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Capitolo III
La colpa medica alla luce della
riforma Balduzzi
Sommario
I. Motivi che hanno portato alla riforma, II. Analisi dell’art. 3 della l. 189/2012,
a. Parziale abolitio criminis, III. Analisi da parte della dottrina,
a. Posizioni critiche,
a.1. Critiche al riferimento normativo alle “linee guida e buone pratiche”,
a.2. Critiche all’introduzione della “colpa grave”,
b. Posizioni a favore della riforma, IV. Prime applicazioni giurisprudenziali,
a. Pronunce di diritto intertemporale, a.1. Sentenze successive,
b. Questione di illegittimità costituzionale, c. Sviluppi giurisprudenziali,
V. Riflessi dottrinali,
VI. Riflessi dell’art. 3 su aspetti extra-penali, a. Riflessi sulla responsabilità medica civile, b. Riflessi sulla medicina difensiva,
2 I. Motivi che hanno portato alla riforma.
Il malcontento espresso dalla classe medica ha portato il legislatore ad un intervento di riforma volto ad introdurre una norma che potesse ridurre, da un lato, la portata della medicina difensiva che, come visto in precedenza, aumenta i costi di un servizio sanitario nazionale che non possiede risorse illimitate, dall’altro, l’enorme mole del contenzioso giudiziario – a cui sono sottoposti i medici – con il parziale abbandono del processo penale, per altre forme sanzionatorie.
Dopo vari tentativi di incidere sulla disciplina della colpa medica si è giunti, nel 2012, ad una riforma avvenuta con la cosiddetta legge Balduzzi – la n° 189/2012 – intitolata: “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”.
La predetta legge non concerne solo la colpa medica, ma effettua una riforma organica della sanità, per cercare di rendere più virtuoso il sistema sanitario nazionale; i punti toccati sono: la razionalizzazione dell’attività assistenziale e sanitaria, la promozione di corretti stili di vita e riduzione dei rischi sanitari connessi all’alimentazione e alle emergenze veterinarie ed infine, dei farmaci e del servizio farmaceutico.
L’intento del legislatore con l’art. 3 – che si occupa della responsabilità medica e che sarà l’oggetto di questa trattazione – è stato quello di ridurre la tendenza a ricorrere
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alla medicina difensiva, attraverso l’introduzione di un’esenzione della responsabilità penale, per colpa lieve, in caso di un comportamento conforme alle linee guida e buone pratiche.
In questo modo, si intende potenziare un ulteriore aspetto che fino ad ora non abbiamo toccato, ma che merita un accenno: il ricorso, da parte del medico, alle polizze assicurative.
In particolare l’art. 3 c.5 del d.l. 138/2011 che sancisce l’obbligo per i liberi professionisti, a tutela della propria clientela, di stipulare le assicurazioni per i rischi connessi all’esercizio della professione, non è applicato al settore medico, soprattutto per quelle categorie di sanitari che sono più esposti al rischio di citazione in giudizio per i propri errori (ortopedici, anestesisti, ginecologi, ecc…).
Questa disparità di trattamento potrebbe ingenerare nei sanitari, che sono più esposti a tale rischio, un’ulteriore espansione di atti difensivi, inficiando la garanzia di una tutela piena ed effettiva della salute dei cittadini e aumentando i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Le aziende ospedaliere, dal canto loro, hanno una propria tutela assicurativa, che è limitata alle sole ipotesi di responsabilità civile derivante da colpa lieve, con esclusione delle ipotesi di colpa grave e del dolo, cui devono provvedere i medici singolarmente.
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Per garantire che i pazienti siano comunque risarciti, al c. 2 dell’art. 3 della legge in esame, si prevede l’istituzione di un fondo appositamente costituito, finanziato dai contributi dei professionisti e dalle imprese assicuratrici per un valore non superiore al 4% dello stesso.
Un cenno merita anche l’art. 4 della legge in oggetto, che si occupa della dirigenza sanitaria e del governo delle attività cliniche, il cui scopo è quello di riequilibrare il rapporto tra l’indirizzo politico e la gestione delle aziende sanitarie, attraverso l’introduzione di criteri precisi per la nomina dei dirigenti di un’azienda ospedaliera o sanitaria.
II. Analisi dell’art. 3 della l. 189/2012.
L’art. 3 prevede testualmente: “L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.
2. Con decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, (( da emanare entro il 30 giugno 2013)), su proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri dello
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sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sentite l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), (( la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonchè )) le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, anche in attuazione dell'articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, al fine di agevolare l'accesso alla copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie, sono disciplinati le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l'idoneità dei relativi contratti, in conformità ai seguenti criteri: a) determinare i casi nei quali, sulla base di definite categorie di rischio professionale, prevedere l'obbligo, in capo ad un fondo appositamente costituito, di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie. Il fondo viene finanziato dal contributo dei professionisti che ne facciano espressa richiesta ((, in misura definita in sede di contrattazione collettiva, )) e da un ulteriore contributo a carico delle imprese autorizzate
all'esercizio dell'assicurazione per danni derivanti
dall'attività medico-professionale, determinato in misura percentuale ai premi incassati nel precedente esercizio, comunque non superiore al 4 per cento del premio stesso, con provvedimento adottato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e il
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Ministro dell'economia e delle finanze, sentite (( la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonche' )) le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie; b) determinare il soggetto gestore del Fondo di cui alla lettera a) e le sue competenze senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; c) prevedere che i contratti di assicurazione debbano essere stipulati anche in base a condizioni che dispongano alla scadenza la variazione in aumento o in diminuzione del premio in relazione al verificarsi o meno di sinistri e subordinare comunque la disdetta della polizza alla reiterazione di una condotta colposa da parte del sanitario (( accertata con sentenza definitiva )).
3. Il danno biologico conseguente all'attivita' dell'esercente della professione sanitaria e' risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo.
4. Per i contenuti e le procedure inerenti ai contratti assicurativi per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale resa nell'ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto di convenzione, il decreto di cui al comma 2 viene adottato sentita altresì la Conferenza
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permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Resta comunque esclusa a carico degli enti del Servizio sanitario nazionale ogni copertura assicurativa della responsabilità civile ulteriore rispetto a quella prevista, per il relativo personale, dalla normativa contrattuale vigente.
5. Gli albi dei consulenti tecnici d'ufficio di cui all'articolo 13 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, recante disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, devono essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico legale, una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria anche con il coinvolgimento delle società scientifiche, (( tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento )).
6. Dall'applicazione del presente articolo non ((devono derivare)) nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”
La nostra attenzione – che riguarderà l’intera trattazione – si focalizzerà soprattutto sul primo comma.
Fin da subito tale previsione ha destato molte polemiche – di cui parleremo approfonditamente più avanti – in dottrina e giurisprudenza, perché contiene un criterio generale di accertamento della colpa medica, modificando di fatto
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l’assetto normativo dell’art. 43 3° c, introducendo un criterio he affina la colpa.
Da una prima lettura, la norma non sembra però risolvere i problemi che erano già presenti prima dell’entrata in vigore della legge, perché gli elementi costitutivi – il rispetto delle linee guida e buone pratiche come criterio di delimitazione della responsabilità penale e la distinzione tra la colpa grave e lieve – non sono in grado di dare soddisfazione sul piano giudiziario, non fornendo al giudice strumenti certi da utilizzare durante l’accertamento della responsabilità.
