque è evidente la centralità dell’autorità del marito che va tutelata attraverso la possibilità di educare la donna, che essendo di età inferiore al marito è considerata quasi come un essere da plasmare in relazione ai bisogni del marito. Procedendo con i suoi precetti, Tasso impone come prioritario l’obbligo dell’obbedienza della moglie:

Virtù, dunque, de la donna è il saper ubbidir a l’uomo, non in quel modo che ’l servo al signore, e ’l corpo a l’animo ubbidisce; ma civilmente in quel modo, che ne le città ben ordinate i cittadini ubbidiscono a le leggi ed a’ magistrati…7

Questa sottomissione avrà come conseguenza salutare l’aumento delle virtù femminili, quali la modestia e la pudicizia.

Continuando l’autore osserva:

… la natura ne gli animali ha voluto, che più adorni siano i corpi de’ maschi che de le femine, come quella c’ha adornati i cervi di belle e ramose corna, ed i leoni di superbe come, le quali a le lor femine ha negate; ed ha adornata la coda del pavone di molto più vaga varietà di colori,

6 Ivi, p. 356. 7 Ivi, p. 356.

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che quella de le sue femine; nondimeno vediamo che ne la specie de l’uomo ella ha avuto maggior riguardo a la bellezza de la femina che a quella del maschio8.

Non poteva mancare nemmeno mancare una apposita trattazione del tema tradizionale degli ornamenti femminili: il marito, consapevole della vanità femminile e dell’importanza dell’apparenza, dovrà acconsentire alle richieste della moglie in relazione all’abbigliamento e agli ornamenti della stessa.

tanto dèi tu procurare non sol di piacer a lei, ma di compiacerla. Di che nè de i vestimenti nè de gli altri ornamenti men ornata dèi consentir che vada, di quel che vadano l’altre sue pari, e di quel che porti l’uso de la nostra città9

.

Concessioni come feste e spettacoli pubblici, danze e commedie che non alterino l’onestà e la virtù della donna.

Or passando a’ figliuoli, dee la cura loro così tra il padre e la madre esser compartita, ch’a la madre tocchi il nutrirli, ed al padre l’ammaestrarli10

Tasso puntualizza in queste sentenze il concetto di spartizione dei compiti fra i genitori: alla donna spetta il nutrimento e Tasso si spende nel combattere contro il costume di dare a balia i figli, l’allattamento materno assume una funzione importante per rafforzare il legame affettivo e per trasferire inclinazioni naturali e costumi propri della madre naturale ed evitare quindi l’influenza che possono esercitare certe vili femminelle sia sulla salute che sulle attitudini e sui comportamenti dei bambini loro accuditi.

8 Ivi, p. 358. 9 Ivi, p. 359. 10 Ivi, p. 361

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Ma passata quella prima età che di latte è nutrita, e che di cibi più sodi può esser pasciuta, rimangono anco i bambini sotto la custodia de le madri; le quali sogliono esser così tenere de’ figliuoli, che agevolmente potrebbono in soverchia delicatura allevargli: onde conviene che il padre provveda, ch’essi non siano troppo mollemente nudriti11

.

Concretamente, nell’educazione della prole, alla donna spetta, per la sua “tenerezza d’animo”, la cura dei figli nella prima infanzia, al padre, per la sua severità toccherà <<ammaestrarli>> e dare loro l’educazione più importante e complessa.

In seguito Tasso si sofferma anche sulla gestione interna della casa da parte della moglie. Nel governo della casa, la moglie dovrà operare con diligenza, curare la conservazione dei beni, tenere tutto in ordine, come recita il testo del dialogo:

Dee nondimeno la buona madre di famiglia procurar che tutte le cose (s’occasione di forestieri altrimente non ricercasse) sian compartite parcamente;

Ma perchè le cose conservate molto meglio si possono porre in opera se sono ordinate, di ordine diligente dee sovra ogn’altra cosa esser vaga la buona madre di famiglia12

.

I suoi compiti, differenziati da quelli dell’uomo, sono in teoria egualmente necessari, ma di fatto si subordinano a questi: l’uomo acquista i beni e rappresenta l’elemento dinamico per la sua forza e ardimento, la donna invece per la sua debolezza e timore li conserva.

È evidente che la donna sembra non disporre di alcuna autonomia decisionale, poiché dipendente dalle decisioni che prende per lei il marito. Nondimeno riveste un ruolo di importanza determinante all’interno dell’ambiente domestico, svolgendo funzioni dalle quali dipende il consolidamento del patrimonio familiare.

11 Ivi, p. 361. 12 Ivi, p. 375

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Ma c’è un passaggio del dialogo, su cui piuttosto ci si potrebbe soffermare, dove per rappresentare l’intima comunione degli sposi si propone la metafora dell’unione dell’anima al corpo13, con un’oscillazione nell’attribuzione delle relative parti ai due

sessi. Quest’ambiguità è propria della tradizione medievale, in cui la donna viene a coincidere col corpo o altrimenti con l’anima, intesa come sensibilità femminile.

