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1. QUADRO CONOSCITIVO

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Academic year: 2021

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1. QUADRO CONOSCITIVO

1.1 Rapporto con il territorio

Il Castello delle Querce è situato fuori del centro cittadino di Fondi, in una zona pedemontana tra i monti Passignano e Valletonda a circa 110m s.l.m. nella località un tempo nota come Le querce di Cesare. La struttura emerge in un contesto che, fino a pochi anni fa, era prevalentemente legato allo sfruttamento dei campi, mentre a partire dagli anni ’60 fino ad oggi, è divenuto teatro di speculazioni ed abusi edilizi. La più vicina via di comunicazione è rappresentata dalla via Appia che corre più a valle e costituisce l’ingresso principale al comune di Fondi, per chi proviene da sud. Siamo dunque prossimi ad una importante arteria distributiva, il che favorisce il raggiungimento del sito da un considerevole numero di utenti.

Ciò che caratterizza questa costruzione è senza dubbio la conformazione planivolumetrica ad impianto quadrangolare con torri circolari negli angoli e l’aggiunta di un corpo di fabbrica rettangolare, la posizione rialzata rispetto a chi lo raggiunge percorrendo la strada che giunge dalla città, a guisa di un baluardo fortilizio, e la struttura muraria completamente in pietra. L’edificio occupa in pianta una superficie di circa216mq, e raggiunge un’altezza di gronda pari a 11,60m; ad esso afferisce un terreno di 11.593mq che si trova alle sue spalle, sui terrazzamenti creati lungo il pendio della montagna. Lo stato di abbandono in cui verte lo stabile ha fortemente compromesso la qualità dei materiali e la sicurezza statica, ciò ha portato, in alcuni casi, al crollo di porzioni anche considerevoli di solai e partizioni murarie interne.

Ancora di proprietà privata fino a pochi anni fa, il Castello delle Querce è stato acquisito nel 2004 dal Parco dei Monti Aurunci, ente di tutela naturalistica regionale. Il Castello è situato all’esterno dei confini propri dell’area

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dall’analisi della viabilità, la sua posizione è comunque un aspetto positivo, poiché lo rende facilmente accessibile rispetto alle zone più interne dell’area parco e anzi può essere visto come un punto di accesso ad esso per escursioni o visite guidate. Esso va ad aggiungersi alle numerose proprietà dell’Ente dislocate sul territorio, una capillare presenza di punti di riferimento e di servizi più vicini ai centri abitati e quindi adatti a sensibilizzare le persone verso i temi e le attività promulgati dal Parco.

Ad oggi, il manufatto necessita di tempestivi interventi di consolidamento e ricostruzione, a tal proposito, insieme con l’ufficio tecnico del Parco ed in particolar modo con il suo responsabile, sono state individuate le linee guida del progetto di recupero. Nell’ottica di individuare un punto di ingresso al parco è stata valutata l’ipotesi di rifunzionalizzare la struttura, collocandovi un museo naturalistico e faunistico. In questo modo, gli escursionisti che volessero addentrarsi nell’area protetta avrebbero qui un momento di vera e propria formazione sulle specie protette presenti nel parco ed avrebbero utili informazioni per poter assumere un atteggiamento più consapevole durante le loro passeggiate.

La sensibilità verso i temi ambientali, il rispetto per il contesto storico-culturale e la volontà di diffondere le politiche di salvaguardia e tutela del territorio proprie della vocazione di un ente di questo genere, sono alla base dell’idea progettuale sviluppata in tutte le fasi di questo lavoro.