Tutto ciò è avvalorato dal fatto che nell’originaria formulazione1 del decreto legge il primo comma dell’art. 3 si presentava così: “Fermo restando il disposto dell’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale ”.
Nella stesura iniziale, l’art. 3 1° c incideva solo sui profili civilistici della colpa medica ed aveva lo scopo di contenere gli eccessi nella liquidazione del risarcimento dei danni derivanti dalla responsabilità del medico, ma nel testo finale si cerca di perseguire da un lato, il raggiungimento della
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depenalizzazione generalizzata dell’intero settore della colpa penale, dall’altro, la rimodulazione del contesto della responsabilità civile del medico.
Sotto quest’ultimo profilo, si cerca di rendere “predeterminabile” il quantum del risarcimento che viene considerato un costo del sistema da razionalizzare, anche, per le ripercussioni assicurative, cui abbiamo accennato in precedenza.
Il nuovo art. 3 1°c rischia di essere contrastante con l’art. 117 1°c Cost.2 in riferimento all’art. 2 della Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo che prevede, in caso di morte di un individuo, che lo Stato membro imponga un processo penale, perché è l’unico in grado di compiere accertamenti tecnici particolarmente complessi in chiave probatoria.
Per effetto della nuova norma può accadere che, per la morte colposa di un paziente, si operi solo sul piano civilistico perché la colpa dell’imputato è ritenuta lieve.
Procedere solo sul versante civilistico, non assicura la semplicità dell’accertamento tecnico sull’illiceità della condotta anzi, a ben vedere, è proprio il contrario: la semplicità dell’accertamento si ha quando la condotta tenuta dall’agente concreto è grossolanamente distante da quella che avrebbe dovuto tenere l’agente modello. “Il rapporto tra
2 Che prevede testualmente “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”
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colpa e accertamento della stessa sul piano probatorio sembrerebbe quindi essere di proporzionalità inversa: maggiore è il grado di colpa, minore sarà, con le dovute eccezioni, la difficoltò di accertamento dell’illiceità della
condotta.”3
Per evitare condanne da parte della Corte di Giustizia Europea sarebbe opportuno introdurre, all’interno dei processi civili instaurati per la morte di un soggetto per colpa lieve, una norma che preveda l’accertamento tecnico sul fatto a spese dello Stato.
a. Parziale abolitio criminis.
È necessario soffermarci su un aspetto interessante inserito con la nuova norma: la parziale abolitio criminis per i reati commessi con colpa lieve dal medico che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
L’abolitio criminis, prevista dall’art. 2 c.2 c.p., concerne l’abolizione delle precedenti incriminazioni e comporta la cessazione dell’esecuzione della condanna e degli effetti penali.
La ratio di questa norma è riscontrabile nel principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. perché il bene della libertà
3Opinione citata da P.F. Poli, “Legge Balduzzi tra problemi aperti e possibili soluzioni interpretative: alcune considerazioni” tratto dal sito www.penalecontemporaneo.it
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personale deve essere valutato in una dimensione attuale: la pena infatti, manifesta il suo contenuto afflittivo durante l’applicazione ed esecuzione e non sarebbe giustificabile l’ingresso in carcere di un soggetto affinché questo sconti la pena per un fatto che un altro individuo è libero di realizzare. Questo istituto non è applicabile a tutte le nuove norme, ma solo a quelle integratrici della norma incriminatrice, perché contribuiscono a descrivere il precetto penale incompleto, incidendo sulla fisionomia della fattispecie legale.
La nuova norma, che rientra nelle norme integratrici, ha parzialmente abrogato le fattispecie colpose commesse dagli esercenti le professioni sanitarie, connotate da colpa lieve, che si collocano all’interno dell’osservanza delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. La nuova definizione di colpa, che troverà applicazione nell’ipotesi appena descritta, risulterà dal combinato disposto dell’art. 3 1°c della legge Balduzzi e dell’art. 43 3°c c.p. Da un punto di vista formale, questa nuova definizione ritaglia sotto-fattispecie speciali che danno rilevanza penale ai soli fatti commessi con colpa grave, comportando una abolitio criminis per i fatti commessi con colpa lieve; mentre, da un punto di vista sostanziale, emerge una chiara scelta politico-criminale: sanzionare penalmente l’illecito colposo del
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medico solo nei casi di colpa grave, facendo rilevare solo sul piano civile gli illeciti colposi commessi con colpa lieve. 4
III. Analisi da parte della dottrina. a. Posizioni critiche.
La dottrina maggioritaria5 ha valutato negativamente l’intervento di riforma.
Le critiche sull’intero articolo riguardano due aspetti in particolare:
- Da un lato vi è il non rispetto del principio di uguaglianza sostanziale: il limite della colpa lieve è introdotto solo per gli operatori sanitari, a differenza dell’art. 2236 c.c. che invece si occupa della colpa grave – per prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà –trovando applicazione in riferimento a qualunque prestatore d’opera.
4G. L. Gatta “Colpa medica e art. 3 co. 1 d.l. n. 158/2012: affermata dalla Cassazione l’abolitio criminis (parziale) per i reati commessi con colpa lieve”
5 In particolare gli autori P. Piras in “In culpa sine culpa”; C. Brusco “Linee guida, protocolli e regole deontologiche. Le modifiche introdotte dal c.d. decreto
Balduzzi”; G. Civello “Responsabilità medica e rispetto delle “linee guida”, tra colpa grave e colpa lieve (La nuova disposizione del “decreto sanità”)”
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Si ritiene che la scelta di escludere la rilevanza penale della colpa lieve solo in riferimento agli operatori sanitari violi il principio di uguaglianza sostanziale, perché l’attività medica è sì rischiosa, ma non l’unica in grado di legittimare questa eccezione (si pensi ad es. l’attività di vigilanza sugli schermi radar di una torre di controllo).
Quest’area di privilegio rischia di non trovare giustificazione anche sotto un altro punto di vista:
l’esonero della responsabilità è subordinato
all’osservanza di linee guida e buone pratiche che possono occuparsi anche di regole di diligenza e/o prudenza, e non solo di perizia, potendo trovare applicazione anche in assenza di prestazioni che implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
- Dall’altro lato, la norma è inficiata da un alto tasso di indeterminatezza perché, per un verso, non fornisce i parametri di giudizio alla cui stregua valutare i crismi di “scientificità” delle linee guida e delle buone pratiche, per l’altro verso, non indica i criteri per ricostruire il concetto di colpa grave – che oscilla così tra la dimensione oggettiva e soggettiva della colpa. Alcuni autori6 hanno osservato che non vi è accenno,
all’interno della norma, ad alcuni aspetti della responsabilità
6 A. Roiati in “Linee guida, buone pratiche e colpa grave: vera riforma o mero placebo?” tratto dal portale IUS EXPLORER
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medica che, in passato, avevano cambiato lo scenario della stessa: la responsabilità plurisoggettiva e per carenze strutturali e di organizzazione.