In effetti la patristica, specificamente Origene14, sulla scorta di Filone d’Alessandria, sostiene una sorta di sdoppiamento dell’interiorità dell’io:

Il nostro uomo interiore – scrive – è formato da uno spirito e da un’anima. Definiamo lo spirito maschile e l’anima può essere chiamata femminile15.

Interessante è l’intuizione della compresenza di un doppio principio, maschile e femminile in ogni essere umano.

Interrogati da questo punto di vista i personaggi femminili della Gerusalemme Liberata rivelano un ambiguo spessore di profondità, una contraddizione profondamente interiorizzata. Da un lato registrano la chiusura di fronte alle più avanzate aperture del rinascimento, riproponendo tradizionali modelli, ma questi si tendono dall’interno fino a perdere la propria tenuta, fino a spaccarsi e a vanificare quella netta linea di demarcazione tra il maschile e il femminile che è alla base dell’ideologia dei generi. Il conflitto non sarà tanto tra i due sessi, ma si introietta, opponendosi tra loro le parti virili e femminili dell’io.

13 << […] e tanto è simile la congiunzione che ’l marito ha con la moglie a quella che ’l corpo ha con l’anima>> ( T. Tasso, Padre di famiglia, in Dialoghi, a cura di E.Raimondi, Firenze, Sansoni, 1958, p. 354).

14Sul motivo dello sdoppiamento dell’interiorità dell’io, cfr. ORIGENES, Homiliae in Genesim, in

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Le donne della Liberata sviluppano questa dialettica, a partire da Sofronia, la vergine casta, di condizione privata, ma di pensieri profondi e regali e di virtù donnesche, quali forza e generosità, (le virtù che Aristotele attribuisce agli uomini), che rivendica la parità di pensiero, di atti e di gloria di fronte alla morte, fino a ribaltare completamente il rapporto fra i ruoli sessuali (<<e più vigor mostra men il forte sesso>> II,42) ergendosi dal rogo nella tensione dello spirito verso il cielo che, a cui guida e richiama il suo compagno, dai languori e dei lamenti di una torbida funerea sensualità.

Così in Erminia, la più femminile delle eroine tassiane, la pulsione a essere l’altro si consuma in un mascheramento di secondo grado, nell’assumere la maschera guerriera di Clorinda.

In quest’ultima, fin dalla sua prima apparizione, al secondo canto (<<ecco un guerriero/ (che tal parea) d’alta sembianza e degna>> II, 38) si sviluppa esplicitamente il conflitto di una femminilità/identità rifiutata e di una feroce violenza virile:

Costei gl’ingegni Costei gl’ingegni feminili e gli usi tutti sprezzò sin da l’età più acerba:

a i lavori d’Aracne, a l’ago, a i fusi inchinar non degnò la man superba. Fuggì gli abiti molli e i lochi chiusi, […]

armò d’orgoglio il volto, e si compiacque rigido farlo […]

[…]

Trattò l’asta e la spada, ed in palestra Indurò i membri ed allenogli al corso. […]

Fera a gli uomini parve, uomo a le belve (II, 39-40)

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Il testo mette in rilievo che il risultato ha inevitabilmente il segno dell’innaturale e del contraddittorio e ciò fornisce un elemento per individuare il contrasto, in lei presente, fra <<forma assunta>> e <<forma autentica>>, secondo la definizione di Chiappelli16. In questi passi si assiste soprattutto alla negazione della condizione femminile e dei suoi costumi codificati, per una affermazione di virilità, intesa come durezza, orgoglio, violenza, che giunge alla totale identificazione (<<trattiamo il ferro pur noi cavalieri: / quest’arte è nostra>> II,51). Non tanto però da non lasciar emergere l’animo femminile, l’abito della tenerezza e della compassione, di fronte al rogo di Olindo e Sofronia (<<Clorinda intenerissi, e si condolse>>), uno statuto di femminilità che tuttavia non vieta che a Clorinda venga affidato il comando sui guerrieri dell’altro sesso.

Solo l’ultimo canto provvederà a rovesciare nella legge virile, per voce di Armida e secondo il modello mariano, questo potere delle donne (<< - Ecco l’anxcilla tua; d’essa a tuo senno / dispon, - gli disse – e le fia legge il cenno ->> XX, 136), col chiudersi dello spazio affrancato del racconto; all’incontro nel XX si gioca fino in fondo, oltre al conflitto tra Tancredi e Clorinda, quello fra le contrapposte identità di questa.

Così, anche l’ “audace” disegno di incendiare le torri di guerra dell’esercito cristiano nasce nella guerriera dall’inquietudine, dal rodimento di un conflitto tra maschile e femminile in realtà introiettato, mentre appare proiettarsi sulle figure esterne di Argante e Solimano.