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Fig.1 Aereofotogrammetico dell’area.Scala 1:10000

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1.2 Il Parco dei Monti Aurunci

È il parco più meridionale del sistema delle aree naturali protette del Lazio. Situato a soli pochi chilometri dal mare, è vicino al Parco della Riviera d’Ulisse e, più a sud, al Parco regionale di Roccamonfina in Campania. Si estende per 19.375 ettari di territorio che comprende dieci comuni, quattro in provincia di Frosinone, Ausonia, Esperia, Pico e Pontecorvo e sei in provincia di Latina, Campodimele, Formia, Fondi, Itri, Lenola e Spigno Saturnia. Inoltre l’Ente Parco gestisce due Monumenti Naturali, Mola della Corte Settecannelle Capodacqua nel Comune di Fondi, con una estensione di 4 ettari e Cima del Monte Acquaviva Quercia del Monaco nei comuni di Fondi, Lenola e Vallecorsa, con una estensione di 240 ettari. Il Parco Naturale dei Monti Aurunci vanta un territorio eterogeneo, compreso in una fascia altimetrica che va dalla pianura a circa 30 metri sul livello del mare fino alla quota di 1535 metri sul livello del mare con la cima del Monte Petrella che si erge a poca distanza dalla costa. La catena dei Monti Aurunci possiede un misterioso fascino, segnando la conclusione del più importante sistema montuoso del Preappennino Laziale, di cui fanno parte anche i Monti Lepini e i Monti Ausoni. Gli Aurunci hanno la particolarità di essere l’unica catena montuosa laziale ad affacciarsi direttamente sul Mare Tirreno con vette che superano i 1.500 metri. Il paesaggio, regala scorci di grande suggestione grazie alla molteplicità di visuali offerte, un panorama entrato a far parte dell’immaginario collettivo attraverso uno dei capolavori del cinema neorealista, “La ciociara” firmato da Vittorio De Sica. Non solo De Sica ha attinto alle scenografie naturali offerte dagli Aurunci, ma anche il regista Giuseppe De Santis e scrittori come Tommaso Landolfi. Dalle cime più elevate della catena montuosa si possono scorgere le isole ponziane, il promontorio del Circeo, la Valle del Liri, i Monti del Matese e i Monti dell’Appennino abruzzese. Il territorio dei Monti Aurunci ha subito una

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lenta e graduale trasformazione dovuta alle attività antropiche che hanno modellato il territorio. Basti pensare ad esempio agli interrazzamenti e muri a secco, detti macere, realizzati per la coltivazione di uliveti. La millenaria presenza umana sugli Aurunci è testimoniata ancora meglio dagli antichi monasteri e dai piccoli rifugi, dai resti di dimenticate città e dall’eco di passate leggende che segnano il suo territorio.

Fig.1.2.1 Confini geografici dell’area protetta Parco dei Monti Aurunci.

Lo spirito secondo il quale è nato questo parco naturalistico trova conferme anche nelle operazioni messe in atto verso la tutela del patrimonio artistico e culturale, oltre che verso quello naturalistico. La tutela quindi, più in generale di un territorio, si è concretizzata nella stesura di un programma di interventi strutturali, indirizzati al sostegno dello sviluppo e alla valorizzazione delle risorse locali, che ha già visto l’attivazione di vari siti in diverse aree dei comuni che fanno parte del parco. Il Castello delle Querce è un sito che fa parte del suddetto programma ed è stato questo, uno dei motivi che ha indirizzato la scelta verso questo tema.

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1.3 La ricerca storica

Per comprendere al meglio un organismo architettonico nella sua totalità e complessità, è necessario conoscerlo quanto più ci è possibile, sia nel suo essere un oggetto singolo e particolare, sia in quanto risultato del contesto storico-geografico in cui è nato e nel quale si è evoluto e modificato. Queste basi conoscitive, risultano fondamentali al fine di comprendere le ragioni di determinati aspetti formali, caratteristiche tecniche e tecnologiche, collocazioni spaziali, presenza di eventuali dissesti o ammaloramenti del corpo di fabbrica, nonché punto di partenza per scelte progettuali consapevoli. Lo studio realizzato per il Castello delle Querce, ha avuto come punto di partenza, le informazioni acquisite dall’ente Parco Regionale dei Monti Aurunci, che ne è l’attuale proprietario e successivamente, è andato ampliandosi in ambito storico e territoriale, attraverso: ricerche negli archivi, civili e religiosi, la letteratura storica locale, gli studi sul territorio, le interviste e le testimonianze di storici ed eruditi del luogo. La povertà di documenti riscontrata e causata dalla distruzione di gran parte degli archivi in conseguenza degli eventi bellici, ha fortemente condizionato l'indagine ed in particolar modo la precisa datazione dell'immobile. Per questo motivo è stata condotta, parallelamente, un’analisi più specifica, di tipo tecnico, formale, materico, quindi di lettura e rilievo diretti, secondo i criteri della lettura stratigrafica tipica dell’approccio archeologico.