Questa scelta sembra riconducibile all’urgenza che ha caratterizzato l’entrata in vigore della norma, che ha spinto il legislatore ad occuparsi solo del rapporto tra il singolo medico e il paziente.
a.1. Critiche al riferimento normativo alle “linee guida e buone pratiche”.
Come già ampiamente visto nel capitolo precedente, le linee guida sono delle raccomandazioni (che descrivono i passaggi di qualsiasi pratica medica) cui il medico deve attenersi durante lo svolgimento dell’attività, perché lo aiutino nella scelta delle cure da applicare al paziente.
Nel dibattito antecedente la nuova legge si è discusso molto sull’utilizzo delle linee guida all’interno dei procedimenti per la responsabilità colposa dei medici.
Si è sostenuto che potessero assumere il ruolo di regole cautelari ma questa tesi è stata abbandonata, in virtù di un’attenta analisi del sistema che ruota intorno a questi strumenti, perché non vi è certezza sull’indipendenza del soggetto emanante, né un controllo sul reale scopo perseguito
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(le linee guida infatti, non sono sempre scritte guardando alla tutela della salute del paziente).
Si è giunti a sostenere, in modo pacifico tra gli autori che, all’interno dell’accertamento della responsabilità, le linee guida costituiscono uno strumento che va ad aggiungersi agli altri elementi e specificità del caso.
Il legislatore non ha tenuto conto, da un lato, che le linee guida hanno come scopo quello di migliorare la qualità delle cure del paziente e non hanno la funzione di scriminare la responsabilità del medico, dall’altro, delle critiche che erano state espresse e, dall’art. 3 1° c legge Balduzzi emerge una chiara scelta, frutto di una precisa scelta politico criminale: le linee guida hanno assunto il ruolo di regole cautelari, il cui rispetto delimita la responsabilità penale per colpa lieve, riaprendo la strada ad un processo che si era avviato qualche anno fa: quello della “standardizzazione” delle regole cautelari.
Il senso della norma è quello di adeguarsi a ciò che è stato fatto in altri settori dell’ordinamento in cui è presente il rischio lecito: cercare di sottrarre la colpa medica ai criteri della colpa generica, per avvicinarsi alle valutazioni tipiche della colpa specifica.
Questa scelta legislativa non è stata apprezzata perché le linee guida non possono essere identificate nel concetto di regole cautelari, non avendone le caratteristiche (non sono scritte con
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termini precisi e non sono in grado di predeterminare il comportamento da tenere per evitare un evento avverso). Gli elementi di specificazione che accompagnano le linee guida, “buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”, non aiutano l’interprete a concludere il processo della standardizzazione.
Sul termine “buone pratiche” si sono avute varie interpretazioni: secondo alcuni autori7 si vuole fare riferimento ai protocolli medici (in virtù anche dell’uso indifferenziato ed alternativo delle linee guida e dei protocolli avvenuto anche in passato). Questa tesi però è stata abbandonata perché i protocolli sono strumenti più rigidi rispetto alle linee guida, che devono essere adottati testualmente dai medici durante l’iter terapeutico. Secondo altri autori8 le buone pratiche costituiscono la concreta
attuazione delle linee guida o di procedure non previste dalle stesse, ma comunemente applicate e di cui sia riconosciuta l’efficacia terapeutica per il paziente.
A differenza delle linee guida però le buone pratiche, a livello processuale, forniscono una maggiore libertà, per i periti ed i consulenti, nella ricostruzione delle regole utilizzate dal medico sottoposto a giudizio.
7 In particolare l’autore Giunta F., “Protocolli medici e colpa penale”; Roiati A., “Linee guida, buone pratiche e colpa grave”
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L’espressione “accreditate dalla comunità scientifica” fa riferimento a quelle linee guida e buone pratiche utilizzate pacificamente dalla comunità medica.
Ancora una volta si è persa l’occasione per esprimersi – in modo inequivoco – sui soggetti che possono emanare le linee guida e sulla validità, all’interno dei procedimenti, delle linee guida che non hanno una finalità di miglioramento della salute.
Anche questo criterio non garantisce certezza a livello processuale perché spetta al giudice – che non ne ha le competenze – stabilire se le linee guida e buone pratiche utilizzate siano accreditate dalla comunità. Si corre il rischio di vedere esclusa la responsabilità per quei medici che utilizzano questi strumenti senza un’analitica verifica dell’accreditamento all’interno della comunità.
L’osservanza delle linee guida non esaurisce l’ambito di operatività del medico infatti, accade spesso che in una certa situazione egli si trovi dinanzi a linee guida e/o buone pratiche che non sono in grado di evitare un determinato evento lesivo, costringendolo così a far ricorso ad ulteriori regole – non necessariamente codificate – e potrà essere chiamato a rispondere per colpa generica.
Ecco dunque, un ulteriore elemento che fa rientrare la violazione delle linee guida all’interno della colpa generica,
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che si sviluppa negli atteggiamenti di negligenza, imprudenza ed imperizia dell’agente.
A questo punto è necessario chiedersi se l’art. 3 1°c legge Balduzzi si limiti alla sola imperizia oppure si estenda alla negligenza ed imprudenza.
Nel testo originario si faceva espresso riferimento all’art. 2236 c.c. e si riteneva – in modo pacifico – che l’ambito del penalmente rilevante si limitasse ai soli casi di imperizia. Col testo entrato in vigore non vi è questo espresso riferimento, ma molti autori ritengono valida la limitazione alla sola imperizia, perché il medico che non è in grado di astenersi dall’applicare o discostarsi dalle linee guida, senza valutare in modo corretto le circostanze del caso, dimostra di non essere sufficientemente preparato ad affrontare casi più complessi e quindi imperito, per cui potrà essere chiamato a rispondere penalmente per colpa grave.
Nei casi di negligenza e/o imprudenza – che consistono nel
disinteresse e nell’avventatezza nello svolgimento
dell’attività – la non punibilità per colpa lieve non è possibile perché vi è incompatibilità tra i concetti, per cui si farà riferimento alle regole generali in materia di colpa, applicando l’assetto punitivo antecedente la legge.
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Alcuni autori infine, tra cui principalmente Piras9, ritengono
che esista una sorta di “peccato originale”10 all’interno della
norma, perché si ipotizza la colpa nonostante il rispetto delle linee guida.
Più precisamente: i medici che operano seguendo le linee guida agiscono peritamente, senza colpa, anche se devono essere in grado di capire quando disattenderle, infatti non è possibile invocare le linee guida per escludere la responsabilità se il paziente presenta un quadro clinico che impone una condotta diversa da quella prescritta dalle linee guida.11
La nuova norma trova applicazione nei casi in cui il medico non valuta correttamente il quadro clinico e non si discosta dalle linee guida, solo se si ritiene che la colpa che denota il comportamento dell’agente è grave.
Secondo l’autore citato, il rispetto delle linee guida e l’erronea valutazione del caso sono in contraddizione: “le linee guida sono specialistiche, quindi attenersi ad esse presuppone il rispetto delle più elementari regole dell’arte medica, nella cui
violazione consiste invece la colpa grave”12.
9 In “In culpa sine culpa” tratto dal sito “www.penalecontemporaneo.it” 10 Opinione citata da P. Piras “In culpa sine culpa” pag. 2
11 Cass. Pen. Sez. IV, 8254/2010 12 Op. Cit. P. Piras
20 a.2. Critiche all’introduzione della “colpa grave”.