<<Ben oggi il re de’ Turchi e il buon Argante Fer meraviglie inusitate e strane,

[…]

Io ( questo è il sommo pregio onde mi vante)

16 F. Chiappelli, Il conoscitore del caos, Una <<vis abdita>> nel linguaggio tassesco, Roma, Bulozoni, 1981, p.57.

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D’alto rinchiusa oprai l’arme lontane, sagittaria, no’l nego, assai felice.

Dunque sol tanto a donna e più non lice? […]

Mostrarmi qui tra cavalier donzella! Ché non riprendo la feminea vesta,

s’io ne son degna e non mi chiudo in cella?>> (XII,3-4)

Si tratta di un conflitto che manifesta il prevalere della parte maschile fino alla violenza cieca del duello con Tancredi. In essa si afferma pienamente l’identità femminea balenata per segnali e svelamenti progressivi sui campi di battaglia (come le petrarchesche <<chiome dorate al vento sparse>> (III, 21), si afferma col recupero delle vesti, del languore, degli emblemi del corpo femminile e infine nel congedo del personaggio (<<passa la bella donna, e par che dorma>> XII, 69), che fissa definitivamente la forma identitaria:

Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s’immerge e’ l sangue avido beve; e la veste, che d’or vago trapunta

le mammelle stringea tenera e leve, l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente

morirsi, e ‘l piè le manca egro e languente. Segue egli la vittoria, e la trafitta Vergine minacciando incalza e preme.

In rapporto inverso rispetto a Clorinda, in Armida a emergere vistosamente è l’identità femminile, la funzione di seduttrice e diabolica.

Armida è insieme donna e maga, è la strega che ossessivamente turba e atterrisce l’immaginario maschile. Nel personaggio di Armida si proietta l’onnipotenza

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dell’immagine materna infantile, attraverso l’usurpazione del potere virile simboleggiato dalla fallica bacchetta magica:

con una man picciola verga scote,

tien l’altra un libro , e legge in basse note. …

<<Ecco, a voi noto è il mio poter>> ne dice

<<e quanto sopra voi l’imperio ho pieno>>. ( X, 65,68)

Sotto il clichè femminile della seduzione satanica si nascondono però prudenza e forza virile (<<canuto senno e cor vile ascondi>> IV,24) e l’etica maschile della ragion di stato (<<-Per la fé, per la patria il tutto lice->> IV, 26).

Quel che distingue l’episodio di Armida è che solo in esso, nel poema, col potere e col senno è presente il sesso. L’isola incantata di Armida è il paese dell’eros (<<Questo è il porto del mondo>> XV, 63), della libertà, del compimento del desiderio, è il luogo ameno di Venere che tramuta l’attività marziale in amore (<<e dolce campo di battaglia il letto / fiavi e l’erbetta morbida de’ prati>> XV,64).

Nel Discorso sulla virtù femminile e donnesca tutto ciò sarà rivalutato da Tasso come <<un non so che di celeste e di divino>> legittimo per le donne regie ed eroiche alla cui schiera Armida appartiene.

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2.2 Discorso sulla virtù femminile e donnesca

In una linea prevalentemente filogina si inscrive il Discorso sulla virtù femminile e

donnesca immediatamente successivo al dialogo, di cui sembra riprendere le tesi, che

poi rovescia nell’opposta concezione platonica dell’uguaglianza di natura dei sessi. È infatti durante la reclusione al Sant’Anna che Torquato Tasso, ormai imprigionato da più di un anno, tra il settembre e il novembre del 1580, compose il Discorso della virtù

femminile e donnesca indirizzato alla duchessa di Mantova Eleonora d'Austria, madre

del futuro liberatore del poeta, Vincenzo Gonzaga, con la speranza che i nobili destinatari potessero aiutarlo a uscire al più presto dal carcere. La redazione del

Discorso dovette essere piuttosto tormentata come infatti testimoniano le numerose

stesure17.

L’opera costituisce il primo esempio di discussione teorica sulle personalità di alto rango appartenenti al sesso femminile. Il discorso è una dissertazione filosofica sulla virtù femminile, relativo, non tanto a una gentildonna privata o a un’industriosa madre di famiglia, quanto a una donna di sangue imperiale che abbia obblighi politici di regno o di governo.

Sostanzialmente Tasso opera una distinzione tra due tipi di virtù femminile: la «virtù femminile» ordinaria e la «virtù donnesca» coltivata da poche donne eccezionali. Nella prima sezione, quella dedicata alla «virtù femminile», Tasso riassume le concezioni di Platone e di Aristotele circa il rapporto tra etica e generi sessuali, con esplicita preferenza per le posizioni del secondo, non tanto in ossequio a un principio di autorità, quanto perché lo Stagirita sarebbe più conforme alla ragione stessa:

17 Cfr. Dennis J. Dutschke, Il discorso tassiano <<De la virtù feminile e donnesca>>, <<Studi tassiani>>, 32, 1984, pp.5-28.

