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Capitolo secondo: RASSEGNA DELLA LETTERATURA PER

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Academic year: 2021

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Capitolo secondo: RASSEGNA DELLA LETTERATURA PER L’ELABORAZIONE PARZIALE DI UN PROGRAMMA DI DISEASE MANAGEMENT DEI PAZIENTI CARDIOPATICI CONGENITI IN ETA’ EVOLUTIVA

I programmi integrati di Disease Management hanno trovato ampia diffusione nei sistemi sanitari per migliorare la qualità e l’efficienza delle prestazioni di cura, e comprendono azioni di: educazione, prevenzione, diagnosi, trattamento e follow-up, fino all’implementazione di linee guida. In generale si possono individuare più approcci nell’ottica del DM, che orientano la gestione del paziente con una data patologia cronica: brevemente, agli approcci più restrittivi (“target specifici”) limitati alla popolazione malata nel setting ospedaliero, si contrappongono quelli più espansivi (community based management), che si allargano cioè al setting di comunità guidato dai medici di medicina generale o dai pediatri di libera scelta, in cui il lavoro educativo diventa centrale soprattutto negli stadi iniziali di malattia.

Il presente lavoro di tesi si propone di elaborare un parziale modello di Disease Management e di valutarlo attraverso la definizione di indicatori di processo, di esito e l’analisi della sostenibilità economica; per questi obiettivi si è tenuto conto dei principi di riabilitazione e di educazione sanitaria orientata alla promozione della salute, delle evidenze della letteratura scientifica disponibile circa l’efficacia degli interventi e la qualità delle linee guida esistenti. A partire quindi da tali assunti e da una review, frutto del processo di rilettura e riunificazione di quanto finora riportato dalla letteratura nazionale e internazionale nell’ambito della patologia cardiaca in età evolutiva, si intende definire il disegno, l’implementazione e la valutazione di efficacia ed efficienza di programmi orientati alla gestione delle cardiopatie congenite, necessari alla promozione di stili di vita sani e all’adesione al trattamento terapeutico/riabilitativo.

Nonostante la definizione precedentemente fornita di Disease Management, e la conseguente consapevolezza della necessaria integrazione e continuità di tali programmi, che si snodano lungo l’intera gestione del paziente e/o della comunità, l’attenzione viene qui limitata allo stato dell’arte relativo all’educazione, alla riabilitazione e al follow-up delle cardiopatie congenite, ovvero ai possibili ambiti di competenza riconosciuti nel contesto sanitario italiano ai terapisti della riabilitazione, opportunamente inseriti in un’équipe multidisciplinare.

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CCONTINUUM DELLE MALATTIE CRONICHE

2.1 Riferimenti per le modalità operative di gestione delle cardiopatie congenite

Le malattie cardiovascolari sono la causa principale di morte in tutti i paesi del mondo occidentale, inclusa l’Europa e quindi l’Italia; rappresentano la principale fonte di spesa sanitaria nel nostro Paese, visto l’assorbimento di risorse economico-sanitarie da esse indotte (in particolare quelle legate alle ospedalizzazioni, alla spesa farmaceutica e al ricorso alle prestazioni ambulatoriali), a cui si aggiunge la perdita di produttività che riguarda o una popolazione malata spesso ancora in età lavorativa, o i genitori dei bambini con cardiopatia congenita. Pertanto, per ridurre l’aumento progressivo dei costi sanitari nei pazienti con cardiopatia già documentata, i principali obiettivi di salute pubblica sono la prevenzione di successivi eventi cardiovascolari, il mantenimento di un’adeguata capacità fisica, un’autonomia funzionale ed una buona qualità della vita; ciò nonostante, numerosi studi recenti indicano che troppi pazienti non ricevono appropriati interventi terapeutici o indicazioni sullo stile di vita e, di conseguenza, molti fra loro non raggiungono gli obiettivi raccomandati di prevenzione secondaria e terziaria.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sostenuto un modello per la cura della malattia cronica che superi le principali criticità presenti nel comune approccio di gestione, in particolare la carenza nel coordinamento delle cure e nei follow-up, la mancata adesione alle linee guida da parte dei professionisti, la non adeguata educazione dei pazienti a gestire la loro malattia. Il Chronic Care Model (modello di assistenza medica dei pazienti affetti da malattie croniche sviluppato dal professor Wagner e dai suoi colleghi del McColl Insitute for Healthcare Innovation, in California, alla fine degli anni ’90) rappresenta il riferimento teorico e metodologico per una modalità operativa basata sull’approccio partecipativo, collaborativo, di scambio continuo e di coordinamento che si snoda lungo un continuum, il quale può essere così rappresentato:

Le prime evidenze dell’efficacia del Chronic Care Model sono state confermate anche da

Promozione della salute Prevenzione delle malattie

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una review della Cochrane Collaboration del 2001, in grado di dimostrare che il miglioramento degli outcome clinici si ottiene grazie ai cambiamenti dell’organizzazione delle cure in quattro categorie: “la conoscenza e la perizia degli operatori sanitari; l’educazione e il sostegno ai pazienti; l’erogazione delle cure praticata e pianificata basandosi sul team; l’uso di sistemi informativi basato sui registri di malattia”.

Anche la regione Toscana ha implementato l’Expanded Chronic Care Model, basato sulla popolazione, che favorisce il miglioramento della condizione dei malati cronici, nonché un approccio “proattivo” ed evidence-based tra il personale sanitario e i pazienti stessi, con questi ultimi che diventano parte integrante del processo assistenziale. Tale percorso per i pazienti cronici toscani è stato incluso nel Piano Sanitario Regionale 2008-2010, proprio con l’obiettivo di passare da un modello di “Medicina d’attesa”, dove il bisogno si trasforma in domanda, ad una “Sanità d’iniziativa”, e anche nel più recente Piano Sanitario e Sociale Integrato Regionale 2012–2015 hanno assunto un ruolo centrale il tema cronicità, l’empowerment nel cittadino e nella comunità (definito come “acquisizione e controllo sulle decisioni e sulle azioni che riguardano la propria salute”17

), ma soprattutto la presa in carico integrale del paziente cronico, poiché a fronte della unitarietà dei determinanti delle patologie croniche, la comorbosità, le complicanze, i costi e i tassi di ospedalizzazione che ne conseguono sarebbero il risultato non della somma, bensì di un incremento esponenziale di tali fattori. Così, a partire dal superamento dei PDTA per patologie specifiche e del cosiddetto approccio “a canne d’organo”, si approda alla stratificazione dei pazienti in base al livello di rischio cardiovascolare e all’individuazione di indicatori di performance con cui monitorare e valutare l’intervento terapeutico-assistenziale comprensivo degli aspetti farmacologico, comportamentale ed educativo.

In quest’approccio appare rilevante anche assicurare la messa a disposizione di risorse infermieristiche e figure sanitarie non mediche necessarie a riorientare le prestazioni specialistiche mediche in attività di consulenza e supporto diretto nell'ambito dei team delle cure primarie: in particolare, secondo il modello di rete previsto dal Disease Management, si implementa la figura del Care Manager, infermiere appositamente formato che rende il paziente consapevole e competente nella gestione del suo problema di salute, valuta e risolve i bisogni assistenziali del paziente e monitora periodicamente l’adesione del paziente al piano di salute.

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2.2 Educazione alla salute e screening precoci, dalle prime esperienze alle più recenti evidenze

Per “educazione sanitaria” si intende l’insieme di interventi e informazioni relative ai problemi sanitari, finalizzato ad indurre nella popolazione atteggiamenti e comportamenti utili a mantenere o migliorare la propria salute. L’informazione sanitaria deve essere comprensiva di indicazioni circa le cause delle malattie, i fattori che danneggiano la salute, i progressi della medicina preventiva e curativa, i vantaggi e i limiti delle singole procedure. In particolare, il concetto di promozione della salute è stato codificato solo nel 1986 dalla “Carta di Ottawa per la promozione della salute”, che la definisce come il “processo che consente alle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e di migliorarla”, attraverso quindi l’empowerment della comunità e la realizzazione di un intervento di prevenzione primaria.