Con la delimitazione della responsabilità alla colpa grave, il legislatore ha cercato di riordinare il giudizio di colpa, rispondendo alle istanze della classe medica che lamentava troppe incertezze interpretative nell’accertamento della colpa. Si è cercato una soluzione che potesse ricondurre la colpa medica ad una dimensione realmente penale attraverso il recupero della “colpevolezza della colpa”13, incidendo sul profilo della rimproverabilità soggettiva della violazione della regola cautelare, riservando la responsabilità penale alle sole ipotesi di evento avverso prodottosi in conseguenza di una colpa caratterizzata da un quid pluris rispetto alla violazione obiettiva della lex artis.
In sede di accertamento della responsabilità, il giudice dovrà confrontarsi con l’esistenza e la conformità delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, per verificare l’eventuale esonero della responsabilità “per colpa lieve”, perché sono gli strumenti che, almeno astrattamente, consentono di riconoscere ex ante il comportamento vietato. Nel richiedere la conformità alle linee guida e buone pratiche, l’art. 3 1° c prevede la possibilità di incorrere in una
13 Opinione citata da A. Roiati in “Linee guida, buone pratiche e colpa grave: vera riforma o mero placebo?” tratto dal portale IUS EXPLORER
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responsabilità per colpa “non lieve” lasciando una notevole discrezionalità al giudice, che – in realtà – si voleva eliminare. Il riferimento normativo alla colpa grave viene criticato sotto molti aspetti:
- Innanzitutto, perché non aggiunge nessun tassello per arrivare ad una definizione di tale concetto.
Nell’ordinamento infatti la colpa grave è utilizzata in vari settori, come quello penale in cui è utilizzata come parametro di graduazione della colpa.14
Nella colpa medica la delimitazione della
responsabilità alla colpa grave, senza un’adeguata definizione da parte del legislatore, rischia di avere gravi ricadute (come è successo in Germania) sul piano
pratico, perché la giurisprudenza può
discrezionalmente stabilire la cornice all’interno della quale applicare la colpa grave, con il rischio di dilatare il concetto fino a ricomprendere ipotesi che rientrerebbero nella colpa lieve15.
- Una seconda questione riguarda il fatto che, nell’art. 3, la colpa grave non è accompagnata da profili di difficoltà tecnica, a differenza invece dell’art. 2236 c.c. in cui la limitazione della responsabilità per colpa grave è legata alla “soluzione di profili tecnici di speciale difficoltà”.
14 In particolare agli articoli 132 e 133 cp.
15 P. Poli in “Legge Balduzzi tra problemi aperti e possibili soluzioni interpretative: alcune considerazioni” tratto dal sito www.penalecontemporaneo.it
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Il rischio è che in futuro, la nuova norma possa essere dichiarata illegittima in violazione degli artt. 3 – che sancisce il principio di uguaglianza e di ragionevolezza – e 32 Cost. – che si occupa del principio della salute – perché non prevede la limitazione della responsabilità colposa in capo al medico, in assenza di profili di speciale difficoltà.
- Un terzo ed ultimo profilo problematico concerne l’esistenza o meno di un’ulteriore tipologia di colpa – mediana o ordinaria – oltre a quella grave e lieve. In dottrina16 si è sostenuto che la colpa lieve è
caratterizzata da una violazione meno intensa dell’obbligo cautelare con annessa prevedibilità in grado minimo dell’evento lesivo, affiancata da un lato dalla colpa ordinaria e dall’altro dalla colpa grave in cui vi è un quid pluris di negligenza, imprudenza ed imperizia rispetto alla condotta tenuta dall’agente modello.
In questo modo, il medico sarebbe escluso dalla responsabilità penale solo se l’evento fosse stato prevedibile e/o evitabile in minimo grado.
Nel nostro ordinamento non sarebbe prospettabile l’esistenza di una colpa grave – già presente da decenni – così come
16 P.F. Poli “Legge Balduzzi tra problemi aperti e possibili soluzioni interpretative: alcune considerazioni”
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prevista nei sistemi anglosassoni, in cui tale concetto è denso di soggettività; in particolare:
- In Inghilterra la distinzione tra la colpa lieve e grave è presente in tutti i settori dell’ordinamento, ma in modo autonomo: in sede penale rileva solo la “gross negligence”, mentre in sede civile rileva anche la colpa lieve.
Nel diritto penale la graduazione della colpa avviene in relazione alla misura di divergenza tra la condotta tenuta e quella doverosa, e non con riferimento allo “stato psichico” dell’agente.
- Nel diritto statunitense invece, si ricorre ad una nozione di colpa che nel settore penale risulta più circoscritta rispetto a quella impiegata in ambito civile. Anche in questo ordinamento è presente la rilevanza della “gross negligence” che viene definita così: “una persona agisce con negligenza rispetto all’elemento materiale del reato allorché dovrebbe essere consapevole del rischio sostanziale ed ingiustificato ricollegabile al suo comportamento. Il rischio deve essere di natura ed entità tale che la sua mancata percezione da parte del soggetto agente, vista la natura ed il fine della sua condotta, nonché le circostanze a lui conosciute, implica una grave deviazione dagli standard di
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diligenza che una persona ragionevole osserverebbe
nelle stesse circostanze.”17
b. Le opinioni favorevoli alla riforma.
Non tutta la dottrina ha criticato la nuova norma.
Secondo alcuni autori18 l’interpretazione dell’art. 3 1°c legge
Balduzzi non può avvenire sulla base del diritto penale classico, ma è necessario adeguare le categorie concettuali utilizzate nell’accertamento della responsabilità, alla realtà che ruota intorno alla materia medica infatti, in questo campo, non si può ragionare come in altri settori del diritto penale, poiché l’attività medica ha delle caratteristiche che richiedono un maggiore sforzo interpretativo delle categorie penali. Le risposte ai punti maggiormente criticati non si sono fatte attendere:
- A chi sostiene che l’art. 3 1°c violi il principio di uguaglianza, attuando una diversità di trattamento irragionevole rispetto ad altri settori di rischio, si controbatte sottolineando le modalità in cui opera il sanitario: situazioni di urgenza, di limitatezza nelle
17Opinione citata da Di Landro, A. “Le novità normative in tema di colpa penale (L.189/2012, C.D. “Balduzzi”). Le indicazioni del diritto comparato” tratto dalla Rivista italiana di medicina legale 2/2013 pagina 838
18O. Di Giovine “In difesa del c.d. decreto Balduzzi (ovvero: perché non è possibile ragionare di medicina come se fosse diritto e di diritto come se fosse matematica)”; D. Pulitanò “Responsabilità medica: letture e valutazioni divergenti del novum legislativo” tratti dal sito www.penalecontemporaneo.it
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risorse, ecc…, nelle quali devono essere prese decisioni indilazionabili.
In particolare, nel nostro campo è la causalità della biologia ad essere incoercibile e a precludere prognosi esatte, al di là della perizia e delle conoscenze dell’operatore. Secondo questa logica viene a sfumarsi anche la distinzione tra l’imprudenza e la negligenza da un lato, e l’imperizia dall’altro, perché nella realtà sono concetti che si sovrappongono.