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«E tanto intorno alla virtù feminea civile voglio che mi giovi aver filosofato. E se nel filosofare più alla peripatetica che alla platonica opinione mi sono accostato, ho seguita per duce non tanto l'autorità quanto la ragione, con la scorta della quale se pur errar si può, meglio è l'errare che guidato dall'autorità andare a dritto camino.»18

Evocando le posizioni di Platone, Tasso riporta che vi sarebbe identità morale tra uomo e donna, ed ogni differenza deve essere attribuita alle diverse funzioni dei due sessi nella società. Lo stesso è vero per la mano destra e la sinistra, che, sebbene uguali, si sviluppano in maniera differente per adattarsi all’uso che se ne fa:

<<e dice che sì come la natura produce ambe le mani atte a tutte le operazioni, e l'usanza introduce poi in loro questa differenza di destro e di sinistro (perciò che quella che s'adopra di continuo par che s'adoperi e s'addestri nelle operazioni, e destra è nominata, ma l'altra che non è operata per incitazione diviene inabile a l'operare); così parimente produce l'uomo e la donna atti a tutti gli uffici civili e militari, ma l'uomo esercitandosi, e la donna standosi in ozio, avviene che l'uno quasi destro, e l'altro quasi sinistro siano nelle operazioni>>19.

Per Aristotele, invece, tanto la differenza tra la virtù maschile e femminile, quanto quella tra le due mani, è stabilita dalla natura. Tasso si concentra sulle posizioni di Aristotele, sulla base del quale propone una netta distinzione tra virtù morali pertinenti a ciascun sesso: la fortezza, la liberalità e l’eloquenza sono virtù dell’uomo, così come la pudicizia, il silenzio e la parsimonia della donna.

Fondamento di tale distinzione sarebbe l'ordine dettato dalla natura, che avrebbe «prodotto l'uomo e la donna di molto differente temperatura e complessione»20.

18Si veda Discorso della virtù feminile e donnesca, Tasso Torquato in www.liberliber.it 19

Op. cit. 20

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«E avendo la natura prodotto l'uomo e la donna di molto differente temperatura e complessione, si può credere che non siano atti ne' medesimi uffici: ma l'uomo, come più robusto, ad alcuni è disposto, e la donna, come più delicata, ad alcuni altri, onde nel principio della Politica, contra Platone conchiude Aristotele che la virtù dell'uomo e della femina non sian la medesima; perciò che la virtù dell'uomo sarà la fortezza e la liberalità, e la virtù della donna la pudicizia. E come piacque a Gorgia, così il silenzio è

virtù della donna, come l'eloquenza dell'uomo. Onde gentilmente disse il Petrarca: In silenzio parole accorte e saggie. La parsimonia ancora è virtù della donna»21.

Tasso insiste a più riprese sulla «pudicizia» come virtù principalmente femminile: biasima le donne spartane, che non erano tenute a osservare le leggi del pudore come le donne ateniesi:

«Ma nelle donne, che son parte della città, pure alcuna virtù è ricercata, ancorché non tale quale è degli uomini, onde a ragione da Aristotele è ripresa la cittadinanza de' Lacedemoni, come quella che essendo priva della vergogna e della pudicizia feminile, era priva della metà della felicità civile»22.

Tasso pone un nesso tra pudicizia e «ritiratezza», col conseguente paradosso che la fama della pudicizia «non può molto divulgarsi».

Un individuo deve essere giudicato per la sua maggiore o minore adesione al sistema di valori proprio del suo sesso: così la viltà sarà vizio specifico dei maschi e l'impudicizia vizio specifico delle donne, Tasso argomenta come l'impudicizia non fa torto ai primi, che hanno come virtù loro propria la fortezza, così la viltà non disonora le donne, che hanno invece il dovere di essere pudiche.

21 Op. cit. 22

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«Ma onde avviene che la donna impudica sia infame, e l'uomo impudico infame non sia riputato? Forse per la stessa ragione per la quale la timidità, che si biasima nell'uomo, non è vergognosa nelle donne, perciò che così l'uomo come la donna è onorato e disonorato per il proprio vizio e per la propria virtù, e non per gli altri; o almeno non tanto, che lor si debba attribuire assolutamente il nome d'onorato e di disonorato. Onde essendo propria virtù dell'uomo la fortezza, per la fortezza è onorato, e a la fortezza erano più statue da gli antichi ch'a niun'altra virtù dirizzate; sì come, a l'incontro, per la viltà è disonorato. Similmente la donna per la pudicizia è onorata, e disonorata per l'impudicizia, perché l'uno è suo proprio vizio, e l'altro sua propria virtù, […]» 23

La seconda sezione del trattatello, tuttavia, introduce un altro tipo di virtù, la «virtù donnesca», che trascenderebbe i limiti della «virtù feminile» e si manifesterebbe, appunto, nell'interlocutrice Eleonora e in poche altre donne, intese come femmine superiori, ossia dominae.