Per attivare e seguire programmi di educazione sanitaria che consentano di gestire in modo autonomo comportamenti e stili di vita corretti, bisogna indurre un cambiamento a livello delle conoscenze, degli atteggiamenti del singolo e della comunità; tuttavia, per quanto numerose, le informazioni che possono essere fornite trovano un limite nel fatto che spesso i comportamenti di salute sono tra i più complessi da modificare, specie quando si legano a sensazioni di piacere, o si ancorano a modelli culturali, a dinamiche emotive e relazionali. Valutare l’efficacia di tali programmi significa stabilire termini e obiettivi con cui considerare il cambiamento e l’acquisizione di autonomia nel controllo di ciò che determina la propria salute, da cui dipendono decisioni e scelte quotidiane.

L’educazione sanitaria è un’attività educativa (nella sua accezione etimologica, in quanto finalizzata a indurre cambiamenti) che può essere concretamente inserita nei tre livelli di prevenzione, essendo praticabile in differenti contesti e da parte di molteplici professionisti, e che in quanto tale si presenta come attività trasversale da organizzare all’interno dei programmi di Disease Management.

Limitatamente alla prevenzione primaria, è doveroso ricordare che fin dai suoi esordi, sulla base delle indicazioni dell’Area Prevenzione ANMCO, Heart Care Foundation ha fatto della promozione della salute per la prevenzione cardiovascolare con la scuola e nella scuola uno dei suoi obiettivi principali18. A partire dal progetto di Educazione alla Salute “Io, il mio cuore e…” del 1997 per i giovani della scuola superiore secondaria, sono stati rapidamente __________________________________________________________________________

18 F. GALUSSA (2003), “Prevezione per i più piccoli e per i giovani. A proposito dell’azione di Heart Care

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creati materiali didattici e metodologie di derivazione OMS, a cui hanno fatto seguito programmi per i più piccoli attraverso il gioco-storia, con il fine di sviluppare una cultura dell’educazione, e di rendere la scuola una comunità di promozione della salute: le abilità da far acquisire a bambini e adolescenti riguardavano la conoscenza e il controllo del proprio cuore e corpo, e la prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolare. Oggi si è ormai consapevoli che questi programmi di educazione all’autocontrollo e all’autogestione, basati su nozioni teoriche, addestramento pratico e supporto psicologico, devono essere implementati già durante i primi anni della scuola dell’obbligo, così da raggiungere anche gli strati di popolazione con livello culturale meno elevato. Inoltre, al coinvolgimento di istituzioni come la scuola e l’ambiente di lavoro, sarebbe auspicabile affiancare l’organizzazione di interventi concreti che favoriscano l’attuazione della prevenzione primaria da parte delle autorità promotrici di campagne educative (per esempio, creazione di spazi ricreazionali per il tempo libero, disponibilità di piste ciclabili per gli spostamenti urbani, offerta di cibi sani a prezzi equi).

Nel corso degli ultimi decenni sono stati condotti numerosi studi sull’andamento della mortalità e dell’impatto dei fattori di rischio per le malattie cardiovascolari: in particolare, nella ricerca condotta nell’ambito del progetto CUORE e coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità19 viene riportato in maniera suggestiva che nella fascia di età 25-84 anni, oltre la metà del declino della mortalità coronarica avvenuta tra il 1980 e il 2000 è attribuibile più alla modificazione dei fattori di rischio (55%) che ai trattamenti farmacologici (circa il 40%), con un contributo negativo soprattutto di obesità e diabete. Oggi disponiamo quindi di numerose informazioni circa i principali fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione adulta e anziana - pressione arteriosa, assetto lipidico, indice di massa corporea, frequenza cardiaca, abitudine al fumo, diabete -, ma ogni programma di educazione alla salute deve basarsi su un corretto approccio psicologico quando si rivolge a pazienti in età evolutiva, che tenga presente delle caratteristiche del bambino (età, collaborazione, livello cognitivo, comorbidità) e dei familiari, compreso il loro livello culturale.

Al di là delle raccomandazioni contenute in Consensus Conference o Linee Guida, il programma deve basarsi sulle strategie di comunicazione efficace ed essere impostato a partire dalla consapevolezza che gli stessi genitori hanno del livello di salute e dello stile di vita dei propri figli. A questo proposito, “OKkio alla SALUTE”, il sistema di sorveglianza su stato ponderale, abitudini alimentari e attività fisica dei bambini, nel 2008 ha evidenziato __________________________________________________________________________

19L. PALMIERI et al (2011), “Osservatorio epidemiologico cardiovascolare italiano: andamento temporale dei

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che il 36% degli alunni della classe terza della scuola primaria presenta un eccesso di peso, ma soprattutto che la scorretta percezione della situazione nutrizionale del proprio figlio da parte dei genitori può essere annoverata fra i fattori di rischio associati al problema del sovrappeso e dell’obesità. Dall’indagine è emerso infatti che il 49% delle madri di bambini in sovrappeso e il 10% delle madri di bambini obesi considerano il proprio figlio normopeso o addirittura sottopeso20; sulla base delle sopracitate evidenze, nel 2009 l’Istituto Superiore di Sanità ha quindi sperimentato, su un campione di genitori delle classi partecipanti alla prima rilevazione di OKkio alla SALUTE, un’attività di comunicazione mirata a favorire un incremento dell’attenzione verso una corretta alimentazione e una diminuzione della sedentarietà dei bambini. Al fine di valutare l’efficacia di tale intervento è stato somministrato un questionario KAP (Knowledge, Attitude and Practice), prima e dopo l’erogazione del pacchetto di comunicazione, che rilevasse in dettaglio la modificazione indotta nei genitori, rispetto ai temi trattati durante gli incontri. Sebbene dal questionario si ricavi un cambiamento soddisfacente a livello delle conoscenze, piuttosto che degli atteggiamenti e dei comportamenti, l’esperienza fornisce utili orientamenti per gli interventi futuri, dal momento che promuove l’inserimento dello strumento “comunicazione” all’interno di un piano strategico più ampio, e rafforza la centralità dell’educazione dei care-givers nel processo di cura, specialmente quando l’azione terapeutica e riabilitativa mira al raggiungimento del più alto livello possibile di qualità di vita del paziente in età evolutiva.

Nei bambini con cardiopatia congenita è necessaria l’implementazione di massicce campagne preventive, come è stato scientificamente supportato dagli studi degli ultimi quarant’anni, i quali confermano con evidenze sempre maggiori che i fattori ambientali, quali la dieta e l’attività fisica, possono determinare lo sviluppo della patologia in modo sovrapponibile alla componente genetica, essa stessa responsabile della predisposizione del paziente21. Oltre all’indicazione all’eventuale successivo trattamento farmacologico, sono stati delineati due approcci di natura preventiva, uno rivolto allo stile di vita dell’intera popolazione in età evolutiva, e uno individuale indirizzato a quella ad elevato rischio per limitare l’insorgenza delle complicanze. Il primo, basato sulla dieta e l’attività fisica, si rivolge ai bambini dai due ai dieci anni di vita (nonostante alcuni programmi __________________________________________________________________________

20 E.C. APPELGREN e P. LUZI (2011), “Convegno. La salute degli italiani nei dati del Centro Nazionale di

Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute”, Istituto Superiore di Sanità

21 S.R. DANIELS e F.R. GREER (2008), “Lipid Screening and Cardiovascular Health in Childhood”,

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indichino l’avvio già a sette mesi, in concomitanza con lo svezzamento), e prevede nella dieta un’assunzione di grassi totali <30% delle calorie complessive previste, di grassi saturi in quantità <10%, e non superiore ai 200 mg/die: gli studi condotti non hanno riportato effetti avversi di tali limitazioni sulla crescita e sugli outcome neurologici, ma confermano la riduzione della concentrazione di LDL nei ragazzi e della prevalenza di obesità nelle ragazze nel gruppo sperimentale, rispetto a quello di controllo.

Dall’altra parte, l’approccio individuale, indirizzato a bambini e adolescenti con una storia familiare di malattia cardiovascolare o di alti livelli di colesterolo, o a quelli che presentano alte concentrazioni di colesterolo, di LDL o di altri fattori di rischio significativi, si basa inizialmente sul cambiamento dell’alimentazione, a cui fa generalmente seguito un intervento farmacologico, soprattutto per il trattamento della dislipidemia.