Sostenere questa distinzione sarebbe possibile solo se si avesse una concezione dell’attività medica come una riflessione teorica da effettuare “a tavolino”, ma fortunatamente ciò non avviene, così la tesi secondo cui l’art. 3 1° c è applicabile solo ai casi di imperizia, non può trovare seguito.
- Sul linee guida non si osservano cambiamenti radicali rispetto al passato.
Esse rientrano nel concetto di discipline richiamate dall’art. 43 c.p. e – come tali – possono essere disattese dal giudice che non le ritenga all’altezza del ruolo di orientamento che dovrebbero svolgere nel giudizio colposo. Nessuna innovazione rispetto al passato, in cui spesso, l’osservanza o inosservanza delle linee guida non era ritenuta fondamentale per accertare la responsabilità.
Le linee guida hanno importanza per la gestione del rischio clinico perché forniscono certezza in un'attività
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come quella medica, che è imperniata da molta incertezza, ma allo stesso tempo, non è sinonimo di eternità, né di vincolo indissolubile verso i destinatari. Esse sono in grado di veicolare ed agevolare la circolazione della conoscenza, soprattutto oggi, in cui il progresso scientifico ha innalzato i livelli di cura, tramite le scoperte scientifiche.
Nell’ampio panorama delle linee guida è necessario effettuare delle selezioni in base alla loro maggior validità ai fini del giudizio penale.
La valutazione sull’attendibilità della singola linea guida spetta al giudice durante il giudizio, con l’ausilio di esperti qualificati. Può accadere infatti, e non deve meravigliare, che possono essere ritenute valide, all’interno di un procedimento, linee guida che siano state elaborate dalla struttura in cui lavora l’imputato, perché sono quelle che meglio rispondono alle esigenze cautelative oppure che tengano conto di esigenze di risparmio – perché le risorse della sanità pubblica devono essere gestite con oculatezza e, in più di un’occasione, la Corte Costituzionale19 ha sancito che
il diritto alla salute è esigibile nella misura in cui le risorse materiali ne consentono l’attuazione.
Per concludere sul punto, si ritiene che il contenuto delle linee guida è idoneo ad assicurare una base
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iniziale di discussione all’interno del processo, orientando il contraddittorio.
- L’introduzione della colpa lieve rischia di non essere accolta positivamente nell’ambito del reato colposo che ad oggi, non è più formato da rigide categorizzazioni ma si è aperto alle esigenze individualizzate.
L’interprete così, non avrebbe spazio per graduare la colpa, che sarebbe presente o meno.
La distinzione tra i gradi della colpa – lieve, mediana/ordinaria e grave – è considerata utile per decidere nelle tante situazioni di notevole complessità in cui venga ravvisata la violazione di una cautela doverosa.
Il giudice – ecco il senso della nuova disposizione – deve “perdonare” gli errori più semplici e che dipendono dalle circostanze concrete in cui si è trovato ad operare il medico, attraverso l’istituto della colpa lieve.
IV. Prime applicazioni giurisprudenziali. a. Pronunce di diritto intertemporale.
Le prime pronunce giurisprudenziali non si sono fatte attendere.
Le prime sentenze in ordine cronologico in cui i giudici si sono trovati a confrontarsi con la nuova norma sono state la
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sentenza Pagano20 a cui è seguita, dopo qualche giorno, la
sentenza Cantore21.
Nella prima sentenza, il giudice di legittimità è stato chiamato a pronunciarsi sulla morte di una neonata a seguito di danni celebrali dovuti ad asfissia durante il parto naturale.
In particolare, nel primo e secondo grado i giudici avevano ritenuto il ginecologo responsabile per omicidio colposo, adducendo motivazioni diverse: in primo grado, infatti avevano accolto le conclusioni del consulente di parte civile che sosteneva che, in base ai risultati degli accertamenti, i danni celebrali che avevano causato la morte della piccola, erano derivati dal parto cesareo e non dalle ultime settimane di gestazione.
La colpa che si rimproverava al medico consisteva nell’aver omesso un costante monitoraggio della madre e nel non aver saputo leggere i tracciati a cui era stata sottoposta la paziente. In secondo grado è stata confermata la condanna.
In Cassazione, i giudici della quarta sezione rigettarono il ricorso perché i profili colposi che venivano rimproverati all’imputato riguardavano profili di negligenza e non si fondavano su un errore colpevole nella formulazione della diagnosi né sulla imperizia dimostrata dal medico.
20 Cass. Pen. Sez IV, 11493/2013 21 Cass. Pen. Sez IV, 16237/2013
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Si è sancito chiaramente che l’art. 3 1° c, non poteva essere invocato perché esso, nel limitare la responsabilità per colpa lieve, opera solo per le condotte professionali conformi alle linee guida, che contengono regole di perizia.22
Con questa prima applicazione si è verificata
un’interpretazione restrittiva della norma, secondo cui il suo ambito di operatività si limita solo ai casi di imperizia.
Qualche giorno dopo, sempre la stessa sezione, si è dovuta pronunciare sulla morte di una paziente deceduta a causa di un’emorragia insorta durante un’operazione.
Era stato proposto un procedimento contro un medico che, durante un intervento di ernia discale recidivante, avvenuto in una clinica privata, aveva leso la vena e l’arteria iliaca. Il chirurgo dispose il trasferimento della paziente presso un nosocomio attrezzato per un intervento vascolare urgente ma, nonostante la tempestività di tale intervento, ella morì per la grave emorragia addominale.
I giudici di primo grado condannarono il medico per una condotta commissiva riguardante l’erronea esecuzione dell’intervento, effettuata in violazione delle regole precauzionali (previste nelle linee guida) che imponevano di non agire in profondità superiore a 3 centimetri e di non procedere ad una pulizia radicale del disco erniario, per
22 Tratto dal sito www.litis.it/2013/03/26/ambito-applicativo-della-limitazione-di- responsabilita-nella-colpa-professionale-medica-cassazione-penale-sentenza-114932013/
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evitare complicanze connesse a lesioni dei vasi addominali adiacenti al campo operatorio.
I giudici dell’appello confermarono la prima sentenza e rilevarono anche un ulteriore profilo colposo consistente nel non aver preventivato la complicanza e per non aver organizzato l’intervento in una clinica attrezzata.
Fu proposto ricorso in Cassazione, ma vi fu annullamento con rinvio proprio in virtù dell’art. 3 1° c perché, secondo i giudici di legittimità, questo caso rientra nell’ipotesi prevista dalla nuova normativa.
Questa sentenza è importante perché segna l’inizio di un dialogo tra la scienza giuridica e la scienza medica: un confronto su alcuni punti critici della normativa, in vista della messa a punto di un modello applicativo.
Sul ruolo delle linee guida i giudici ne hanno ribadito l’importanza come strumenti di indirizzo ed orientamento per il medico durante le sue scelte, ma non possono identificarsi nel concetto di regole cautelari perché non ne hanno le caratteristiche e, conseguentemente, la loro violazione non può configurare ipotesi di colpa specifica.