Così come alcuni uomini spiccano sugli altri, assurgendo alla condizione di «eroi», così alcune donne vanno oltre i limiti della virtù ordinaria, in quanto donne eroiche.

…sì come fra gli uomini sono alcuni ch'eccedendo l'umana condizione sono stimati eroi, così fra le donne, molte ci nascono d'animo e di virtù eroica, e molte ancora nate di sangue regio, se ben perfettamente non si possono chiamar donne eroiche, molto nondimeno a le donne eroiche s'assomigliano; e queste non sono parte della città, perciò che gli eroi in alcun modo non sono, e de' re si può dubitare se siano o se non siano, e quando pur siano, la virtù regia in tutto da la virtù propriamente civile è distinta. La virtù, dunque, delle donne sì fatte, non è virtù civile, né secondo la distinzione e l'opportunità degli uffici civili deve essere considerata, e molto meno secondo la necessità del governo famigliare. Perciò che il governo famigliare non appartiene a le donne eroiche e regie, e se pur appartiene, è d'altra sorte che 'l civile e 'l privato24.

23 Op. cit. 24

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A tal proposito Benedetti puntualizza che in seguito, nel tentativo di far coincidere le opinioni espresse col promesso elogio di Eleonora Gonzaga, l’autore mette in atto un cambiamento di prospettiva, introducendo la variabile del livello sociale.

I criteri impiegati per definire la virtù femminile non vanno applicati indiscriminatamente: elaborati per stabilire i criteri di giudizio di comportamento di una donna comune ( <<una cittadina, o […] una gentildonna privata, […]una industriosa madre di famiglia>>), si rivelano non conformi se applicati ad una principessa, la cui virtù non deve essere definita femminile, ma donnesca, <<il quale tanto vale, quanto signorile>>. La donna al potere deve godere degli stessi privilegi degli uomini del suo stesso rango. […] perciocchè ella trascendendo, e trapassando non solo la condizione dell’altre donne, ma l’umana virtù25

.

Secondo Tasso, alle donne eroiche è permesso di «trascendere e trapassare non sol la condizione dell'altre donne, ma l'umana virtù», col risultato che la prima tra le virtù femminili, ossia la pudicizia, non è essenziale alle poche donne che esercitano la «virtù donnesca».

[…] né a lei più si conviene la modestia, e la pudicizia femminile, di quel che si convenga al cavaliere; perché queste virtù di coloro son proprie, di cui l’altre maggiori non possono esser proprie26.

Anche qui sembra emergere qualche contraddizione: non viene avanzata, infatti, una distinzione tra la virtù di un cittadino ordinario e quella di un regnante, mentre una donna può ottenere grazie alla sua posizione sociale ciò di cui è privata dall’appartenenza al suo sesso.

25 Op. cit. 26

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Dunque la donna di alto rango viene dispensata dall’aderire alle norme previste per una qualsiasi cittadina, ivi compresa la pudicizia.

Come gran parte dei trattati rinascimentali sulla donna, anche il discorso tassiano, nonostante la sua brevità, mostra nel suo interno diverse contraddizioni, che costituiscono un problema con il quale dovettero confrontarsi i trattatisti rinascimentali. A tal proposito Benedetti sottolinea che, nonostante il sistema filosofico, al quale i trattatisti avevano fatto ampio riferimento, non prevedesse donne al potere, la massiccia presenza di regnanti era una realtà alla quale non si poteva rimanere indifferenti, almeno in certe situazioni.

Ruth Kelso nel suo volume Doctrine for the Lady of the Renaissance, afferma che la teoria non divide le donne in due gruppi, ossia governanti e governati, e prescrive a ciascuno un diverso insieme di leggi sulla base della relazione. La pratica ha fatto proprio questo, ma non la teoria. Secondo la teoria tutte le donne devono essere governate.

Tornando al testo del poema, le donne della Liberata, sfuggono alla definizione aristotelica di inferiorità e ai modelli di subalternità che ne conseguono, codificati dalla plurisecolare tradizione che si trasmette nel Padre di famiglia, sviluppando comportamenti esemplari che quella tradizione mettono in crisi.

Le eroine del poema rispondono infatti a quelle caratteristiche di <<fortezza femminile>> descritte da Tasso nel Discorso de la virtù feminile e donnesca, dove si delinea, accanto ad una figura vicina a quella tradizionale, della donna sottomessa all’uomo e relegata fra le mura domestiche, quella della <<donna eroica>>, dotata di <<virtù donnesca>> e pertanto pari o addirittura superiore all’uomo. In tal modo si prospettano per lei spazi diversi da quelli della casa e della famiglia, e compiti che la

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emancipano da quelli di moglie e di madre: la grandezza di queste donne risiede nell’essersi avvicinate a caratteri ritenuti specificamente maschili, superando quelli che venivano considerati i limiti del sesso femminile27.