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1.3.1

Ipotesi sulla datazione e sulle

destinazioni funzionali

La documentazione allegata negli atti di compravendita del bene, avvenuta nel 2004 a favore del Parco dei Monti Aurunci, riporta una relazione storica che colloca il castello nell’ambito dell’architettura fortificata del basso Lazio come fortino difensivo e di avvistamento. L’edificio nascerebbe, secondo le ipotesi formulate, in epoca medioevale per motivi militari, per poi divenire residenza di campagna. Le argomentazioni portate a sostegno di questa tesi sono però esclusivamente legate ad aspetti formali; viene messo in evidenza infatti, come la presenza di un impianto quadrangolare con torrette circolari negli angoli e di strette e lunghe feritoie nella cortina muraria di queste ultime, siano elementi che senza dubbio connotano una costruzione fortilizia. Mancano, tuttavia, testimonianze ufficiali certe e riferimenti a questo sito nei trattati sul sistema difensivo basso laziale sia di epoca medievale che preunitaria. Per poter assumere una posizione basata su considerazioni e studi certi, sono state analizzate le carte dell'incastellamento medievale del Lazio meridionale, stilate grazie al lavoro d'indagine svolto da molti studiosi sul territorio, tra i quali ricordiamo Bascapè e Perogalli (Castelli del Lazio, Milano 1968), Marchetti Longhi (Una passeggiata storica attraverso i castelli del Lazio meridionale, in “Bollettino dell'Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale”, V, 1967-68 pp.99-176), Santoro (Castelli angioini e aragonesi nel Regno di Napoli, Milano 1982), Fiorani (Tecniche costruttive murarie medievali. Il Lazio meridionale, Roma 1996). In questi, e in numerosi altri studi sul territorio, non appare alcun riferimento al Castello delle Querce quale elemento difensivo di un feudo o di un possedimento. Anche nella recente pubblicazione, edita a cura dell’amministrazione provinciale di Latina, frutto del lavoro di ricerca e di osservazione diretta del colonnello F.Sebastio (“Il sentiero delle fortificazioni

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linee difensive del basso Lazio sia costiere che dell’entroterra, non v’è alcuna menzione né al Castello, né al sito dove esso sorge, come di punto di strategico passaggio o difesa del territorio.

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L’edificio non risulta annoverato, neanche come maniero signorile di epoca medioevale, pur riproponendone alcune delle caratteristiche più importanti. I manieri signorili , di cui si hanno diversi esempi nella stessa area, erano edifici destinati alla gestione di terreni ed adatti a brevi o lunghi soggiorni da parte del signorotto locale; l'aspetto era volutamente imponente e fortilizio, per dare il senso e la percezione del potere e del controllo del signore sui suoi territori. Valutando l’ipotesi che si trattasse di una residenza rurale, è stata svolta una ricerca storica per capire in che epoca e con quali caratteristiche si diffusero le residenze di campagna, nel territorio fondano.

Le prime testimonianze di casa rurale, si riferiscono a semplici capanne con struttura il legno e copertura in paglia usate soprattutto nel medioevo, come abitazioni temporanee. Si assiste invece ad una rapida diffusione della casa colonica a partire dalla secondo metà del 1700 e per tutto il 1800. L’elemento che maggiormente influenzò questo fenomeno, fu il nuovo contratto agricolo della mezzadria, introdotto proprio all’inizio del XIX secolo. La mezzadria ha avuto larghissima diffusione sul territorio, facendo leva sulle necessità economiche della popolazione.