Secondo tale ragionamento, perde irrilevanza la tesi, sostenuta da alcuni, che ravvisano una contraddizione all’interno della norma – secondo la quale non è possibile sostenere una colpa nonostante il rispetto delle linee guida – perché il medico non è costretto ad un’applicazione forzata
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delle linee guida, ma è libero, in base alle circostanze del caso, di applicarle o disattenderle. Può accadere infatti che il medico applichi le linee guida che invece, in base alle peculiarità concrete, doveva disattendere, oppure commetta errori nella fase di applicazione delle linee guida al caso specifico.
In entrambi i casi la rimproverabilità soggettiva si potrà avere solo se la colpa è non lieve – quando cioè l’errore è abnorme e riconoscibile agli occhi dei colleghi – e si dovrà rapportare agli standard di perizia richiesti dalle linee guida, o dalle informazioni scientifiche di base.
Sulla colpa grave i giudici non condividendo la scelta legislativa nel non definire la “colpa lieve”, hanno cercato di porre rimedio, individuando quattro criteri generali per stabilire il grado della responsabilità. Essi consistono nella “misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente, la motivazione della condotta, la consapevolezza o meno di
tenere una condotta pericolosa (colpa cosciente)”.23
La base di partenza su cui andare ad analizzare l’inadeguatezza del comportamento del medico sarà data non dalle regole basilari dell’attività stessa, ma dagli standard di perizia richiesti dalle linee guida o dalle informazioni
23Opinione citata da C. Brusco “Linee guida, protocolli e regole deontologiche. Le modifiche introdotte dal c.d. decreto Balduzzi” pag. 25
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scientifiche di base: maggiore sarà il distacco dal modello di comportamento, maggiore sarà il grado della colpa.
In caso di adeguamento alle linee guida da parte del medico, la colpa grave, si potrà configurare “solo quando l’erronea
conformazione dell’approccio terapeutico risulti
marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia, al suo sviluppo, alle condizioni del
paziente”24; mentre nel caso in cui il medico avrebbe dovuto
discostarsi dalle linee guida, la colpa grave si avrà “solo quando i riconoscibili fattori che suggerivano l’abbandono delle prassi accreditate assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto
alla peculiare condizione del paziente.”25
Dopo di che i giudici hanno individuato un modello applicativo della norma, che può essere d’aiuto al medico e al giudice.
La prima valutazione che dovrà essere effettuata, avrà ad oggetto la “caratura cautelare”26 delle linee guida e buone
24 Op. Cit. C. Brusco “Linee guida, protocolli e regole deontologiche. Le modifiche introdotte dal c.d. decreto Balduzzi” pag. 25
25 Op. Cit. C. Brusco “Linee guida, protocolli e regole deontologiche. Le modifiche introdotte dal c.d. decreto Balduzzi” pag. 26
26Opinione citata da C. Cupelli, “I limiti di una codificazione terapeutica (a proposito di colpa grave del medico e linee guida) pag.10 tratto dal sito
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pratiche che entrano nel giudizio per poter escludere che abbiano finalità economicistica.
Il passo successivo avrà ad oggetto la verifica della concretizzazione del rischio – se le linee guida violate erano in grado di prevenire l’evento verificato – e il comportamento alternativo lecito – l’effettiva capacità impeditiva dell’evento del comportamento doveroso omesso.
Da questa sentenza emerge quindi, che il medico deve orientare le proprie scelte guardando da un lato, alle circostanze del caso (costituite dall’analisi del quadro clinico e dal dialogo col paziente) e dall’altro alle linee guida e buone pratiche applicabili al caso – che devono essere impiegate solo se sono conformi al caso affrontato.
a.1. Sentenze successive.
A seguito di questa pronuncia molto importante, si sono avute altre due sentenze, di minor rilevanza, che hanno contribuito a far luce su alcuni punti non chiari.
La prima, sentenza Caimi27, ha affrontato il caso di un mortale
morso di zecca: il soggetto ricoverato per una sindrome depressiva, manifestava sintomi derivanti da un’infezione tratta dai morsi di insetti; così venne trasferito in un altro ospedale nel reparto di ematologia e, fin da subito, vi fu il
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sospetto di una rickettziosi (da leggere: richeziosi), ma quando giunsero i risultati che confermarono il sospetto – dopo una settimana – la cura farmacologica non fece effetto ed il paziente morì.
Vennero ritenuti colpevoli i medici per inosservanza delle
linee guida ministeriali che raccomandano la
somministrazione del farmaco specifico in presenza di certi sintomi, senza dover attendere l’esito degli esami di laboratorio.
In questo caso i giudici hanno affermato la responsabilità colposa senza verificare se la colpa fosse lieve o meno. Lo stesso comportamento dei giudici è alla base della sentenza Braga28, in cui è stato ritenuto colpevole il medico che non si è attenuto alle linee guida.
In particolare, il medico è stato condannato, senza approfondire la tipologia di colpa, a seguito di un mortale edema laringeo, formatosi ad un giovane paziente che si era sottoposto a tiroidectomia totale. Dopo l’operazione, si formò l’ematoma e la tumefazione al collo, non si procedette alla laringoscopia ed il paziente decedette a causa di asfissia da edema laringeo.
La ragione per la quale, in entrambi i casi, i giudici si sono comportati in questo modo, discende da una letterale
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interpretazione della norma, secondo cui il giudice, una volta accertata l’inosservanza delle linee guida, deve disinteressarsi del grado della colpa per la commisurazione della pena. Infatti la nuova disposizione si applica ai casi in cui i medici si siano attenuti alle linee guida e alle buone pratiche, mentre, nei casi in cui non si siano attenuti – come avvenuto negli ultimi due casi appena elencati – non rileva l’eventuale colpa lieve, e si dovranno applicare le comuni norme in tema di colpa medica.
b. Questione di illegittimità costituzionale.
In contemporanea con queste pronunce, il Tribunale di Milano29, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 1° c legge Balduzzi perché, nell’escludere la responsabilità per colpa lieve a coloro che si attengono alle linee guida e alle buone pratiche, introdurrebbe “una norma ad professionem delineando un’area di non punibilità riservata esclusivamente a tutti gli operatori sanitari che commettono un qualsiasi reato lievemente colposo nel
rispetto delle linee guida e delle buone prassi”.30
Il giudice di Milano si è trovato ad affrontare un processo a carico di alcuni sanitari di un istituto ortopedico, imputati per
29 Ordinanza 124/2013 30 Ordinanza 124/2013
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il reato di lesioni personali gravi, per colpa generica e per la violazione dell’arte medica.
I principi costituzionali violati sarebbero:
- Artt. 3 e 25 che sanciscono i principi di legalità/tassatività. La violazione si avrebbe in relazione alle locuzioni “non rispondono penalmente per colpa lieve” e “linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”.
La prima evidenzia un dato normativo impreciso ed indeterminato che può portare ad interpretazioni diverse, non superabili con un’attività ermeneutica, considerando inoltre, che il concetto di “colpa lieve” non è accompagnato da una definizione precisa. Fino a quel momento, la colpa lieve (in ambito penale) era solo un grado della colpa, da valutare per la quantificazione della pena.
Con la riforma, il suo ruolo cambia – diventa il limite massimo dell’esimente – ed il legislatore ha il dovere di definirla.