Lo studioso Ferretti nel suo articolo intitolato Virtù maschile, «virtù feminile», «virtù

donnesca», conduce un’ attenta analisi dei personaggi femminili del poema, mettendo in

evidenza due aspetti fondamentali.

In primis il fatto che l’autore nel rappresentare i personaggi femminili del poema enfatizzi di continuo, una tensione drammatica tra pudicizia, in quanto precipua «virtù feminile», e eroismo «donnesco», che tende invece a prescindere nelle forme più svariate dai limiti della pudicizia ordinaria.

Così Tasso se da un lato distingue femmine e eroine (concentrandosi solo su quest'ultime), dall'altro colloca le eroine dentro una dialettica morale affine e complementare a quella che vincola i crociati.

Occorre evidenziare che le eroine cristiane – siano esse cristiane, cristiane eretiche o cristiane in pectore28– mirano a presentare una combinazione forzosa e oltranzistica di «virtù donnesca» e «virtù feminile», dove quest'ultima è solo apparentemente, ma non intimamente trasgredita: è il caso di Sofronia, di Gildippe, della madre di Clorinda e di Clorinda stessa. Sebbene il loro eroismo entra in conflitto con i comuni parametri morali, insomma, in campo cristiano la pudicizia finisce comunque per trionfare e conciliarsi in forme stranianti con la <<virtù donnesca>>.

Le due eroine propriamente pagane, invece, ossia Erminia e Armida, incarnano due forme di eroismo complementari e antagoniste, accomunate dal fatto che entrambe si esprimono attraverso la trasgressione del pudore, veniale in un caso, scandalosa

27

Sul Discorso de la virtù feminile e donnesca si veda l’articolo di D. Dutschke, apparso in <<Studi Tassiani>> pp. 5-28.

28

(19)

nell'altro. Nel poema l’esperienza amorosa costituisce una delle forme dell’erranza, detiene in sé un’istanza profonda di ribellione, e si pone come crisi rispetto al progetto di <<disciplinamento>>. La studiosa Virginia Cox nel suo articolo Women’s Writing in

Italy 1400-1650 puntualizza che nella Liberata il motivo della sessualità ricopre un

spazio marginale e così scrive:

Yet at a superficial reading the uncensored version of the Liberata (1581) appears not

to embrace such trends or Tasso, at least, seems to be creating heroic female characters standing in clear contrast to his allegations in the Discorso: in his poem, he builds two heroic female characters where, surprisingly, sexuality remains marginal.

Il fatto che l'identità eroica delle donne si esprima in contrapposizione con la pudicizia ordinaria spiega, tra l'altro, perché nel poema il femminile cristiano si fa più sbiadito e assai più spazio invece è concesso alle eroine pagane, nelle quali assistiamo all’attribuzione di qualità non assimilabili agli ordini della societas christiana29

.

Secondo Ferretti un altro aspetto fondamentale del poema è quello che concerne appunto la conversione delle tre pagane (l'amante Erminia, la seduttrice Armida, l'onesta Clorinda) e consiste in una significativa asimmetria tra alterità religiosa e alterità sessuale, sia pure limitata al rango eroico. Al temine del proprio percorso nel poema, tanto Armida quanto Clorinda non sono semplicemente vinte, ma convertite, convinte della superiorità del trionfante messaggio cristiano. La parabola di Erminia, sebbene meno esplicita nella sua conclusione, mostra una simile progressiva rinuncia alle proprie prerogative che approda in una passiva accettazione degli eventi.

29

G. PICCO, “Or s’indora ed or verdeggia”, Il ritratto femminile dalla “Liberata” alla “Conquistata”, Firenze, Le Lettere, 1996, p. 23.

(20)

2.3 Lettera sul matrimonio

Altra operetta minore che ancora una volta sembra metterci di fronte a una filoginia o molto ambigua o addirittura simulata, mirata a produrre una costruzione di un’immagine che, condivisa, aumenta il potere dell’ideologia e dei soggetti che l’hanno prodotta, è la lettera sul matrimonio30 del 1585, indirizzata al cugino Ercole e composta negli anni della reclusione di Sant’Anna, che offre un’importante testimonianza della varietà degli interessi e degli studi dell’autore durante la prigionia.

Nei sette lunghi anni di prigionia Tasso perde assieme alla libertà “fisica” anche la sua autonomia progettuale, e gli stimoli alla scrittura, che pure approdano a una produzione cospicua di dialoghi, rime, discorsi e lettere,31 diventano ancora più strettamente riconducibili all’”occasione”. Dunque non c’è da stupirsi del fatto che la produzione di questi anni sia riconducibile soprattutto alle forme della supplica o dell’omaggio cortese rivolte ad amici e parenti, tanto che Tasso, stretto dal bisogno, parla della sua attività poetica come dell’unica <<moneta che gli rimane da spendere>>.32

Per questo, è possibile pensare che la notizia delle nozze del cugino bergamasco di terzo grado Ercole con Lelia Agosti fosse un’occasione più che propizia per ricercare la “benevolenza” dei due novelli sposi. È così che all’ autore gli si offre lo spunto per rispondere, con un intervento in favore delle donne e dunque del matrimonio, ad uno scritto intessuto da posizioni misogine, in cui il cugino si dichiarava contrario al matrimonio e alle donne e che tra l’altro gli aveva fatto pervenire qualche mese prima del proprio matrimonio.