Nell’ambito della prevenzione secondaria, il primo intervento consiste nella precoce individuazione del difetto congenito, poiché alla tempestività dell’inquadramento diagnostico e quindi terapeutico corrisponde la formulazione della prognosi.

Innanzitutto oggi è ormai consolidata e diffusa la consapevolezza della necessità di integrare sistematicamente nella pratica generale di valutazione del rischio cardiovascolare la storia familiare del paziente: in una ricerca del 200922, infatti, viene valutato il ruolo clinico che l’inserimento sistematico di tali informazioni può avere sui professionisti nell’esperienza della cura primaria, e sul modello economico dei costi e dei benefici. Dai risultati forniti si ricava la possibilità di identificare almeno un 20% in più di pazienti a rischio nei successivi dieci anni, e di indurre cambiamenti sullo stile di vita (fumo, esercizio fisico, dieta), a causa del forte impatto psicologico che le informazioni sulla propria storia familiare hanno sulle esperienze sociali e sulla percezione della salute. Ne derivano indubbiamente delle conseguenze anche in termini monetari e di Qualità di Vita, poiché ai costi aggiuntivi di tale intervento corrispondono comunque elevati benefici dati dalla precoce individuazione del rischio individuale.

Vi è inoltre la raccomandazione, proposta nel 2011 dal dipartimento statunitense dell’Health and Human Services, di introdurre nella pratica medica uno screening universale con saturimetro per le cardiopatie congenite critiche, cui sottoporre tutti i neonati anche se asintomatici. Questo test non invasivo, con elevata affidabilità (ha dimostrato, sui circa 230000 neonati finora sottoposti, una sensibilità del 76,5% e una specificità del 99,9%) se __________________________________________________________________________

22 N. QURESHI et al (2009), “Realising the potential of the family history in risk assessment and primary

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effettuato ad almeno 24 ore dalla nascita, riesce a prevenire la dimissione senza diagnosi, dal momento che permette di rilevare anche quei lievi stati di ipossiemia che talora non sono riconoscibili al solo esame obiettivo. Essendo stata ormai validata in numerosi studi, è dunque auspicata la condivisione di specifici protocolli che permettano di applicare la saturimetria come screening, attraverso la definizione di parametri come il cut-off della saturazione o la tempistica in cui effettuare l’esame.

Nello stesso anno, inoltre, un panel di esperti del National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) ha proposto la raccomandazione per lo screening lipidico universale dei bambini, poi approvata dall’American Academy of Pediatrics, avviando tuttavia un acceso dibattito. Mentre in precedenza si sottoponevano a screening non a digiuno esclusivamente i pazienti pediatrici ritenuti a rischio, le raccomandazioni in questione propongono lo screening di tutti i bambini fra i 9 e gli 11 anni mediante misura non a digiuno del profilo lipidico, e quello dei bambini da 2 a 8 anni e dei ragazzi da 12 a 16 anni con misura a digiuno. Qualora si ricavassero valori anormali, seguirebbe, sempre secondo le raccomandazioni, un trattamento basato soprattutto su terapie comportamentali, e solo in caso di valori fortemente alterati (circa 1% dei pazienti) con statine. Alle accuse ricevute di aver elaborato raccomandazioni basate su un’evidenza debole, senza tener conto abbastanza del costo/beneficio, gli esperti del NHLBI hanno ribattuto che uno screening universale permetterebbe di identificare i bambini con ipercolesterolemia familiare (circa 1 su 500) e prevenire così l’insorgenza in età adulta di gravi patologie cardiovascolari, rivendicando inoltre la natura evidence-based dei risultati ottenuti.

Merita ovviamente un cenno, in quanto esula dalle competenze di un terapista della riabilitazione, il trattamento farmacologico cui i bambini con cardiopatia congenita tempestivamente individuata vengono sottoposti in un’ottica preventiva, dal momento che iperaffluso polmonare, sovraccarico di volume delle sezioni sinistre, coartazione aortica e gravi anomalie valvolari sono frequenti cause di scompenso cardiaco, anche ad insorgenza precoce. L’inquadramento dell’insufficienza cardiaca, a partire dalla rilevazione di segni quali tachipnea, tachicardia o epatomegalia, o il suo sospetto in quadri ancora asintomatici viste le caratteristiche anatomo-fisiologiche del difetto, comportano la somministrazione di farmaci fra cui diuretici, ACE-inibitori e beta-bloccanti.

Il progetto condotto a partire dal 2006 dall’Università di Perugia23, finalizzato a produrre un aggiornamento delle conoscenze scientifiche sull’efficacia teorica (efficacy) e pratica (effectiveness) degli interventi educativi rivolti al paziente con scompenso cardiaco e ai suoi

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care-givers, segnala la difficoltà, citata anche nella letteratura internazionale, di avere nell’ambito dell’educazione sanitaria delle raccomandazioni precise e univoche come in campo clinico. Se può essere ritenuto facile e coerente stabilire i comportamenti diagnostico/terapeutici e i farmaci più efficaci in una certa situazione, appare più complesso, se non talvolta inopportuno, dare indicazioni univoche rispetto al metodo educativo e alla tecnica efficace rispetto a una tipologia di paziente e a un nucleo familiare che, al di là del comune denominatore clinico, possono presentare caratteristiche molto diverse. Tuttavia, al fine di garantire un maggior tempo libero da eventi e conseguentemente una riduzione della spesa sanitaria che la gestione di tale patologia richiede, è necessario fornire raccomandazioni ed elaborare indicatori e strategie secondo l’approccio di evidence-based health education, in linea con la raccomandazione della cinquantunesima Assemblea Mondiale dell’OMS sulla necessità di “adottare un approccio evidence based alle strategie e alle pratiche di promozione della salute, usando l’intero range di metodologie quantitative e qualitative”; in questo modo, si possono discutere i due concetti chiave di “efficacia” in promozione della salute (relativa al conseguimento degli obiettivi) e di “evidenza di efficacia”. Le raccomandazioni, efficaci e trasferibili nella pratica, volte ad affrontare i bisogni di salute della comunità sono contenute nelle Linee Guida e nelle Consensus Conferences, ed assumono valore normativo.

Ricordando che per il momento l’obiettivo di tale lavoro di tesi consiste nel definire lo stato dell’arte circa gli interventi che possono essere promossi da un terapista della riabilitazione in un programma di Disease Management, è necessario fare un breve riferimento al Documento Cardiologico di Consenso sull’esercizio fisico in ambito cardiologico, in particolare con il paziente con cardiopatia congenita24. Secondo gli autori di tale documento, infatti, la “pratica regolare dell’esercizio fisico e dello sport per la promozione ed il mantenimento della salute, generale e cardiovascolare, trova una specifica applicazione nell’infanzia e nell’adolescenza, epoche nelle quali, oltre agli importanti aspetti psicologici e sociali, tale pratica ha anche un insostituibile ruolo educativo e formativo”: la classe medica (pediatri, cardiologi, medici dello sport) deve quindi autorizzare e incoraggiare l’attività __________________________________________________________________________

23 UNITA’ OPERATIVA DEL CENTRO SPERIMENTALE DELL’UNIVERSITA’ DI PERUGIA (2006),

“La valutazione dell’efficacia e della resa di programmi di educazione sanitaria del paziente con scompenso cardiaco e dei suoi care givers”

24 F. GIADA e R. CARLON (2007), “Documento Cardiologico di Consenso della Task Force Multisocietaria.

La prescrizione dell’esercizio fisico in ambito cardiologico - Executive Summary”, Monaldi Arch Chest Dis 2007; 68: 199-212

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fisico-sportiva anche nei giovani pazienti con cardiopatie congenite, operate e non. La corretta prescrizione dell’attività fisica dovrebbe infatti soddisfare le aspettative di reinserimento nella vita attiva, ed apportare benefici fisici e psicologici con un rischio di complicanze, nel breve e lungo periodo, ragionevolmente trascurabile o per lo meno pari ai vantaggi che possono essere assicurati.