La seconda frase non consente, né al giudice, né ai destinatari della normativa, di determinare i confini dell’esimente, attraverso la specificazione delle fonti, delle autorità titolate a produrle, ecc…
- Artt. 3 e 33 che sanciscono la libertà dell’arte, della scienza e del relativo insegnamento. Per i giudici la nuova norma non avrebbe rispettato questi articoli
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perché l’area di non punibilità è ingiustificatamente premiale per coloro che si adeguano acriticamente alle linee guida e buone pratiche, ed è penalizzante per chi se ne discosta con pari dignità scientifica.
- Principi di ragionevolezza/uguaglianza perché la norma ha effettuato due estensioni: una soggettiva – ampliando i destinatari della norma – non più solo i medici ma tutti coloro che operano nel settore sanitario, l’altra – oggettiva – perché l’esonero della responsabilità penale non si limita ai soli reati contro la persona, ma vale per tutti i reati colposi, ricomprendendo qualsiasi fatto commesso con colpa lieve da ogni operatore sanitario.
In questo modo si verificherebbe una vasta dilatazione della norma, incompatibile con la sua ratio, andando a ricomprendere una vasta serie di ipotesi, così da non trovare una spiegazione dell’esenzione della pena nell’osservanza delle linee guida e delle buone pratiche.
- Art. 28: la nuova norma creerebbe, per i sanitari che operano nelle strutture sanitarie pubbliche, una disparità di trattamento rispetto agli altri dipendenti pubblici che operano anch’essi con gli stessi beni giuridici, ma che non godono del regime della non punibilità per i fatti commessi con colpa lieve.
Questa diversità di trattamento sarebbe in
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cui i funzionari pubblici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti.
- Art. 27: la nuova norma violerebbe il principio della funzione rieducativa della pena.
L’aver depenalizzato la colpa lieve comporta l’impossibilità di punire chi ha cagionato un reato con colpa, rendendo concreto il rischio che la norma cautelare voleva evitare, e conseguentemente, non si rieduca l’autore. 31
La Corte Costituzionale ha respinto la questione di legittimità, dichiarandola “manifestamente inammissibile”, per l’omessa descrizione della fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e per non aver fornito un’adeguata motivazione alla rilevanza della questione.
All’interno del ricorso, il giudice si è limitato ad enunciare i principi costituzionali violati dalla norma, senza specificare se i medici si sono attenuti o meno alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica proprie del contesto di riferimento, così che possa venire effettivamente in rilievo l’applicabilità della norma censurata.
Nell’ordinanza della Corte, si lamenta un ulteriore vizio: il giudice remittente si limita ad indicare la violazione della colpa generica, senza specificare il profilo dell’imperizia. In
31 M. Scoletta in “Rispetto delle linee guida e non punibilità della colpa lieve dell’operatore sanitario: la “norma penale di favore” al giudizio della Corte Costituzionale” tratto dal sito www.penalecontemporaneo.it
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questo modo la Corte avalla la tesi dottrinale e
giurisprudenziale secondo cui “la limitazione di
responsabilità prevista dalla norma censurata viene in rilievo solo in rapporto all’addebito di imperizia, giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia: non, dunque, quando all’esercente la professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della colpa, un
comportamento negligente o imprudente”.32
c. Sviluppi giurisprudenziali.
A seguito della predetta sentenza della Corte Costituzionale, con cui si sono dissipati i dubbi sull’eventuale incostituzionalità della norma, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi nuovamente sul caso Grassini (già
analizzato nel capitolo precedente). Ripercorriamo
brevemente l’excursus giudiziario: era stato imputato il medico per aver dimesso un paziente, ricoverato d’urgenza per un infarto, dopo nove giorni a seguito della sua stabilizzazione. Il giorno successivo alle dimissioni il paziente è morto a seguito di un’insufficienza respiratoria.
In primo grado il medico era stato ritenuto colpevole per non essersi distaccato dalle linee guida alle quali si era attenuto.
32 Gatta G.L., “Colpa medica e linee-guida: manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto Balduzzi sollevata dal Tribunale di Milano”
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In secondo grado il medico è stato assolto perché non vi erano situazioni di rischio tali da sconsigliare il rispetto delle linee guida, visto che il paziente era asintomatico da giorni.
Con la prima pronuncia, la Cassazione ha annullato con rinvio perché non ha ritenuto approfondita la complessiva situazione del paziente, più precisamente: “I giudici del gravame sono arrivati ad una sentenza assolutoria attraverso un iter argomentativo che ha tenuto conto solo della generica presenza delle condizioni astrattamente previste nelle linee guida di settore, della cui incerta presenza e dei cui incerti contenuti si è già detto, ma che ha del tutto omesso di considerare se le specifiche condizioni cliniche del B. consentissero di procedere ad un acceleramento della dimissione, ovvero evidenziassero la necessità di un prolungamento della degenza ospedaliera, superando la
burocratica barriera frapposta dalle linee guida.”33
Il giudice dell’appello decise per una nuova assoluzione del sanitario considerando da un lato, corretta la scelta delle dimissioni, dall’altro sostenendo che, la morte non poteva essere evitata anche se insorgeva in ambiente ospedaliero. La Corte di Cassazione34 ha, per la seconda volta, annullato con rinvio la sentenza di appello, ritenendola non adeguatamente motivata sotto i profili della criticità
33Op. Cit. Di Landro, A. “Le novità normative in tema di colpa penale (L.189/2012, C.D. “Balduzzi”). Le indicazioni del diritto comparato” tratto dalla Rivista italiana di medicina legale 2/2013 pagina 840
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dell’anamnesi e perché non ha ritenuto applicabile la nuova disciplina al caso in esame.
Con questa pronuncia si accolse, ancora una volta, l’indirizzo dottrinale che sostiene che l’ambito di operatività della normativa sopravvenuta sia limitata agli addebiti per imperizia, escludendo gli altri aspetti della colpa generica. In una successiva pronuncia35, la Cassazione si è occupata
della morte di una paziente, a seguito di un intervento di isterectomia per via laparoscopica, durante il quale veniva leso l’uretere con conseguente indebolimento della parete addominale e della funzione renale.
In primo grado erano individuati due profili colposi riguardanti rispettivamente l’erronea sutura vaginale e la mancanza di un controllo post operatorio attraverso una cistoscopia.
In secondo grado per i giudici erano presenti profili colposi solo in relazione all’esecuzione dell’atto chirurgico e all’inidonea gestione dello strumento laparoscopico.
Fu ritenuto inapplicabile l’art. 3 1°c in quanto, la limitazione della responsabilità nei casi di colpa grave, è circoscritta alle prestazioni che hanno speciali difficoltà tecniche che rientrano nell’area della perizia.
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La Cassazione ha annullato la sentenza sia in riferimento all’intervenuta prescrizione, sia in riferimento alle statuizioni civili, rinviando al giudice competente per valore.
La Suprema Corte ha individuato una condotta colposa ed ha ritenuto applicabile la nuova norma al caso di specie perché la condotta contestata attiene alla sfera della perizia, sancendo, inoltre, la non veridicità della limitazione della norma ai casi di speciale difficoltà.