30

C. Guasti, Le Lettere di Torquato Tasso, vol. II, Firenze, Felice Le Monnier, 1854, p. 402- 420. 31

Solo le lettere scritte da Sant’Anna sono più di 500. 32

(21)

Questa è l’origine della <<piacevole contesa tra i due moderni Tassi>>che più tardi, nel 1593, porterà alla pubblicazione di una edizione congiunta dei due testi intitolata Dello

ammogliarsi; piacevole contesa fra i due moderni Tassi, Hercole cioè, et Torqato, gentiluomini bergamaschi.

La lettera in lode del matrimonio è impreziosita da citazioni, che l’autore ricava da fonti classiche, proprio con l’intento di conferire maggiore “letterarietà” alla lettera, tanto che Solerti parla di un’opera <<molto erudita invero mancante d’affetto>>33

.

D’altra parte anche Ercole Tasso nel suo discorso ricorse all’ampio ventaglio di

auctoritates, per buona parte classiche, ma per sottolineare la malvagità delle donne e

con l’intento di mettere l’uomo in guardia, al punto di evitare il matrimonio, e addirittura di farlo stare alla larga dal sesso femminile.

A queste ultime affermazioni la risposta di Tasso al cugino risulta sobria, già a partire dalla dichiarazione iniziale con la quale chiarisce l’intento della sua lettera:

[...] niuna cosa intendo di scemare de la vostra reputazione, ma di scoprir affetto contrario a quello che vi moveva in quel punto a scrivere con tanto sdegno; il quale ora dee essere in amor convertito.34

La volontà di Tasso è semmai quella di aggiungere degli argomenti che servano ad integrare lo scritto di Ercole, facendo una sorta di <<innesto amichevole>> delle due <<contrarie opinioni>>. Per spiegare il suo intento, l’autore si serve di una similitudine dal forte impatto visivo, di un giardino dove:

33

Solerti, Vita di T. Tasso, cit., I pp.404-405 34

(22)

sì come ne l’arbore medesimo i peri ch’invecchiano sono congiunti con nuovi peri, e ‘l pomo dal pomo e’l fico dal fico e la vite da la vite riceve la vita, così dovrà prenderla dal vostro il mio ragionamento, e darla vicendevolmente.35

Dunque la sua volontà non è certo quella di screditare il cugino, quanto piuttosto quella di indurlo a ricredersi delle proprie posizioni misogine.

La parte iniziale della lettera è un susseguirsi incalzante delle auctoritates, citate da Ercole e riprese da Tasso, principalmente Talete, che Tasso ripropone attraverso un confronto con Solone:

Dirò dunque che l’autorità di Talete, da la quale ebbero origine que’ filosofi che furono domandati ionici, non è maggiore di quella di Solone, che diede leggi a al più dotta città de la Grecia […]. Ma Solone ebbe moglie e figliuoli.36

Nella lettera sul matrimonio emerge quella che costituisce principalmente una tesi specifica secondo cui la donna non è affatto un essere maligno, ma ha potenzialmente vizi e virtù connaturati, proprio come avviene nell’uomo: sta ai singoli, indipendentemente dal sesso, saper esercitare al meglio le proprie potenzialità.

Questa non è certo una tesi nuova, poiché già sentita nel Discorso della virtù femminile

e donnesca dove l’autore difende la donna con motivi e temi che ripropone attraverso

delle “costanti” nella lettera sul matrimonio come l’unione dell’anima col corpo secondo un giudizio cristiano di “perfezione”. Questa prospettiva esercita una funzione di <<specchio>> fedele di una “bellezza” interiore ed esteriore in modo che l’occhio umano sia in grado di coglierle entrambe37.

35 Op., cit., p.405. 36

Op. cit., p. 406 37

Cfr. Lettera sul matrimonio Consolatoria all’Albizi a cura di Valentina Salmaso, Editrice Antenore Roma-Padova MMVII, p. XXIV.

(23)

Tema questo che ricorre nell’esaltazione della virtù della moglie:

perché la castità è bellezza dell’animo, è ragionevole ch’un’anima bella alberghi in un bel corpo: la beltà che si vede ne i sembianti non è altro che lo splendore de l’anima vittoriosa […]. Anzi, sì come l’iride è segno de la vittoria del sole, in quel modo istesso la grazia è certo argomento di quella de l’anima.38

Con queste sentenze Tasso si riallaccia al sincretismo platonico – cristiano, e lo ripropone nell’ultima parte della lettera:

Ma per peraventura abbiamo dato al matrimonio troppo basso e troppo umile principio, avegna che la sua origine sia più alta e quasi celeste, e cominci a l’ora che l’anima si sposa al corpo.39 Oltre all’amore coniugale e alla virtù femminile viene riproposto il motivo dell’istituto

familiare.