Oltre all’indicazione di tre raccomandazioni (preciso inquadramento diagnostico della patologia, ragionevole previsione sull’evoluzione nel tempo della patologia e valutazione della capacità funzionale del soggetto), indispensabili prima di qualsiasi prescrizione, gli esperti hanno “allargato” sensibilmente gli “orizzonti sportivi” anche per i pazienti con cardiopatie congenite complesse sottoposte a correzione anatomica e funzionale completa alla nascita o in età precoce, come nella Tetralogia di Fallot o la trasposizione delle grandi arterie. Le evidenze definitive sulla capacità dell’attività fisica di migliorare le prestazioni fisiche e la Qualità della Vita, e di ridurre la morbilità, la mortalità cardiovascolare e, significativamente, il rischio di sviluppare altre malattie croniche (obesità, osteoporosi, diabete, neoplasie e depressione), rendono l’esercizio fisico uno degli obiettivi primari delle nostre istituzioni sanitarie.

La prevenzione e il management dell’obesità hanno recentemente ricevuto forte attenzione da parte del National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI), a partire dall’aumento ritenuto “epidemico” dell’obesità nei giovani nord-americani e dalla disponibilità di evidenze limitate esclusivamente a bambini non cardiopatici. Alcuni report della Commissione Europea, visto il trend in crescita dell’obesità anche per il sesso maschile dal 1998 a oggi, calcolano che il DALY (disability adjusted life years), ovvero gli anni di disabilità dovuti all’obesità, possa essere stimato intorno al 3,7%, e che grazie a un programma comunitario in grado di contrastare l’obesità si potrebbe ridurre circa il 7% delle spese sanitarie destinate alla cura di tale patologia. Constatando la scarsa applicazione che trovano le raccomandazioni riportate nel Documento Cardiologico di Consenso sopra citato, e a partire dalla questione irrisolta relativa a quanto precocemente i comportamenti alimentari “imposti” nella prima infanzia (aumentata densità calorica) possano condizionare la crescita e il futuro stato nutrizionale del bambino, è stato proposto che l’atteggiamento psicologico di ansia presente nell’adulto determinerebbe nel figlio con cardiopatia congenita severa una vita sedentaria e l’aumento ponderale. L’obesità è collegata alla presenza o allo sviluppo di ipertensione, resistenza all’insulina, dislipidemia, aumento delle citochine infiammatorie e anomalo rimodellamento cardiaco; ma essendo essa associata frequentemente anche all’ipertrofia del ventricolo sinistro e alla disfunzione ventricolare

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sistolica e diastolica, ne consegue che molti dei pazienti con cardiopatia congenita, a causa del loro substrato morfo-funzionale alterato (che di per sé li espone ad aritmie e scompenso cardiaco), subiscono un importante aggravamento del quadro clinico. Se i bambini obesi riferiscono, rispetto a quelli normopeso, una compromissione della Qualità della Vita, dell’autostima e del funzionamento sociale, quando all’obesità si associa la cardiopatia congenita aumenta significativamente anche il rischio di presentare problemi comportamentali ed emozionali a causa delle apnee notturne, deficit neurologici (compromissione di memoria, funzioni esecutive, relazioni visuo-spaziali) e attentivi, con un conseguente peggioramento nelle prestazioni scolastiche.

Le linee guida relative ad apporto nutritivo e livelli di attività fisica sono state pubblicate; la maggior parte di questo lavoro trova diretta applicazione anche con i bambini cardiopatici congeniti ed include importanti raccomandazioni per permettere la scelta di alimenti a più basso contenuto calorico, aumentare la spesa energetica con almeno sessanta minuti di moderata-vigorosa attività fisica quotidiana, riducendo il tempo davanti agli apparecchi elettronici.

Anche l’American Heart Association’s Scientific Statement delinea raccomandazioni di trattamento per individui con cardiopatia congenita al fine di ridurre il rischio cardiovascolare, includendo la valutazione di dieta, pressione sanguigna, lipidi, glucosio, fumo ed attività fisica. Si può concludere che le strategie normalmente adottate per ridurre il rischio in bambini “sani” possono essere ugualmente valide in quelli con cardiopatia congenita, purché vengano associate a training genitoriali di modificazione comportamentale per la prevenzione e il management dell’obesità; manca ancora un accordo relativamente all’impatto che la nutrizione e i precoci comportamenti alimentari indotti dagli adulti avrebbero sul rischio cardiovascolare, e se sia necessario raggiungere ottimi livelli per tutti i fattori di rischio cardiovascolare nei pazienti con cardiopatia congenita, o se al contrario sia sufficiente la correzione di alcuni di essi.

Merita ora fare un riferimento alle più recenti evidenze indicanti la modalità con cui erogare i programmi di educazione sanitaria: nel Regno Unito, nel 2012, è stato condotto uno studio finalizzato a valutare la sostenibilità economica, l’efficacia clinica e l’accettabilità, per professionisti sanitari e genitori, di un programma telematico da svolgersi al domicilio dei bambini con cardiopatia congenita maggiore25. Riferendosi a misure di outcome quali l’utilizzo delle risorse sanitarie, i tassi di ospedalizzazione, le opinioni dei medici e dei genitori rispettivamente sull’utilità e la qualità degli interventi, e assegnando ai due

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sottogruppi del gruppo sperimentale il supporto telefonico o con video-conferenza, si sono ottenuti elevati livelli di soddisfazione per l’uso della video-conferenza, sia dai medici nel prendere decisioni mediche (p=0.01), sia dai genitori che con questo mezzo ricevevano supporto (p=0.001), con un utilizzo delle risorse sanitarie inferiore del 37% rispetto all’uso del telefono e alle spese sostenute nel gruppo di controllo, con anche una diminuzione del rischio di ospedalizzazione. Si può quindi concludere che un programma di supporto domiciliare attraverso la telemedicina per famiglie di bambini con cardiopatia congenita maggiore è attualizzabile, sostenibile ed efficace, nonché efficiente, in termini di riduzione significativa dell’utilizzo dei servizi e della spesa sanitaria.

2.3 Interventi di riabilitazione cardiologica

In ambito cardiologico, la prevenzione terziaria si esercita in tutti quei pazienti che hanno già presentano un evento cardiovascolare e che quindi, a prescindere dalle varie modalità di stratificazione utilizzabili per stimare la probabilità di un evento, risultano a elevato rischio; si interviene così per evitare una recidiva non solo di infarto miocardico, ad esempio, ma anche di ictus o di evento vascolare periferico. In considerazione del fatto che questi pazienti sono a rischio elevato, gli obiettivi che si prefiggono le misure di prevenzione sono più rigorosi, e solitamente prevedono anche una terapia farmacologica con utilizzo sistematico di aspirina, beta-bloccanti, ACE-inibitori e statine (in assenza di controindicazioni). L’elemento fondamentale di questo intervento è la riabilitazione cardiologica, prevenzione terziaria per eccellenza: essa sta assumendo un ruolo crescente poiché cruciale è il suo obiettivo di reinserimento funzionale del cardiopatico nelle attività della vita quotidiana26 e, nel caso di cardiopatia inoperabile, è finalizzata a prevenire il deterioramento clinico e la progressione della malattia di base.

In questa sede si fa dunque riferimento alla diffusione della cultura della Cardiologia Riabilitativa (CR), la quale si estende dall’appropriata valutazione funzionale all’intervento riabilitativo globale e si rivolge alle patologie croniche con tendenza alla progressione e all’invalidità, ricordando le resistenze burocratiche e culturali che hanno a lungo posto un freno al potenziamento della riabilitazione. Già nel 1969 l’OMS la definiva come “l’insieme __________________________________________________________________________

25 B. McCROSSAN et al (2012), “A randomised trial of a remote home support programme for infants with

major congenital heart disease”, Heart. 2012 Oct;98(20):1523-8

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delle attività necessarie ad assicurare le migliori condizioni psicofisiche e sociali in modo che il cardiopatico possa con i propri mezzi riguadagnare una posizione la più normale possibile nella comunità e condurre una vita attiva e produttiva”. Solo negli ultimi anni si è diffusa la consapevolezza dei suoi risultati confortanti, e della possibilità di ridurre la disabilità, aumentare la produttività, migliorare la Qualità della Vita e ridurre la spesa pubblica: così, se inserito in un sistema riabilitativo idoneo, un cardiopatico infartuato adulto può ridurre le giornate di degenza ospedaliera ed essere assistito in Centri in cui può essere ottimizzata la terapia medica e data la possibilità di fare attività fisica, nonché di ricevere un supporto psicologico e comportamentale. La riabilitazione cardiologica dunque si prende carico di un individuo che presenta una disabilità conseguente al danno cardiaco (anatomico e/o funzionale) e, attraverso un approccio multiprofessionale (cardiologico, psicologico, fisioterapico, sociale), si pone lo scopo sia di prolungare la sopravvivenza del cardiopatico sia di migliorarne il più possibile la qualità della vita.