Il territorio ha così visto la diffusione di costruzioni realizzate appositamente per ospitare il nucleo familiare dei mezzadri e per dare

ricovero agli animali e agli attrezzi agricoli. Da semplice capanna, la residenza dei contadini, in funzione delle dimensioni del terreno da

coltivare e del numero delle colture, si è sviluppato in senso dimensionale, grazie anche all' introduzione di nuovi sistemi costruttivi, divenendo un casale. L'architetto Renato Stopani, in un articolo del 1979,

parla di tre generazioni di case coloniche indicando tre periodi storici relativi alle fasi fondamentali di sviluppo di questa tipologia abitativa:

"Risale al tre-quattrocento la formazione di una prima "generazione" di edifici rurali "su podere", i cui caratteri erano improntati ad una estrema semplicità. Si trattava di espressioni di architettura primitiva, realizzate dallo stesso contadino secondo tipologie che riflettevano modelli antichissimi. Le prime "case da lavoratore" non di rado erano

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Una seconda generazione di case coloniche, a partire dal XVI è rappresentata da manufatti realizzati da artigiani specializzati (maestri muratori) che, seguendo tradizionali tecniche costruttive, espressero solide costruzioni in muratura le quali andarono a costituire una duratura dotazione del podere aumentandone il valore. Nacquero edifici di forma turrita ma con modesta elevazione, oppure semplici costruzioni a pianta quadrangolare addossate ad un corpo di fabbrica a forma di torre. A partire dalla seconda metà del settecento, sull'onda delle riforme leopoldine, la cultura architettonica fece ingresso nell'edilizia rurale. Ebbe così origine un nuovo tipo di casa colonica (terza generazione), frutto di una progettazione architettonica, mai utilizzata in precedenza. Il nuovo modello di casa colonica si affermerà soprattutto nel secolo successivo (l'ottocento) determinando, con l'effettivo miglioramento dei fabbricati rurali, la diffusione delle costruzioni "progettate". Il casale, così come lo vediamo oggi è il prodotto ultimo di un incessante variazione delle forme nel tempo, avvenuta a seguito del mutare delle funzioni dell'abitare in qualità e quantità.”

Al fine di trovare una documentazione ufficiale, che potesse accreditare o screditare l’ipotesi che il Castello sia stato il frutto della necessità di gestire delle proprietà fondarie, è stata analizzata la situazione catastale storica del luogo.

Il comune di Fondi, in epoca preunitaria, si trovava nella provincia di Caserta e costituiva uno degli ultimi territori a nord del regno delle due Sicilie, verso il confine con lo stato della chiesa. Nel 1740, per volontà di Carlo di Borbone, venne istituito il catasto onciario, che costituiva un censimento di persone e beni al fine di mettere ordine nella situazione demografica e patrimoniale del Regno e provvedere ad una giusta riforma fiscale. Tutto il processo si basava sul sistema delle rivele, ovvero dichiarazioni dei singoli cittadini sulla propria situazione lavorativa, familiare e patrimoniale. Al termine di una fase pubblica di discussione e confronto sulle rivele, i deputati cittadini passavano alla compilazione del catasto. A partire dalla fine del 1700 il governo francese napoleonico, subentrato a quello borbonico, iniziò, anch’esso, una raccolta di informazioni catastali che racchiuse nel “Catasto Provvisorio

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Terreni”, rimasto in vigore fino al 1870 e che comprendeva anche i fabbricati. Realizzato in maniera esclusivamente descrittiva cioè priva di planimetrie, aveva carattere provvisorio poichè legato ad un progetto di più ampio respiro e di ammodernamento del sistema di dazi fiscali che il governo francese si ripromise di integrare con metodi geometrici e particellari. Il restaurato governo borbonico però, non pose seguito a tale intento cosicchè gli unici documenti che attualmente danno testimonianza delle condizioni territoriali della “Terra di lavoro” e dei suoi cambiamenti, sono le “Mutazioni di quota”. Tali archivi notarili, riportano tutti gli atti legati alla proprietà, con trascrizione e riferimenti precisi ai terreni o più in generale ai beni per i quali si istituiva l'atto. Essi costituiscono perciò un notevole serbatoio di informazioni certe e precise, e mancando cartografie storiche di questi luoghi, sono l’unico strumento per ricostruire le vicende che interessarono quest’area del Regno.