I giudici hanno però precisato, a contrario della sentenza precedente, che se l’ambito di applicazione della norma riguarda la perizia, “non può tuttavia escludersi che le linee guida pongano regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza; come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino più la sfera dell’accuratezza di compiti magari
non particolarmente qualificanti, che quella della
adeguatezza professionale.”36
Un’ulteriore e significativa sentenza37 emessa all’inizio del
2015, riguarda il caso della morte di una paziente che aveva una miocardite, non scoperta, nonostante i sintomi e le alterazioni dell’elettrocardiogramma.
36 Opinione citata da A. Roiati “Prime aperture interpretative a fronte della supposta limitazione della Balduzzi al solo profilo dell’imperizia” pag. 3
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L’imputazione del medico riguardava l’omesso
approfondimento del caso clinico, per la mancanza dell’ecocardiogramma che avrebbe svelato la malattia.
A seguito del giudizio di merito, il medico viene assolto perché, in base alle linee guida seguite durante l’iter – le linee
guida ESC: European Society of Cardiology –
l’ecocardiogramma è un esame di secondo livello, da effettuare in presenza di certi sintomi.
Secondo i giudici non vi erano dati che dovessero indurre il medico ad effettuare questo esame, ma se anche fossero stati presenti, l’omesso ecocardiogramma sarebbe comunque stato riconducibile alla colpa lieve, non penalmente rilevante ex art. 3 1° c legge Balduzzi.
Viene proposto ricorso in Cassazione dalla parte civile, sul presupposto che l’omesso approfondimento diagnostico è una condotta rientrante nei profili della negligenza/imprudenza e non dell’imperizia, così da ritenere inapplicabile l’art. 3 1°c legge Balduzzi.
La Cassazione rigetta il ricorso accogliendo le motivazioni del giudice di merito. Viene fatto presente che la colpa grave si ha quando la necessità di discostarsi dalle linee guida è macroscopica, riconoscibile immediatamente da qualunque altro sanitario al posto dell’agente: situazione che non ricorrerebbe nel caso di specie.
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I giudici hanno ritenuto corretta la condotta del medico e non hanno individuato fattori che avrebbero dovuto far discostare il medico dalle linee guida utilizzate.
Non vi è alcun riferimento alla qualificazione della condotta dell’omesso approfondimento: non è chiaro se essa rientri nell’imperizia, nella negligenza o nell’imprudenza, perché questa distinzione entra in gioco solo quando ci si è attenuti alle linee guida e si aveva il dovere di discostarsi. Questo non è avvenuto nel caso di specie, in cui si è ritenuto corretto e giusto l’attenersi alle linee guida.
V. I riflessi dottrinali.
Sulle pronunce appena analizzate, in dottrina si sono formate posizioni diverse su due aspetti: il primo concerne il reale ambito di applicazione della norma, il secondo, riguarda l’esclusione della tipicità colposa per la colpa lieve.
Alcuni autori38 negano che la norma si limiti alle ipotesi di imperizia per vari motivi:
- Non vi è, analizzando letteralmente la norma, un fattore che distingua le forme della colpa, che viene subordinata esclusivamente all’osservanza delle linee guida;
38 In particolare A. Roiati “Prime aperture interpretative a fronte della supposta limitazione della Balduzzi al solo profilo dell’imperizia”
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- La limitazione viene dedotta solo considerando le linee guida, senza considerare due dati di fondamentale importanza: il riferimento normativo espresso alle linee guida (il cui contenuto non è limitato alla perizia) e il fatto che le linee guida possono avere ad oggetto anche regole improntate alla diligenza.
- La distinzione tra l’imprudenza, l’imperizia e la negligenza avviene sufficientemente a livello teorico, ma meno a livello pratico, dove i concetti non hanno una distinzione netta e spesso, si sovrappongono. Ecco che non è giustificabile questa diversità di trattamento così rilevante, dato che, in più di un’occasione, la giurisprudenza ha accorpato il concetto di imperizia a quello della prudenza o della diligenza.
- Il richiamo all’imperizia risente del dibattito – già analizzato precedentemente – sulla possibilità o meno di estendere al settore penale l’art. 2236 cc.
Questo però non si può avere perché la Corte Costituzionale ha negato l’applicabilità della norma civile all’art. 3 1° c perché non vi è un riferimento ai “problemi di speciale difficoltà”.
Tutto ciò va ad aggiungersi ad un ulteriore aspetto di carattere generale: nella definizione stessa di delitto colposo si contesta la colpa generica e si enunciano le tre forme in cui essa si sviluppa, senza spingersi oltre.
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A contrario, invece, altri autori39 sostengono che la norma sia
applicabile solo ai casi di imperizia, basandosi proprio sul fatto che le linee guida hanno ad oggetto solo regole di perizia, e di conseguenza, attenersi alle linee guida quando non ci si doveva attenere, denota insufficiente capacità professionale, cioè imperizia.
Nelle sentenze analizzate i giudici non danno la definizione delle forme di colpa, ma si limitano ad indicare che il caso esaminato rientri nella negligenza, nell’imprudenza o nell’imperizia.
I giudici però dovrebbero tenere a mente, nei loro ragionamenti, le modalità in cui si estrinsecano le forme di colpa: la negligenza si sviluppa con una condotta omissiva, quando invece si doveva agire, l’imprudenza inerisce ad una condotta attiva, consistente nell’agire quando non si doveva o nell’agire in modo diverso da quello previsto; mentre l’imperizia si può manifestare sia con un’azione, che con un’omissione in contrasto con le regole tecniche.
Al vaglio dei giudici si possono presentare quindi, dei casi di non facile lettura: i casi di omesso approfondimento diagnostico.
Questi casi vengono fatti rientrare nella negligenza perché si ritiene che il paziente sia stato abbandonato a se stesso, ma
39 In particolare P. Piras in “Culpa levis sine imperitia non excusat: il principio si ritrae e giunge la prima assoluzione di legittimità per la legge Balduzzi” tratto dal sito www.penalecontemporaneo.it
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invece siamo all’interno dell’imperizia: il medico che non ha indagato il quadro clinico del paziente dà segno che non è in grado di sapersi confrontare con gli strumenti del proprio lavoro.
Seguendo tale ragionamento, l’articolo 3 1°c viene ulteriormente limitato perché non è applicabile all’intera area dell’imperizia, ma alle sole condotte omissive.
Questo ragionamento però non ha trovato seguito in giurisprudenza, soprattutto dopo l’ultima sentenza analizzata, in cui si “apre” alla possibilità – sempre più sostenuta – che le linee guida possano comprendere anche regole di diligenza. Il giudice quindi, dovrà analizzare le linee guida e le buone pratiche e, in caso di loro osservanza, escludere la colpa grave stando attento, da un lato, a non cadere nelle limitazioni arbitrarie fondate su discutibili operazioni classificatorie sulla prudenza, diligenza e perizia e, dall’altro, al pericolo di configurare regole improntate alla logica del “senno del poi”.
Secondo alcuni autori40 - ed eccoci al secondo punto – non è
da condividere la scelta della Cassazione nella sentenza Cantore. Essi sostengono che se la colpa è tipica solo da un
40 In particolare S. Grosso in “I profili di interesse penalistico del ‘Decreto Balduzzi’ (D.L. n. 158/2012): dal rapporto tra linee guida e colpa grave nell’ambito della responsabilità penale del medico all’introduzione del divieto di vendita di alcolici ai minori”