Un forte impulso alla diffusione della cultura della Riabilitazione Cardiologica, oggi divenuta sempre di più Riabilitazione Cardiovascolare, è stato fornito dalla pubblicazione della Linea Guida di Cardiologia Riabilitativa, strumento che persegue come finalità quella di “integrare il concetto di CR, intesa come recupero della capacità funzionale globale, con quello di prevenzione secondaria, poiché la CR costituisce uno dei modelli più efficaci per la realizzazione di una prevenzione secondaria a lungo termine […] La presenza di uno strumento di lavoro, prodotto da un gruppo in cui sono rappresentate tutte le figure professionali coinvolte, certamente aiuta ad orientare l'assistenza secondo un modello condiviso ospedale-territorio nel quale il paziente trova nel tempo una risposta adeguata ai suoi bisogni”27

.

Negli ultimi anni, i progressi significativi nel trattamento della fase acuta (basti pensare alla chirurgia in caso di cardiopatia congenita) hanno permesso un sostanziale aumento della sopravvivenza dei pazienti, ma per la progressiva riduzione della durata dell’ospedalizzazione, la degenza oggi molto breve è orientata esclusivamente alla soluzione del problema acuto; in questo modo vengono a mancare un adeguato intervento di stratificazione del rischio residuo, la valutazione funzionale e globale, l'ottimizzazione terapeutica, l'educazione-informazione sanitaria, la ripresa di un'adeguata attività fisica in regime di sicurezza e l'impostazione di significative modificazioni dello stile di vita, o comunque si assiste frequentemente alla rapida interruzione della riabilitazione nella fase __________________________________________________________________________

27 B. RUSTICALI e A. MELE (2005), Linea Guida Nazionale “Cardiologia Riabilitativa e prevenzione

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immediatamente post-acuta (senza riuscire a mantenere l’adesione a stili di vita corretti e ad interventi di prevenzione secondaria efficaci, vanificando così buona parte dei risultati raggiunti).

Parallelamente, anche il ruolo della Cardiologia Riabilitativa si è molto evoluto negli ultimi decenni: se i primi programmi di CR, sviluppati negli anni '60-70, e basati principalmente su mobilizzazione, esercizio e attività fisica, venivano proposti molto tardivamente solo ai pazienti sopravvissuti ad un infarto miocardico non complicato, negli ultimi trent’anni le indicazioni alla CR sono state ampliate con successo anche ai pazienti post-infartuati con complicazioni, dopo un intervento di angioplastica coronarica o in caso di cardiopatia congenita, ai pazienti con scompenso cardiaco cronico, aritmie minacciose e ai portatori di stimolatori cardiaci, agli anziani affetti da coronaropatia severa, diffusa patologia vascolare e da gravi comorbidità e disautonomie.

La Linea Guida riconosce che “la combinazione di un adeguato monitoraggio ed intervento clinico, un programma di esercizio fisico e di interventi strutturati educativi e psicologici rappresentino la forma più efficace di CR”, intesa come programma integrato comprendente:

a) prima fase di assistenza clinica volta alla stabilizzazione; b) valutazione del rischio cardiovascolare globale;

c) identificazione di obiettivi specifici per la riduzione di ciascun fattore di rischio;

d) formulazione di un piano di trattamento individuale che includa: interventi terapeutici orientati alla riduzione del rischio, programmi educativi strutturati dedicati e finalizzati a un effettivo cambiamento dello stile di vita (abolizione del fumo, dieta appropriata, controllo del peso, benessere psicologico), prescrizione di un programma di attività fisica che tende a ridurre le disabilità conseguenti alla cardiopatia, migliorare la capacità funzionale e favorire il reinserimento sociale e lavorativo (le evidenze disponibili suggeriscono che debba essere perseguito il mantenimento a lungo termine dell’attività fisica e del cambiamento nello stile di vita, affinché i benefici siano persistenti nel tempo, per cui ad esempio, partecipare ad un gruppo locale di supporto cardiaco o di auto-sostegno, che comprenda attività fisica da svolgere in una palestra o un centro ricreativo, potrebbe contribuire a mantenerli entrambi); e) interventi di mantenimento allo scopo di consolidare i risultati ottenuti e favorire l'aderenza a lungo termine, garantendo la continuità assistenziale.

Queste componenti si integrano nel progetto riabilitativo con la logica del Disease Management, che attraverso la definizione “a priori” di indicatori consente la misurazione dell’efficacia dell’intervento: in questo modo è possibile collegare gli outcome clinici del

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paziente post-acuto ad obiettivi fisici e comportamentali quantificabili, e al controllo dei fattori di rischio.

L’esercizio fisico regolare, promosso come parte di uno stile di vita attivo, e strutturato come intervento terapeutico, è diventato una delle componenti fondamentali della Riabilitazione Cardiologica; quando i programmi individuali associano all’esercizio fisico interventi di tipo educativo e psicologico si parla di Riabilitazione Cardiologica Complessiva, che favorisce il benessere psicologico, il recupero sociale, il ritorno al lavoro e contribuisce alla riduzione dei fattori di rischio.

Il solo esercizio fisico si è dimostrato in grado di migliorare la performance fisica, la forza muscolare ed i sintomi di dispnea e angina, purché venga previsto un allenamento aerobico di intensità bassa o moderata, di lunga durata con movimenti ripetitivi che interessino grandi gruppi muscolari (andare in bicicletta, camminare, fare jogging, canottaggio e ginnastica ritmica), da ripetersi per almeno due sessioni di 40-60 minuti a settimana per un minimo di otto settimane. Per la maggior parte dei pazienti, la stratificazione del rischio clinico basata sulla storia clinica, l'esame fisico e l'ECG eseguito a riposo insieme ad un test di capacità funzionale come il "6 minute Walking Test" sono sufficienti per avviare in sicurezza un programma di attività fisica; la frequenza, la durata e l'intensità degli esercizi può essere variata, comunque è stato dimostrato che l'allenamento dopo una fase di supervisione in ospedale può essere eseguito anche a domicilio, e che programmi di lunga durata (16 settimane) sono più efficaci di quelli più brevi. Il monitoraggio dell'ECG durante esercizio fisico è raccomandato nei pazienti ad alto rischio e comunque in generale per confermare la sicurezza del programma nelle sue prime fasi, mentre strumenti come la scala di Borg, che quantifica soggettivamente l’intensità dell’esercizio fisico, insegna al paziente ad utilizzare la percezione dello sforzo per regolare l’attività fisica.

Le raccomandazioni contenute nel documento continuano col considerare il supporto educativo e l'intervento psicologico come parti essenziali di un ciclo riabilitativo: il loro scopo è facilitare il ritorno a una vita normale, incoraggiare verso cambiamenti nello stile di vita al fine di prevenire ulteriori episodi, e sostenere i pazienti nell’affrontare la sofferenza psicologica che comunemente segue un evento coronarico o accompagna la malattia cronica (tenendo presente che ad ansia e depressione si associano frequentemente cattiva qualità del sonno, scarsa concentrazione, mancanza di energia e tono dell’umore basso). È necessario somministrare questionari per la misurazione del “benessere psicologico”, per la valutazione della Qualità di Vita e dello Stato di Salute percepito, così da determinare la tipologia di intervento sulla considerazione delle caratteristiche psicologiche di quel paziente, ripetendo

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lo screening per ansia e depressione anche 6-12 settimane dall’evento acuto.