Fig.1.3.1.2.Particolare della carta 1:20000 rilevata tra il 1830 e il 1840 dal Reale Officio Topografico di Napoli 1

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Da:Quilici L., Quilici Gigli S.(2007),Architettura pubblica e privata dell’Italia antica, L’Erma di Bretschneider,p.194

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Conservatoria immobiliare del comune di Santa Maria Capua Vetere (CE), è stata

ritrovata l'unica traccia relativa al castello delle querce, oggetto del presente studio. La descrizione relativa alla particella su cui insiste l'attuale corpo di fabbrica, indica che il terreno era destinato inizialmente a colture seminative e agrumeti. Nell'anno 1853 compare però, in aggiunta alla descrizione delle colture, il riferimento ad un fabbricato residenziale insistente sul medesimo terreno. Altre informazioni sul fabbricato si desumono da una documentazione postuma, ritrovata negli archivi notarili, che riporta un provvedimento processuale a carico di un giovanetto fondano e della sua famiglia, cui è contestata la proprietà del Castello. Dal dossier ritrovato, si apprende che la struttura era di proprietà di un parroco locale, il quale dispose, nelle sue volontà testamentarie, che il castello andasse in eredità al giovane garzone che prestava servizio presso di lui.

Ad un’analisi legata agli aspetti tecnologici, costruttivi e all’organizzazione degli spazi interni, sebbene la fisionomia esterna riproponga le caratteristiche dei manufatti extraurbani idonei alla difesa, si nota come la conformazione stereometrica dei volumi interni è pensata per funzioni legate allo svolgimento delle attività agricole, all'allevamento al piano terra e alla dimora nei piani superiori. Esiste, per questi motivi, una unica tipologia edilizia alla quale può essere accostato il castello delle querce, ed è quella delle: masserie pugliesi. Senza dubbio occorre fare le dovute distinzioni del caso, poichè in terra di Puglia, le masserie erano legate alla gestione di latifondi ed erano quindi dotate di spazi decisamente più ampi, organizzati in vari nuclei e diversamente conformate. Ritroviamo anche qui però, un impianto formale che si avvicina o si ispira a quello delle fortezze militari, nonostante una vocazione dichiaratamente agricola. Le motivazioni della presenza di elementi che richiamano alla mente la funzione difensiva, in questi edifici, sono da ricercarsi nella necessità di contrastare eventuali attacchi di briganti o scorrerie di malviventi, che potevano mirare a fare razzia delle scorte alimentari. L'essenziale dicotomia tra aspetto

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esterno e reale destinazione funzionale, che contraddistingue i manufatti pugliesi, è riscontrabile infatti, anche nel castello. Inoltre è analoga la presenza di alcuni elementi caratteristici, quali le torri con altezza pari a quella del corpo centrale e non più alte dello stesso, come invece sarebbe stato, nel caso di un manufatto essenzialmente difensivo, la cura nella conformazione dei locali interni, la presenza di un locale separato, non lontano, adibito probabilmente alla conservazione di prodotti derivanti dall'agricoltura, dall'allevamento o usato come stalla per il bestiame. Attualmente scorporato dalla proprietà, questo corpo ad un piano, interamente in pietra, del quale restano solo le mura perimetrali, doveva servire per integrare gli esigui spazi al piano terra del fabbricato principale.

Nonostante quindi i caratteri formali esterni lascerebbero pensare ad un fortino difensivo, le notizie acquisite negli archivi ufficiali, e l’analisi di tipologie architettoniche confrontabili, fanno vacillare l'ipotesi riportata nella relazione allegata alla compravendita, in favore di quella che vede il Castello come magnifica residenza ottocentesca in stile.