Per descrivere poi il ruolo del matrimonio inteso come forma di organizzazione sociale, subordinata agli interessi familiari e patrimoniali, Tasso si riallaccia al modello filosofico di Senofonte per sottolineare come si assegnano compiti distinti all’uomo e alla donna:

si conviene a la saggia madre di famiglia conservar al coperto quelle cose che fuori dal marito sono acquistate.40

La centralità della famiglia/matrimonio si coglie nel passaggio, alla fine del Cinquecento, dalla questione sull’opportunità di prendere moglie al riconoscimento della necessità di prendere moglie, facendo così prevalere l’interesse familiare e di qui

38 Op. cit., p. 407 39 Op. cit., p.420 40 Op. cit. p. 406.

(24)

di qui l’importanza del matrimonio non solo per generare, ma soprattutto come forma di ordine e garanzia di status.

Interrogati da questo punto di vista i personaggi della Liberata, gli unici incaricati di rappresentare l’importanza assunta dal matrimonio sono Gildippe e Odoardo.

I due sposi incarnano perfettamente l’ideale del matrimonio come enunciato da San Paolo, <<duo in carne una>>. Uomo e donna sono sposi in quanto partecipi dello stesso destino e uniti da un vincolo di “forma” e “materia” che caratterizza la natura umana:

[…] madre universale di tutte le cose, de la quale noi intendiamo; e questa vuole conservare le specie eterne egualmente ne gli uomini e ne le donne, e dipinge il grembo de la materia de le forme, che sono ragioni ne l’anima e idee ne l’intelletto divino, come esecutrice de la divina provvidenza, la qual ha l’istessa cura de la femina che del maschio.

Non è dunque la donna oltre il proponimento de la natura universale, né per accidente è posto ch’ella fosse men perfetta de l’uomo; non deve esser da lui separata, perché si dividerebbe l’anima dal corpo per l’istessa ragione, e ne’ composti l’un da l’altro elemento […]41

In queste sentenze, all’esaltazione dell’amore coniugale, si aggiunge l’elogio del gentil sesso e dell’amore inteso in accezione neoplatonica, come “forma” dell’armonia universale.

Gildippe e Odoardo, la coppia indissolubile di <<amanti e sposi>>, di conseguenza, rappresenta l’eccezione che conferma la regola di quella «situazione di solitudine, di abissale lontananza fra uomo e donna nella stessa vicenda d'amore» che caratterizza il poema42.

La solitudine nella Liberata è un tema morale comune ai personaggi di entrambi i sessi e religioni, sia pagane che cristiane.

41 Op. cit. p.413

(25)

C’è un passo della lettera sul matrimonio che si sofferma sulla solitudine degli uomini e delle donne:

perciochè la famiglia e la cittadinanza non è composta d’uomini solamente, ma d’uomini e di donne, anzi si trovarono de le città e de regni fatti di donne solamente, come fu quello de le Amazzone, ma imperio d’uomini senza donne non si trovò giammai.

Le Amazzoni costituiscono una comunità che è l’esatto rovesciamento della tradizionale struttura della città. Sono donne che vivono senza la protezione e la guida degli uomini, che non restano chiuse in casa a filare ma si dedicano ad attività all’esterno quali, la guerra, ma anche la caccia, il governo dello stato (tutte tradizionali prerogative maschili), insomma le Amazzoni rappresentano l’antitesi della donna comune.

Poche sentenze più avanti, Tasso addirittura ribadisce che la donna ha minore necessità dell’altra metà della specie umana, in quanto più “perfetta” in sé, meno bisognosa di completamento da parte dell’altro sesso. Questa è una delle sue tesi utili a sostenere l’elogio del sesso femminile, confutando le denigrazioni del cugino.

Più avanti Tasso ricorre al pensiero di Ierocle per sottolineare la necessità del matrimonio:

[…] egli vuole che tutto il nostro lignaggio sia nato per la compagnia, e che la prima e principal si faccia per le nozze, perché le città non possono esser senza le famiglie, e le famiglie de’ non maritati sono manchevoli; […]

Dunque il <<prender moglie>> costituisce l’unica alternativa alla <<vita solitaria>>. A tal proposito Daniela Frigo individua nella centralità assegnata al matrimonio, alla tutela dell’onorabilità della famiglia e della certezza della discendenza un elemento chiave per spiegare la perdurante dipendenza della donna e la preoccupazione di

(26)

educarla. L’autorità del marito è un principio che va difeso ad ogni costo, perché solo questo dominio assicura un efficace antidoto all’inversione dei ruoli sessuali, che tanta paura suscitava nel periodo.

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