Gli interventi psicologici includono consulenze, gestione dello stress, rilassamento, psicoterapia di gruppo, approcci cognitivo-comportamentali; quelli educativi comprendono invece incontri individuali e di gruppo sugli aspetti della malattia coronarica e dello stile di vita attraverso diari di auto-monitoraggio, opuscoli, consigli sui farmaci, consulenze professionali. Alcuni modelli sviluppati all'interno della teoria socio-cognitiva sono stati utilizzati per comprendere e favorire il cambiamento comportamentale in diverse aree quali il fumo, l'attività fisica, l'alimentazione e la gestione del peso, partendo dal presupposto che i comportamenti si sviluppano a partire proprio dalle condizioni sociali, personali e psicologiche dei soggetti e sulla base dei loro processi decisionali.

L’OMS classifica i livelli della Cardiologia Riabilitativa in tre categorie in base alla qualifica del personale, alle dotazioni strumentali, alla complessità e alla specializzazione dell’intervento: a) livello base, che prevede cure ed interventi nell’ambito della comunità, quindi attraverso scuole, palestre, club, ed è riservato a pazienti cronici, stabili; b) livello intermedio, che si sviluppa all’interno di un ospedale cittadino; c) livello avanzato, in un Centro di Riabilitazione, dove sono disponibili servizi e prestazioni di alta specialità; questi ultimi due livelli dovrebbero essere riservati ai pazienti nella fase precoce della malattia e a quelli a rischio medio o elevato. È possibile poi distinguere forme di riabilitazione degenziale, destinate a pazienti più complicati, instabili a medio-alto rischio e disabili (si tratta comunque di interventi relativamente brevi sullo stile di vita e sui fattori di rischio), e di riabilitazione ambulatoriale, a lunga durata, previste per i pazienti più autonomi, più stabili, a basso rischio e che richiedono minore supervisione. Sono stati recentemente sviluppati anche programmi di riabilitazione domiciliare, diretti da medici e coordinati da infermieri e/o fisioterapisti, risultati efficaci per favorire la continuità assistenziale e prevenire il deterioramento clinico, e utili per espandere l’erogazione di servizi nel territorio, con il supporto anche di iniziative e servizi (telecardiologia) nella comunità. Inoltre in Italia, dalla fine degli anni '70, sono nati diversi gruppi di auto-sostegno formati da pazienti con esiti di malattie cardiovascolari, in cui vengono svolti corsi di ginnastica di mantenimento presso palestre pubbliche o private, e organizzate gite, passeggiate, corsi di yoga o di training autogeno, lezioni di cucina dietetica, dando agli associati la possibilità di interagire per condividere le proprie esperienze. Ciò nonostante, non esistono attualmente prove dirette dell'efficacia dei gruppi di auto-sostegno per la riabilitazione cardiaca di mantenimento, e la principale limitazione della loro opera è rappresentata, attualmente, dalla scarsa partecipazione dei pazienti.

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Partendo dal presupposto che la sola diffusione di raccomandazioni non è di per sé sufficiente a modificare i comportamenti, visto che meno di un terzo dei pazienti eleggibili partecipa effettivamente ai programmi di CR, il panel multidisciplinare autore della Linea Guida auspica la rimozione dei potenziali ostacoli che oggi impediscono il trasferimento nella pratica degli interventi efficaci in CR. Partendo dall’elencazione di ostacoli culturali (come i percorsi formativi e di aggiornamento degli operatori fondamentalmente orientati all'acuzie), organizzativi, ed economici, derivanti dal sistema di remunerazione a prestazione per pazienti complessi che privilegia gli interventi ad alta intensità assistenziale nel paziente acuto, vengono elencate delle proposte rivolte a contrastare tali ostacoli, come la promozione della diffusione delle Linee Guida e l’aggiornamento di tutti gli operatori coinvolti con particolare attenzione ai PLS/MMG e ai pazienti, o l’introduzione di "sistemi premianti" per la gestione del paziente cronico secondo il modello del Disease Management. L’evoluzione avvenuta nella comunità scientifica rispetto alla Linea Guida di Cardiologia Riabilitativa del 2005 ha approdato a definire l’intervento globale e multicomprensivo di “riabilitazione cardiovascolare” (RCV), inteso come l’approccio più efficace per una effettiva riduzione del rischio cardiovascolare e la cura a lungo termine di cardiopatici noti, così pure di soggetti ad alto rischio cardiovascolare a causa di un’elevata concentrazione di fattori di rischio coronarico28.

I benefici documentati in letteratura comprendono la riduzione e il controllo dei sintomi, il miglioramento della tolleranza allo sforzo e della capacità lavorativa, il miglioramento dell’assetto lipidico, metabolico e del profilo di rischio cardiovascolare globale, la riduzione del fumo, l’incremento della capacità di gestione dello stress e della vita di relazione e, in generale, una maggiore sensazione di benessere; tutto questo si associa alla significativa riduzione dell’incidenza di successivi eventi cardiovascolari, delle ospedalizzazioni e, in ultima analisi, di morbidità e mortalità totale. La realizzazione di servizi di RCV in ambito ospedaliero o in Centri specializzati in grado di fornire un intervento globale e un approccio integrato multifattoriale attraverso operatori esperti dedicati (cardiologi, infermieri, fisioterapisti, fisiologi, psicologi, specialisti comportamentali e dietisti, tutti con adeguato training ed esperienza professionale specifica), e l’implementazione di programmi territoriali per la riduzione del rischio cardiovascolare a lungo termine, coordinati con i medici di base/pediatri, costituiscono certamente le modalità più efficaci ed efficienti di RCV. Se infatti, durante la riabilitazione intraospedaliera, gli interventi principali consistono in un __________________________________________________________________________

28 P. GIANNUZZI (2006), “La riabilitazione cardiologica: le Linee Guida e la realtà italiana”, Monaldi Arch

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precoce lavoro di educazione sanitaria che verrà poi approfondito e nella mobilizzazione precoce (che evita la diminuzione della volemia plasmatica, l’alterazione dell’adattamento cardiovascolare ai cambi di postura che conseguono all’allettamento, la riduzione della massa muscolare in caso di immobilizzazione protratta), nella riabilitazione extraospedaliera l’attività iniziata in ospedale prosegue in modo più intensivo, tenendo conto non solo dell’aspetto fisico di ripresa funzionale, ma anche generalmente di supporto psicologico, nutrizionale, educativo e sociale.

Affinché il percorso assistenziale del paziente con malattia cardiovascolare sia ritenuto appropriato ed efficiente, è irrinunciabile che con i Dipartimenti cardiovascolari collaborino e si integrino Centri e servizi ad hoc per le funzioni di prevenzione e di riabilitazione, per i quali sono previsti due modelli organizzativi29: le Unità Operative Semplici di Prevenzione Cardiovascolare e Riabilitazione, inserite sia nel contesto ospedaliero sia nel territorio, e le Unità Operative Complesse di Cardiologia Riabilitativa/Preventiva, preferibilmente presenti all’interno di un Dipartimento di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare. Si tratta di strutture multidisciplinari che consentono di “ridurre il sovraccarico di lavoro del personale medico e paramedico delle aree di terapia per acuti dell’ospedale di residenza, ridurre i ricoveri ripetuti inappropriati, definire percorsi assistenziali congrui rispetto al profilo di rischio dei singoli pazienti, coordinando le azioni di prevenzione e riabilitazione cardiologica; sviluppare una Rete assistenziale per la gestione della patologia cardiovascolare cronica, favorendo l’integrazione con le diverse realtà territoriali circostanti, secondo le indicazioni di appropriatezza; svolgere attività di formazione continua rivolta agli operatori sanitari del territorio, medici specialisti e non medici, e ai medici di medicina generale; svolgere attività di informazione e promozione della salute per i pazienti e i loro familiari e gli altri utenti dei servizi sanitari”.