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Fig.1.3.1.4 Masseria Palmieri. Pianta piano terra

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Fig.1.3.1.6 Masseria La Torre

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Fig.1.3.1.8 Masseria torretta. Pianta del primo piano

Nelle analisi riportate di seguito, sulla base delle osservazioni e del rilievo, si è cercato di individuare gli elementi legati agli aspetti tecnico-costruttivi, al fine di giustificare una forma così particolare ed avere delle basi certe sulle quali fondare l’ipotesi che non si tratti di un antico fortino militare. Ad un primo sguardo, la presenza delle torri, l'altezza dell'impianto e le feritoie che si scorgono dall'esterno, come abbiamo detto, fanno pensare ad una struttura militare o comunque legata al controllo del territorio, tuttavia ad uno sguardo più attento, sorgono immediatamente dei dubbi. Sebbene presenti, infatti, gli elementi che caratterizzano le architetture fortificate, così come disposti in questo caso, non consentono la difesa o il controllo nei confronti del territorio, della valle e dell’Appia. Alla luce delle varie analisi eseguite, possiamo dire che l’ipotesi che sembra più veritiera è quella secondo la quale il Castello delle Querce non è altro che un maniero signorile di campagna, edificato a scopo residenziale probabilmente verso la metà del 1800. Tale destinazione è

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sicuramente rimasta invariata fino a quando venne lasciato in abbandono ed utilizzato come stalla per animali e deposito agricolo. Ciò è testimoniato dalla presenza di un locale cucina al piano terra, del quale resta una cappa realizzata mediante una volta di mattoni di laterizio in foglio e l’impronta esterna della canna fumaria, degli intonaci decorativi e delle pavimentazioni in cotto nelle sale dei piani superiori. Altri elementi, invece, come gli abbeveratoi, i solchi nel pavimento per l’incanalamento dei liquami, la chiusura degli accessi mediante blocchi da costruzione in calcestruzzo al piano terra, dimostrano il postumo utilizzo di questi locali come stalla, mentre l’annerimento degli intonaci, dove presenti, o dei mattoni del soffitto sono chiari segni di processi di trattamento di prodotti caseari secondo i metodi contadini.

1.4

Il rilievo e l’analisi dello stato di fatto

Il manufatto, sebbene esiguo nell'estensione, risulta molto particolareggiato e differenziato nelle strutture e nelle tecniche costruttive.

La mancanza di una base grafica del Castello, ha richiesto come prima fase conoscitiva diretta sul manufatto, un rilievo geometrico e materico. Il metodo adottato, è stato quello di fissare dei capisaldi sull’esterno, a cui poter riferire le piante dei vari piani, i prospetti e le sezioni, ciò a causa della irregolarità dell’impianto planimetrico e topografico, che non consentivano un raffronto diretto tra i disegni dei diversi livelli. Le misurazioni dei vani, sono state eseguite con il metodo della trilaterazione su un piano orizzontale fissato. L’intera operazione si è svolta con l’ausilio di strumenti quali: il doppio metro, la rotella metrica, la livella ad acqua, fili con piombi per verificare la verticalità dei muri e l’allineamento delle aperture, un distanziometro laser e canne telescopiche. Successivamente alla fase di misurazione, sono stati eseguiti

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mediante il software Archis2D di Siscam. Sulla base di questi e del rilievo cartaceo, sono stati redatti i disegni CAD che hanno consentito riflessioni di carattere tecnico e formale.

A causa della carenza di fonti documentarie, riferite alla storia degli interventi e delle fasi costruttive che hanno interessato l'opera, l'edificio è stato analizzato con i criteri della lettura stratigrafica, per cercare di datare gli elementi che sono chiaramente postumi alla prima edificazione. Il primo passo è stato quello di individuare le unità stratigrafiche murarie(USM), ovvero porzioni omogenee di paramento murario. Ogni USM può essere fatta risalire ad un momento costruttivo; in questo modo, il numero di USM determinate corrisponde al numero di interventi succedutisi sulla struttura e ci aiuta a capire se c’è stata una evoluzione della stessa nel tempo o di alcune sue parti. Le USM riconosciute, testimoniano una molteplicità di interventi succedutisi nel tempo e legati a problemi di natura statica in alcuni casi o a cambiamenti di destinazione d'uso in altri. Nelle figure 1.4.1 e 1.4.2delle pagine seguenti sono mostrati i prospetti nord-est e sud-ovest, ottenuti mediante il foto raddrizzamento, sui quali è stata eseguita una analisi semplificata delle USM. La rudimentale indicazione riportata, permette di sintetizzare le variazioni costruttive illustrate in precedenza.

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