2.4 Follow- up dei pazienti cardiopatici congeniti operati e non operati

Tenendo presente la popolazione dei cardiopatici congeniti non operabili e ricordando comunque il primo presupposto generale all’approccio del paziente operato contenuto nelle Linee Guida30, “la correzione di una cardiopatia non rende normali”, è necessario mantenere la continuità assistenziale e prevedere un adeguato follow-up per quei pazienti con uno stato di salute più o meno compromesso. Per ogni tipo di cardiopatia, infatti, a seconda delle __________________________________________________________________________

29 QUADERNI DEL MINISTERO DELLA SALUTE (2010), “Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e

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condizioni del paziente definite dopo la valutazione clinico-strumentale completa, sono stati definiti il grado di invalidità civile, la capacità lavorativa, l’idoneità al lavoro specifico, l’idoneità all’attività fisica e sportiva, e l’assicurabilità31

. Se alcune cardiopatie, come tipicamente il difetto del setto interatriale, presentano condizioni buone o ottimali in tali ambiti, anche in caso di pazienti in storia naturale, una prognosi ben diversa è riservata invece ad altri quadri clinici, come ad esempio alle cardiopatie con cianosi cronica, alla malattia di Ebstein (a carico della valvola tricuspide) o ai pazienti sottoposti a intervento di Fontan.

La chirurgia cardiaca garantisce attualmente una lunga sopravvivenza per la maggior parte dei pazienti con difetti congeniti, ma si stima che circa l’85% dei neonati che raggiungeranno l’età adulta necessiteranno ogni anno di cure specialistiche cardiologiche e talvolta cardiochirurgiche per le sequele o le complicanze della chirurgia stessa: anche se la lesione anatomica a livello cardiaco è stata trattata con successo, possono essere presenti disfunzioni ventricolari, aritmie, insufficienza cardiaca, problemi renali o neurologici, causa di morbilità o di mortalità. La prospettiva terapeutica prevista con questi pazienti (possibilità di re-intervento e specifici programmi farmacologici) deve essere comunque adattata con cautela al singolo caso, dal momento che i cosiddetti GUCH, “Grown Up Congenital Heart”, presentano un profilo clinico di presentazione tardiva complesso e del tutto differente dai tipici quadri ad insorgenza nell’età adulta (come la cardiopatia ischemica acquisita). Infine, dal momento che la percezione dei sintomi nei pazienti con cardiopatie congenite croniche può essere misconosciuta, anche in caso di importanti sequele e/o residui anatomici e funzionali, è indispensabile riconoscere i fattori di rischio e identificare anche le minime modifiche del quadro emodinamico, al fine di proporre l’idoneo trattamento in un tempo adeguato.

Le Commissioni “delle organizzazioni della rete dell’emergenza cardiologica e del paziente cronico”, “di prevenzione e riabilitazione cardiovascolare”, e “delle cardiopatie congenite in età pediatrica e adulta” hanno fornito indicazioni ed elaborato indicatori per l’organizzazione dei percorsi e del personale in caso di cardiopatia congenita32

. In particolare, hanno previsto due obiettivi fondamentali, ovvero diagnosticare precocemente le __________________________________________________________________________

30 L. DALIENTO et al, “Linee Guida sul Follow-up del Cardiopatico Congenito Operato”, in collaborazione

con Società Italiana di Cardiologia Pediatrica

31 AZIENDA SANITARIA DI BOLZANO, Servizio di Cardiologia Pediatrica (2005), “Linea Guida per

pazienti affetti da cardiopatie congenite. Criteri di valutazione della capacità lavorativa, attitudine ad attività fisica e sportiva ed assicurabilità nel cardiopatico congenito”

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anomalie strutturali e/o funzionali congenite dell’apparato cardiovascolare con appropriato e tempestivo trattamento per migliorare la prognosi a lungo termine del paziente, e seguire nel tempo i pazienti cardiopatici (anche se sottoposti a trattamento medico, interventistico e/o chirurgico) così da ridurre la morbilità e mortalità cronica legata alle sequele e alle eventuali complicanze tardive delle procedure effettuate. Tali indicazioni propongono anche una tipologia organizzativa alla luce del noto modello Hub & Spoke: i pazienti con sospetto di cardiopatia congenita saranno inviati a Centri ospedalieri (Spoke) in cui sarà possibile effettuare uno screening di base della cardiopatia mediante accertamenti diagnostici non invasivi (clinica, elettrocardiografia, ecocardiografia); qualora si riscontrino cardiopatie congenite complesse o sia necessario l’approfondimento diagnostico, il paziente sarà inviato a Centri Hub di riferimento dove vengono effettuati la completa valutazione morfo-funzionale, la stratificazione del rischio aritmico, eventuali procedure interventistiche in campo emodinamico o elettrofisiologico e la terapia chirurgica, talvolta di tipo palliativo. Il follow-up postoperatorio è di pertinenza dei Centri Spoke per le cardiopatie semplici, non complicate; è invece di pertinenza dei Centri Hub in caso di cardiopatie complesse, ovvero con residui o sequele di rilevanza clinica e funzionale, e comunque in tutti i casi in cui anche dopo la correzione sia necessario il ricorso ad ulteriori interventi chirurgici, procedure interventistiche emodinamiche o elettrofisiologiche.

In base all’anatomia originaria della malformazione e agli effetti che gli stimoli emodinamici e la stessa tecnica chirurgica hanno prodotto sull’anatomia del cuore, ne derivano alterazioni della massa miocardica e disomogeneità del substrato morfologico, che si traducono clinicamente in una ridotta capacità funzionale durante l’esercizio fisico e in un aumentato rischio di aritmie maggiori.

Le Linee Guida sul Follow-up del Cardiopatico Congenito Operato, partendo dai seguenti “presupposti generali all’approccio del cardiopatico congenito operato:

1) la correzione di una cardiopatia non rende normali;

2) “atresia, singolo, doppia uscita, doppia entrata, trasposizione dei grandi vasi, trasposizione corretta, condotto valvolato, cianosi, Eisenmenger”, sono termini diagnostici che richiedono particolare attenzione da parte di un esperto;

3) importanza della diversa risposta di questi pazienti a: farmaci, anestesia, chirurgia, gravidanza, attività fisica;

4) l’abbandono istituzionale determina la limitazione dei risultati terapeutici, nonostante

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32 “Percorsi, organizzazione, personale e indicatori” (2009), Appendice 3 del G Ital Cardiol 2009; 10 (Suppl

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l’avanguardia delle tecniche chirurgiche, e conseguente spreco di risorse;

5) il nostro intervento deve contribuire a realizzare un loro progetto di vita e non essere solo funzionale ai nostri intendimenti”,

forniscono uno strumento di lavoro agli operatori sanitari che sempre più frequentemente nella pratica clinica verranno a contatto con questi pazienti, con i quali dovranno mantenere un rapporto costante, per suggerire il tipo di attività fisica o lavorativa compatibile con le specifiche condizioni, assisterli al momento della gravidanza, contribuire a definire correttamente l’entità ed il significato di un’eventuale invalidità residua. Tali Linee Guida sono state infatti redatte per ridurre quel 20% di morti evitabili, secondarie all’errata gestione delle aritmie, al cattivo uso degli anticoagulanti, alla scarsa conoscenza del modello circolatorio ottenuto dalla correzione chirurgica: in sintesi, quindi, la relazione terapeutica presuppone la conoscenza non tanto dei quadri anatomo-funzionali della patologia nativa, ma soprattutto di quelli prodotti dalla correzione chirurgica.

Un follow-up adeguato richiede la conoscenza della storia naturale dei difetti congeniti e, nei bambini operati, della storia “innaturale” ottenuta con la correzione chirurgica o le procedure interventistiche. In molte cardiopatie operate difetti residui e sequele postoperatorie sono la regola, e condizionano i risultati a distanza. Il follow-up della popolazione portatrice di cardiopatia congenita richiede l’esecuzione di controlli clinici e strumentali periodici comprendenti: visita cardiologica (mirata da evidenziare anche eventuali variazioni della capacità fisica e dello stile di vita, il grado di inserimento nella vita sociale e il rendimento sociale), da ripetersi con cadenza annuale durante l’età pediatrica-giovanile anche nei pazienti asintomatici; ECG e valutazione ecocardiografica periodica (con frequenza variabile in base al rilievo emodinamico e alle potenzialità evolutive del difetto); valutazione della capacità funzionale mediante test da sforzo in modo da fornire precise indicazioni sul tipo e l’entità dell’attività ludico-sportiva consigliata; registrazione con ECG dinamico 24 ore secondo Holter per le cardiopatie potenzialmente aritmogene33.

Le cardiopatie congenite non operate nel bambino e nell’adolescente possono essere ritenute non suscettibili di intervento chirurgico (ma eventualmente candidabili a trapianto cardiaco o cuore-polmone), o a causa del loro scarso rilievo emodinamico essere diagnosticate più tardivamente, talora addirittura in età adulta, a cui si aggiungono quelle malformazioni che non richiedono intervento, tantomeno in età pediatrica, ma che non per questo possono essere esenti da un adeguato follow-up. In tutti i casi sono sempre indicate la profilassi antibiotica dell’endocardite batterica nelle condizioni di potenziale batteriemia, e le

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limitazioni all’attività fisica, mentre le eventuali successive indicazioni all’intervento variano in base alla malformazione originaria.

Dall’altra parte vi sono i pazienti in età pediatrica e i giovani con cardiopatia congenita operata, che costituiscono una popolazione in aumento: è necessario valutare gli effetti dell’intervento, delle sequele post-operatorie e dei difetti residui, come l’insufficienza mitralica, la stenosi valvolare, l’insufficienza valvolare, aortica e polmonare, le aritmie ventricolari, i disturbi di conduzione o il ventricolo unico. Anche in alcuni di questi difetti sottoposti ad intervento chirurgico o a procedure emodinamiche interventistiche si rivelano necessari la profilassi antibiotica dell’endocardite batterica (come in caso di impianto di protesi valvolari meccaniche) e il controllo dei valori pressori, dal momento che l’ipertensione, inducendo l’ispessimento dell’intima e della tonaca media, è un fattore di rischio importante per la malattia aterosclerotica prematura delle arterie coronarie; in alcuni casi, inoltre, è indispensabile procedere a re-intervento, ad esempio i bambini che alla nascita presentano stenosi valvolare aortica critica entro i venti anni di età vanno di solito incontro a sostituzione valvolare.

Anche la tachicardia da rientro intra-atriale, spesso alla base della morte improvvisa, rappresenta una ben nota complicanza tardiva nei pazienti sottoposti a chirurgia atriale per la correzione di cardiopatie congenite34: le difficoltà nell’approccio di questa tachiaritmia, spesso desincronizzata e secondaria alla cicatrice atriale, consistono nel fatto che la terapia farmacologica è spesso mal tollerata ed ha comunque basse percentuali di efficacia, per cui sono stati delineati due principali approcci terapeutici: da una parte, si individua come opzione quella di identificare e ablare anche in maniera focale queste aritmie grazie al mappaggio elettroanatomico tridimensionale, dall’altra35 si ritiene prioritario il trattamento chirurgico estensivo di queste aritmie, oggi in grado di ridurre la perdita della funzione contrattile atriale.

I controlli devono sicuramente essere intensificati e approfonditi con l’allungarsi del follow-up, talvolta ricorrendo al test invasivo del cateterismo cardiaco, poiché con il tempo aumenta il rischio di sviluppare complicanze come aritmie, disfunzioni ventricolari e del ritmo sinusale, tali da richiedere il reintervento, la dilatazione con palloncino, una modificazione __________________________________________________________________________

33 S. FAVILLI et al (1998), “Cardiologia pediatrica”, Società Editrice Europea Firenze

34 A. DI PINO et al (2001), “Tachicardie da rientro intra-atriale nella cardiopatie congenite operate:

valutazione del substrato aritmogeno e individuazione di nuove strategie ablative mediante mappaggio elettroanatomico tridimensionale”, G Ital Aritmol Cardiostim 2001;3:104-108

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nel dosaggio farmacologico e talora l’impianto di pace-maker o la riconversione a switch arterioso.

Indicazioni precise di follow-up sono state destinate anche alle successive fasi evolutive, in particolare quando insorgono le difficoltà legate al desiderio di gravidanza in famiglie con storia di cardiopatia congenita, dal momento che questa può comportare rischi per la madre e per il feto. La donna, infatti, durante la gravidanza può andare incontro a insufficienza anche grave per il notevole aumento del volume ematico e ha un rischio aumentato di fenomeni trombo-embolici, aritmie ed endocarditi; il rischio maggiore per il feto è rappresentato dal ritardo di crescita, specie se la cardiopatia della gestante è cianogena. Oltre a valutare con il counseling genetico il rischio di ricorrenza nella prole (di solito almeno doppio quando è la madre ad essere affetta rispetto al padre), e riferire, al momento in cui viene espresso il desiderio, la controindicazione alla gravidanza (oggi prevista solo in condizioni specifiche, come la malattia vascolare polmonare, l’intervento di Fontan per tutte le situazioni di cuore funzionalmente, e spesso anche anatomicamente, univentricolare), si rivelano necessari un accurato monitoraggio cardiologico ed ostetrico soprattutto nella seconda parte della gravidanza e la profilassi antibiotica per l’endocardite batterica al momento della programmazione del parto, che richiede la presenza anche di ostetrico ed anestesista.

La necessità di prendersi cura a lungo termine di pazienti adulti con cardiopatie congenite, sottoposti o meno ad interventi cardiochirurgici nell’età neonatale o pediatrica, ha indotto prima in Inghilterra e poi nel resto d’Europa, nel Canada e negli Stati Uniti, l’istituzione di specifiche divisioni di Cardiologia denominate “GUCH Unit”. In tempi molto recenti, anche in Italia si è sentita la necessità di delineare il ruolo e la collocazione territoriale di queste unità super-specialistiche: esse devono trovarsi in strutture operative complesse, operanti in strutture dipartimentali o interdipartimentali universitarie o ospedaliere o di un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, con distribuzione regionale o inter-regionale e complete dei vari servizi necessari a tutte le esigenze diagnostiche e terapeutiche, prevedendo un’interazione fra il cardiologo ed altri specialisti, soprattutto ginecologi, chirurghi generali, anestesisti, psicologi ed assistenti sociali36. Le GUCH Unit devono prevedere attività di degenza ordinaria, semi-intensiva, attività di Day Hospital, ambulatoriale e devono interagire con le strutture territoriali cardiologiche alle quali i pazienti fanno riferimento nella loro quotidianità (certificati di idoneità fisica, previdenziale, __________________________________________________________________________

35 G. VIGNATI (2001), “Trattamento chirurgico delle aritmie associate a cardiopatia congenita”,G Ital Aritmol

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contraccezione, gravidanza), in maniera da poter intervenire anche in teleconsulto, rispondendo in tempi brevi ad una eventuale emergenza.

Il personale medico e infermieristico che opera in tali divisioni si trova ad affrontare non solo le problematiche relative alle sequele aritmiche, ai problemi infettivi e ai disturbi funzionali di tale complessa popolazione, ma anche le crescenti problematiche sociali legate alle conseguenze prodotte sullo stato psicologico e sulla vita relazionale del soggetto: gli studi sinora condotti hanno infatti dimostrato che più difficilmente tali pazienti si sposeranno e costruiranno un nucleo familiare proprio, in base alla diffusa convinzione di una ridotta aspettativa di sopravvivenza, di scarse possibilità d’inserimento nel mondo del lavoro e della necessità di un supporto sociale. Eppure, nei soggetti con cardiopatie cianogene è stata documentata da una parte la presenza di un quoziente intellettivo e di un profilo pscicologico-emozionale del tutto sovrapponibile a quello della popolazione sana, e dall’altra l’assenza di specifiche anomalie organiche a carico del sistema nervoso centrale37

.

__________________________________________________________________________

36 G. SCOGNAMIGLIO et al (2004), “Problemi etici e sociali in cardiopatici congeniti adulti: ruolo delle

“Guch Units”, Journal of Medicine and the Person, 2004, 4: 01

37 D.R. DE MASO et al (1990), “Psychological functioning in children with cyanotic heart defects”, J. Dev.

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